Collage di Vincenzo Toccaceli
Parlare di tarocchi oggi significa far correre il pensiero e la fantasia subito verso un gioco truffaldino in cui, secondo le credenze popolari, e i luoghi comuni, sono specialisti zingari e ciarlatani: fumo negli occhi per abbindolare gli ingenui che desiderano conoscere così il proprio futuro.
Più recentemente, in concomitanza con il revival della magia, sono apparse opere che tentavano di inquadrare storicamente questo famoso gioco. Ovviamente si tentava di recuperarlo ed valorizzarlo, ma soltanto da un punto di vista che coincidesse con la logica del pensiero, il quale non va oltre a quanto è misurabile, quantificabile, dimenticando così la terza prospettiva della storia, cioè quella verticale, che indaga e si proietta oltre le apparenze. In definitiva la più profonda.
Così per citare fra i tanti libri che parlano dei tarocchi l’opera del francese Wirth scritta nel 1924. Vissuto tra le seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, Oswald Wirth studiò da vicino il pensiero di Eliphans Lèvi, ebbe contatti con l’ eretico Boullan, fu segretario di Stanislas de Guaita, fu testimone della famosa guerra dei maghi, e si affiliò a tutte le più importanti società segrete del tempo.
In poche parole, la sua vita si intreccia nello stesso ambiente culturale e nei tempi che videro la rinascita del pensiero magico, dagli scritti teorici e divulgativi di Lèvi, sino ad arrivare al grande influsso che esso ebbe negli anni precedenti la seconda guerra mondiale.
La presenza di Wirth, inoltre non fu quella di uno spettatore ma bensì al suo nome sono legate ancora oggi opere, una per tutte quella dove si sforzò di comprendere i significati dell’Arte Regia, o Alchimia. Wirth era consapevole del valore universale simbolo, e riteneva che l’ insegnamento delle varie scuole esoteriche potesse essere portato ad una matrice comune, mediante l’ utilizzo di una simbologia il più possibile generica, derivante direttamente dai concetti del pensiero magico.
C’ è qualcosa d’incredibilmente affascinante nei tarocchi, grazie ad essi si aprono strane immagini su un mondo nel quale le cose non sono mai quelle che sembrano un paesaggio del medievale illuminato dalla carta del sole, e popolato poi da figure che intorno ad esso si muovono come fossero giocattoli.
Il matto, con il suo berretto a sonagli, l’imperatore o l’imperatrice seguiti da un cavallo scintillante e così via,se si potesse comprendere pienamente queste figure, si saprebbe il meccanismo segreto dell’Universo, il ritmo della danza della vita. Il fatto che un gioco venga utilizzato a scopi divinatori,è quasi una contraddizione.
Ogni gioco, infatti e soprattutto di carte ha una caratteristica: una serie di certezze ed elementi costanti al quale non si può aggiungere, o togliere nulla, che non è possibile modificare. Ma nel tarocchi, a questo infinito, deve corrispondere un altro infinito, sul quale l’indovino base il suo oracolo, i riflessi che passano nella sfera di cristallo, il fumo dell’incenso, i disegni formati dai fondi del caffè. In tutti questi casi nulla si ripete, nulla è identico a se stesso, esattamente come nella vita, i cui si ripetono gli stessi avvenimenti, le stesse fortune, mai uguali le une alle altre.
L’originalità, è quindi il vantaggio come il paradosso di questo curioso gioco di carte legato alla divinazione.
Rita De Angelis.
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