Le
voyage de Saint Brendan (“Il
viaggio di San Brandano”) è un poemetto anglonormanno, databile
all’inizio del XII secolo. È il volgarizzamento della Navigatio
sancti Brendani
(VIII sec. circa). Il poeta Benedeit, nel riadattare quell’opera
nata in ambiente monastico, pensa al palato di una corte. Insiste sul
lusso favoloso dei luoghi e sulle avventure, riducendo leggermente
gli aspetti devozionali. Ma, anche in questo modo, il poemetto resta
un documento del modo in cui si cristianizzò l’Irlanda.
Il
genere a cui esso si richiama, infatti, è quello degli immrama
(
= navigazioni), narrazioni tipiche della letteratura celtica che
ruotavano attorno a un viaggio per mare, solitamente alla ricerca
dell’Altro Mondo. L’abate Brandano, per l’appunto, si dirige
verso il Paradiso Terrestre. Né la sua avventura è senza rimandi
storici.
Una pratica tipica dei primi monaci irlandesi era l’ailithre
o
peregrinatio
(pro Dei amore): s’imbarcavano
su navi prive di remi o timone, con pochissime provviste, e si
abbandonavano alla corrente come alla volontà divina. Fu così che
le isolette dei mari britannici si popolarono di anacoreti. Anche la
famosa Avalon non è priva di richiami all’Aldilà celtico e a
questi eremi.
La
ricca sopravvivenza della cultura precedente all’interno del
cristianesimo irlandese è dovuta alla transizione pacifica dalle
antiche religioni a quella “nuova”. L’evangelizzatore San
Patrizio, nel V secolo, poté contare sul modo in cui il clero
precristiano era organizzato: ai druidi, massime autorità
sacerdotali, era sottoposto l’ordine sacerdotale dei filid.
Questi
trovarono la propria autonomia convertendosi e divenendo abati. Non
per questo persero il patrimonio mitologico di cui erano depositari.
Anzi, esso fu messo per iscritto proprio negli scriptoria
monastici.
La dea madre Brig divenne santa Brigida d’Irlanda e ne conservò
anche i simboli: il fuoco e il cigno.
A
una “cristianizzazione morbida” furono sottoposti anche i simboli
religiosi. Così nacque, per esempio, la famosa croce celtica. È
davvero un’ironia della sorte che, in Italia, questo segno di
sincretismo e pacifica transizione culturale sia percepito come un
simbolo d’intolleranza.
Per
tornare alla trama del nostro poemetto, essa può essere così
riassunta. L’abate irlandese Brandano ha un forte desiderio di
visitare il Paradiso Terrestre. Domanda per questo la benedizione
divina; ottenutala, s’imbarca con un gruppo selezionato di monaci.
All’ultimo momento, tre ferventi confratelli supplicano di essere
aggiunti all’impresa. Ma ciò costerà loro un’infausta sorte.
I
monaci vanno così incontro a peripezie all’insegna del romanzesco
e del provvidenziale: castelli lussuosissimi ma disabitati, isole
mobili che si rivelano grandi pesci, mostri marini e di terra, porti
naturali fatti apposta per la loro nave, messaggeri che risolvono
ogni cosa, angeli. Non manca l’aspetto “dantesco”: la nave di
san Brandano attraversa l’Inferno, coi suoi mostruosi diavoli e con
gli articolati supplizi che spettano a Giuda Iscariota. Nonostante la
propria profonda dannazione, questi chiede all’abate di impetrargli
la tregua d’una notte e la devozione del santo gliela ottiene.
Il
Paradiso Terrestre è di una bellezza davvero terrestre, fatta di
alberi e fiori, frutti e aromi, oro e pietre preziose, clima
primaverile.
Il
viaggio d’andata dura sette anni; quello di ritorno, per grazia
divina, solo tre mesi. Alla propria morte - afferma il poeta -
Brandano “ritorna”. Non c’è così distinzione fra il Paradiso
terrestre e quello celeste.
Il
poemetto è un viaggio attraverso le allegorie e i suoi pericoli sono
soprattutto spirituali: nel castello ricco e disabitato, i monaci
apprendono una lezione di autocontrollo e sobrietà; davanti alla
paura dei mostri marini, imparano a scacciare la vigliaccheria e a
non nascondere la fede. Ma è anche un anticipo dei romanzi
cavallereschi, letteratura di corte piena d’avventure per amore del
meraviglioso in sé. Né è una vicenda soltanto medievale. Il buon
Brandano, secondo la leggenda, sarebbe nato in Irlanda alla fine del
V secolo: si chiamava Mobi, soprannominato Broen
Finn (Bianca
Rugiada), a causa dell’aurora boreale che avrebbe accompagnato la
sua nascita. Mobi, il colore bianco, un pesce insidioso e grande come
una balena… Non serve molto altro per pensare a Moby
Dick.
Erica Gazzoldi
Fonte: Benedeit, Il viaggio di San Brandano, a cura di Renata Bartoli e Fabrizio Cigni, Parma 1994, Nuova Pratiche Editrice.
Fonte Secondaria: Uqbar Love 177
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