Sull’Ermetismo se ne dicono e tante se ne son dette ed altrettante di più se ne diranno. La materia è certamente affascinante e poi, rappresentando l’Ermetismo il risultato di un coacervo di esperienze, ha finito con il dar luogo ad una molteplicità di interpretazioni. Uno dei testi che, in tal senso, ha fatto storia per la propria chiarezza ed è in grado di dare all’intero problema un’impostazione non priva di spunti, da cui far partire una più approfondita riflessione, è “Giordano Bruno e la Tradizione Ermetica”, della britannica Frances Yates.
Nell’illustrare tutte le tematiche legate allo sviluppo ed alle fortune dell’Ermetismo nei secoli della Rinascenza, sino alle soglie della Modernità, la Yates sembra volerci silenziosamente condurre verso una riflessione sopra le righe, che abbraccia il tema della religiosità occidentale tutta e che, oggi, ancor più rispetto ai secoli passati, troverebbe una sua ragion d’essere rinforzata dalla spinosa tematica del rapporto di quest’ultima con la Modernità. Diciamo che, dall’analisi della Yates si possono identificare, all’interno dell’Ermetismo e di tutto l’ambito di pensiero esoterico che attraversa la Rinascenza, sino alle soglie della Modernità, tre filoni conduttori.
Ma cerchiamo di procedere per ordine. Come abbiamo già avuto modo di illustrare precedentemente l’Ermetismo è frutto del contesto sincretico dell’Ellenismo. Esso è esattamente il risultato dell’incontro tra il culto ellenico di Hermes/Mercurio, divinità dal duplice aspetto di messaggero psicopompo e di portatore di salute/”salus” e sagacia e quello egizio di Toth, anch’egli portatore del ruolo di psicopompo e di divinità della scrittura, quale protettore dell’umana sagacia.
L’Ermetismo quale forma di conoscenza sapienziale ed esoterica finirà con l’interagire, molto spesso in sinergia con l’Alchimia e l’Astrologia, fornendo a queste ultime, un ulteriore substrato teoretico. Il problema della percezione rinascimentale dell’Ermetismo è però legato alle vicende storiche che gli fanno da contorno e che vanno dalla caduta dell’antichità sino agli albori della Rinascenza. Con la caduta dell’Impero e la fine del mondo antico assistiamo all’occultamento, se non in molti casi alla scomparsa, di certe forme di sapere soppiantate dalla prepotente invadenza della nuova fede cristiana. Se l’Evo Medio, sotto questo profilo, sarà caratterizzato dalla lotta e dalla predominanza dei due massimi sistemi universali, Ecclesia ed Impero cristiani, dall’altro non potrà però dimenticare che, a dare il “la” alla sua nascita culturale, sarà proprio il dualismo di Gnosi e Manicheismo che con il proprio radicale disprezzo per la materia, rappresenteranno l’oscura tentazione ideologica di un intero periodo storico. Catari, Bogomili, Pauliciani e persino Templari saranno, in qualche modo, tutti legati a doppio filo a motivi gnostici.
E, tanto per conferire un taglio più semplice e sintetico alla nostra esposizione, possiamo dire che l’Evo Medio fu Aristotelico e Gnostico, con qualche rara sopravvivenza di Ermetismo, rinvenibile negli scritti di Ruggero Bacone ed Ildegarda di Bingen, mentre la Rinascenza, con la sua riscoperta dell’antropocentrismo di matrice squisitamente greco-romana, è Neoplatonismo ed Ermetismo. Sono i manoscritti portati dal cardinal Bessarione, sono gli scritti di Gemisto Pletone, è l’Accademia Neoplatonica Fiorentina di Marsilio Ficino…è la riemersione di un sapere rimasto occultato nei secoli bui dell’Evo Medio, ma è anche un profondo fraintendimento storico sull’Ermetismo. Ermete Trismegisto (il tre volte grande…) è visto quale personaggio reale, vissuto negli immemorabili tempi dell’Antico Egitto, di cui sembra essere il primigenio Profeta, contemporaneo, se non addirittura precorritore di Mosè e dei Profeti biblici, con la sua pia ed occulta sapienza.
L’Ermetismo è quindi inteso da Marsilio Ficino e dalla sua Accademia, quale precorrimento e completamento sapienziale dello stesso Cristianesimo. Quella ermetica costituirà, pertanto, una forma di magia “pia”, volta ad armonizzare l’uomo alla sfera del sovrannaturale, senza ricorrere ad alcuna magia “nera”, cioè demonica, senza cioè toccare le alte sfere dei vari spiriti angelici o demonici che dir si voglia, bensì rimanendo nell’ambito di una stretta interrelazione con le forze del “Kosmos” i cui elementi interagiscono con l’uomo nel nome di un principio di magica simpateticità.
Guardando con quella prudenza e moderazione necessarie in un’epoca per cui, finire al rogo per eresia era un attimo, Marsilio Ficino si rifà alla teurgia egizia e alla sua capacità di dar vita a statue e simulacri divini, come anche di conferire poteri benefici ad amuleti, medaglioni e quant’altro, rappresentanti figure divine, simboli e quelle celesti costellazioni, la cui contemplazione finisce qui, in epoca rinascimentale, con il conferire piena dignità ed autorevolezza alla scienza astrologica. In Ficino è pertanto presente l’idea tutta neoplatonica di un universo visto quale ventre di un immenso animale, in cui ogni parte è legata all’altra nel nome di una legge di occulte simpatie e corrispondenze e di cui, l’Ermetismo rappresenta la “summa” teoretica ed operativa; pertanto, nel caso di Ficino e della sua Accademia, si parla di una vera e propria, innocua “magia naturalis”. Diverso, anche se rientrante nel medesimo ambito, è il caso di Pico della Mirandola e di tutta una serie di personaggi che lo seguiranno in una profusione di nomi e di varianti da cui potrebbe sembrar difficile districarsi, ma che, invece, sono accomunati da un medesimo sentire. Contrariamente a Marsilio Ficino, Pico della Mirandola non ha alcuna remora ad avventurarsi in terreni su cui il “maitre a penser” dell’Accademia Fiorentina, mai avrebbe pensato di spingersi.
Sbaragliando paure e ritrosie, il grande studioso stabilisce connessioni operative tra l’uomo-iniziato e quelle sfere celesti, sedi elette di angeli e demoni che, tramite l’antica scienza cabalistica, possono esser evocati e piegati agli umani voleri. Pico sarà protagonista ed inauguratore di un filone di pensiero volto a sottolineare e dare rilievo alla cabalistica, in quanto scienza numerologica e simbolica “par excellence” in stretta simbiosi con l’antica numerologia pitagorica e, cosa ancor più importante, in quanto scienza esoterica promanante dalla prima delle religioni del Libro, perfettamente in linea e compatibile con il Cristianesimo; tant’è che, si potrà, in seguito, tranquillamente parlare di “cabalistica cristiana”, in ispecial modo, in riferimento ad autori come Jackob Bohme.
Questa visione, fa dell’Ermetismo il punto d’innesto di tutti i saperi esoterici quali Alchimia ed Astrologia che, partendo da Gnosi e Neoplatonismo, non senza passare per il Pitagorismo, attraverso la stessa cabalistica ebraica, vanno a confluire e coincidere nel Cristianesimo, “summa” perfetta di tutte le fedi. Non fa, dunque, alcuna meraviglia che, un papa come Alessandro Borgia abbia, nell’apposito appartamento Borgia, all’interno del Palazzo Apostolico della Città del Vaticano, fatto tranquillamente dipingere senza alcun problema, l’enigmatico “Iside tra Ermete Trismegisto e Mosè”. Più o meno legati a questa impostazione, attraverso mille varianti e sfumature, saranno, tra le molte, figure come Cornelio Agrippa di Nettesheim, l’abate Tritemio, Comenius, Athanasius Kircher, Jackob Bohme, John Dee e Robert Fludd. In questo contesto, già di per sé problematico ed allora guardato con sospetto, se non addirittura con manifesta ostilità, il personaggio di Giordano Bruno costituisce un’eloquente eccezione.
Ben lungi dall’essere il profeta di una qualsivoglia ideologia liberal progressista, con l’etichetta appiccicaticcia di hippy ante litteram, Giordano Bruno rappresenta un fondamentale punto di chiarimento nel mare magnum dell’Ermetismo e del pensiero esoterico (oltrechè filosofico) occidentale dell’epoca. Figlio di quell’Ordine Domenicano che tanti inquieti pensatori già aveva ed avrebbe successivamente prodotto, da Meister Eckhart sino allo stesso Tommaso Campanella, Bruno inizialmente attinge alle opere di Raimondo di Lullo, per quanto riguarda le opere sulla mnemotecnica, facendosi, però, portatore, ben presto, di una formazione di pensiero del tutto peculiare. Nel parlare di “pluralità dei mondi”, non si intende certo un’asserzione di tipo astrofisico. Bruno aveva recepito con ammirazione le elaborazioni di Keplero e Tycho Brae, rielaborandole, però, in un senso profondamente esoterico, ovvero quali emanazioni di un ordine magico e non meccanicistico, così come, invece, Keplero intendeva, in piena concordanza con lo spirito empirico che andava inaugurando la sorgente Modernità.
La bruniana “pluralità dei mondi” va intesa, pertanto, in un senso profondamente gnostico e neoplatonico, quale immagine di un universo costituito da un’infinità di emanazioni, frutto dell’altrettanto infinita sorgente divina da cui esse provengono. Ma il vero “salto” Bruno lo fa rielaborando “more suo” l’impianto ermetico; nel creare nuovi diagrammi e simboli ma, soprattutto, nel non rifarsi alle radici ebraiche e veterotestamentarie a cui altri esponenti, invece, si erano rifatti.
Senza pudori o timori di sorta, Bruno, invece, volge il suo sguardo direttamente a quegli antichi, a quegli Egizi la cui religiosità profondamente esoterica vorrebbe riportare in auge, assieme, naturalmente, a tutto il bagaglio sapienziale dell’Ellenismo e del mondo antico. Il grande nolano attraversa così, senza esitazioni, quel Rubicone ideologico che né Ficino, né Pico della Mirandola, né altri ermetisti avevano sino ad allora osato attraversare. Colto da un sacro “furor”, si sente investito della missione di convertire il mondo ad una nuova religiosità in grado di superare e contemperare quella cattolica, tanto bigotta quanto intransigente, proprio attraverso quel ritorno ad un paganesimo dal sapore neoplatonico, riadattato ai tempi attraverso il bagaglio sapienziale ermetico. Una sfida senza precedenti, accompagnata da una spudorata ed imprudente simpatia verso alcuni negromanti dell’Evo Medio, che, ancora imbrigliati nelle redini di una confusionaria cultura tardo-gnostica, si facevano fautori di una magia legata all’invocazione di forze naturali e demoni, senza ritrosia alcuna.
In preda al suo “furor” mistico”, Bruno vaga in un’Europa sconvolta dal conflitto tra Cattolici e Protestanti. Parigi, Londra, Oxford, Wittemberg ed alfine, Venezia, sono le tappe di un disperato pellegrinaggio che porteranno Bruno diritto tra le grinfie dell’Inquisizione ed alla sua tragica fine. Strano a dirsi, ma Bruno al pari del suo quasi-contemporaneo Tommaso Campanella, non disprezza la dottrina cattolica, anzi. Ambedue, sotto prospettive diverse, si fanno latori di un ritorno ad una religiosità “egizia” ( che poi, a causa del disguido storico di cui abbiamo parlato in precedenza, altri non è che un modo di concepire e realizzare la “forma mentis” della religiosità ellenistica, sic!) veicolata però dal cattolicesimo, da quel medesimo cristianesimo che per ambedue rappresenta, pur sempre, la forma più compiuta e tangibile di religiosità “in terris”.
Bruno ritorna in Italia, convinto che il papa gli avrebbe dato ascolto e lo avrebbe sostenuto nel suo sogno di riforma “ermetica”. Il sogno suo e di Tommaso Campanella è quello di una religiosità aperta al molteplice e, perciò stesso, spurgata da tutte le sue componenti dogmatiche ed intolleranti che avevano fatto dell’Europa, all’epoca, un vero e proprio campo di battaglia, creando un clima di irrespirabile intolleranza ideologica. Fatto questo, che avrebbe di lì a poco spalancato la strada alla nascita ufficiale della Massoneria ed all’inizio dell’incontrastato predominio dei ceti mercantili “urbi et orbi”. Se l’episodio della clandestina diffusione degli scritti Rosacrociani per tutta Europa, rappresenterà la premessa della nascita della vera e propria Massoneria, la vicenda di Giordano Bruno ci pone, invece, di fronte ad un’altra, più pregnante considerazione. Da Marsilio Ficino, per quanto riguardava il contesto ermetico, stava facendosi avanti, inizialmente in modo quasi sommesso, attraverso l’uso di un linguaggio carico di metafore artistiche e letterarie, l’esigenza di una religiosità “altra”, da affiancare a quella cattolico-cristiana, il cui impianto teologico, sin dalla sua prima codificazione con i Concili di Efeso e Nicea, andava mostrando tutta la propria inadeguatezza.
Sin da allora, difatti, il cristianesimo andava palesando una natura di vera e propria religione “exoterica”, di massa, più protesa alla massiccia diffusione di messaggi schematici e semplicistici, nel nome di una visione sic et simpliciter uniformatrice della realtà, piuttosto che una più attenta riflessione sull’essenza ultima di una realtà, la cui complessità finiva giuocoforza con lo spalancare la porta a quell’idea di molteplicità, che la teologia ufficiale cercava di cacciare e mettere nell’angolo con ogni mezzo. Non per niente, delle tre fedi del Libro, il Cristianesimo e, nella fattispecie il Cattolicesimo, è l’unica di quelle a cui manca una vera e propria dottrina esoterica, parte questa, relegata nel regno del sottinteso se non, addirittura, ufficialmente e veementemente negata. Con il sorgere di modelli totalizzanti ed omologanti, che vanno dal Primigenio Monoteismo al Cristianesimo ed alla sua “Ecclesia Universalis”, arrivando all’attuale Globalismo di natura Tecno Economica, le cui radici ufficiali affondano nell’Illuminismo e nel Mercantilismo di matrice vetero testamentaria, il problema di una religione “altra” sorge spontaneo in Occidente.
Di fronte alle prime avvisaglie di un fenomeno che tendeva a spodestare il primato del diritto pubblico sul momento religioso, in favore dell’elevazione del ceto sacerdotale cristiano ad un ruolo di preminenza sul momento politico e ad una situazione di conflitto tra le fedi politeista e cristiana, l’imperatore tardo-romano Aureliano al pari di Giuliano Imperatore, cercarono di ricorrere all’elaborazione di un “culto di mediazione”, rappresentato da quei culti solari, quale quello di Sol Invictus/ Helios Re, di Mitra e da quelli risultanti dalle elaborazioni del Neoplatonismo dei vari Plotino, Giamblico e Porfirio, che potessero, in qualche modo, rappresentare una via di contemperamento e mediazione tra le varie fedi, di cui avrebbero dovuto rappresentare il punto di incontro.
Una necessità, mai rimasta completamente sopita, neanche nei bui secoli dell’Evo Medio, che dopo la tragica parabola della Gnosi Catara e dei Templari, dopo i Fedeli d’Amore di Dante Alighieri, nella Rinascenza e nel ritorno in auge dell’Umanesimo e degli studi classici, ritrovò linfa vitale nonché un inedito momento di spinta ed innovazione creativa. Rimane l’amara constatazione su come i tentativi di un Giordano Bruno o di un Campanella, andarono a finire. Oggi, di fronte al tentativo di omologazione planetaria da parte del Globalismo Occidentale, che del Monoteismo Vetero e Neo Testamentario, rappresenta solamente una variante in chiave prettamente economicistica, al centro della riflessione deve anche ritornare il problema religioso, quale momento-cardine per il ritorno ad un’idea etica dello Stato e della Comunità e non come espressione di una pseudo-spiritualità inerte e massificata. E di fronte all’incedere di un Globalismo alienante e livellatore che oggi sembra voler portare a compimento un processo iniziato più di duemila anni fa, ad oggi, l’unica vera e pregnante risposta sta nell’apertura al molteplice, alla multidimensionalità della sfera spirituale che, al pari di quanto facevano gli antichi, non può limitarsi ad una sola accezione, ad un solo e rassicurante (e troppo spesso, vuoto…sic!) volto dell’Essere, ma dovrà abituarsi a convivere con più e più dimensioni ed accezioni di esso.
E pertanto, non ci si potrà più definire unicamente ed indissolubilmente cristiani o pagani o buddhisti o islamici, ma si potrà e si dovrà lasciare spalancata la porta alla dimensione dell’ “altra religiosità”, a quel doppio passaporto interiore che permetterà all’intera umanità di meglio comprendere e compenetrarsi con quell’Essere, con quella dimensione dell’Assoluto che impregna di sé l’intera realtà…Solo così il genere umano potrà salvarsi dalla catastrofe prossima ventura di un’alienazione ed un inaridimento a livello globale, che ne porterebbe a sicura conclusione l’esistenza. Ed allora dall’alba della Modernità, ecco riecheggiare in noi il messaggio di Giordano Bruno.
Quella “Pluralità dei Mondi”, a cui furono impropriamente attribuiti significati astronomici, altro non è che un invito all’apertura alla pluralità dell’Essere, all’abbandono di logiche dogmatiche, oramai divenuti aridi canali di scolo della peggior congerie spirituale umana. Giordano Bruno, ma anche Tommaso Campanella e gli Ermetisti, attraverso il supporto di una religiosità esoterica egizio-ellenistica, che fa dell’uomo l’artefice della realtà, sembrano voler precorrere il nietzschiano superuomo/oltreuomo, sempre in bilico tra il proiettarsi nelle celesti sfere del platonico mondo delle idee, quale semidio redivivo e lo sguardo perduto e l’animo ammutolito davanti all’abissale ed incomprensibile dimensione dell’Essere….
Umberto Bianchi
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