Da dove sorgono i pensieri che passano nella nostra mente? E il senso d’identità?

 


La nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargadatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto. In questo perenne rimescolamento energetico, noi siamo come navigatori senza meta, o guerrieri – se preferite – liberi di affrontare il contingente senza paure. “Se temi la sofferenza – diceva un samurai – come fai a combattere?”

Dal tutto il tutto si dipana dinanzi ai nostri occhi.

Nella storia dello zodiaco cinese si racconta che dodici animali si presentano al Buddha morente ed ognuno ottenne di incarnare le caratteristiche psichiche che contraddistinguono i tre aspetti di anno, mese e ora, in base alle propensioni naturali di ogni essere vivente. Essi sono maschili e femminili e manifestano le loro caratteristiche tramite le 5 fasi di mutazione fondamentali: Terra (devozione), Metallo (giustizia), Acqua (saggezza), Legno (etica), Fuoco (costumi).

Il funzionamento è più o meno quello del caleidoscopio. Alcuni elementi colorati e tre specchietti interni. Girando il tubo si ottengono diverse composizioni. Malgrado l’esiguità delle componenti i risultati possono essere infiniti. Questo stesso concetto (traslato ai 5 elementi ed ai tre aspetti psichici incarnati) mostra la variegazione di tonalità di colore e movimento attraverso la quale la coscienza individuale si manifesta (la forma ed il nome). La coscienza di sé, che noi chiamiamo persona, è un coordinatore interno, adattato all’individuazione, il quale si appropria delle funzioni messe in atto.

Lo chiamiamo: io. Questo ‘soggetto’ (o assuntore interno) è l’apparenza identificativa individuale nella quale solitamente ci riconosciamo. Propriamente parlando questo “io” è esso stesso la “conseguenza” delle energie messe in moto dai vari elementi e dai tre archetipi incarnati, quindi è inerte (come un programma), ed è un oggetto nella coscienza.

I tre archetipi psico-emozionali, inscindibili nel loro miscuglio, rappresentano:

Il senso dell’io, ego = anno di nascita;
L’intelletto o intuizione = ora di nascita;
La memoria o esperienza = mese di nascita

Ognuno di noi manifesta una forma esemplare a tre facce (designanti le nostre caratteristiche). Le tendenze innate che si riflettono nello specchio, perennemente cangianti, sono le correnti in cui l’io si muove.

Se vogliamo osservare una cosa piccola bisogna ingrandirla attraverso il microscopio, ma se vogliamo ampliare il campo di azione dobbiamo distaccarci il più possibile dalle cose attorno a noi, in modo da percepire il senso d’insieme. Questa corsa in tondo verso l’auto-conoscenza è un vagare trasognato, un’attenzione senza risposta, solitudine e silenzio, osservazione e contemplazione, fluire limpido nei mutamenti, sorridere nel rincorrere il vuoto.

Ed ora una storiella:

“Alcuni suoi seguaci domandarono al bandito Che:”Anche per i ladri esiste una strada (Tao)?” – “Eh, certo che sì.. – rispose Che- Santità è intuire dove giace un tesoro nascosto, Eroismo è entrare per primo nella casa, Giustizia è uscirne per ultimo, Saggezza è distinguere il colpo che si può tentare, Umanità significa essere equanimi nel dividere il bottino. Al mondo non è mai esistito un gran ladro che non abbia manifestato queste qualità”. (Chuang Tze)

Attraverso le capacità riflettenti dell’organo interno (antakharana) siamo in grado di manifestare energie psicofisiche in rispondenza a quelle percepite fuori di noi. Questa rispondenza è automatica ed inevitabile, è una legge naturale. Pensare di sfuggirne il corso è assurdo come pensare di cambiare il film mentre la pellicola viene proiettata. Ma l’atteggiamento interno è importante! Infatti l’accettazione del proprio destino scioglie l ‘attaccamento all’utile ed all’inutile che ci spinge nel ciclo delle rinascite.

Nell’ignoranza ci identifichiamo con i personaggi e ci consideriamo autori e responsabili del gioco vissuto, con guadagno e perdita, la verità è che il nostro io, la coscienza individuale, la persona da noi incarnata, è solo un’immagine. Il risultato di un automatismo distratto e di una identificazione illusoria. Questo dobbiamo comprendere bene se non vogliamo che la mente ci imbrogli. Non cadiamo nel delirio dell’io separato, anche se la coscienza che lo anima è vera sin d’ora e siamo già dotati del capitale iniziale per quella “conoscenza di sé” è assurdo e ridicolo pensare di “ottenerla” – strettamente parlando non è possibile. Essa è già integralmente manifesta qui ed ora e quindi non perseguibile come ottenimento altro. Se ci sentiamo attratti da questa “conoscenza” occorre dire che non c’è corso o spiegazione o esperimento che possa trasmetterla, può essere solo riconosciuta (risvegliata) per “simpatia” nel momento della maturazione. Siccome non è un “conseguimento” continuiamo ad “andare avanti a fiuto”.

“Semplici attori, finché separati, poi, superata la dualità, non ha più nessuna importanza… Il fiore non ha più nome né forma è solo un fiore unico ed irripetibile nel giardino della Coscienza”.

Paolo D’Arpini

 

L'amore tra un dio e una dea...

 


Quando fate l’amore, dovete ricordare tre cose.

Una è: prima di fare l’amore, meditate. Non fate mai l’amore senza meditare, altrimenti l’amore rimarrà sessuale. Prima di incontrarvi dovete alzare il livello di coscienza, perché così l’incontro avverrà su un piano più alto. Per almeno quaranta minuti sedetevi a guardare il muro, con una luce molto fioca che dia un senso di mistero.

Setede in silenzio e non muovete il corpo, rimanete come statue.

Dopo, quando farete l’amore, il corpo si muoverà, quindi prima dategli un estremo di immobilità, in modo che prenda lo slancio per poi muoversi profondamente. Poi l’impulso diventerà così vibrante che tutto il corpo, ogni fibra, sarà pronta a entrare in movimento. Solo così è possibile l’orgasmo tantrico.

Potete mettere della musica, della musica classica andrà bene, qualcosa che dia un ritmo molto sottile al corpo.

Rendete il respiro il più lento possibile, perché quando dopo farete l’amore il respiro diventerà profondo e veloce. Quindi continuate a rallentarlo, ma senza sforzo, altrimenti non rallenterà. Semplicemente suggeritegli di rallentare.

Meditate insieme e quando vi sentirete entrambi meditativi, sarà il momento di amare. Non ci sarà tensione e l’energia fluirà. Se non vi sentite meditativi, non fate l’amore. Quando non siete meditativi, dimenticatevi completamente dell’amore.

Le persone fanno esattamente l’opposto. Molto spesso le coppie litigano prima di fare l’amore. Si arrabbiano, si tormentano a vicenda, creando ogni sorta di conflitto, e poi fanno l’amore. Cadono molto in basso a livello di coscienza, quindi ovviamente l’amore non sarà molto soddisfacente. Sarà frustrante e pieno di tensione.

La seconda cosa è: quando fate l’amore, prima di iniziare, venerate il partner e lasciate che il partner veneri voi. Quindi, dopo la meditazione, la venerazione. Mettetevi uno di fronte all’altra completamente nudi e veneratevi a vicenda, perché il Tantra non può essere tra un uomo e una donna. Può accadere solo tra un dio e una dea. È solo un gesto, ma è molto significativo. L’atteggiamento nel suo complesso deve diventare sublime in modo che voi scompariate. Inchinatevi, ornate il luogo di ghirlande di fiori. L’uomo si trasforma in Shiva e la donna in Shakti. A quel punto la vostra umanità è irrilevante, la forma è irrilevante, il nome è irrilevante: siete solo pura energia. La venerazione mette a fuoco quell’energia. E non fingete. La venerazione deve essere autentica. Non può essere solo un rituale, altrimenti vi sfuggirà. Il Tantra non è un rituale. C’è molto del rituale in esso, ma non è un rituale.

Potete ripetere il rituale meccanicamente, inchinandovi ai piedi dell’altro e toccarli, ma non vi servirà. Lasciate che sia un gesto profondamente significativo. Guardatevi davvero. Lei non è più tua moglie, non è più la tua ragazza, non è più una donna, non è più un corpo, ma una configurazione di energia. Lascia che prima diventi divina, poi fai l’amore con lei. Allora l’amore cambierà la sua qualità, diventerà divino. In questo consiste l’intera metodologia del Tantra.

Poi, la terza cosa: fate l’amore. Ma fate sì che il vostro fare l’amore sia più un accadere che un fare. L’espressione “fare l’amore” è brutta. Come si può fare l’amore? Non è qualcosa che si fa, non è un’azione. È uno stato. Puoi esserci dentro, ma non puoi crearlo. Puoi entrarci, ma non puoi farlo. Puoi amare, ma non puoi manipolarlo.

La mente occidentale cerca di manipolare tutto.

Se la mente occidentale un giorno dovesse trovare dio, persino lui sarebbe nei guai. Lo sfrutterebbe in un modo o nell’altro, lo manipolerebbe. Lo userebbero per qualche scopo, qualche scopo utilitaristico. Persino l’amore è diventato una specie di fare.

No.

Quando fate l’amore…

 Osho


Tratto da: Beloved of My Heart 

Nascita dello stato di Israele - Ashkenaziti, sionisti e gli ebrei originari...

 



I veri discendenti della Israele biblica, di quel popolo che ha abbracciato la fede di Cristo e di Maometto poi, e sono rimasti da sempre nella Terra Santa, e sono proprio i Palestinesi. Gli Israeliani lo sanno!
Gli ebrei del nostro tempo appartengono a due gruppi principali:
1) I SEFARDITI (ebrei pressappoco “semiti”) discendenti degli ebrei che dall’antichità erano vissuti in Spagna, sino a quando alla fine del quindicesimo secolo, vennero espulsi e si insediarono nei Paesi costieri del Mediterraneo, nei Balcani e in misura minore nell’Europa occidentale.
2) Gli ASHKENAZITI (ebrei non-semiti) da “Ashkenaz” termine che nel testo biblico indica un popolo che viveva da qualche parte nelle vicinanze del monte Ararat e dell’Armenia.
DUNQUE SI PUO’ BEN AFFERMARE CHE NON ESISTE NESSUN ANTISEMITISMO SE NON QUELLO MANIFESTATO CONTRO GLI ARABI.

Il regno di Cazaria.
All’epoca in cui Carlo Magno veniva incoronato imperatore d’Occidente, l’estremo limite orientale dell’Europa tra il Caucaso e il Volga era governato da uno stato ebraico, noto come L’IMPERO DEI CAZARI. Fonti soprattutto ebraiche ci riferiscono che nel suo momento di massima potenza, tra il settimo e il decimo secolo, questo impero ebbe una certa qual influenza sui destini dell’Europa medievale. Il paese abitato dai Cazari, una popolazione di origine turca, occupava una posizione strategica sul vitale passaggio tra il Mar Nero e il Mar Caspio, nel 740 il Re, la Corte e la classe militare si convertirono al Giudaismo che divenne la religione di Stato dei Cazari (per motivi politici cioè per non assoggettarsi né all’Impero Romano d’oriente né al Califfato di Baghdad).
Dopo la fine e la distruzione dell’Impero Cazaro (tra il XII e XIII secolo) gli insediamenti Cazari si vennero a trovare in Crimea, Ucraina, Ungheria, Lituania e soprattutto in Russia e Polonia.
Uno dei maggiori studiosi dell’origine cazara degli ebrei è il professore di storia ebraica medievale all’Università di Tel Aviv A.N. POLIAK. Nel suo libro Cazaria del 1944 nell’introduzione egli scrive (in ebraico) che:
“I fatti richiedono un nuovo tipo di impostazione sia del problema relativo ai rapporti tra l’ebraismo cazaro e le altre comunità ebraiche, sia nel considerare fino a che punto si possa ritenere questo ebraismo (cazaro) il nucleo del grande insediamento ebraico in Europa orientale…. I discendenti di questo insediamento – quelli che rimasero dov’erano, quelli che emigrarono negli Stati Uniti o in altri paesi e quelli che sono andati in Israele – costituiscono oggi la grande maggioranza degli ebrei di tutto il mondo”
Si suppone quindi che la grande maggioranza degli ebrei vissuti nel mondo provengano dall’Europa orientale e siano perciò di origine prevalentemente Cazara, e ciò il altri termini significa che i loro antenati non provengono dal Giordano ma dal Volga, non da Canaan ma dal Caucaso, dal punto di vista genetico sarebbero perciò più strettamente legati alle tribu degli Unni e dei Magiari che al seme d’Abramo, Isacco e Giacobbe. E questa nostra conoscenza delle origini cazare della maggior parte degli ebrei del mondo, toglie finalmente e una volta per tutte, ogni pur minima credibilità alla leggenda da loro ossessivamente reiterata, secondo la quale essi sarebbero la “stirpe eletta”.
NASCITA DEL SIONISMO
Nel 1896 nasce in Europa il sionismo fondato dall’agnostico Theodor Herzl, il sionismo è una dottrina politica, un movimento ateo nazionalistico, completamente opposto alla vera fede Ebraica, e fin dalla sua nascita, proponeva la creazione di un “focolare ebraico”.
È una dottrina nazionalista che non è nata dall’ebraismo, ma dal nazionalismo europeo del XIX secolo. Il fondatore del sionismo politico, Herzl, non si richiamava alla religione: “Io non obbedisco a un impulso religioso”. (Fonte: Theodor Herzl, Diaries, Londra, Gollancz, 1958 – “Sono un agnostico” (p. 54).)
Ciò che gli interessa non è propriamente la “terra santa”: prende in considerazione allo stesso modo, per i suoi obiettivi nazionalistici, l’Uganda, la Tripolitania, Cipro o l’Argentina, il Mozambico o il Congo. (Fonte: Op. cit., passim)
Ma, di fronte all’opposizione dei suoi compagni di fede ebraica, egli prende coscienza dell’importanza della “grande leggenda” (”mighty legend” (Diaries, I, 9 giugno 1895, p. 56), che “rappresenta un richiamo di irresistibile potenza”.
(Fonte: Theodor Herzl, L’État Juif, p. 45)
Col passare degli anni, mentre i veri Ebrei (ortodossi) si oppongono a questo movimento politico, il Sionismo riscuote sempre più successo nelle alte sfere di potere, proprio perché il sionismo rappresentava già un’organizzazione colonialista, infatti la DICHIARAZIONE DI BALFOUR fatta dal Governo Britannico (1917) promette il cosiddetto focolare ebraico in Palestina. Tale dichiarazione è stata eseguita
1) 1) da una potenza Europea (Inghilterra)
2) 2) riguardo un territorio non-Europeo.
3) 3) In totale dispregio della presenza e dei desideri della popolazione nativa.
Nel 1919 in seguito alla Commissione americana KING-CRANE, ciò che è venuto fuori con chiarezza è che i sionisti mirano al completo dispossesso degli abitanti della Palestina sotto varie forme, nessun dirigente Britannico consultato dalla Commissione ritiene che il progetto sionista possa essere realizzato senza il ricorso alle armi.
(http://www.rondavid.net/Media-Watch.htm)
I sionisti non fecero mistero delle loro intenzioni e difatti già nel 1921 il dottor Eder, membro della Commissione sionista, dichiarava bruscamente alla Corte d’Inchiesta:
“Ci può essere solo uno stato, in Palestina, ed è quello ebraico, così come non vi può essere uguaglianza nella collaborazione tra Arabi ed “ebrei” (sionisti). Vi sarà una preponderanza ebraica (sionista) non appena i numeri della razza siano sufficientemente aumentati” A quel punto egli chiese che solo agli ebrei fosse concesso di portare armi.
La proposta del 1947 di creare uno “Stato Ebraico” in Palestina, fu approvata alla prima votazione solo dagli stati Europei (stati colonialisti), dall’America (eretta sul colonialismo e sul genocidio degli autoctoni), dall’Australia e Nuova Zelanda (Stati fondati su precetti colonialistici; mentre la maggioranza degli Stati membri dell’ONU, cioè gli stati Asiatici e Africani (con l’eccezione del Sud Africa anch’esso fondata sul colonialismo e l’Apartheid) VOTARONO CONTRO.
Quando la questione fu rimessa ai voti nella sessione plenaria del 29 Novembre 1947, forti pressioni statunitensi in modi mafiosi, riuscirono ad ottenere l’approvazione della “spartizione” della Palestina, soltanto da altri tre stati: Le Filippine (Asia), Haiti (Centro-America) e Liberia (Africa) tre paesi oppressi dal debito estero e facile preda di intimidazioni e pressioni.
L’11 Maggio 1949 l’ONU, per volontà degli U.S.A. ammette lo “Stato” di Israele a 3 condizioni (mai rispettati dagli Israeliani)
1) 1) Non toccare lo Statuto di Gerusalemme
2) 2) Permettere agli Arabi Palestinesi di tornare a casa loro
3) 3) Rispettare le frontiere fissate dall’accordo di spartizione.
Parlando proprio di questa risoluzione ONU, il fondatore dello stato di Israele, David Ben Gurion dichiarò:
“Lo Stato di Israele considera che la risoluzione delle Nazioni Unite del 29 Novembre 1947 è nulla e non sussistente”
Per Israele l’ONU esiste solo nella misura in cui serve i suoi fini e suoi interessi, altrimenti non esiste affatto, proprio come lo ha dimostrato nel 1949 e ora nel 2006 con la distruzione del Libano.
STORIA ANTICA DELLA TERRA SANTA.
Prima che gli Ebrei vi emigrassero intorno al 1800 a.C. la terra di Canaan (attuale Palestina) era abitata da Cananei, la civiltà Cananea fiorì in tutta l’area mediorientale dalla Palestina, al Libano, parte della Siria e dell’attuale Giordania. Coloro che restarono tra le colline di Gerusalemme dopo l’uscita degli ebrei dalla Palestina costituivano un pot-pourri: pagani e convertiti al Cristianesimo, discendenti di Arabi, Persiani, Samaritani, Greci e vecchie Tribù Cananee, Gebustee e Filistee. (Marcia Kunstel e Joseph Albright).
Quello dei Regni Ebraici fu solo uno dei tanti periodi storici, e il più breve, dell’Antica Palestina: I regni di Davide e Salomone, su cui i sionisti basano le loro richieste territoriali, durarono per soli 73 anni….poi caddero. Anche se consideriamo l’intera vita degli antichi regni ebraici, dalla conquista di Canaan da parte del Re Davide nel 1000 a.C. alla cacciata di Giuda nel 586 a.C. arriviamo solo a 414 anni di dominio ebraico (Illene Beatty, Arab and Jew in the Land of Canaan).
Tutti i sionisti sostengono che la Palestina, prima dell’invasione sionista, era una terra deserta, ma ciò è ASSOLUTAMENTE FALSO, infatti, oltre alla notorietà della Palestina (Filastin), nell’intero mondo islamico per la sua bellezza e fertilità (ancora prima del VII secolo d.C.), l’alto commissario britannico per la Palestina, John Chancellor affermò che in questo paese “tutte le terre coltivabili erano occupate e che nessuna terra coltivabile in possesso della popolazione autoctona avrebbe potuto essere ceduta ad ebrei (sionisti immigranti) senza creare una classe di agricoltori disoccupati”




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http://www.circolovegetarianocalcata.it/2013/12/25/storia-di-come-e-nato-il-sionismo-ovvero-se-gli-ebrei-non-sono-ebrei-ma-khazari-convertiti/

http://www.circolovegetarianocalcata.it/2016/01/28/ebraicita-perduta-sheol-olocausto-e-campo-psichico/
  1. Commento/integrazione di Vincenzo Brandi:

    "Naturalmente sono d'accordo con Paolo D'Arpini. I Palestinesi sono etnicamente i discendenti degli antichi Ebrei con qualche apporto greco-romano o arabo. Il fatto che l'intera popolazione ebrea della Palestina antica sia stata deportata e dispersa dai Romani non ha nessun serio fondamento storico, anche se vi fu una massiccia emigrazione soprattutto verso Alessandria d'Egitto, Creta, Roma, e altre zone dell'Impero Romano. L'emerito professore israeliano di storia dell'Università di Tel Aviv, Shlomo Sand, nel suo documentatissimo libro "L'invenzione del popolo ebraico", ci ricorda che gli Ebrei moderni derivano in gran parte da popolazioni nord-caucasiche turco-slave, gli Askenaziti, da popolazioni berbere convertite (i Sefarditi), da Arabi di fede ebraica (i Miznahi), da Etiopi di fede ebraica (i Falasha), ecc., tutte popolazioni di rispettabilissime tradizioni storico-culturali (basti pensare all'enorme numero di scienziati e capi rivoluzionari di origine askenazita), ma comunque scarsamente coincidenti con gli Ebrei di prima della cosiddetta Diaspora. La posizione sionista di "ritorno alla Terra Promessa" è pura ideologia, che purtroppo ha causato molti danni. Speriamo si possa creare uno stato democratico unico per Ebrei e Palestinesi non-Ebrei nel territorio della Palestina storica; altrimenti questo strazio continuerà, ciao a tutti.." (Vincenzo Brandi)   

La “preghiera” come forma di riconnessione interiore...


“Soltanto chi pone la mente intera come offerta nel fuoco splendente che è il Sé può essere considerato come colui che compie davvero l’Agnihotra, mentre tutti gli altri ne portano solo il nome.” (Sadacara 12)

Ogni qualvolta si sente il bisogno di riconnettersi interiormente, sia che noi siamo credenti o meno, si ricorre al dialogo interno. Questo dialogo è stato anche definito “preghiera”. Ovviamente non è la preghiera che solitamente viene rivolta al dio od ai santi per chiedere la loro intercessione e per ottenere favori o vantaggi materiali, quella non è preghiera ma commercio religioso.

La vera preghiera è il porsi gentilmente ed amorevolmente verso se stessi, per riconoscere la propria idealità. In molte altre occasioni questo gesto d’amore verso il Sé assume la forma del digiuno, del silenzio o della meditazione La preghiera è stata utilizzata anche come strumento nonviolento contro la guerra, come pure il digiuno, che è un gesto personale, intimo ma aperto, di dialogo con il mondo, di considerazione empatica verso l’altro.

Ed in verità la nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargadatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto.

In fondo anche la chiesa si sta interrogando su un nuovo modo di esprimere la preghiera. In molti cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all’avvertita esigenza di di raccoglimento. L’interesse che forme di meditazione connesse a talune religioni orientali e ai loro peculiari modi di preghiera in questi anni hanno suscitato anche tra i cristiani è un segno non piccolo di tale bisogno di un profondo contatto col divino che è all’interno.

Uno dei fautori più importanti della preghiera silenziosa, Teresa d’Avila, affermò: “La preghiera mentale [oración mental] non è altro che una condivisione intima tra amici; significa dedicare frequentemente del tempo ad essere soli con colui del quale sappiamo che ci ama.” Poiché l’enfasi è sull’amore piuttosto che sul pensiero.

L’esigenza di cambiare il modo di approccio religioso, eliminando dal contesto dottrinale quegli insegnamenti utilitaristici che contraddistinguono le religioni monoteiste di origine giudaica, è stata ben evidenziata in una storiella che Osho amava raccontare: “Un prete svolgeva la sua opera apostolica in uno sperduto villaggio nella foresta amazzonica. La missione si presentava bene, prima aveva preso in cura i malati, poi era passato agli anziani e poveri infine aveva costruito una chiesa con un oratorio per poter insegnare la religione e la preghiera ai bambini. Un giorno stava spiegando la bibbia e raccontava la storia dell’uomo, del peccato originale, della faticosa via verso il bene e di come il compassionevole Gesù fosse venuto in terra per redimere i peccatori che si erano pentiti ed affidati a lui. Dopo aver così istruito i bambini, per vedere se avessero capito bene il concetto della religione cristiana, chiese ad alta voce alla classe: “Ecco dopo aver ascoltato quel che ho detto chi sa dirmi in sintesi qual è il messaggio della religione?”. Subito un ragazzino sveglio si alzò e disse: “Io l’ho capito, il messaggio è che bisogna peccare”. “Come sarebbe a dire – interloquì il prete – se ho parlato male del peccato dall’inizio alla fine?”. “Tu hai detto che l’uomo è un peccatore, ma egli deve necessariamente peccare per poi potersi pentire e prendere rifugio in Gesù che lo salva… Senza peccato quindi non c’è redenzione”.

Il senso della preghiera buddista è ben diverso. In questo caso è un mezzo di pulizia interiore che avviene attraverso la concentrazione e la ripetizione di una frase, solitamente impartita dal maestro. Molto significativa in questo senso è la storia del monaco Cudapanthaka che, essendo di intelligenza limitata, non riusciva a tenere a mente gli insegnamenti, malgrado la sua buona volontà Il Buddha, essendo venuto a sapere ciò andò da Cudapanthaka e gli disse: “Ti istruirò io stesso…”. Il Buddha non si preoccupò di dare a lui i concetti, ma semplicemente gli chiese di pulire il Vihara, dicendogli: Cudapanthaka spazza il terreno. Mentre lo fai, recita: “Io spazzo via le impurità”. Ora, occorre rammentare che è inutile spazzare la polvere dal suolo del Vihara, che è un tempio nella foresta, dal momento che è costruito proprio nella foresta! Non è che al tempo del Buddha un Vihara avesse pavimenti di cemento, così da poter esser ripulito, esso era sporco! Quindi sostanzialmente il Buddha gli chiese di spazzare via lo sporco da un’estremità all’altra del Vihara. E così Cudapanthaka fece. Egli spazzò via la sporcizia avanti e indietro. Egli spazzò tutto il giorno, dicendo: “Io spazzo via lei mpurità… io la spazzo via”. E questa fu la preghiera che gli consentì di centrarsi nel Sé.

Ma non tutti gli insegnamenti buddisti sono specificatamente diretti alla realizzazione. Nel buddismo tibetano, che ha un’origine animista e sciamanica, permane la preghiera come modo di ingraziarsi la divinità. Magari si comincia a pregare per l’ottenimento di poteri e di vantaggi poi pian piano la grande concentrazione porta alla cancellazione dell’io “questuante”. Molto propizia è considerata la devozione nei confronti di Tara, che significa Liberatrice, Salvatrice. Tara fu il primo essere che ottenne l’illuminazione in forma femminile. E’ un principio illuminato e, anche se mancano le realizzazioni per poterla vedere, essa è presente ovunque. Perciò non si deve pensare che Tara sia solo un simbolo dipinto sulle tanghe od una divinità che vive in una Terra Pura. Essa rappresenta il potenziale pienamente realizzato della nostra mente. Pregare Tara e meditare su di lei procura grandi vantaggi, anche materiali.

C’è poi una forma di preghiera “itinerante” che pur essendo stata accettata dal cristianesimo ha le sue origine addirittura nel paleolitico. Si tratta del cammino di Santiago di Compostela. Il percorso più frequentato è sicuramente il Camino Frances che dall’abbazia di Roncesvalles giunge a Santiago passando per le province della Navarra, Rioja, Castilla e Galicia. In realtà Roncesvalles è di difficile accesso diretto, specialmente per chi proviene da paesi stranieri, e quindi si preferisce iniziare da St.Jean Pied de Port, ai piedi del versante francese dei Pirenei. Comunque il percorso St. Jean / Roncesvalles è molto bello e si prova la soddisfazione del completo attraversamento dei Pirenei attraverso un valico ricco di memorie storiche e letterarie.

Il camminare pregando ha molte origini e modi. Non va infatti dimenticata la filocalia dei monaci erranti di tradizione cristiana ortodossa. La Filocalia è una delle più ammirate e feconde testimonianze a stampa della pietà cristiana ortodossa. All’assidua lettura di essa da parte dei fedeli si fa continuamente riferimento nei celebri Racconti di un pellegrino russo.

Non mancano le preghiere new age, che un po’ si rifanno alla tradizione pagana, o addirittura alla presenza di esseri superiori provenienti da altri mondi. Persino nella bibbia, opera fantastica per eccellenza, abbondano le menzioni ad angeli e demoni ed esseri fantastici che vanno ingraziati con offerte e preghiere. Secondo la nuova spiritualità della natura invece si prega la Madre Terra, che è considerata un essere vivente dotato di coscienza, ora allo stremo in seguito alle offese causate da inquinamento e bombe atomiche, etc. A lei va una preghiera conosciuta come La Grande Invocazione della fratellanza bianca, che dicono essere molto potente.

Anche nella spiritualità laica esistono forme di preghiera, tese però al superamento del dualismo. Come affermava il poeta sincretico Sant Kabir: “Stretto è il sentiero dell’amore: in due non ci stanno!” Ed è vero…! Il dualismo e il senso di separazione sono la causa di tutti i mali. Se non è un egoismo personale, il nostro, magari è un egoismo di casta, di religione, di razza, di cultura, di ideologia. La preghiera laica è quindi protesa verso l’uscita di questa gabbia ideologica. Come Uscirne fuori? Beh, dobbiamo brancolare nel buio della sperimentazione, dobbiamo capire noi stessi da noi stessi. In questo momento la crescita ed il cambiamento non possono più essere una ricetta che ci viene fornita da un saggio, da un maestro, da un duce, da un potente della terra. Diceva Osho: “Non dipendere dalla luce di un altro. È persino meglio che tu brancoli nel buio, ma che almeno sia il tuo buio!”. Insomma dobbiamo pregare noi stessi.

La specie umana è in continua evoluzione e così dovremmo poter prendere coscienza che il nostro vivere si svolge in un contesto inscindibile. Di fatto è così solo che dobbiamo capirlo e viverlo consapevolmente, prima a livello personale e poi a livello di comunità. Siamo in un viaggio e, affiancati da altri compagni a noi affini, andiamo avanti sentendoci uniti nel pensiero e nell’azione evolutiva che richiede una maturazione individuale ed un riavvicinamento alla propria natura originale che non può essere il risultato di una “scelta” o di un “credo”…

In definitiva in qualsiasi modo si preghi quel che conta è la sincerità ed onestà del nostro approccio.

Paolo D’Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica




Contrappasso. La legge del karma...

 Per le religioni monolatriche è arrivato il momento di pagare il conto...


"Il karma è karma" si dice in India per significare che "chi la fa l'aspetti" ed oggi vediamo che le malefatte della chiesa tornano indietro e reclamano il pareggio dei conti. Causa ed effetto. 
Infine tutti i nodi vengono al pettine e la congrega vaticana ha sommato migliaia di nodi.  Non mi riferisco solo agli scandali recenti, come ad esempio la pedofilia o le speculazioni economiche, ma  alle innumerevoli colpe accumulate nei secoli: le finzioni dottrinali, la vendita delle indulgenze, la sperequazione fra maschi e femmine, la persecuzione di eretici e streghe, la prevaricazione e l’intimidazione delle masse succubi ed impaurite, le falsità storiche su innumerevoli fatti e persone, l'oscurantismo, le guerre sante, ecc.
Per la legge del contrappasso sembrerebbe che la religione cattolica, e di conseguenza quella cristiana, non abbia scampo e sia destinata semplicemente a scomparire in una nuvola fumosa di vergogna. Ma non è giusto dare tutte le colpe al cristianesimo. Le devianze sono iniziate ben prima della nascita di questa religione e sono pure continuate dopo di essa. 
La matrice monolatrica,  con l'idea di un dio "personale", è insita nell’ebraismo,  da questa "religione familiare"  sono poi sorti sia il cristianesimo che l’islamismo. Le colpe dei padri sono ricadute sui figli. Ed i figli si danno da fare a sgrullarsele di dosso utilizzando ogni mezzo: l'ateismo, il materialismo, il consumismo e persino  il fondamentalismo scientifico (vedi OGM, mutazioni climatiche, commercio di organi, etc). 
L'origine di tutti i mali -dicevamo- è nell'ebraismo ma strettamente parlando questo "credo" non è nemmeno una religione bensì una continuità fideistica basata sulla trasmissione genetica. Ebrei si nasce, non si diventa. Ed infatti nell’ebraismo i sacerdoti sono i primi ad avere l’obbligo di matrimonio e di prolificazione. Ovviamente anche i vari mullah musulmani pensano che la prolificazione sia un buon metodo di spargimento della loro fede: "l'arma per conquistare il mondo è il ventre delle nostre donne". Tra l'altro -al contrario degli ebrei -che diventano tali solo se nati da madre ebrea-  i figli di un musulmano, anche se illegittimi, sono musulmani per legge.   
Lo stesso tipo di "conversione" (sia utilizzando la paternità che la maternità)  avveniva ai primordi del cristianesimo, ma il sistema verticistico, inusuale in tutte le altre religioni (che non hanno un capo assoluto), e la necessità di mantenere la struttura piramidale e  tutti i suoi beni terreni, fece sì che diventasse conveniente istituire il matrimonio monogamico per i fedeli ed il celibato (pro forma) per gli ecclesiastici. 
La faccenda  iniziò nel momento in cui  l’impero romano, per motivi squisitamente politici, stabilì l’unità religiosa sotto l’egida del cristianesimo,  e la regola di celibato al clero era un  modo per non disperdere le ricchezze che il papato andava ammassando. Il papato romano tra l’altro è anch’esso un’istituzione tardiva rispetto alla formazione del cristianesimo.  
In verità il papa di Roma sostituì l’imperatore di Roma e per garantire la continuità non dovevano esserci diatribe familiari interne, il papa veniva eletto in un contesto di celibi.  Questo sistema, ottimo dal punto di vista del mantenimento dell'Ente, è assolutamente deleterio invece per la conservazione dei valori umani. 
Conseguenza di questa regola “innaturale” è quel che oggi osserviamo in forma di pedofilia ed omofilia interna alla chiesa. I prelati mantengono una facciata di castità provvedendo a soddisfare le esigenze sessuali  con gli stessi adepti e componenti della chiesa (ed ogni giorno ne leggiamo le cronache su tutti i media). 
Ma il blocco forzoso  della struttura di potere è causa di degrado  per la religione, per ovvie ragioni (anche la mafia si basa sul “comandare è meglio che fottere” ma non ha nulla di spirituale al suo interno)…
Paolo D’Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica
Il desso in  veste di antipapa

"Soluzione finale" - Quel che non ci è stato detto...



"Nella drammatica vicenda della persecuzione hitleriana vi sono due aspetti poco noti e per nulla dibattuti, mi riferisco all'attiva collaborazione tra regime nazista e organizzazioni sioniste per agevolare il trasferimento degli ebrei tedeschi in Palestina e l’atteggiamento ipocrita dell'Occidente, che se da un lato esprimeva solidarietà  agli ebrei vessati dai nazisti dall’altro si rifiutava di ospitarli.

Altra questione poco dibattuta riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dell’esistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia.

Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i cosiddetti “paladini della libertà”?
Nel “Giorno della Memoria” esprimiamo la nostra piena solidarietà  al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei carnefici." -  (G. R:)




Quello che gli storici non dicono

La Germania nazionalsocialista considerava pregiudizialmente gli ebrei come un elemento estraneo alla nazione. Durante la sfortunata Repubblica di Weimar (1919-33), quando la popolazione tedesca subì la più grande crisi economica e sociale della sua storia (a causa soprattutto degli enormi debiti di guerra imposti dalle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale), molti ebrei, nonostante rappresentassero meno dell’1% della popolazione, raggiunsero nel settore economico-finanziario posizioni di alto livello e di considerevole benessere tali da essere additati, a causa della loro presunta cupidigia, come responsabili della stato di crisi in cui versava la Germania. A ciò si aggiungeva l’atavico antiebraismo cristiano, il nazionalismo esasperato e il mito della purezza ariana dell’ideologia hitleriana.

L’origine ebraica di Karl Marx, il teorico del comunismo, e di parte della dirigenza socialista tedesca, contribuì a rafforzare tale convincimento su cui basò la sua azione Adolf Hitler che fin da subito adottò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno all’emigrazione. Quest’ultimo aspetto rispecchiava l’ideale della patria ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista il quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare.

Come risultato, il Governo di Hitler sostenne con vigore il Sionismo e l’emigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41(1).

L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei trovò però forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, convocata da Roosevelt, dove i trentadue stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L'unica nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 700 tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza (L’Italia fascista, invece, pur non avendo partecipato alla conferenza, da anni attuava una politica di ospitalità nei confronti degli ebrei).

L’atteggiamento ipocrita delle nazioni democratiche riguardo l’accoglienza degli ebrei è stato condensato in una frase del gerarca nazista Goebbels che nel marzo 1943 poteva rilevare sarcasticamente (2):

«Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà un giorno uno stato ebraico in qualche parte del mondo? Lo si saprà a suo tempo. Ma è interessante notare che i paesi la cui opinione pubblica si agita in favore degli Ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono i pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione artistica, ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono loro le frontiere e dicono che non sanno che farsene. E' un caso unico nella storia questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni»

Un episodio che testimonia il rifiuto dell’America ad accogliere gli ebrei riguarda la vicenda della nave St.Louis. Partita da Amburgo il 13 maggio 1939 con 937 profughi ebrei, la nave era diretta a Cuba dove i migranti erano convinti di ottenere il visto per gli Stati Uniti. Sia Cuba sia gli Stati Uniti rifiuteranno però il permesso d’accesso ai rifugiati, obbligando così la nave a tornare in Europa.

Anche l’ipotesi di creare, prima nell’Isola di Madagascar e poi in Palestina, uno stato ebraico fallì per la forte opposizione di Francia, Inghilterra e Stati Uniti.

Fallirono anche le trattative condotte Ministro degli Affari Esteri germanico Helmut Wohltat nell'aprile 1939 con il governo inglese per un insediamento ebraico in Rhodesia e nella Guinea britannica(3).

Nonostante la sostanziale indisponibilità, che rasentava il boicottaggio, delle nazioni democratiche la politica emigratoria del governo nazista proseguì con l’istituzione dell’"Ufficio per l'Emigrazione Ebraica" con sedi a Berlino, Vienna e Praga che aveva il compito di agevolare il trasferimento degli ebrei e dei loro beni in Palestina.

Furono anche organizzati dei campi di addestramento in Germania dove i giovani ebrei potevano essere iniziati ai lavori agricoli prima di essere introdotti più o meno clandestinamente in Palestina (all’epoca la Palestina era un protettorato inglese che si opponeva con forza alla colonizzazione ebraica, nonostante nel 1917 si impegnò formalmente, con la dichiarazione di Balfour del 2 novembre, a costituire il focolare ebraico in Palestina).

Fatto singolare e che nei circa 40 campi e centri agricoli della Germania hitleriana gestiti direttamente dal Mossad in cui i futuri coloni venivano addestrati alla vita nei kibbutz, sventolava per la prima volta quella bandiera blu e bianca che un giorno diventerà il vessillo ufficiale dello Stato di Israele(4).

Per liberarsi della presenza ebraica favorendo l’emigrazione in Palestina, il governo tedesco stipulò con le organizzazioni sioniste il cosiddetto “Accordo di Trasferimento” noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato all’acquisto di attrezzi per l’agricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.

L’accordo di Trasferimento è stato sottoscritto il 10 agosto 1933 dal Ministro dell'economia del Reich Kurt Schmitt e dal rappresentante del Movimento Sionista in Palestina  Haim Arlosoroff che agiva per conto del Mapaï, il partito Sionista antenato del partito Laburista israeliano.

A questa iniziativa politico-commerciale parteciparono personaggi divenuti in seguito molto noti come i futuri Primi Ministri David Ben- Gurion e Golda Meir (che collaborava da New York).

Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, grazie all’ Haavara e ad altri accordi tedesco-sionisti, dei circa 522 mila ebrei presenti in Germania più della metà, 304 mila, poterono lasciare il paese con i loro beni superando il rigido embargo inglese. Alcuni di loro trasferirono in Palestina considerevoli fortune personali.

L’importo complessivo di danaro trasferito per mezzo dell’Haavara fra l’agosto del 1933 e la fine del 1939, fu di circa 139 milioni di marchi (equivalenti a oltre 40 milioni di dollari). A cui si aggiungono ulteriori 70 milioni di dollari attraverso accordi commerciali collaterali.

Grazie a questi trasferimenti e ai prelievi obbligatori imposti dal Movimento Sionista sulle transazioni, furono costruite le infrastrutture del futuro stato ebraico in Palestina(5).

Lo storico ebreo Edwin Black sottolinea che i fondi ebraici provenienti dalla Germania ebbero un significativo impatto in un paese sottosviluppato com’era la Palestina degli anni ’30.

Con i capitali provenienti dalla Germania furono costruite varie importanti imprese industriali, compresi l’acquedotto Mekoroth e l’industria tessile Lodzia. Conclude Edwin Black(6):

«attraverso questo patto, il Terzo Reich di Hitler fece più di ogni altro governo negli anni ’30 per sostenere lo sviluppo ebraico in Palestina»

Questa intesa portò successivamente ad un accordo commerciale tra Governo tedesco ed organizzazioni ebraiche con il quale arance e altri prodotti coltivati in Palestina venivano scambiati con macchinario agricolo tedesco(7).

Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre la collaborazione tra nazisti tedeschi ed ebrei sionisti è la medaglia commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la svastica e sull’altra la stella di David.

Altra vicenda poco nota riguarda la nave passeggeri partita nel 1935 dal porto tedesco di  Bremerhaven con un carico di ebrei diretti ad Haifa, in Palestina. Questa nave, recava sul  fianco il suo nome, Tel Aviv, scritto in caratteri ebraici, e sull’albero sventolava la bandiera nazista con la croce uncinata. La nave di proprietà ebraica era comandata da un membro del Partito Nazionalsocialista(8).

Ennesimo esempio della stretta collaborazione tra regime hitleriano e sionismo tedesco riguarda i gruppi giovanili ebraici come il “Bétar“ ed i boy scouts sionisti cui fu permesso di indossare uniformi proprie  e di sventolare bandiere con simbolo dello Stato Sionista (cosa negata ad esempio ai gruppi giovanili cattolici, nonostante il Concordato).

Intanto il governo britannico, da sempre ostile agli insediamenti ebraici in Palestina, impose delle restrizioni ancora più drastiche. In risposta a ciò, il servizio segreto delle SS concluse una alleanza con il gruppo sionista clandestino Mossad le-Aliya Bet per portare illegalmente gli ebrei in Palestina. Come risultato di questa intensa collaborazione, vari convogli marittimi riuscirono a raggiungere la Palestina superando le navi da guerra britanniche pronte a colpire le imbarcazioni ebraiche. Nell’ottobre del 1939 era programmata la partenza di altri 10.000 ebrei, ma lo scoppio della guerra a settembre fece fallire il tentativo. Le autorità tedesche continuarono lo stesso a promuovere indirettamente l’emigrazione ebraica in Palestina negli anni successivi fino al 1941.

Una stima, seppur approssimativa, fissa in circa 800 mila gli ebrei che lasciarono i territori sotto il controllo germanico fino al 1941.

Con l'avvicinarsi della guerra ci fu la svolta e la posizione degli Ebrei cambiò in modo radicale. Il 5 settembre 1939, Chaim  Weitzmann, futuro primo presidente dello stato di Israele, a nome dell’ebraismo mondiale si dichiarò parte belligerante contro i tedeschi e a fianco di Gran Bretagna e Francia (Jewish Chronicle, 8 settembre 1939).

Questa vera e propria dichiarazione di guerra, causò un inasprimento delle misure repressive contro gli ebrei e conferì ai nazisti una motivazione legale per la loro reclusione. Il diritto internazionale, infatti,  prevede  la possibilità di internare i cittadini di origine straniera per evitare possibili azioni di spionaggio a favore dei paesi di origine (art. 5 della convenzione di Ginevra), cosa che fece l’America con i cittadini di origine giapponese: dopo averli spogliati di tutti i beni confiscandogli casa, attività e conti bancari, furono rinchiusi in campi di concentramento in condizioni disumane.

Verso la fine della guerra nel campo di prigionia di Hereford, nella ricca America, i soldati italiani che rifiutarono di collaborare con gli alleati venivano volutamente sottoalimentati e lasciati morire di tubercolosi, senza cure, sotto l'acqua o il sole cocente, in mezzo agli abusi dei carcerieri che non esitavano ad uccidere al primo cenno di insofferenza. Prima di loro gli inglesi avevano internato, durante la guerra contro i Boeri,  oltre 100 mila donne e bambini nei campi di concentramento in sud Africa, di questi  27 mila morirono di stenti, malattie e malnutrizione (crimini passati sotto silenzio).

Lo scoppio del conflitto pose fine alla politica tedesca di incoraggiamento al trasferimento degli ebrei verso la Palestina (nel 1942 restava in attività nella Germania un solo Kibbutz a Neuendorf)(9).

Tuttavia, nei primi anni di guerra, i rapporti tra nazisti e organizzazioni ebraiche non furono del tutto interrotti, ma si spostarono sul piano prettamente militare in funzione anti inglese, anche se  l’influenza che ebbero sugli avvenimenti bellici fu praticamente nulla.

Agli inizi di gennaio del 1941 una piccola, ma importante organizzazione sionista, Lehi o Banda Stern (il cui leader Avraham Stern fu assassinato dalla polizia britannica l’anno successivo), fece ai diplomatici nazisti a Beirut una proposta formale di alleanza per lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele(10).

Con il proseguimento della guerra che richiedeva sempre più soldati al fronte e operai nelle fabbriche il governo tedesco abbozzò l’idea di utilizzare massicciamente gli ebrei nell’industria bellica.

Dopo l’attacco alla Russia l'idea del lavoro forzato prese corpo e fu perfezionata nel corso della conferenza di Wannsee del 20 gennaio del 1942 con il definitivo abbandono della politica di emigrazione e l’adozione della cosiddetta “soluzione finale territoriale” (eine territoriale Endlösung) che sostituiva la politica del trasferimento con quella della deportazione di tutti gli ebrei nei campi di lavoro dell’est.

«Adesso, nell'ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale. Quanto all'eventuale residuo che alla fine dovesse ancora rimanere, bisognerà provvedere in maniera adeguata, dal momento che esso, costituendo una selezione naturale, è da considerare, in caso di rilascio, come la cellula germinale di una rinascita ebraica»

(Dal protocollo di Wannsee del 20 gennaio 1942).

Gli studiosi dell’Olocausto hanno sempre sostenuto che il piano generale dell’ebreicidio nazista venne ideato nella riunione di Wannsee, ma Norbert Kampe direttore del Centro Commemorativo della Conferenza di Berlino, contesta questa tesi. Egli  afferma che la conferenza riguardò solo “questioni operative” e non fu in alcun modo una piattaforma di “processi decisionali”, confermato dal fatto che alla conferenza di Wannsee Hitler e i suoi ministri non erano presenti.

Dove erano situati grandi insediamenti industriali furono istituiti campi di lavoro, come per esempio la fabbrica di caucciù sintetico a Bergen-Belsen, la fabbrica di benzina sintetica I.G. Farben ad Auschwitz, la Siemens a Ravensbrück, la fabbrica sotterranea delle V-2 di Mittelbau-Dora collegata al campo di Buchenwald.

Il compito di utilizzare al meglio i campi di concentramento come centri di produzione industriale fu affidato all'Ufficio Centrale di Amministrazione Economica delle S.S. diretto da Oswald Pohl.

Il lavoro coatto fu utilizzato anche dall’Organizzazione Todt(11) per il ripristino delle linee di comunicazione (strade, ponti ferrovie) che venivano costantemente distrutte dai bombardamenti alleati. Questi lavori, che richiedevano un'enorme massa di operai (più di 1.500.000 nel 1944), furono svolti in buona parte da ebrei e prigionieri di guerra.

Altro elemento inquietante e poco dibattuto riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dell’esistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia.

 Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i  cosiddetti “paladini della libertà”?

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra il “Giorno della Memoria”. Esprimiamo la nostra piena solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita sotto il regime hitleriano e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei carnefici.

 Gianfredo Ruggiero, presidente del Circolo Culturale Excalibur - Varese



 



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Note                                                                                                                        

(1)    Il giornale ufficiale della SS, “Das Schwarze Korps”, dichiarò il proprio sostegno al Sionismo in un editoriale di prima pagina del maggio del 1935:

«Può non essere troppo lontano il momento in cui la Palestina sarà di nuovo in grado di ricevere i propri figli che ha perduto per più di mille anni. A loro vanno i nostri migliori auguri». Gli ebrei sionisti a loro volta, nel settembre del 1935 dopo la promulgazione della legislazione razziale tedesca (leggi di Norimberga) che sancivano la netta separazione della comunità ebraica dal resto della nazione tedesca ponendo il divieto di matrimoni misti e altre pesanti limitazioni che andavano in tale direzione, dichiararono, attraverso un editoriale del più diffuso settimanale sionista tedesco, il “Die Judische Rundschau”: «la Germania viene incontro alle richieste del Congresso Mondiale Sionista quando dichiara gli ebrei che oggi vivono in Germania una minoranza nazionale… Le nuove leggi danno alla minoranza ebraica in Germania la propria vita culturale, la propria vita nazionale. In breve, essa può creare il proprio futuro».