Ci si dà da fare con strumenti inadatti. Il razionalismo, per esempio, è un treno senza rotaie quando lo si impiega per indagare il mistero. Ma con gli strumenti idonei possiamo trovare il tassello che sempre manca alla conoscenza.
Tanto per intendersi
La teoria delle stringhe e la sua evoluzione, quella delle superstringhe, sono il corpo fondante della Teoria del Tutto. Rappresentano il tentativo di trovare l’origine della natura. Rappresentano gli sforzi per includere tutte le equazioni della fisica in una. Per molti di noi, queste ultime due affermazioni possono stare insieme, sono sostanzialmente una la ripetizione dell’altra. L’assimilazione tra le due affermazioni deriva dalla struttura del pensiero comune. Una struttura che concepisce quanto individuato dalla scienza come la sola, vera realtà. È lo scientismo, quale chiesa della vulgata della Scienza. Una silente religione di fondo contro la quale difficilmente si fa peccato, e se lo si fa, facilmente ce ne si pente. Basta dire scientificamente provato per risolvere qualunque diatriba. Basta affermare che non è stato scientificamente provato per mettere a tacere qualunque affermazione alternativa a quella cosiddetta scientifica, ma meglio dire scientista. Non a caso, le réclame dei dentifrici e di tanto altro non mancano – almeno finché non gli è probabilmente stato vietato – di inserire un “scientificamente testato”, “provato”, “verificato”. Col presunto divieto – è infatti da un po’ che non lo si sente più – hanno sostituito scientificamente con clinicamente. Un espediente, diciamo intelligente, e, per loro, innocuo. Attraverso la scienza, tutti gli scientisti possono tutto, si sentono portavoci di dio. In una pubblicità di cibo per cani, dopo il primo piano di un border collie viene quello di una bella ragazza, che con il miglior sorriso ci dice: “La scienza ci dice che sentono gli odori anche da molto lontano”.
Di tutt’altro avviso è invece chi si avvede del significato culturale. Se le persone fanno coincidere le ultime verità con le verità della scienza, per di più scientisticamente diffuse, il danno è massimo. La scienza ha proceduto a mezzo di scomposizione della realtà e ha trovato alcune cosiddette leggi. Lo scientismo ha fatto il resto. Ovvero ha preso per buono la parola della scienza. Nella vulgata, che coinvolge anche la maggior parte dei cosiddetti scienziati, è rimasto che la realtà è quella affermata dalla Scienza. Una briciola contro l’infinito. Categorie per contenere tutto. Ha coartato le infinite doti umane dentro concetti chiusi, privati di contiguità con la cangiante rete del reale. Ha ucciso lo spirito del mondo.
Così ora, dire “trovare l’origine della natura” e “includere tutte le equazioni della fisica in una” è soltanto ribadire il medesimo concetto. Dolore.
Già visto
Con la Relatività ristretta, Einstein aveva confinato la fisica meccanica fino ad allora considerata universale per intendere la natura. La Teoria della Relatività era stato il suo tentativo di individuare l’equazione unificante, capace di “leggere la mente di Dio”, come ebbe a dire.
Pochi anni dopo il suo innovativo pensiero, l’avvento della fisica quantica è un nuovo sasso nello stato della conoscenza scientifica. La natura non è più univoca. Il fondamento della fisica classica, ma anche della teoria della relatività, ovvero che di un elemento si può conoscere velocità e posizione, viene meno. Nel campo quantico solo uno dei due dati è riscontrabile. Non solo. Il comportamento delle particelle elementari non è univoco, esso dipende dall’osservatore. Sulla medesima concezione Stephen Hawking considera che l’universo sia creato da chi lo osserva. Dalla realtà oggettiva, fuori da noi, filosoficamente si passa alla realtà nella relazione. Proprio Werner Heisenberg, uno dei fautori della fisica dei quanti, ne ha sottolineato l’importanza nel suo Fisica e filosofia. Ma è da aggiungere un ulteriore aspetto connaturato ai quanti: la cosiddetta materia non è più materia, o quantomeno non lo è sempre. Il suo stato è anche ondulatorio. Si tratta di un'altra rivoluzione. La natura ha carattere continuo o discreto (discontinuo). Se si guarda nel mondo delle relazioni – terreno che prima o poi verrà investito dalle prospettive svelate dalla fisica dei quanti – l’attrazione e la repulsione sono espressione delle due condizioni.
Con la teoria delle stringhe si cerca di cavalcare la dimensione quantica della natura per ritornare all’attacco nei confronti della ricerca della sola equazione che tutto includa. Anche se per alcuni ricercatori si tratta di un tentativo che ha seguito una via sostanzialmente fallimentare, in essa si trovano due aspetti interessanti. Uno riguarda l’idea che la dimensione discreta dell’energia-materia non è più rappresentata dalla discontinuità ma da un filamento mono-dimensionale. L’altro, è relativo all’aspetto vibratorio dei filamenti. L’insieme di filamenti darebbe – come già detto dalla tradizione tolteca – forma alla realtà che crediamo di osservare. Forma determinate dalla qualità delle nostre consapevolezze, dalla dimensione intima che stiamo vivendo. Forma di realtà quindi del tutto a nostro carico. Quantomeno finché non si svela in noi l’assunzione di responsabilità di tutto. È un momento evolutivo disponibile a tutti. Tolteco, che significa artista, allude alla potenzialità comune a tutti di dipingere la bellezza sulla tela della propria vita.
Un aspetto della fisica quantistica è il cosiddetto entanglement. Per cogliere il suo significato è utile ricordare la concezione ad essa pertinente del concetto di realtà. Non più uno spazio occupato qui e là da oggetti, ma una rete che tutto collega. È così che si intende il significato dell’espressione che “un battito d’ali in Brasile può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo”. L’entanglement è dunque il prodotto di una dimensione che non si esaurisce nel causa-effetto. Anzi, rimanere rinchiusi entro il principio del causa-effetto è una sorta di cecità grave quando ci rivolgiamo al mondo delle relazioni. L’entanglement significa perciò l’insorgenza imprevedibile, una non prevista creazione generata da dati noti.
La questione diviene ulteriormente chiara se si inserisce un ulteriore elemento che modifica l’interpretazione: l’in-formazione. Anche in questo caso la scienza arriva per ultima rispetto a quanto già affermato dalle tradizioni sapienziali del mondo. Con l’informazione, la sincronicità – argomentata da Jung con il principio degli arcani e dell’inconscio collettivo – trova la sua ragione scientifica. La distanza e il tempo oggettivo esistono dunque soltanto nel campetto di gioco della meccanica classica. Fuori da esso, nell’infinito, le regole sono altre, e, indipendentemente dal codificarle, esse tendono ad essere cangianti, relative, in quanto è la nostra presenza ad elaborarle. Se il tempo del calendario e dell’orologio svolge la sua funzione in contesto amministrativo, bidimensionale, dove tutto è chiaro e determinato, dove il linguaggio è univoco, evirato della sua profondità equivoca, in ambito relazionale è una mina vagante ad alto coefficiente di innesco. Qui, come nella teoria della relatività e come trattato a suo modo da Bergson, corrisponde a una durata, a sua volta dipendente da emozioni, sensazioni e sentimenti. Se nel benessere, nel qui ed ora, esso tende a svanire, all’opposto, nel dolore e nell’attesa, tende all’infinito. Non solo. Il tempo, da lineare del calendario, si mostra circolare nelle relazioni. Un fatto coniugato ai pochi sentimenti di cui disponiamo. Il loro sciamare identicamente in tutti noi dà concretezza all’eterno ritorno di Nietzsche, al karma e a tutte le filosofie che ne hanno trattato l’evidenza. Nella medesima prospettiva si può osservare come i sentimenti siano lo spirito della storia. Essi dettano i comportamenti finché restiamo succubi, sotto il dominio dell’io. Finché cioè, a questo ci identifichiamo, finché non ci avvediamo che il ciclo della storia si ripete a causa sua, a causa dell’inettitudine a riconoscerci tutti quali terminali di una un solo corpo, di una sola vita.
Cerca-cerca, cerca-cerca, cerca-cerca-cerca…
Cerca qui, cerca là, l’equazione del Tutto non viene fuori. Si può dire, senza azzardare, che manchi un solo tassello. In tutte le cose, sempre, manca un solo tassello. Affinché si realizzino diversamente da come di fatto siano poi accadute. Ma il linguaggio così esplicito e diretto di queste ultime tre righe è del tutto improprio per esporre la realtà, per riferire il valore simbolico utile a intendere che manca sempre un solo tassello. Ma l’esperienza non è trasmissibile, non è possibile far intendere a chi già non dispone delle doti necessarie alla decodifica, perché si possa affermare che sempre manca un solo tassello. Nel nostro caso, i fisici hanno raggiunto la condizione per vedere che con la modalità di pensiero ordinaria l’equazione unica resta chimerica. Servirebbe, dicono, un salto di dimensione, una nuova prospettiva per cogliere ciò che ci sfugge. Interessante.
Così come Einstein – e non solo, naturalmente – si riferiva a Dio per dare un’idea di cosa si voleva maneggiare, così i fisici di oggi – riluttanti o meno, ma non fa peso – ammiccano a ciò che non vedono, si sentono spinti a considerare che il mondo non stia nelle formule in cui lo comprimono gli scientisti. Se la realtà, qualunque si voglia sia, esiste soltanto nella nostra coscienza, e se la coscienza non è che il riflesso dell’io, si può forse condividere che una coscienza emancipata dall’io, non più dominata dalla sua inestricabile importanza personale che lo porta in giro, che lo fa gioire come soffrire, possa accedere a dimensioni altre rispetto a quelle note. Liberi dai costrutti egoici, che come spesse lenti informano la realtà, e liberi dai suoi tanto presuntuosi quanto fuorvianti saperi, le forme della realtà svaniscono lasciando nudi i filamenti di energia. Mostrando con evidenza lapalissiana come quei giudizi-sentimenti-importanza personale generino strozzature e nodi che, informati, corrispondono a pene e gioie, le quali generano onde che la rete del reale a sua terminale di tutte le forze più o meno assorbe, rimanda, ripercuote, diffonde, nasconde. Anche la storia e l’eternità concorrono a formare nodi, strozzature e aperture. Variazioni del flusso energetico che lo sciamano opportunamente purificato sente e con oggetti curativi partecipa a modificare. Così accade per il rabdomante che sente le vibrazioni dell’acqua. Così si avvertono i Nodi di Hartmann e la loro tossicità. Così possiamo cogliere, percepire entrando in un ambiente o al cospetto di persone. Così per il Feng shui e l’agopuntura. Il sentire, se non corrotto da idee e ideologie, ci informa di quali energie lo perturbano e quali gli sono congeniali. Ugualmente con le parole e il linguaggio. Esso necessariamente cela personalità e orientamenti vari, ma anche lo stato d’armonia o di inquinamento di colui che lo esprime. Se, insieme ai modi, si guarda a quello impiegato da venditori e commercianti, è facile sentire lo scopo del loro discorso.
Se la condizione dell’equazione del tesoro ha, come dicono i fisici, la capacità di esprimere l’armonia dell’universo, anche stavolta la scienza arriva ultima nella gran corsa alla conoscenza. Ci aveva già pensato Cristo e prima di lui molti altri a raccontare che solo l’amore ci permette di essere l’infinito, la conoscenza, l’armonia. È l’amore l’equazione che si va cercando. È lui che contiene l’essere, il bene, la bellezza, la conoscenza. È lui che scioglie l’avere, l’avidità, il male. È lui che permette all’energia del cosmo di scorre libera in noi, che ci fa sentire come smettere di stringerla in nodi di rabbia e indulgenza, i primi generatori di malesseri e malattie. È lui che trasforma il piombo in oro. Non l’amore egoico, interessato, ma quello informato dell’infinito, di gratitudine, di mistero. Elementare, Watson!
Lorenzo Merlo
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