Secondo vari studiosi (Scherbasky, Poussin, Winternitz, ed altri), la posizione del Buddhismo non è stata, e non è, così distante da quella di altri sistemi filosofici dell'antica India che cercavano di dimostrare l'illusorietà del mondo esteriore e del nostro imperfetto sistema mentale di percezione. Infatti i sistemi esistenti all'epoca del Buddha, ancorché ramificati in più dottrine, si erano sviluppati sulla base del primitivo e sostanziale studio dei Veda, il poderoso compendio di Saggezza Arcaica e Tradizionale; ma, a causa del gran numero di interpretazioni di queste Scritture, non poteva esserci una linea di condotta unica, sicché molti dubbi si presentavano ai Ricercatori della Verità, i quali peraltro ritenevano più importante interpretare dette Scritture in modo simbolico tralasciando le credenze popolari che invece, ligie alla lettera, avevano creato tutto un mondo divino, popolato da varie divinità adorate e rappresentate in tutte le forme possibili di manifestazione. Fu proprio a tali Ricercatori che si rivolse Shakjamuni quando sentì il bisogno di conoscere i misteri dell'esistenza, pungolato da un profondo senso di compassione per le condizioni di sofferenza di tutti gli esseri. Ma Egli, dopo varie esperienze, fu portato a concludere come nessun tipo di saggezza proveniente dall'esterno avrebbe potuto risolvere i problemi della condizione umana e, quindi, decise di verificare da solo l'unica via determinatasi come possibile: il viaggio all'interno della propria mente.
Tuttavia il Buddhismo già agli inizi ebbe bisogno di un humus tradizionale per nascere e svilupparsi, e ciò starebbe a dimostrare le attinenze e accostamenti con il successivo sviluppo dell'Advaita-Vedanta, fiorito in India dopo la rarefazione del Buddhismo stesso. Sono comunque innegabili alcune differenze tra le due Dottrine, ma non dovrebbero passare inosservate le altrettanto numerose uguaglianze. Già alcuni critici e storici del pensiero (vedi il testo 'La Concezione Centrale del Buddhismo' di T. Scherbasky, (Ed. Ubaldini, Roma) - in cui si fa riferimento ad altri Autori in accordo con questa posizione) hanno presentato un Buddhismo delle origini espresso quasi come una continuazione ed un rinnovamento del messaggio delle Upanishad, e lo stesso T. R. V. Murti, nel suo libro 'La Filosofia Centrale del Buddhismo' (Ed. Ubaldini, Roma), lascia trasparire come un indissolubile filo leghi il Buddhismo Madhyamika di Nagarjuna all'Advaita Vedanta di Shamkara, anche se controversie tra successivi seguaci dei due sistemi farebbero pensare a sensibili divergenze, in ogni caso puramente dialettiche. Dal momento che gli scontri verbali e le critiche reciproche avvennero proprio nella stessa chiave dialettica (cioè, malgrado tutto, essi si capivano!), ciò fa pensare che il diagnosticare settariamente una 'diversità tra le Dottrine' in modo separativo ha solo un sapore di presa di posizione e non aiuta a risolvere il problema di fondo in un modo "unitario", che poi è il raggiungimento della "Liberazione". Anzi, la differenziazione potrebbe tendere al rallentamento dell'ascesi, anziché condurre il vero ricercatore verso la pacifica constatazione che la Verità è una sola e i modi per rivelarla sono tutti ugualmente validi.
D'altra parte lo stesso concetto di "SUNYA" o vuoto, che è il cardine fondamentale del Buddhismo, ed il "punto di attenzione" del Vedanta, indica la direzione essenziale verso cui indirizzare il nostro cammino, come nell'esempio classico del dito e della luna, e cioè verso l'unico vero obiettivo, che è la luna e non il dito che la indica. Non si può, quindi, non accettare la essenziale convergenza che è peculiarità di entrambi i sistemi: cioè la intensa e continua ricerca dell'uomo fino allo svelamento della sua reale natura, proprio per uscire dai conflitti e porsi, privi di illusoria separazione o dualità, in uno stato in cui né ‘ATMAN’ né ‘ANATMAN’ abbiano un qualche significato, raggiungendo realmente quel ‘Silenzio Mentale’ auspicato costantemente sia dal Buddha che dagli altri Saggi Illuminati. Seguire quindi le raccomandazioni del "Beato" è conditio-sine-qua-non, ed il Buddha, vero faro illuminante della Via, col suo esempio ed i suoi insegnamenti ha ribadito (e Shamkara, più tardi, riconfermato) come solo attraverso la NON-DUALITA è possibile raggiungere la vera Illuminazione, la quale, essa sola, contiene le qualità necessarie alla Liberazione non solo nostra, ma di tutti gli esseri senzienti.
Infatti l'Illuminazione individuale, anche se è già un pregevolissimo ottenimento, presenta una valutazione di incompletezza; per cui la mente, in fase di emancipazione, è portata ad alzare il tiro, ripromettendosi con una decisa volontà catartica di fare del tutto per offrire anche agli altri la identica possibilità. Anche nell'Advaita Vedanta, l'aspirazione sincera a liberare la propria mente produce di conseguenza la liberazione di tutti i prodotti-oggetto di cui, nelle rinascite identificate, ci si era tanto preoccupati; vale a dire che, non vedendo più gli altri come una parte separata, sorge una propensione all'amore ed al desiderio di riportare verso la liberazione tutti gli esseri indistintamente. D'altra parte, Shamkara si interessò in maniera preminente dei suoi simili. Nei suoi 33 anni di vita non fece altro che viaggiare per insegnare l'esatta interpretazione delle Upanishad, curando amorevolmente le menti dei suoi discepoli e incon-trando innumerevoli masse di umanità al fine di indirizzarle, anche con le opere scritte, verso la giusta comprensione e l'ardente sete di Liberazione.
Sia il Buddhismo che l'Advaita-Vedanta possono considerarsi ‘scuole di vita’, che educano i praticanti a maneggiare con cura le loro energie, mantenendo costante l'attenzione sulla loro interiorità, indicando come scopo del sentiero l'annullamento di ogni fattore mentale egoico, e indirizzandoli verso la via del Dharma. La metafisica del Vedanta-Advaita e, in parte, del Buddhismo stesso, tende a far nascere nell'Essere l'intuizione profonda (Prajna) della realtà delle cose così come sono, al di là delle sovrastrutture mentali le quali, coinvolgendo l’uomo e invischiandolo nella dualità più inestricabile, gli impediscono una visione chiara e lucida dei fenomeni facendolo sottostare ad una inconscia primordiale Ignoranza. Attraverso i testi del Madhyamika di Nagarjuna e seguaci, da una parte, e dell'Asparsa-Vada (Sentiero senza Sostegno) di Shamkara e Gaudapada dall'altra, si stimola il discepolo a dubitare dell'apparente realtà delle manifestazioni fenomeniche, quasi così come, al mattino, siamo portati a non credere agli avvenimenti del mondo onirico, dimenticando in breve tempo i turbamenti provocati dai sogni, per quanto reali possano essere sembrati. In effetti questa stessa vita dovrebbe essere paragonata ad un lungo, chimerico sogno in stato di veglia, che non deve minimamente disturbare il soggetto osservatore, cioè l'Atman Vedantico, il quale, indefinito e imperturbabile, privo di personalità e individualità, non è altro che la Realtà Suprema calata in noi e nascosta, come il sole dalle nuvole, dal sé egoico e materialista. Questo Sé (Atman) è del tutto simile alla "Natura-di-Buddha", poiché non è personale, né separato, né duale; ci compenetra tutti ma, anche, ci trascende, nel senso che non può essere conosciuto né identificato" su questo piano di esistenza fenomenica, né può essere compreso concettualmente.
D'altra parte si può ipotizzare che, in fondo, l'atman in qualche modo negato dal Buddha, anche se mai in maniera veramente decisa, sia lo stesso atman negato da Shamkara; quello cioè ritenuto come possesso individuale, o quanto meno quello concettualizzato dalla mente ordinaria, che non è capace di riconoscere l'Atman Vedantico, o Realtà Assoluta, come realmente è, inconoscibile fino a che non si arrivi alla sua completa Realizzazione attraverso l’intuizione profonda e superconscia (Prajna) nel completo silenzio interiore. Alla luce di tutto ciò, Buddhismo e Vedanta-Advaita si propongono come sentieri indispensabili per l'abbandono di questo stato di sofferenza, facendo spalancare la mente alla comprensione intuitiva con mezzi eccellenti che vanno dalla purificazione dei fattori mentali individuali disturbanti fino alla apertura mentale verso la Verità Assoluta, attraverso il superamento delle errate percezioni sensoriali.
Naturalmente la pratica di questi Sentieri non dà garanzia al praticante di ottenere immediatamente l'effetto proposto. Infatti l'ottenimento degli effetti (cioè la liberazione immediata dai samskara, o tendenze innate) è commisurato alle capacità intuitive dello stato mentale del praticante; per cui non è infrequente il caso che, per alcuni discepoli dell'uno o dell'altro sentiero, la non perfetta comprensione degli insegnamenti porti ad uno stato di stallo psicologico o, peggio, di un totale travisamento, con emersione di turbe psichiche che, in alcuni casi, sarebbe opportuno correggere e raddrizzare con trattamenti psico-analitici, in quanto la capacità intuitiva superconscia (Prajna) non è ancora una precipua caratteristica della mente di questi discepoli.
Quindi, al di là dei punti in contrasto e di alcune apparenti dicotomie, c'è da sottolineare, per entrambe le dottrine, l'importanza data allo sviluppo della consapevolezza e dell'autocoscienza, improrogabili passaggi di tutto il movimento ascendente che permettono all'uomo, attraverso l'incessante lavoro all'interno di se stesso, di raggiungere la mèta indicatagli dai due grandi saggi Shakyamuni Buddha e Shamkaraçarya, fondatori e guide delle due filosofie, i quali per le loro caratteristiche spirituali possono essere accomunati nella vera espressione della Realtà Assoluta del Nirvana e del Brahman.
di Alberto Mengoni
(Pubblicato su ‘PARAMITA’ n. 39 – luglio 1991)
"Buddhismo e Advaita Vedanta non sono propriamente religioni ma scuole di vita" questo è il titolo dell'articolo.E' vero.Sia il Buddhismo che l'Advaita Vedanta fanno parte dei sistemi filosofici dell'India. L'Advaita Vedanta fa parte della scuola di filosofia chiamata Vedanta. Il Vedanta insieme al Nyaya, al Samkya,al Mimamsa,allo Yoga e al Vaiseika sono le sei scuole di filosofia o di pensiero della filosofia Induista e sono chiamate anche Astika e sono le sei Darshana induiste. Sono le sei scuole Ortodosse perché riconoscono l'autorità e gli insegnamenti dei Veda. il Buddhismo insieme a Jainismo e Charvaka non credono all'autorità dei Veda.Da precisare che Mimamsa e Vedanta sono particolarmente legati ai Veda,mentre Yoga,Vaisesika,Samkya e Nyaya pur essendo inseriti nella tradizione Vedica sono però portate ad affrontare i testi vedici con più razionalità e logica,nello stesso Yoga molte scuole differenziano tra loro in vari punti.
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