Omaggio a Swami Ramatirtha
Mendicante che impera
Quando scrivo non sento mai, o quasi mai, l’impulso di affermare qualcosa di definitivo, di "realmente" corrispondente al mio sentire.. Le mie parole sono semplicemente espressioni, pescate nell’umore del momento e valide al solo fine di poter raccontare una storia apparentemente “sensata”.
Insomma quel che dico è un raccontino, una descrizione di
un sogno.. e i sogni sono imponderabili e fantasiosi..
Salvo che non ci si metta Freud, la Smorfia o l’I Ching a dare una spiegazione… una parte di me è pur favorevole a quello che io stesso esprimo.
Adoro l’idea della scalata come simbolo verso la conoscenza.. e questa è l’immagine che solitamente si da alla crescita, in tutte le tradizioni spirituali. Ma nella mia natura umana (e di conseguenza anche in quella spirituale) permane una fondamentale “pigrizia” verso l’agire per l’ottenimento della conoscenza acquisibile. Mi piace molto il detto: “Seduto senza far nulla, viene la primavera e l’erba cresce da sé…”.
In verità il Sé è indescrivibile a parole, è aldilà dei sentimenti e delle emozioni, pur comprendendo sino al più piccolo movimento della coscienza.. Tutto comprende ma di nessuna cosa assume la forma.
Il Sé è il substrato perennemente presente che consente alle forme di manifestarsi. Ed in questo senso in “esso” non c’è preferenza non esiste scala di valori per cui il Sé possa prediligere un discorso rispetto ad un altro. Non vi sono argomenti nobili e metafisici da preferire rispetto alla materialità ed alla contingenza empirica.
Ogni cosa ha il suo valore ed il suo significato nella manifestazione che le è propria e confacente alla condizione vissuta. Perciò l’intensità e il senso di presenza che si sperimenta salendo su una vetta equivale al mio "riposo" contemplativo. Ad ognuno secondo le congeniali
caratteristiche di ognuno.
Oggi stavo rileggendo una poesia sul Sé, lasciatami in amoroso pegno dall’amico fraterno Upahar che il 24 settembre u.s. se ne partito per Arunachala, ed intanto mi chiedo: c’è mai stato un momento in cui io non sia stato me stesso?
Questo io che così fortemente sento e percepisco, questo io è la sola realtà che conosco, è coscienza assoluta e indivisibile. Tutto ciò che appare in questa coscienza, le immagini che io osservo, tutto ciò che si mostra all’io è un oggetto, questo corpo è un oggetto, la mente è un oggetto, le forme variopinte del mondo sono solo oggetti.. dell’io.
Le qualità, le sensazioni, le attrazioni e repulsioni che appaiono nel campo della coscienza, che io sono, sono solo proiezioni come lo sono i sogni che appaiono al sognatore. Se io non sono chi è? Ma poi… come posso lontanamente immaginare separazione fra l’io e le proiezioni dell’io, tutto si risolve nella stessa realtà, unica ed indivisibile, inspiegabile perché non vi è nessuno a cui poterla spiegare…. Questo
io sono in cui anche l’ipotetico altro si riconosce come io sono….
Ed ecco la poesia...
“Mi vedi? Chi sono io? Sono l’albeggiare della luce divina. Sono l’amore, l’amante e l’amato. Radiando in ogni luogo. Io solo esisto.
Il mio posto è l’assenza di ogni posto. Mi sono nascosto sotto un velo… per meglio godere dello spettacolo.
Dimmi fratello, chi dovrei cercare? Chi potrei trovare?
Io solo esisto. Io sono quell’assoluta essenza priva di limiti,
dinnanzi alla quale l’intelletto ammutolisce, come un bambino. Certi mi chiamano Allah… altri Signore. Accetto ogni attributo ed ogni nome.
Per me il tempio, la moschea o la chiesa sono uguali. Né dualità né non-dualità si associano a me. Oltre me nulla era, è o sarà.
Tutte le rose e tutte le spine del mondo non sono altro che me. Sono l’amico ed anche il nemico. Se c’è una riva da questa parte, sono io.
Se c’è una riva da quella parte, sono io. Sono il legame del sottomesso e la libertà del libero…. È la mia bellezza che tocca il cuore del mondo, sono io che do fragranza alla rosa, brillantezza ai gioielli, i belli debbono a me il loro potere d’attrarre.
Do l’oro al sole e l’argento alla luna, e loro danzano in ubbidienza, e le stelle della Via Lattea brillano chiamandomi, ma dove potrei andare? Sono già presente nei loro occhi! Niente esiste a parte me, nessun mondo, nessun Dio, nessun devoto.
Quando l’uccello del cuore è preso nella trappola degli attaccamenti, tutto questo accade in me solo. Il bene il male che significato hanno per me? Sono colui che si inchina e colui al quale l’inchino viene rivolto.
Sono il maestro ed il discepolo, dentro ogni cosa trascendo
ogni cosa. Io solo esisto” - Swami Ramatirtha -
Paolo D’Arpini
Foto scattata da Upahar dal titolo:
"Un maestro pazzo"
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Commento di N.L.: “Oggi
camminando per la strada ho incontrato un signore, seduto, davanti a
sé un piano di lavoro alto una trentina di centimetri da terra e
c'erano degli oggetti sul piano ma non capivo esattamente cosa.
Avvicinandomi ho notato delle spazzole di dimensioni variabili e
diversi tipi di lucido. Un lustrascarpe per bacco! Un lustrascarpe...
ho strabuzzato gli occhi, ma non è possibile! Ma in che anno siamo?
Io non avevo mai visto un lustrascarpe se non in una rappresentazione
visiva del secolo scorso. Era un uomo meraviglioso, irradiava
serenità e non so perché ma la prima sensazione che ho percepito è
stata quella contraria; forse non sarei riuscita a farmi lustrare le
scarpe da quel signore, ma gliele avrei umilmente lustrate io! Perché
racconto questa storia? Mah...forse perché la poesia di Swami
Ramatirtha mi ha ricordato la meravigliosa sensazione provata
oggi....”
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