Il disastro meccanicista che imperversa...

 

“La scienza la fanno gli uomini: considerazione banale, ma troppo spesso dimenticata”. (Werner Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1929-1965, Torino, Bollati Boringhieri, 2013, p. 17.)



Finché l’incantesimo materialista contiene i pensieri e la creatività, nulla di quanto osservabile diviene reale se non è misurato, quantificato, scomposto, separato.

Tutta la scienza – fino a poco fa – come la quasi totalità degli uomini della strada, ovvero esperti e profani, è rimasta impigliata tra le fitte maglie della sindone newtoniana-cartesiana.

Sotto il ferreo regime del sortilegio tutto il reale è stato compresso entro le quattro regolette del meccanicismo. Non solo pianeti e pietre, ma anche l’uomo.

La legge è uguale per tutti, è lì davanti allo scranno del giudice, o sopra il crocifisso, in mostra a tutti, a decretarlo. Ma lo è dappertutto, a scuola con il pornografico mito della meritocrazia, con la bacchettosa modalità frontale, con il potere del giudizio e del voto che decreta, come la legge, chi si è comportato secondo il modello di riferimento cui attenersi. Lo è nello sport, dove qualcuno può dire a chiunque tu sei negato. Tutti attori della medesima recita meccanicista. Tutti intenti alla competizione dove conta solo vincere. Nessuno in grado di cogliere il potere presente in tutti noi e majeuticamente coltivarlo, secondo l’ordine che tutti abbiamo, secondo il percorso della nostra realizzazione oltre i binari dell’irreggimentazione, dell’uniformizzazione, dell’assoggettamento, della sottomissione, della classificazione. Ma alla cultura non interessa, tantomeno alla politica, vagolante entità alla quale è opportuno non riferirsi, per evitare almeno l’imbambolamento della falsa democrazia. Il futuro dell’assegno di cittadinanza, antipasto del reddito universale, è luminoso. Neppure le veline dei tg, parlano più degli investimenti per la riduzione della disoccupazione. Lo stato progressista-ordoliberista – che include le false destre a pieno titolo – è fallito. Il sistema Occidente è in agonia. L’accanimento terapeutico per tenerlo in vita ha molti effetti detti collaterali, ma estremamente funzionali alla residua speranza di mantenimento dell’egemonia sul mondo. Chi non li vede sta marciando al passo dell’oca. Alla fine, se dovesse andargli male, non gli resterà che nascondersi dietro al solito stavo solo ubbidendo agli ordini.

Ma il disastro meccanicista non ha bisogno di grandi teatri per essere mostrato. Esso circola liberamente in ogni relazione ordinaria tra persone. Quando la cultura dell’ascolto si radicherà in noi – suerte – tutti i conflitti avranno di che spegnersi, nella misura in cui, oggi, basta niente per accenderli. Un niente colmo di convinzione che l’altro abbia davanti a sé lo stesso mondo che vedo io. Assolutamente ignaro dell’eventualità che l’altro sia in un punto del suo universo che noi non possiamo immaginare.

Il principio di causa-effetto, i principi della logica, il tempo lineare e non reversibile, tutti i referenti di base della fisica classica, hanno dominato su di noi fino a ignorare la dimensione umana, fino a nascondere a noi stessi l’autoreferenzialità della scienza, fino a farci inginocchiare ad essa. Poter dire o scrivere scientificamente provato è ancora – purtroppo – una mannaia che taglia la testa a tutti i tori. E tutti cercano di metterselo in bocca o un qualunque motivo per stamparlo.

La cultura scientista, come il pesce, al quale se chiedi “Com’è l’acqua oggi?”, ti guarda allibito rispondendo “Acqua? Quale acqua?”, non ha consapevolezza di sé. Anche, si gonfia il petto per avere sconfitto nel duello della conoscenza i suoi nemici. Almeno, così crede lei che non ha neppure la dignità di ammettere di aver barato. In che altro modo si può definire chi detta le regole del gioco, senza renderle note?

“Eravamo attratti dalla ricerca d’una spiegazione definitiva, della chiave che avrebbe svelato la nascita dell’universo e della vita. Da questo punto di vista la fisica teorica ci sembrava molto più adatta che non la vecchia filosofia che si studiava nei licei. Platone, e Aristotele, Cartesio e Kant e Hegel, ci sembravano insufficienti di fronte alle domande fondamentali […] Einstein, Planck, Bohr, Eddington, Born, Ruthenford erano i veri maestri della conoscenza che con il lume della ragione e della scienza sperimentale avrebbero definitivamente scacciato le tenebre dell’ignoranza e della superstizione religiosa, svelando i misteri e lacerando il velo di maya che nasconde la realtà agli occhi degli uomini. […] Il principio di indeterminazione scoperto da Heisenberg […] ci calò sulla testa come una mazzata”. Werner Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1929-1965, Torino, Bollati Boringhieri, 2013, p. 7-8, (dall’introduzione di Eugenio Scalfari).

Sì, regole del gioco. Null’altro che questo. E niente di più di quelle del Monopoli, del poker e dei quattrocento rana (se li ripristineranno).

Se l’organizzazione richiede una norma e se la norma ha ragione d’essere per amministrare la storia, ciò non significa, né dovrebbe comportare, che l’intera dimensione umana ne sia sottomessa, ovvero che dell’infinito che è in noi si tenga buona soltanto qualche squama.

Sebbene la conoscenza suprema, mica quella superficiale cognitiva, sia disponibile agli uomini da diversi millenni, ci sono evidentemente state ragioni e motivi che ne hanno impedito l’avvento. Forse quella più accreditabile è relativa ad una sorta di equilibrio della natura che implica la dimensione esoterica della conoscenza, in quanto, se essoterizzata non ne resterebbe che una vulgata superficiale e quindi il rischio di disperdere, ancora una volta nella democrazia, il bene dell’uomo.

Fanno da sfondo a quella conoscenza profonda una serie di dinamiche che – semplicemente – non sono compatibili con l’attuale concezione quantitativistica del mondo e degli uomini.

Alcune di queste possono essere descritte come segue.

Campi

Tutti noi, sempre cerchiamo di permanere in campi di coerenza, ovvero in situazioni a noi idonee, dove non ci sentiamo spaesati, perduti, impauriti. Vale per il pusillanime quanto per il coraggioso. Estremi tra i quali il genere umano tutto gongola, soffre e sciama, trovando i suoi convenuti, a volte nel campo dei codardi, altre in quello degli intrepidi.

In sostanza, dire campo è come dire coerenza, insieme, compatibilità, autoreferenzialità. È anche dire destino e recinto. È dire storia, identità, separazione, giudizio.

I campi sono detti chiusi quando tutti i giocatori sanno tutto il necessario per giocare la partita che si sta svolgendo all’interno, come nel Monopoli. Non sono ammesse scelte differenti da quelle dettate e concesse dal regolamento, come per fare una raccomandata, gonfiare una ruota, combattere sul ring. Chi non conosce le regole, ma vuole entrare in campo, desidera impararle per assoggettarsene e quindi dialogare – senza rischio di equivoco – con gli altri avventori.

I campi chiusi, amministrativi, di gioco o condivisi sono rappresentabili e sottostanno alle dinamiche del principio di causa-effetto, della logica aristotelica e al tempo lineare, tutti pilastri della meccanica classica.

Relazioni

In Il codice cosmico – La fisica moderna decifra la natura, di Heinz R. Pagels, Torino, Bollati Boringhieri, 2016, a pagina 68 si legge: “Per qualche ragione il linguaggio corretto per descrivere l’atomo era quello delle matrici anziché quello dei semplici numeri” e, nelle prime righe di pagine 69, “il cui prodotto non è necessariamente commutativo”.

Sono parole che offrono una sintesi delle dinamiche nelle relazioni aperte, le più comuni. Se i numeri erano utili per definire il comportamento di una parte in contesto chiuso, meccanico, uno spettro assai più vasto, come quello offerto da una matrice, diviene più consono a predire il fare in contesti privi di dominio comune e condiviso. Non solo, invertendo i ruoli delle parti o spostando la relazione in altro tempo, se ne riscontra anche la similitudine con il concetto di non commutabilità.

Quando due campi – che significa anche noi stessi, in relazioni con il prossimo, in quanto di momento in momento vediamo la realtà secondo noi – entrano in contatto, in relazione, entrambi credono che l’altro riconosca le regole del gioco, ovvero il proprio punto di vista, la propria interpretazione, il proprio linguaggio, verbale e non, e le sue accezioni, la propria ironia e l’illuminazione che le proprie metafore gli recherebbero, che abbia l’identico sentimento e le stesse esigenze. Entrambi credono che l’altro riconosca le nostre esigenze emozionali e sentimentali, sebbene entrambi, spesso, neppure percepiscono come sorgente del mondo che vedono nelle loro reciproche visioni.

Nel contatto tra campi aperti il gioco non è oggettivo, il mondo non è lo stesso per entrambi e quello dell’altro non è riconosciuto, a volte anche con la disponibilità dell’ascolto. La possibilità di dialogo ha uno spettro limitato ed è, tendenzialmente, sempre incerta. Il campo individuale fa sempre testo anche quando viene apparentemente tralasciato per esprimersi poi in frustrazione, a sua volta una determinatrice di campo.

Entrambi si aspettano infatti di trovare opportuna corrispondenza alle proprie affermazioni. Fintanto che questo accade, magari condividendo per qualche tempo il medesimo contesto, sussiste il dialogo, l’intesa, l’esonero dell’equivoco.

Quando la corrispondenza cessa si aprono le cateratte del fraintendimento, dell’incomprensione, della delusione, del risentimento, del conflitto, della sopraffazione, della squalifica.

Basta poco per passare da uno stato amichevole e disponibile, dalle buone relazioni, ad uno governato da qualche sentimento negativo, di chiusura in se stessi. Una diversa morale, una differente interpretazione di un evento, una certa accezione non intesa. Dunque passare dallo scambio, neutro o accorato, al conflitto è frequente. È una specie di dimostrazione dell’inconsapevolezza che siamo universi diversi, con regole personali. Consapevolezza quindi utile per ridurre il gradiente di rischio di conflitto e contemporaneamente alzare quello di vivere esperienze relazionali soddisfacenti, fenomenologicamente vissute, e insufflate di rispetto autentico, non buonistico-politico.

Universi che solo l’arroganza assolutista dello scientismo applicato all’umano si arroga il diritto maldestro di uniformare e poi di classificare e giudicare sempre, anche fuori dai contesti dei campi chiusi e condivisi, nei quali invece risulta fisiologico alla concezione bidimensionale della realtà.

“Ma Niels Bohr risponde: ‘Il contrario di un’affermazione corretta è un’affermazione falsa, ma il contrario di una verità può darsi che sia un’altra verità.’”. Werner Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1929-1965, Torino, Bollati Boringhieri, 2013, p. 13, (dall’introduzione di Eugenio Scalfari).

Se le relazioni amministrative sono rappresentabili dalla meccanica classica, quelle aperte si possono vestire con la foggia di quella quantistica. In queste non è possibile prevedere la posizione che gli interlocutori assumeranno nel corso della relazione. Un’imprevedibilità che assomiglia tanto a quella della particella della quale non è possibile prevedere, se non statisticamente, la posizione e la quantità di moto contemporaneamente, come accade invece nella meccanica classica. Non solo, ma la sovrapposizione tra fisica quantistica e relazioni aperte si estende ulteriormente riconoscendo che il comportamento dei due interlocutori risente dell’altro. Esattamente come avviene in occasione dell’osservazione di esperienti con le particelle, il cui comportamento oltre che imprevedibile, risente della presenza dell’osservatore.

“Tra i fenomeni osservabili e l’apparato mentale che li osserva esistono reciproche interferenze […]. Il concetto stesso di realtà subisce da queste osservazioni un attacco dal quale non si è mai più ripreso”. Werner Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1929-1965, Torino, Bollati Boringhieri, 2013, p. 12, (dall’introduzione di Eugenio Scalfari).

Inoltre, le reazioni delle parti della relazione aperta possono variare anche nel gradiente, nell’intensità o nella sostanza, proprio come una particella che può essere onda o materia.

Infine, come nell’uomo un’idea aggrega l’energia necessaria alla sua realizzazione, si può considerare che la materia non è altro che energia condensata.

L’infinito

L’insieme di tutti i campi corrisponde all’infinito. Un volume che tutto contiene, dal quale gli uomini pescano secondo la loro biografia il necessario per alimentarla e mantenerla, al fine di potersi riconoscere in essa e avere una direzione di vita, fosse anche nichilistica, patologica, disperata.

L’Iperuranio di Platone è un infinito, un volume abitato da tutti gli opposti riuniti insieme, cioè da quelle parti che gli uomini estraggono a metà per loro gusto e necessità. Se da un lato l’infinito è rappresentabile dall’Uno, dall’altro si può riconoscere quanto la consapevolezza di questo stato delle cose possa implicare sia l’elevazione all’evoluzione umana che tende alla invulnerabilità e, non disponendo in sé dell’idea della storia come territorio evolutivo, la forte eventualità di subirne il peso fino al nichilismo e alle patologie. Ovvero la difesa di qualunque faccenda umana, o meglio, l’identificazione di noi stessi con qualunque faccenda umana, tende ad impedire l’evoluzione e a procurare sofferenza.

Fisicamente parlando, l’infinito è limitato in un concetto nella fisica classica, ed è invece il solo ambito concreto che permette alla fisica quantistica di recuperare la dimensione alogica, di vedere il tempo nella sua circolarità e la durata nella sua variabilità, di liberarsi dai vincoli materiali come l’entanglement permette di pensare. Tutti aspetti che riscontriamo nell’umano a mezzo delle emozioni e dei sentimenti, ma forse, quantisticamente parlando, certe categorie e differenziazione non hanno più ragione d’essere intese in senso stretto o algebrico. Forse è opportuno intenderle come matrici sensibili alle relazioni.

Comunque, con le prime – le emozioni – ritorniamo nel passato, con i secondi – i sentimenti – manteniamo legami più forti di una gomena, indipendentemente dalla distanza del nostro affetto o nemico. Con entrambi replichiamo l’eterno ritorno. Sono infinite emozioni e infiniti sentimenti, potremmo muoverci su una linea retta che in ogni momento si allontana via via di più dal punto di origine.

Recuperare la dimensione della realtà è recuperare la dimensione magica, che non è un coniglio dal cilindro, ma semplicemente, se non banalmente, il saper vedere e maneggiare i flussi di energia che andranno a concretizzarsi in scelte e oggetti, che permettono o impediscono una relazione.

Il finito

Ogni affermazione comporta l’estrazione del volume degli elementi utili a realizzarla. Questa crea un campo, detto anche bidimensione in quanto l’affermazione è possibile soltanto in un’istantanea del volume vorticante. Come in un’immagine fotografica potremo allora sostenere che il nonno è a sinistra del nipotino e che sullo sfondo c’è un grande tiglio. Cioè potremo descrivere la realtà e credere nella nostra descrizione. Dell’arbitrarietà e parzialità di fondo non ce ne avvediamo. Così fa anche il prossimo e, come detto, se le estrazioni dal volume, se l’esigenza biografica, se il linguaggio e se l’intento non è il medesimo per entrambi, la relazione si interrompe o diviene conflittuale.

Come detto, l’ordine è realizzato nel campo quando ci si trova in riflessione e nelle interlocuzioni se queste hanno carattere amministrativo. Anche un’esperienza-emozione vissuta insieme, rientra nel campo tutti che sano tutto. È quanto accade in contesto meccanicistico. Non solo, è anche quanto la concezione meccanicistica sia dilagata anche in campo umanistico. Di essa è pregna la cultura, nonostante le sue falle. Ovvero la messa in evidenza che la dimensione logico-razionale del pensiero e del linguaggio speculativo-analitico, in quanto gabbia di contenimento, non potrà mai, sua ontologia, indagare ciò che essa definisce mistero. Non farà sentire la liberazione del nostro potenziale profondo e si limiterà a godere di se stessa seduta al tavolo a giocare a Monopoli.

Siamo atomi dal potere enorme – che la fissione e la fusione nucleare ben rappresentano in quanto a quantità – ma con il denotatore inceppato. Una messe di pulviscolo di convinzioni e consuetudini di superficie, cioè autoreferenziali, tappi dell’effervescenza creativa, che impediscono la conoscenza di noi e del prossimo, relegati in categorie inventate, che annullano il paradiso terrestre che immaginiamo e che, nel tentativo di raggiungerlo, distruggiamo.

“Ne risulta in modo particolarmente efficace il percorso che la fisica teorica compì nel primo quarantennio del XX secolo: la scoperta di un universo profondamente diverso da quello che la scienza precedente aveva trasmesso”. Werner Heisenberg, Fisica e oltre. Incontri con i protagonisti 1929-1965, Torino, Bollati Boringhieri, 2013, p. 11, (dall’introduzione di Eugenio Scalfari).

Stabilità dei campi

Come un’idea, che è necessaria per generare un tavolo che non sia una replica di idee altrui, rappresenta la stabilità di un campo, così si può convenire che ogni campo stabile implica la materializzazione di quanto vi è contenuto. Un cinico, un intrepido, un pauroso, uno studioso e un atleta, hanno davanti a sé una visione costante e ferma, un campo impermeabile che permette loro la concentrazione, la continuità, la fiducia e la capacità di soffrire che, se dovessero venire a mancare, le loro aspirazioni si vanificherebbero.

Vivere entro un campo instabile, positivisticamente parlando, corrisponde infatti ad una conduzione di se stessi vagolante, incerta, debole. Ma corrisponde anche alla permeabilità serendipidica latente e alla disponibilità creativa, in quanto permette una relazione con il flusso energetico libero, dagli esiti imprevedibili, non più strumentalmente irreggimentato, razionalmente ordinato e strumentalmente predefinito.

“L’ordine che voi vedete nella creazione è quello che ci avete messo voi, come un filo in un labirinto, per non smarrirvi. Infatti l’esistenza ha il suo proprio ordine, tale che nessuna mente umana possa abbracciarlo, perché la mente stessa non è che un fatto in mezzo ad altri fatti”. Cormac McCarthy, Meridiano di sangue, Torino, Einaudi, 2014, p. 219-220.

Microcosmo

L’energia che transita nel corpo e lo costituisce, in quanto esigenza della natura o del cosmo, attraverso il microcosmo che siamo, reifica il mondo a nostra immagine e somiglianza, cioè in coerenza con la nostra biografia aggregandosi in campi richiamati dal senso di coerenza o mente condivisa.

Nient’altro che un procedere magico sotto gli occhi di tutti i disponibili a vederlo. Se le particelle risentono della presenza dell’osservatore e se il campo d’azione ha a che vedere con l’infinito, la fisica quantistica ha a che vedere con la magia. Se essa mina le basi della meccanica classica, così la consapevolezza dei campi e delle dinamiche relazionali ci svincola dal tentativo meccanicista di intendere l’uomo e i suoi comportamenti, come educabili secondo l’ordine storico vigente e – questo è il punto – credendo di fare opera universale, dimenticando infatti che la coerenza non è quella delle categorie della logica o della scienza, è quella dell’osservatore, dei suoi bisogni e scopi. Sono gli stessi vincoli della particella osservata?

L’architettura della fisica quantistica ci permette di riconoscere nella sua interpretazione della realtà le caratteristiche che si possono riscontrare nelle relazioni aperte, quelle senza recinzione né assoggettamento, che in sede delle regole condivise, hanno a che fare con l’infinito autoreferenziale che è in noi.

Lorenzo Merlo



Nel 2022 al Salone del Libro di Torino c'ero anch'io... (in remoto)

 

Intervista di Alvin Crescini con Paolo D'Arpini al Salone del Libro di Torino, 22 maggio 2022 - Presentazione del libro "Chi sei tu?"



Domanda -  Il tema  emblematico, il filo conduttore, che qualifica questo salone del libro di Torino del maggio 2022 è "Cuori selvaggi" ha qualche attinenza con il tuo libro "Chi sei tu?", basato sull'I Ching e sul  sistema archetipale  cinese con integrazioni del sistema elementale indiano?

Risposta - Nella filosofia taoista, che è una componente essenziale della cultura cinese,  si dà una grande importanza alla naturalezza ed  alla selvaticità. L'armonia tra l'uomo e la natura è la condizione che consente al cuore dell'uomo di battere in sintonia con tutto ciò che vive. Il taoismo, di cui la cultura cinese è imbevuta, non è una religione ma una sorta di  naturalismo  che affonda le sue radici  nell’intuizione analogica,  nelle espressioni sacre della coscienza di appartenere ad un Tutto.  
Le religioni tradizionali,  presupponendo un dio creatore "separato", definiscono in tal modo una "differenza" tra "creatore e creato" e quindi si forma una scala gerarchica, che dal punto di vista  taoista non esiste, in quanto ogni cosa è il risultato dell'unica matrice,  che muta nelle forme Yin (passivo) e Yang (attivo), senza però condurre ad una  scissione nelle sue manifestazioni. Ogni cosa è sempre complementare e pienamente integrata nell'Insieme, nell'intero. Questo è il senso profondo della "selvaticità" di cui anche il Libro dei Mutamenti è impregnato.  Ma  una precisazione rispetto al tema  da lei menzionato  "Cuori selvaggi"  (come portatore di valori  al salone del libro di quest'anno)  è necessaria.  
In generale "selvatico" significa che nasce vive e cresce in natura non in contatto o quasi con l'attività umana. Mentre "selvaggio"   significa  non adatto o adattato alla civiltà, intesa come sistema di regole di convivenza umana e funzionamento della società. Un  "cuore selvatico" od un "cuore selvaggio"  devono trovare una sintesi, non basata sulla ribellione o sulla inconsapevolezza bensì sulla capacità di integrare istinto e ragione. 
Perciò nel mio libro   cerco di indicare un percorso che va nella direzione di  integrare questi due aspetti dell'intelligenza e della coscienza  in modo da raggiungere un'armonia e riconoscersi in  una interezza.  Interezza che non è mai andata perduta ma solo dimenticata.

Domanda - Come è nata questa tua ricerca di interezza, e che attinenza ha con l'integrazione tra autoconoscenza e conoscenza del mondo?

Risposta - La mia curiosità innata di conoscere me stesso, sia dal punto di vista dell'identità personale che da quello dell'identità ambientale e sociale, mi ha sempre accompagnato e spinto all'analisi. Avendo vissuto varie esperienze  -e quindi  definibili dirette-   in chiave di riconoscimento degli aspetti psichici e comportamentali che contraddistinguono  l'uomo e il mondo dei viventi, insomma avendo cercato per quasi l'intero capitolo della mia esistenza di giungere alla conoscenza, ho percorso  diverse vie e finalmente ho trovato un modo  idoneo, un punto d'incontro,  che unisce varie scuole e che  trova conferma sia in campo analogico che logico. 
Forse  la mia tendenza innata alla laicità mi ha portato a  lasciar da parte  tutto ciò che è basato su un "credo",  privilegiando il metodo delle esperienze vissute.  Il momento cruciale  della mia ricerca risale all'età di 29 anni, in cui miracolosamente la mia energia psicofisica e spirituale fu risvegliata dal mio maestro Muktananda, attraverso Shaktipat (risveglio dell'energia Kundalini).  Da allora spontaneamente -come una crescita naturale-  proseguii nel riconoscimento della "verità"  che si manifesta all'interno ed all'esterno di noi.  Questo progressivo riconoscimento mi ha messo nella condizione di poter ricevere e   dare risposte condivisibili, poiché l'esperienza della vita è comune ad ogni essere pur nelle diverse funzioni,  partendo dalla conoscenza della persona incarnata.  Mi ritrovai così -dopo una analisi comparata di vari metodi di autoconoscenza-  ad  adottare (come base di condivisione esperienziale) gli archetipi  del Libro dei Mutamenti,   integrandoli al sistema zodiacale cinese ed al sistema elementale indiano e ad altri aspetti psicoanalitici. Questo metodo, da me testato in centinaia (o  migliaia) di analisi archetipali compiute su persone sconosciute, mi è stato  confermato nella sua accuratezza. 
Attenzione però questo è solo un passaggio per la conoscenza della "persona", cioè l'identità del soggetto empirico (ego), un ulteriore passo  avanti va poi compiuto per riconoscere l'identità suprema (il  Sé). Ed anche  di questo, in alcuni capitoli, se ne parla nel libro "Chi sei tu?"

Domanda - Nel tuo libro si fa riferimento ad alcuni ricercatori maceratesi che ti hanno preceduto nella indagine da te perseguita, in particolare a Matteo Ricci e Giuseppe Tucci. Perché ritieni che vi siano delle attinenze con questi personaggi?

Risposta - Credo che un filone di ricerca abbia le sue origini  attraverso le spinte sincroniche che l'hanno messo in atto. Non sono nativo di Macerata ma una parte della mia esperienza è radicata nel maceratese. Mio padre morì ed stato sepolto a Macerata,  da dodici anni mi sono trasferito a Treia, una cittadina del maceratese, la casa editrice Ephemeria è di Macerata ed è  gestita da un maceratese, Antonello Andreani, ed è per la sua insistenza che ho infine messo nero su bianco la mia esperienza con  la stesura di questo libro, che per tanti anni era rimasto "nel cassetto".
Debbo dire perciò che  ho trovato molto significativa la  ricerca di chi mi ha preceduto, ovvero i  due insigni maceratesi, Matteo Ricci e Giuseppe Tucci,  attraverso i quali ho ricevuto una sorta di  incentivo a scrivere questo  libro,  pieno di premonizioni psichiche e di riflessioni filosofiche, utili alla “conoscenza di sé”.
Nel riconoscere  l’importanza di chi mi ha preceduto nella conoscenza culturale dell’estremo oriente  vorrei descrivere alcuni aspetti   dell'investigazione  di questi due precursori maceratesi…
Il primo fu il gesuita Matteo Ricci (1552/1610), che soggiornò lungamente presso la corte imperiale cinese scrivendo diversi libri in Mandarino (la lingua dotta); la sua più importante composizione fu il Grande Mappamondo, la cui sesta edizione fu fatta ristampare su ordine dell’imperatore stesso. Egli cercò di integrare la cultura cinese con quella occidentale in una sintesi più apprezzata in Cina, ove morì a Pechino, che presso la chiesa cattolica che lo aveva inviato in Cina come "missionario“.
L’altro grande indagatore fu il professor Giuseppe Tucci (1894/1984), fondatore e curatore dell’ISMEO, l’istituto italiano per lo studio della cultura orientale che ha sede nel museo  di Via Merulana a Roma. Io ebbi la fortuna di visitare quel museo e fui toccato dal rispetto con il quale le reliquie di religioni esterne alla nostra cultura avessero trovato ospitalità e idonea spiegazione.  In particolare apprezzai l'interesse dimostrato da Tucci nei confronti  della cultura nepalese e tibetana  estremamente affini all’antica matrice cinese rivolta al benessere dello stato e del popolo. In particolare Giuseppe Tucci è stato in grado di offrire un quadro suggestivo dei due indirizzi culturali originari  della Cina, il Confucianesimo ed il Taoismo, la via della correttezza e la via della spontaneità, successivamente integrati dal buddismo. e perfettamente evidenti anche nel Libro dei Mutamenti

Domanda - Date queste premesse chi ritieni possa essere interessato a leggere il  libro "Chi sei tu?"

Risposta -  Chiunque sia interessato a conoscere se stesso può trarre giovamento dalla lettura di questo testo, che non è pedante o  di difficile comprensione, bensì basato su esempi concreti e buoni consigli. Una sorta di mappa utile al viaggio verso l'autoconoscenza. Sempre considerando però che la mappa non è il territorio e che quindi la vera conoscenza subentra allorché si intraprende il viaggio.  Nel  concludere questa presentazione del mio libro debbo confermare che la fonte primaria degli aspetti trattati è l' I Ching,  forse il testo di saggezza più antico dell’umanità. In esso sono integrati diversi commenti di Confucio e di Lao Tze, nonché considerazioni più tardive di matrice Chan (meditazione Buddista), oltre alle considerazioni di Jung e di altri studiosi della psiche collettiva. All’I Ching, sono riconducibili anche gli archetipi psichici basilari dello zodiaco cinese. La mia pluridecennale ricerca, compiuta sia attraverso contatti personali con vari insegnanti  che su testi originali  di matrice cinese e indiana (come ad esempio Il Potere del Serpente di Arthur Avalon),  mi ha portato a elaborare un sistema archetipale integrato, basato sugli esagrammi radice dell’I Ching,  sui cinque elementi indiani e su altri aspetti. Ed ora, grazie alla fiducia dimostratami dall'editore del libro,  posso trasmettere  i miei studi e le mie sperimentazioni nella speranza che possano ispirare il lettore verso la conoscenza di sé, anche in senso spirituale…

Disse un saggio: "Il cuore dovrebbe essere il capo, allora tutto si sistemerebbe spontaneamente. Se riesci a fidarti della natura, a poco a poco diventerai quieto, silenzioso, felice, gioioso, festoso, perché la natura è in festa. La natura è una festa...”



Salone del Libro di Torino, 22 maggio 2022 - Alvin Crescini con  l'editore Antonello Andreani e  Paolo D'Arpini in remoto


Il senso del peccato (che conviene alle religioni)...

 


Alla base della riproduzione c’è il rapporto sessuale ma la sessualità non si ferma lì… Così avviene che per molti uomini e donne, con variegata scala di intensità e in diversi stadi della vita, possano manifestarsi pulsioni sessuali “altre” da quelle eterofile.
Ed è normale che sia così.  Il danno delle religioni sta nel fatto che hanno voluto condannare queste pulsioni creando il senso del peccato.  Alcune religioni hanno esteso il senso del peccato persino alla normale eterofilia, se non consacrata da un vincolo religioso e questa è stata una grande tragedia per tutta l’umanità.
Le religioni hanno poco o nulla di buono, quel poco di buono che forse hanno avuto in passato, ovvero la spiritualità naturale e spontanea tesa alla conoscenza di Sé (chiamalo “dio” se vuoi), è stata cancellata per interessi di mantenimento del potere acquisito sulle masse. Sommergendo le masse di norme etiche e morali che sono a volte impossibili da soddisfare, consentendo però che venissero trasgredite purché “confessate” come peccati, di cui pentirsi…
Di tale ipocrisia e finzione ne abbiamo avuto abbastanza ed il recupero di una laicità spirituale, a tutto campo, compresa una laicità sessuale, è l’unico modo per riscattare l’uomo dalle gabbie in cui volente o nolente è stato rinchiuso dalle religioni e dalle ideologie…
Paolo D’Arpini

"Il libro degli insegnamenti di Lao Tzu" di Thomas Cleary

 


"Gli aforismi che seguono sono tratti da "Il libro degli insegnamenti di Lao Tzu", scritto da Thomas Cleary,  secondo me fondamentale al pari di "L'arte della guerra" di Sun-Tzu. Leggendoli sono certo che scatteranno nella vostra mente un sacco di associazioni." (Nando Mascioli)


Lao-tzu disse:
Esistono tre tipi di morte innaturale.
Se bevi e mangi smodatamente e tratti il corpo distrattamente e grossolanamente, allora la malattia ti ucciderà.
Se sei smisuratamente avido e ambizioso, allora sarai ucciso dalle preoccupazioni.
Se permetti che piccoli gruppi vìolino i diritti delle masse e che il debole sia oppresso dal forte, allora ti uccideranno le armi.

Lao-tzu disse:
Quando le leggi sono intricate e le punizioni severe, allora il popolo diventa infido. Quando chi sta in alto ha molti interessi, chi sta in basso assume molte pose.
Quando si cerca molto, si ottiene poco. Quando le proibizioni sono molte, si combina poco.
Lasciare che gli interessi producano altri interessi,e poi utilizzare gli interessi per fermare gli interessi,è come brandire il fuoco cercando di non bruciare niente.
Lasciare che la conoscenza produca problemi, e poi usare la conoscenza per risolverli, è come agitare l'acqua sperando di chiarificarla.

Lao-tzu disse:
Quando un paese combatte ripetute guerre e ottiene ripetute vittorie, perirà. Quando combatte ripetute guerre, il popolo si logora: quando ottiene ripetute vittorie, i capi diventano arroganti. Se capi arroganti utilizzano popoli logorati, quali paesi non periranno ?
Quando i capi  si fanno gaudenti, e quando diventano gaudenti, dilapidano ricchezze.
Quando il popolo si stanca si riempie di risentimento, e quando è pieno di risentimento smarrisce il proprio equilibrio. Quando governanti e governati raggiungono simili estremi la distruzione è inevitabile.
Pertanto, la Via della Natura richiede di ritirarsi quando si è svolto il proprio compito con successo.



Soccombere al degrado sociale ed umano o prepararsi a superarlo?

 


Le varie nazioni del pianeta, con l'aumento di  attentati terroristici e conflitti, dimostrano la loro incapacità di affrontare l’emergenza  che si profila all’orizzonte, mancando completamente di “intelligenza” e di idee idonee a contrastare le violenze ed i rovesciamenti delle strutture sociali e comunitarie.

Anche  l’Italia è presa da una deriva guerrafondaia,  seguendo una escalation matematica che ormai  sembra destinata a sfociare in una guerra aperta, i vertici politici nazionali e sovranazionali  risultano inidonei ad affrontare questa “emergenza”.

Tempo fa predissi che l’Italia è destinata alla frammentazione, né più né meno come all’inizio del basso medio evo. Piccoli poteri regionali sostituiranno lo Stato. Poteri che non sempre saranno rappresentativi del popolo italiano. A macchia di leopardo si costituiranno piccoli “ducati” indipendenti come sta già avvenendo, ad esempio, per quelle regioni dominate da mafia, ndrangheta, camorra ed altre associazioni. Alcune città si circonderanno di nuove mura difensive, le basi NATO si attrezzeranno a proteggere i propri territori, etc. etc. insomma l’Italia scomparirà in quanto Paese sovrano divenendo una sorta di terra di nessuno  fra l’Europa del nord,  il mondo islamico e sionista, gli Stati Uniti ed i nuovi potentati  di Cina e Russia.

Certo i Paesi occidentali avranno di che pentirsi della loro politica aggressiva, da un lato, nei confronti dei paesi islamici sconvolti da guerre finalizzate alla rapina, e dall’altro dalla totale impossibilità di attuare politiche “integrative” (vedasi ad esempio la drammatica situazione in Palestina e la politica razzista d'Israele). 

Eppure non è detto che sia impossibile creare una “integrazione” ed una collaborazione anche fra membri di culture ed etnie diverse. Siamo tutti esseri umani e non c’è alcuna differenza fra un nero, un bianco ed un giallo, per non parlare poi delle diversità religiose che sono semplici  illusioni. Il problema subentra quando una certa comunità vuole far prevalere la sua “cultura” o “religione” o “idea politica” o dominio "finanziario ed economico" e cerca di imporla in un modo o nell’altro agli altri. 

Ricordo, durante i miei viaggi in Africa od in vari paesi dell’Asia, che se ci si relaziona su un piano esclusivamente umano con gli altri non c’è nessuna difficoltà a dialogare e condividere emozioni e bisogni. L’amore è possibile quando ci si apre, se ci si chiude vince l’egoismo e l’ignoranza. 

Ma cosa possiamo fare se l’opponente che manifesta quell’egoismo, che sia un banchiere ricchissimo, un industriale, un re, un papa, un mullah, od un “poveretto” che cerca di farsi largo nella società, arraffando quel che può, pur di ottenere almeno i galloni da “caporale”? Possiamo difenderci o dobbiamo semplicemente soccombere, dobbiamo porgere l’altra guancia o dobbiamo armarci ad armi pari? Sinceramente non lo so, non ho una ricetta precisa, forse dipende dalle situazioni e dalle condizioni in cui ci si trova.

Parlavo oggi con Caterina, la mia compagna, della necessità di mantenere una rete di relazioni simbiotiche con i nostri affini, con le persone con le quali condividiamo valori e intelligenza. Di fatto è esattamente quel che sta avvenendo in tutti gli ambiti della nostra comunità umana: i delinquenti e gli arroganti si uniscono per fini di potere e prevaricazione e gli umili ed i consapevoli incontrano i loro simili, al fine di non disperdersi e di mantenere una civiltà “umana e spirituale” (una civiltà della Vita in generale).

Paolo D’Arpini

L'autore, alcuni anni fa a Calcata,  con la nipotina Mila e sullo sfondo il nipotino Teo, un po' italiani ed un po' russi


La realtà che si vede è solo illusione...

 


Chi sei dei due? Ovvero, guarda la luna e lascia il dito.

“La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni”. Paul Watzlawick, La realtà della realtà.

Crea dieci segni differenti tra loro. Ad ognuno attribuisci un suono. Combinali tra loro. Inizia a comporre parole che avranno il significato che vorrai. Vedrai comparire le cose e il mondo intero. Quel mondo sarà condiviso, e chi lo farà crederà che esso sia la realtà, vera e sola, come crederà che dire sedia sia semplicemente dire ciò che già è della sedia. Chi non lo condivide proverà a farti presente la natura autoreferenziale della tua improvvisata cosmogonia, ma non ci sarà niente da fare, continuerai a guardare il dito, a parlare di realtà oggettiva, di ciò che è vero e di quanto non lo è.

Ora dimentica tutto e riparti da capo. La sedia non c’è più, si chiama in altro modo. Quindi esci di casa per andare a comprare il xxxx (non si sa ancora cosa hai combinato con i dieci segni). Per strada incontri uno, quello per cui la sedia è una sedia. Ti chiede l’ora ma non capisci che vuole, nel tuo alfabeto di dieci segni e suoni, quello che chiede non esiste. Lui insiste e se la prende perché tu vuoi andartene e non vuoi aiutarlo, crede lui. Ti ha solo chiesto l’ora, che c’è da prendersela? Si domanda. A dire il vero è lui che se la prende, tu sei soltanto seccato, anche perché il negozio poi chiude. Te ne vai. Lo lasci lì. Lui non capisce anzi, non ammette. Nel suo mondo non è possibile che accada quanto sta accadendo. Potrebbe allora restare basito, invece – guarda un po’ –, se la prende. Infatti, mentre tu te ne vai, ti afferra una spalla come fanno i terzini con l’attaccante in fuga. Ora è troppo. Ma che fa? Ti chiedi. È pazzo? Domanda retorica. No, in realtà è sostanziale, perché non c’è altro da tirar fuori dai tuoi dieci segni.

Linguaggio: ciò che resta di tutto il pensiero per l’ineludibile necessità storica di sbrigare le sue faccende. Già averne consapevolezza basterebbe per evitare di crederlo idoneo alla gestione delle relazioni. Queste sono un territorio mobile, in cui le cose non stanno ferme come un posacenere sul comò, ma fluttuano come un universo di stelle, che non sono poche come le lettere di una tastiera o i tuoi dieci segni, ma infinite.

L’emozione corre più veloce della luce, e ti è saltata addosso. Se non l’anticipi con qualche espediente di consapevolezza, una volta che arriva ricorda Gengis Khan: sei catturato e lei farà di te qualunque cosa, anche un assassino e tutto il peggio che i dieci segni permettono di pensare e quindi di realizzare. Avviluppati da un’emozione, non c’è più niente da fare, scende il buio. Anzi, di più: tutto sparisce. Tutto quello che sapevi, che volevi, i valori in cui credevi e di cui ti vantavi. E adesso? Che fai? Non scherziamo. Non c’è proprio lo spazio fisico per queste domande. Per nessuna domanda. Nel tuo mondo occupato dall’azione, non c’è neanche un angolino per la riflessione. Sempre che i tuoi dieci segni te l’avessero a volte permessa. Nell’emozione il dubbio, puff, svanisce dal panorama.

Ti giri come se fossi in diritto di fare ciò che stai per compiere. A dire il vero, non come se, ma proprio in pieno diritto, come una biglia da flipper che altro non può fare che eseguire l’ordine della leva che l’ha spinta su. Se prende il fungo e fa punti, il suo padrone-lanciatore sarà contento, diversamente, se la prenderà col mondo – delle volte fino al tilt – quando, alla fine dei suoi pazzi rimbalzi finirà in buca.

Ecco sì, con la cecità e irresponsabilità di una biglia di flipper, ti giri – o ti eri già girato? Non ricordo più chi era uno e chi era l’altro – e con una forza che non sapevi di avere, gli vomiti un urlo che Joseph Conrad (vedi sotto) è niente al confronto. Sì, perché non ragionato, architettato, organizzato. È un bolo di violenza, un misto di tutto quello che, goccia dopo goccia, eri stato capace di stivare nel tuo profondo e avevi creduto d’aver dimenticato. La legge del quieto vivere era il tuo solo comandamento, il buon senso la tua medicina. Anche se, per la verità, avvertivi qualcosa di artificioso, o peggio, di disumano, in quella prassi razionale, con cui incassavi più di Jake La Motta contro Sugar Ray, che tutti ti invidiavano per la purezza con la quale ne pennellavi la vita.

La tracimazione è un modo gentile, e perciò anche improprio, per definire l’evento e il suo cuore di tenebra che sta per irrompere sull’altro. Uno scroscio di parole lo investono da tutti i lati, anche da sopra e da sotto. Non c’è freno, l’argine golenale è scavalcato, e quello maestro non basterà. Non c’è speranza che possa salvarsi. Si divincola cercando parole che non trova. E anche se ne trova non escono dalle labbra, e le poche sgusciano fiori impiastricciate di rabbia e sono soltanto frammenti, balbettii, affanni di una reazione da flipper.

Come se i suoni e i rispettivi significati fossero proietti scoccati, si sente scosso, si trova disarmato, si accorge di essere ferito e forse morente, con soltanto il tempo per chiedersi il perché di tutto ciò, pur sapendo che la domanda era stupida in assoluto e anche in particolare. Come mille altre volte durante le loro vite se l’erano posta senza mai trovare una risposta degna, all’altezza della loro grande razionalità, così capace di osservare con logica i fatti del mondo, così adatta a risolvere tutti i problemi, a piallare i picchi e gli abissi esplorati dagli uomini. Quella, come altre volte, il loro vantato sapere non sarebbe bastato. Come altre volte, non avrebbe avuto risposta.

Di fatto, a parte il momento di un baleno, in cui quel ma perché? si era affacciato alla loro coscienza, non c’erano state le condizioni per tenerla ferma. E neppure per lasciare al moralismo l’agio di darle dignità e la forza di rinchiuderla, all’autostima di soddisfarla e al fato di prendersela, se proprio altro non si poteva.

Tutte considerazioni pertinenti e realistiche, ma sostanzialmente inefficaci. Infatti, seppur non l’avesse visto arrivare, non aveva dubbi, un pugno l’aveva colpito in pieno volto. Anche per lui si fece tutto buio. Anzi no, anche per lui sparì il mondo o meglio, si ridusse al sapore di sangue in bocca. Quell’organo acquoso, con quel fastidioso retrogusto, che dire metallico è forse ciò che più si avvicina, pure restando molto lontano.

In altre occasioni era stato capace di rinunciare a sé, e non gli era neppure costato in autostima. Mentre il sangue lo ingozzava e la sensazione che un altro colpo stesse per raggiungerlo, pensò al passato con lo straniamento di colui che non lo vede tornare indietro per lasciargli tra le mani un presente che lo ricrei diverso, senza dolore. Solo l’istante successivo, si ritrovò solo e stranito da se stesso per non essere stato capace di lasciar perdere anche quella volta. Eppure lo sapeva, ne aveva esperienza.

Questa volta arrivò dal lato opposto. Gli prese l’orecchio e secondo lui, quell’altro si fece pure male alla mano. Non voleva trovarsi lì. Per un attimo si trovò faccia a faccia ancora con l’idea della reversibilità del tempo. Che in quell’istante non gli pareva idiota.

Anzi, lei, l’idea della reversibilità del tempo, c’era e non era per niente idiota nel mondo senza peso dei quanti. Forse in quell’infinitesimo di eternità aveva dato tutto se stesso per farla esistere anche nel mondo pesante della materia. Prima o poi qualcuno ci sarebbe riuscito. L’orecchio gli doleva e l’aria pareva ovattata come dopo una granata. Tuttavia viveva in lui la speranza che si potesse verificare anche nel mondo degli oggetti. Anche se da un lato la sentiva forte e vivida, dall’altro vedeva che si impiccava da sola. Una volta materia, le leggi dell’energia sottile vengono meno. Ma allora cosa l’aveva portato dove non voleva essere?

Erano finiti a terra e l’altro gli stava sopra. Sarebbe bastato, avrebbero detto in tanti. E invece no. Seguitava a colpirlo in preda al demonio. Nessuno e nessun ragionamento lo avrebbe fermato. I dieci segni della ragione sono diversi dai dieci segni dell’emozione. Ma a loro non era stato insegnato e continuando a guardare il dito non avevano mai visto la luna.

Chi sei dei due? La domanda è retorica, provocatoria e fuorviante. La risposta è che se non vediamo la luna, saremo sempre entrambi.

“Fin da quando nasciamo, gli altri ci dicono che il mondo è in un determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che accettare che il mondo sia così come gli altri hanno detto che è”  Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma, Astrolabio, 1972.

“Gli uomini erano vittoriosi o sconfitti, e a seconda di ciò diventavano persecutori o vittime. Quelle due condizioni prevalevano fin quando un uomo non arrivasse a ‘vedere’; il ‘vedere’ scacciava l’illusione della vittoria, o della sconfitta, o della sofferenza”.  Carlo Castaneda, Una realtà separata, Roma, Astrolabio, 1972, p. 122.

“La mente dell’uomo è capace di qualunque cosa – perché in essa c’è qualsiasi cosa, tutto il passato come tutto il futuro. […] I principi non servono. Sono acquisizioni, abiti, stracci graziosi – stracci che volerebbero via al primo serio scrollone. […] Naturalmente, uno sciocco, tra la semplice paura e i nobili sentimenti, è sempre al sicuro”. Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 111.

“Ma prima che potessi giungere a una qualunque conclusione mi venne in mente che parlare o tacere, invero qualunque mio gesto, sarebbe stato del tutto futile. Che importava ciò che chiunque sapesse o ignorasse”. Joseph Conrad, Cuore di tenebre, Milano, Mursia, 1978, p. 117.

Lorenzo Merlo




Critica dello scientismo...

 


Nella ruota dell’eternità ci è toccato il genitore illuminista. Di per sé buono, nel senso che rilevava le manchevolezze della storia che l’aveva preceduto, proponeva una nuova modalità di conoscenza, rivelava come realizzarla. Ma la sua purezza d’intenti non ha avuto successo. I suoi emissari hanno fornito pessimi esempi educativi. Ne risulta che tutti noi di quella bontà illuminante ne abbiamo trattenuto un’ombra semplificata, bigotta, che non permette nemmeno più di risalire al messaggio originale.

Così, lo scientismo, ovvero la dogmatica concezione della conoscenza limitata alla scienza analitico-materialista, circola a pieno regime nelle nostre vene e nei nostri pensieri. Con questi, non abbiamo incertezze nello squalificare ciò che si muove e vive su ordini non cartesiani, in dinamiche non aristoteliche, su principi non meccanicistici. Ne è campione il femminismo, insetto nella tela del ragno, impedito a sentire la madre e il potere del femminino. Ma l’elenco oggi a disposizione, per riconoscere la tangente con la quale abbiamo definitivamente lasciato la verità della terra e della vita, è così lungo, che riguarda ogni aspetto della nostra società.

La metastasi scientista è tale che, dall’esperto al profano – categorie che lo scientista scambia per verità definitiva –, è ordinario e perfino garantito, constatare nei loro pensieri, e nelle loro azioni, una concezione dell’uomo, dell’altro, del prossimo, alla stregua di entità identiche. Cioè che reagiscono uniformemente agli stimoli, che intendono uniformemente. Da qui l’obbrobrio della legge uguale per tutti, della sacralizzazione della meritocrazia, della venerazione della farmacopea, incoronazione della tecnologia.

La logica, centro nevralgico della dialettica scientista, è quell’ottima prassi per organizzare le cose, ma disastrosa per conoscere gli uomini. Essa crea problemi che non può maneggiare perché l’uomo è infinito e la logica uno sputacchio al suo confronto. Essa impone una conoscenza cognitiva, limitata all’intelletto. Quanto ne esula, semplicemente non conta, quando non esiste del tutto. Nulla di quanto la logica non può contenere, circoscrivere e descrivere può essere riconosciuto né divenire verità. Non le bastano i suoi paradossi per riconoscere l’offesa che impone quando si erge a sola arma di conoscenza. Non le bastano i suoi dilemmi per riconsiderare il suo delirio di onnipotenza. E neppure le bastano le sue domande esistenziali che tutti si pongono e poi tralascia perché non ne viene a capo, per riconoscere che è il porre la domanda a generare il mistero. Incatenati al dogma che la logica contenga e produca il vero, si possono solo capire le cose. Essa non induce in noi l’idea della ri-creazione, che da sola basterebbe a riconoscere l’effimero del mondo e, contemporaneamente, ciò che è universale.

Basterebbe, per andare oltre la logica, per vederne i limiti, chiedere in che termini un’affermazione è vera e quando diviene falsa. Ma, l’ascolto non è educazione prevista nelle aule del materialismo. Ad esso è preferito il giudizio, le categorie, la classificazione, il buon senso, la maggioranza, la democrazia. Tutte chiusure che interrompono o impediscono la conoscenza, muri tombali in cui ci rinchiudiamo a coltivare il nostro giardinetto. Fate voi.

Così ci tocca la sorte di leggere che “sarebbe opportuno evitare di confondere realtà con percezione della realtà. Altrimenti si rischia di fare come quei due che osservano lo stesso treno che transita davanti alla banchina di una stazione: il primo, che sta sul treno, è pronto a giurare che il treno è assolutamente fermo e la stazione si muove, mentre il secondo, sul marciapiede, afferma esattamente il contrario. E potrebbero convintamente litigare all’infinito”.

Ma come può esistere una realtà senza la nostra presenza, senza la nostra definizione e percezione di essa? In che termini è la realtà, che percezione non é? E di che realtà parliamo senza la percezione di essa? Cioè si vuole che la nostra descrizione sia universale? Un palo in faccia fa male a tutti? No, non è in questo la presunta universalità della realtà. È l’interpretazione del palo in faccia che crea la realtà. Chi se ne assume la responsabilità, la descriverà in un modo estraneo a quello tracciato dalla descrizione di chi la responsabilità la dà ad altro, fuori da sé. E chi cammina sulle braci, potrà dire che il fuoco brucia sempre?

Se non basta ancora a farci sentire ridicoli, possiamo sempre peggiorare il livello. Basta svegliarsi di colpo e dire ho avuto un incubo, al che, quello sul treno dice, ma non è realtà è un incubo. Ah, le vostre categorie, quelle sì scambiate per una realtà che non esiste, se non in chi la crea.

Ma c’è un livello più profondo nel quale lo scientismo ci ha fatto precipitare. Ci ha reso impossibile vedere che tutto è contiguo e relazionato. Una svista che implica l’autoreferenziale autorizzazione a spezzettare la realtà, nella convinzione di poterla conoscere, a considerarla un oggetto di fronte a noi, nel quale ci muoveremmo, a concepire e giudicare l’altro secondo la nostra morale, a credere che la conoscenza scenda in noi dai sussidiari, dai manuali, dai professori, che essa voli sulle ali della dialettica logico-razionale del linguaggio. Come se ci fosse un ordine perseguibile, e come se l’ordine – occulto a noi stessi – fosse di perseguirlo.

Viviamo letteralmente dentro un calderone culturale di miopia infernale, nel quale non sappiamo fare di meglio che seguitare ad imitare l’esempio del mostro che ci ha generati. Ovvero ad utilizzare qualunque espediente egoistico nella convinzione che ci permetta una buona vita. Eppure, se a causa della forza vitale la lotta per la sopravvivenza fisica non poteva essere elusa, quella successiva, per l’acquisizione dell’abbondanza, ci ha conquistato a mani basse, e ha esaltato in noi la dimensione più bieca. L’opulenza è un valore e guai a chi ce lo tocca. Forse dobbiamo passare da tanto degrado per riappropriarci del suo opposto, quello della frugalità.

Zuccherino dopo zuccherino, ci siamo lasciati condurre da un capitano serpeggiante, verso lidi lussureggianti in cui era facile distrarsi e dimenticare il significato dei vizi capitali. E a chi ce lo faceva presente, non potevamo che sorridere sarcasticamente, ormai ignari e così lontani dal messaggio che implicano, da ritenerci indenni dai rischi di sofferenza che essi annunciano. Roba buona per i bambini e le vecchiette.

Ecco dove ci ha portato il tappeto volante dello scientismo. Ci siamo divertiti a planare sul mondo e non abbiamo voluto vedere dove ci stava conducendo. Ma le cose sono in movimento e mutamento. Sicché, ora che anche la confusione, il nichilismo e la sfiducia circola nei nostri pensieri e nelle nostre vene al punto da pietrificarci nell’incredulità di ciò cui stiamo assistendo, del futuro in cui stiamo precipitando, del cambio di paradigma che ci stanno imponendo, a qualcuno di noi accade di avvertire e intravedere il canovaccio della grande messa in scena. Un palco dove abbiamo ballato tutti i balli e recitato tutti i ruoli scambiati per vita vera. Siamo uguali, girano in noi le parti, le maschere, le emozioni e i sentimenti. Quanto diciamo al prossimo, è quanto toccherà a noi dalla bocca di un altro. Quanto vivremo noi, è vissuto da tutti nei loro tempi e nei loro modi.

Quindi, chi si avvede che avevamo circoscritto il mondo al palco di un inconsapevole teatrino, esauriti in recite farsesche, mossi dai fili di valori falsi, in quanto autoreferenziali, inizia anche a riconoscere che in nome della cosiddetta scienza e della – sua – conoscenza, ci siamo così tanto allontanati dalla nostra origine, da crederci indipendenti e autonomi. Da farci pensare che eravamo i possessori di noi stessi e che i nostri figli, fossero davvero nostri. Da farci credere che non ci serviva altro oltre a noi stessi. Da negarci la consapevolezza che siamo espressioni di una sola fioritura.

Così stiamo qui. Il sogno resta sogno. La serenità, la bellezza, la gratitudine, la miglior salute restano ai margini, optional occasionali, nonostante sia nel nostro potere creativo fargli prendere il posto del conflitto e della sofferenza.

Lorenzo Merlo



Gira e rigira il Centro è sempre lo stesso...

 


Nel paradiso indù c’è un albero chiamato Kalpataru. Significa: “l’albero che esaudisce i desideri”. Per caso passò di lì un viaggiatore ed era così stanco che si sedette sotto l’albero. Aveva fame, quindi pensò: “Se ci fosse qualcuno, chiederei qualcosa da mangiare...”


Nel momento in cui l’idea apparve nella sua mente, all’improvviso apparve anche del cibo e l’uomo era così affamato che non si prese la briga di pensarci. Lo mangiò. Poi cominciò ad avere sonno e pensò: “Se ci fosse un letto...”. E il letto apparve.


Ma mentre era sdraiato sul letto sorse in lui il pensiero: “Cosa sta succedendo? Non vedo nessuno qui, eppure è arrivato del cibo, è arrivato un letto... Forse ci sono dei fantasmi che mi fanno degli scherzi!”. E all’improvviso apparvero i fantasmi!  L’uomo ebbe paura e pensò: “Ora mi uccideranno!”. E così fu!

 


Due leggi

Nella vita vige la stessa legge: se pensi ai fantasmi, non possono che apparire. Pensa e vedrai! Se pensi ai nemici, li creerai; se pensi agli amici, appariranno. Se ami, l’amore appare ovunque intorno a te; se odi, appare l’odio. Qualunque cosa tu stia pensando viene materializzata da una certa legge. Se non pensi a nulla, non ti succede nulla.

Ci sono due leggi. Una legge è della mente. Con la legge della mente continui a creare l’inferno intorno a te; gli amici diventano nemici, gli amanti si rivelano nemici, i fiori diventano spine. La vita diventa un peso e si patisce semplicemente. Con la legge della mente, vivi all’inferno ovunque tu sia. Se scivoli fuori dalla mente, scivoli fuori da quella legge e all’improvviso vivi in un mondo completamente diverso. Quel mondo diverso è il nirvana. Quel mondo diverso è Dio. Poi, senza fare nulla, tutto comincia ad accadere.

Quindi lasciamelo dire in questo modo: se vuoi fare, vivrai nell’ego e sarai costantemente nei guai. Se abbandoni l’ego, se abbandoni l’idea di essere un agente, se semplicemente ti rilassi nella vita e ti lasci andare, sei di nuovo nel mondo di dio, nel Giardino dell’Eden. Adamo torna a casa. Poi le cose accadono.


La storia dice che non c’era bisogno che Adamo facesse nulla nel Giardino dell’Eden. Tutto era a sua disposizione. Ma poi cadde in disgrazia e fu scacciato. Diventò istruito, un egoico e da allora l’umanità soffre.


Tutti devono tornare nel Giardino dell’Eden. Le porte non sono chiuse: “Bussate e vi sarà aperto. Chiedete e vi sarà dato”. Ma bisogna tornare indietro. Il cammino è dal fare all’accadere, dall’ego al non-ego, dalla mente alla non-mente. La non-mente è ciò di cui si occupa la meditazione. Quel mondo diverso è il nirvana. Quel mondo diverso è Dio...

Osho



 Brano tratto da: L'antico canto dei pini, Ed. Psiche