Un amico mi scrive: "...avrei una domanda da porti. Da circa un anno, da quando qualcosa in me si è rotto, sto procedendo ad un'auto indagine costante, diciamo ad una meditazione che prende tutto ciò che avviene durante le mie giornate. Poi mi capita di rileggere qualcosa di Uppaluri Gopala Krishnamurti e tutto quello che sto facendo mi sembra inutile e piombo nello sconforto. E' come se stessi camminando in equilibrio su di una fune e qualcuno con un banale soffio d'alito mi facesse cadere giù. Ma come si può uscire da queste contraddizioni che ti fanno sentire come una foglia al vento? Grazie Maestro.."
Rispondo:
"....disinteressati di qualsiasi cosa ti venga suggerito dall'esterno. Gli insegnamenti indiretti, appresi di seconda mano, possono anche essere distrazioni. Le esperienze raccontate dai vari maestri sono le loro esperienze non possono essere riprodotte. Qualsiasi sia la tua pratica -e per pratica intendo il peculiare approccio in cui la tua mente fissa l'attenzione su se stessa- prosegui con costanza e determinazione in quella.
Non è importante quale sia la pratica ma la sincerità, costanza e volontà nel perseguimento che conta. E' come quando si è innamorati non può esserci un modo codificato per dimostrare il proprio amore verso la persona amata, l'amore si mostra nei modi che gli sono congeniali...
A che serve quindi leggere come un altro ha amato? Non vi sono criteri stabiliti in cui l'amore debba esprimersi, quel che conta è l'intensità in cui l'amore si manifesta. E' lo spirito di abnegazione che conta, la pazienza, la sincerità, la fiducia, l'adesione, la fedeltà...
E poi non chiamarmi "maestro" che così già poni una differenza ed una separazione fra noi. Dal punto di vista umano siamo fratelli, dal punto di vista del Sé siamo la stessa cosa."
Paolo D'Arpini
“Ciao caro Paolo, è passato un po' di tempo da quando ti scrissi quelle righe e tante cose sono successe nella mia vita, su tutti i fronti. Ripensando a quei momenti, provo un senso di compassione per la persona, per quello che stava vivendo, ma è stato un travaglio inevitabile, necessario. Dicevo di sentirmi sulla porta di un deserto, che dovevo attraversare, che non potevo più tornare indietro, ecco, quel travaglio mi ha fatto camminare nel mio deserto (ma non lo sapevo), un deserto senza sentieri. Oggi, quella spinta forsennata, affannata, affamata, alimentata dal dolore, si è esaurita, e quella ricerca verso non so che cosa, si è spenta. Ora nel mio sentore, quel deserto è diventato un fiume, ed io sono in mezzo al guado, fermo, in attesa (di cosa non so). Una cosa mi salta all'occhio di quello che ti sto scrivendo, che non sapevo e che non so nulla, e mi scappa un sorriso...”
RispondiEliminaMia rispostina: “...siamo tutti nel Grande Flusso, siamo il Grande Flusso e nient'altro che quello...”