Le belle Befane e l'Epifania della Natura...



Conosciamo tutti il significato che la religione cristiana ha dato alla festività dell’Epifania, ma forse non tutti sappiamo che dietro la storpiatura che ha trasformato il termine Epifania in “Befana”, c’è una serie di tradizioni antiche che sono riuscite, faticosamente, a sfidare i millenni ed a giungere fino a noi.

L’origine della Befana è nel mondo agricolo e pastorale. Anticamente, infatti, la dodicesima notte dopo il solstizio invernale, si celebrava la morte e la rinascita della natura, attraverso la figura di Madre Natura. In questa notte Madre Natura, stanca per aver donato tutte le sue energie durante l’anno, appariva sotto forma di una vecchia e benevola strega, che volava per i cieli con una scopa. Oramai secca, Madre Natura era pronta ad essere bruciata come un ramo, per far sì che potesse rinascere dalle ceneri come giovinetta Natura, una luna nuova.

Per meglio capire questa figura dobbiamo andare fino al periodo dell’antica Roma. Già gli antichi Romani celebravano l’inizio d’anno con feste in onore al dio Giano (e di qui il nome Januarius al primo mese dell’anno) e alla dea Strenia (e di qui la parola strenna come sinonimo di regalo). Queste feste erano chiamate Sigillaria; ci si scambiavano auguri e doni in forma di statuette d’argilla, o di bronzo e perfino d’oro e d’argento. Queste statuette erano dette “sigilla”, dal latino “sigillum”, diminutivo di “signum”, statua. Le Sigillaria erano attese soprattutto dai bambini che ricevevano in dono i loro sigilla (di solito di pasta dolce) in forma di bamboline e animaletti. Questa tradizione di doni e auguri si radicò così profondamente nella gente, che la Chiesa dovette tollerarla e adattarla alla sua dottrina.

In molte regioni italiane per l’Epifania si preparano torte a base di miele, proprio come facevano gli antichi Romani con la loro focaccia votiva dedicata a Giano nei primi giorni dell’anno
Giano Bifronte.

Usanza antichissima e caratteristica è l’accensione del ceppo, grosso tronco che dovrà bruciare per dodici notti. E’ una tradizione risalente a forme di culto pagano di origine nordica: essa sopravvive l’antico rito del fuoco del solstizio d’inverno, con il quale si invocavano la luce e il calore del sole, e si propiziava la fertilità dei campi. E non è un caso se il carbone che rimane dopo la lenta combustione, che verrà utilizzato l’anno successivo per accendere il nuovo fuoco, è proprio tra i doni che la Befana distribuisce (trasformato chissà perché in un simbolo punitivo).

La tradizione è ancora conservata in alcune regioni d’Italia, con diverse varianti: a Genova viene acceso in alcune piazze, e l’usanza vuole che tutti vadano a prendere un tizzone di brace per il loro camino; in Puglia il ceppo viene circondato da 12 pezzi di legno diversi.

In molte famiglie, il ceppo, acceso la sera la sera della Vigilia, deve ardere per tutta la notte, e al mattino le ceneri vengono sparse sui campi per garantirsi buoni raccolti.

In epoca medioevale si dà molta importanza al periodo compreso tra il Natale e il 6 gennaio, un periodo di dodici notti dove la notte dell’Epifania è anche chiamata la “Dodicesima notte”. È un periodo molto delicato e critico per il calendario popolare, è il periodo che viene subito dopo la seminagione; è un periodo, quindi, pieno di speranze e di aspettative per il raccolto futuro, da cui dipende la sopravvivenza nel nuovo anno. In quelle dodici notti il popolo contadino credeva di vedere volare sopra i campi appena seminati Diana con un gruppo più o meno numeroso di donne, per rendere appunto fertili le campagne.


Nell’antica Roma Diana era non solo la Dea della Luna, ma anche la dea della fertilità e nelle credenze popolari del Medioevo Diana, nonostante la cristianizzazione, continuava ad essere venerata come tale. All’inizio Diana e queste figure femminili non avevano nulla di maligno, ma la Chiesa cristiana le condannò in quanto pagane e per rendere più credibile e più temuta questa condanna le dichiarò figlie di Satana! Diana, da buona dea della fecondità diventa così una divinità infernale, che con le sue cavalcate notturne alla testa delle anime di molte donne stimola la fantasia dei popoli contadini. Diana, Dea della Caccia, della Luna, delle partorienti.

La Befana è spesso ritratta con la Luna sullo sfondo. Di qui nascono i racconti di vere e proprie streghe, dei loro voli e convegni a cavallo tra il vecchio e il nuovo anno. Nasce anche da qui la tradizione diffusa in tutta Europa che il tempo tra Natale ed Epifania sia da ritenersi propizio alle streghe. E così presso i tedeschi del nord Diana diventa Frau Holle mentre nella Germania del sud, diventa Frau Berchta. Entrambe queste “Signore” portano in sé il bene e il male: sono gentili, benevole, sono le dee della vegetazione e della fertilità, le protettrici delle filatrici, ma nello stesso tempo si dimostrano cattive e spietate contro chi fa del male o è prepotente e violento. Si spostano volando o su una scopa o su un carro, seguite dalle “signore della notte”, le maghe e le streghe e le anime dei non battezzati.

La Festa della Dodicesima Notte ispirò tra gli altri William Shakespeare che scrisse la omonima commedia che ebbe la prima rappresentazione il 6 Gennaio del 1601 al Globe Theatre di Londra. Daniel Maclise: La Dodicesima Notte, Malvolio e la Contessa. Strenia, Diana, Holle, Berchta,… da tutto questo complesso stregonesco, ecco che finalmente prende il volo sulla sua scopa una strega di buon cuore: la Befana. Valicate le Alpi, la Diana-Berchta presso gli italiani muta il suo nome e diventa la benefica Vecchia del 6 gennaio, la Befana, rappresentata come una strega a cavallo della scopa, che, volando nella dodicesima notte, lascia ai bambini dolci o carbone. Come Frau Holle e Frau Berchta, la Befana è spesso raffigurata con la rocca in mano e come loro protegge e aiuta le filatrici.

Nella Befana si fondono tutti gli elementi della vecchia tradizione: la generosità della dea Strenia e lo spirito delle feste dell’antica Roma; i concetti di fertilità e fecondità della mite Diana; il truce aspetto esteriore avuto in eredità da certe streghe da tregenda (spostamento); una punta di crudeltà ereditata da Frau Berchta. Ancora oggi un po’ ovunque per l’Italia si eseguono diversi riti purificatori simili a quelli del Carnevale, in cui si scaccia il maligno dai campi grazie a pentoloni che fanno gran chiasso: il 6 gennaio si accendono i falò, e, come una vera strega, anche la Befana viene qualche volta bruciata…

Ed ora una memoria aggiunta: “Frau Holle e le sue compagne…” Ecco le Belle che mi piacerebbe incontrare la dodicesima notte….


Quando  negli anni '70 del secolo scorso mi trasferii  a Calcata, decisi di festeggiare l’ Epifania come una sorta di viaggio iniziatico di ritorno alle origini naturali ed alla comunione con le forze primordiali della vita.

Invece di immaginare una vecchiaccia che scende dal camino a portare carbonella e fuliggine, pensai ad una “sfilata delle befane,  belle e sane"!  Una processione di donne in costume, tutte bellissime, sia pur mascherate e vestite di stracci per non farsi riconoscere dal volgo ignorante. Queste belle donne scendevano dal piano del paese nuovo sino al vallone del paese vecchio, dove anticamente c’era la tradizione del Sabbat, e qui in un orgiastico raduno offrivano i loro doni ai maschietti, anziani o bambini che fossero. Poi una delle Befane, la più bella e dolce, veniva scelta dal popolo ed era incoronata “Regina delle Befane”.

Conservo ancora delle immagini fotografiche di questa festa, che di religioso nel senso cristiano del termine aveva ben poco, alcune befane giungevano in calesse, altre seguivano a piedi ancheggiando.

Ma le cose belle durano sempre poco e questa consuetudine della processione delle belle Befane rivisse solo per alcuni anni e poi ritornò nel limbo dei ricordi ancestrali. Tentai di trasferire questo evento a Treia, dove ora risiedo, ma per varie ragioni la cosa non maturò.  Così  continuai a festeggiare il 6 gennaio soltanto con la ormai tradizionale "Epifania della Natura", in cui si offrono doni agli animali selvatici. Anche questa è una celebrazione inziata  nella valle del Treja e continuata a Treia, dove dal 2010 mi sono trasferito.

Quest'anno il rito della  distribuzione dei doni alimentari agli animali selvatici   non potrà svolgersi in forma pubblica, a causa delle limitazioni sanitarie anti-covid in vigore.  Però non mancherò -in solitario-  di passeggiare sotto le rupi del borgo di Treia, distribuendo briciole di pan secco agli uccellini ed agli altri animali presenti... Ed invito tutti i lettori a fare altrettanto, nei luoghi in cui vivono. Basta fare una passeggiata in campagna   sparpagliando qui è lì  un po' di  avanzi alimentari, i selvatici provvederanno da sé a rintracciarli ed a farne festa.  

Paolo D’Arpini



La mappa dei Chakra secondo Osho

 

"CHAKRA:  LA MAPPA NON È LA STRADA"


Quella dei "chakra" è solo una mappa utile, né giusta né sbagliata.   Per esempio, se qualcuno ti mostra una mappa dell’India, sai che non è l’India, comunque può essere usata per trovare l’India. Ed esistono mappe arbitrarie per aiutare le persone a cercare la loro essenza più profonda. 

Molte mappe sono state usate nel corso dei secoli. Non sono dei fatti, sono solo utili. Ad esempio, dividiamo lo spazio in direzioni: Sud, Est, Ovest e Nord; ma dov’è l’Est? Vai a cercare l’Est e non lo troverai mai. Ovunque andrai ti diranno: “L’Est è da quella parte, vai ancora avanti”. E se continui ad andare avanti – il mondo è rotondo – un giorno, dopo tanto cercare, raggiungi la Danimarca e dici: “Ma questo è l’occidente, l’Ovest”. Ma è utile. Diciamo su e giù, ma non c’è né su né giù.

Esattamente allo stesso modo esistono delle mappe interiori. 

Sono state disegnate molte mappe e sono tutte diverse. Ci sono alcune mappe che parlano di sei chakra, ce ne sono alcune che parlano di nove. Chi ha ragione? Sono solo divisioni arbitrarie. 

Puoi fare nove partizioni dall’energia sessuale al samadhi. Puoi fare nove partizioni, puoi farne sei, puoi farne cinque, puoi farne quattro; è tutto arbitrario. Puoi farne sessanta, o settanta, ma una cosa è certa: che l’energia sessuale è al punto più basso e il samadhi al più alto. Quando dico più alto e più basso, ricorda, anche questo è a fini utilitari, come su e giù. Se sei a testa in giù, la tua energia sessuale sta su e il tuo samadhi sta giù!

Ma c’è uno spazio tra questi due punti che è reale, vero, e quello spazio va attraversato. Si può disegnare una mappa su come coprire quello spazio, su come raggiungere il punto in cui dovremmo essere – il punto a cui siamo destinati – dal punto in cui ci troviamo. 

Se disegni la mappa del mondo non ci troverai Pune, ma questo non significa che Pune non esista. La mappa del mondo è una mappa in grande scala: ci troverai New Delhi, ci troverai Bombay, ma Pune non ci sarà. Se fai una mappa dell’India invece Pune ci sarà, ma Koregaon Park (la strada dove sorge l’Osho International Meditation Resort, N.d.R.) invece no. Ma non significa che non esista. Se fai una mappa di Pune ci sarà anche Koregaon Park.

Ci sono stati diversi tipi di disegnatori di mappe. Questi chakra sono semplicemente indicatori che le cose possono muoversi in una certa direzione. Ci sono molte religioni che non hanno mai parlato di cha­kra; il cristianesimo non sa nulla dei chakra, ma ciò non significa che non abbia raggiunto il samadhi. Puoi percorrere una strada senza guardare la segnaletica, non ce n’è alcun bisogno, in realtà.

Sono tutte mappe, arbitrarie ma utili, quindi non dire che non hanno senso, ma neanche che sono grandi verità; non sono né l’uno né l’altro. Non sono né vere né false, ma certamente possono essere d’aiuto, perché di un qualche tipo d’aiuto c’è bisogno. 

Ci sono molti linguaggi e la realtà non si lascia confinare da nessuno di essi, non si lascia definire; la realtà resta indefinibile.

Se riesci a ricordare questo, a proposito delle religioni, arrivi a grandi comprensioni e non cominci a discutere. Prendere delle parti è stupido.

È stupido chi dice: “Questa è la verità: ci sono sette chakra, non otto e nemmeno sei”. Pensa che la mappa sia il territorio, pensa che la parola sia l’oggetto. E qualcun altro sarà di un parere esattamente opposto. Inizierà a discutere e a dire: “Tutto ciò non ha senso: questi chakra non esistono”. Anche lui è stupido, tutti e due sono stupidi. 

Il saggio sorriderà semplicemente. 

Quindi se insegni yoga puoi usare le mappe dello yoga. È quello che faccio anche io: se parlo dello yoga, uso termini yoga; se parlo dei sufi, uso le parole dei sufi; se parlo dello zen devo usare la sua terminologia. Sono linguaggi evoluti. Sono stati usati nel corso dei secoli e sono diventati molto raffinati. Sono molto utili, ma non c’è niente di vero in un linguaggio. È solo un mezzo, uno strumento. I saggi lo usano e ne traggono dei benefici, gli stupidi si lasciano usare e ne traggono un danno.

 

Tratto da: Osho, The Sun Behind The Sun Behind The Sun #11

 

  Osho Times n. 271

L'attenzione scorge la realtà...

 

Immagine di Giancarla Pancera


A secondo di dove si posa l'attenzione sorge la realtà corrispondente. Scoprirlo è un passo evolutivo. Quando qualcuno sa come pilotare la nostra, non scopriremo mai come fa l'illusionista a tirar fuori conigli dal cilindro.


C’è una vignetta che dice: “Non c’è nessun pericolo. Le macerie sostengono la facciata”. In pratica significa che, nonostante tutto stia crollando, qualcuno non se ne accorge.



Primo argomento

Distratti da qualche sirena è facile inciampare: è esperienza comune. Nel nostro caso ci sono due argomenti – che poi convergono e si rafforzano – a sostegno del diritto d’errore.

Il primo dei due è il punto di attenzione.

Dov’è posto? Dove risiede? Cosa punta? Da chi o cosa è rapito? Cosa lo contiene?

Ecco, se ognuno sapesse dove si trova, a cosa è vincolata la nostra attenzione vedrebbe anche come questa, sia collegata al guinzaglio che ci limita i movimenti, prioritariamente intesi come creatività o come libertà di pensiero e di sentimento. È un’osservazione, una presa di coscienza, che possiamo realizzare per riconoscere quanto sia, più che semplice, banale. Tuttavia è generalmente poco adottata. Effettivamente non è gratuita, richiede dedizione.

Per toccare il suo segreto ci vorrebbe poco. Basterebbe che a scuola o a casa se ne sperimentasse la verità. Immediatamente aggiorneremmo lo sguardo sul mondo. Vedremmo che non è come descritto dai sussidiari, né corrisponde a quanto ci dicono gli esperti. Vedremmo che lui, il mondo, è sempre determinato dal nostro punto di attenzione. Che quello descritto dalle consuetudini è una sorta di zoo spacciato per savana.

Basterebbe”, tanto per dire. Se avessimo maestre e genitori consapevoli del punto di attenzione del suo significato per l’equilibrio e la centratura dei bambini, ovvero delle future persone, non saremmo a parlare del suo banale segreto.


Esso non è relativo a ciò che facciamo ma allo spirito che domina il fare. Spesso è occulto a noi stessi e, sostanza, è la vera motivazione delle nostre scelte.

Questo, come tutti i segreti, per quanto elementare si riveli a presa di coscienza compiuta, è opportuno rimanga tale, occultato tra le pieghe del tabarro del mago. Non c’è infatti sufficiente saggezza a disposizione per renderla sociale, realmente formatrice di persone compiute? Evidentemente è meglio tenerci alla larga. È meglio distrarci, mettere in campo diversivi che ci portino a guardare altrove. E non servono nomi e cognomi per riscontrare l’ipotesi. Basta osservare gli uomini, il loro comportamento vincolato al punto di attenzione fisso sull’importanza personale, sull’invidia, sull’orgoglio, sul potere, sul culto di sé. Salvo quello della madre, quale ego opera per amore incondizionato, per la crescita del prossimo?


Ricchi della consapevolezza del punto di attenzione, osservando il mondo, se stessi, le relazioni, le scelte, le reazioni e così via, indurremmo un cambio di registro dell’intera cultura. Cambierebbe tutto, tra cui la concezione dei consumi. Ciò che prima era vissuto come un bene, un valore, un diritto, poi, diviene chiaramente una dipendenza e un’assuefazione, con tanto di bugiardino che ne elenca le controindicazioni: Socialmente, un controllo; Nazionalmente, una mutamento di identità; psicologicamente, un’alienazione da sé; culturalmente, una perdita dei saperi legati al territorio e alla vicenda umana; evolutivamente, un’ulteriore castrazione; eticamente, una devozione ai valori posticci ed egoici; spiritualmente, una mortificazione della conoscenza.


Succede quindi che il punto di attenzione possa, non solo vincolarci alla giostra delle consuetudini, ma farcela vivere come verità. Se non t’indebiti e non sgomiti per guadagnare, non consumi. Almeno come il vicino. Almeno per chetare l’invidia verso il diretto interlocutore; per cercare di non perdere autostima e benefit.


Secondo argomento

Dunque, la questione numero uno è il punto di attenzione.

La due, riguarda la magia. Non quella vera di Ermete Trismegistus, di Eliphas Levi, Paracelso, Cristo e Buddha, ma quella spettacolare di Silvan, del Mago Forest e del suo amico Oronzo.

Anche mettendosi d’impegno non si capisce come il coniglio possa uscire dal cilindro, l’uovo dall’orecchio e la valletta sia mezza di qua e mezza di là.

È necessario riprendere il concetto del punto di attenzione. Sappiamo che un mago è un buon mago se il suo fare porta la nostra attenzione dove utile, affinché la sua magia possa sorprenderci.

Viceversa, consapevoli dei requisiti affinché la sorpresa possa accadere, di come questa implichi che qualcosa ci ha portato a guardare dove utile alla sua insorgenza, disponiamo di una carta in più nel repertorio delle nostre azioni.

Una carta a doppio servizio. Il disegno della figura ha la forma del diversivo. Al contrario del jolly che ha valore sostitutivo, il diversivo ha potere fuorviante. Messa in campo, attira e sposta l’attenzione dei giocatori-interlocutori. Si accomoda in tutti mazzi, è disponibile per tutti i giochi, si presta a tutti i tipi di relazione. Inclusa quella con se stessi. Nessun regolamento le riduce il valore potenziale. Lo può fare solo chi l’ha in mano. Come anche può esaltarlo. Ma non basta. Esso, il valore potenziale, dipende molto da noi che una volta messa in campo ne vediamo o meno, il significato, l’intento.


Essere in grado di vedere con precisione dove si trovi il proprio punto di attenzione, implica svestire la cosiddetta realtà dalle sue innumerevoli vesti e maschere. L’alto costo energetico risparmiato, permette nuotare controcorrente e arrivare alla sorgente degli archetipi e dei simboli. Permette di trovarsi. Di disintossicarsi. Di individuare la nostra natura, sola bussola in grado non subire le declinazioni magnetiche delle forme, delle chimere, delle ideologie, delle morali, dell’interesse personale. La sola che può svelarci la nostra direzione autentica. Che può mettere in evidenza quanta energia sprechiamo per lottare dentro il quadrato dell’Io. Ovvero, quanta creatività, cioè vita, ci sottrae. Non è tutto. Permette quindi di gestire noi stessi. Di condurci all’equilibrio e di offrirne esempio.


Gli interessati all’argomento ritengono l’emancipazione nei confronti del punto di attenzione un momento dell’evoluzione personale. Se il mondo ci appare in funzione di dove questo si posi, a trucchetto svelato ci si risparmia molta pena, molta vita non vissuta se non nella miseria spirituale. Viceversa, perderne il controllo o non averlo mai avuto, significa essere in balia dei nostri stessi sentimenti, delle nostre cieche reazioni.


La convergenza

Ecco, i sentimenti e le sue complici, le emozioni. È qui che avviene la convergenza di tutte le forze. Al loro interno si trovano i meccanismi di comando del punto di attenzione. Vederlo, riconoscere le ragioni dei suoi spostamenti, consapevolezza dopo consapevolezza, è il servigio che possiamo renderci e rendere.


Sapere cosa significhi punto di attenzione, è coltivare le doti del mago che c’è in noi. Lo fa la mamma per controllare il proprio piccolo. Le basta mettere in campo un argomento che ne tocchi la sensibilità. La madre buona lo fa per gestire gli interessi del bimbo, la cattiva per gestire i propri. Ma, consapevolezza permettendo, lo facciamo tutti quando il nostro scopo lo chiede. L’alternativa, è l’inconsapevolezza di come si sposti il punto di attenzione è inaccettabile. In quel caso, non ci saranno difficoltà a restare legati a un guinzaglio di cui non conosciamo il padrone, fossimo anche noi stessi.


Tutti siamo stati noria da qualcuno o da qualcosa. Solo poi, e solo a volte, ce ne siamo resi conto. Che fesso! Ci diciamo. Come ho fatto a crederci, a non accorgermi?

Può accadere tanto per il bene quanto per il male. In quelle occasioni, facilmente siamo autoindulgenti. Non ci sentiamo i responsabili del raggiro. Tendiamo a dare la responsabilità a qualcuno purché non sia noi stessi. È un ovvio epilogo emozionale e sentimentale della vicenda. Un evento dispiegato entro una delle innumerevoli scenografie di una realtà scaturita dalla sovranità di un incontrollato punto di attenzione.


Perché accennare alla responsabilità? Che c’entra con il punto di attenzione? Attribuire responsabilità tende a non risolvere i problemi che ci coinvolgono, che ci riducono la qualità della vita. Di qualunque stirpe si tratti, essi sono scaturiti con noi e in noi. Non avvedersene tende a mantenerli, ad alimentarli, a crearne di nuovi. Viceversa, assumersene la responsabilità, è la sola modalità per fare chiarezza. Per alzare il rischio di imparare dall’errore, per riconoscere le nostre vulnerabilità. Per scoprire a cosa il punto d’attenzione si era agganciato, cos’ fortemente da sganciarci da noi stessi. La regia di noi stessi è nostra, senza interruzione id continuità, è opportuno arrivare a riconoscerlo. È una via per scoprire chi siamo, per accorgerci chi credevamo di essere.


Scoprire dove il mago spinge il nostro punto di attenzione è utile senza essere utilitaristico. Serve a noi e a chi ci è vicino. Può cambiare il mondo o far vedere come qualcun altro ce lo stia cambiando sotto il naso. Se così non fosse – uno per tutti – perché crediamo che la disoccupazione possa ridursi, e così il debito pubblico? Perché pensiamo che il vaccino sia una manna? Perché accettiamo di essere via via più controllati pensando sia giusto? Perché non ci avvediamo che con una politica economica fondata sulla depredazione di Uomini e Terra tutte le ecologie circolari, gli impatti zero, e quelli sostenibili sono fuffa negli occhi? E perché, al gioco delle tre carte, non vediamo mai dove va a finire l’Asso?

Qui ce n’è uno: https://www.youtube.com/watch?v=IrauF74kGv0

E qui un altro: https://www.youtube.com/watch?v=wfizYqldjhA

Lorenzo Merlo



*Punto di attenzione è preso dal gergo impiegato da Marco Baston in La soglia dell’energia



Un viaggio esoterico nella "natura naturans"



Un colpo di vento mi porta ai 5337 Km. percorsi attraverso la penisola balcanica, come un filo elettrico, attraverso un luminoso caleidoscopio di paesaggi, tradizioni e contraddizioni senza fine… l’estate scorsa, al puntuale presentarsi del periodo delle ferie. Una risalita, a partire da quei lidi della Grecia, attraversati dalle sorgenti dell’Acheronte e da quell’isola infilata in un oceano di perlacea bellezza, dedicata alla ninfa Leucade, che è via via andata arricchendosi di colori, sensazioni e sorprese inaspettate, a partire dalla costa epirotica di quella terra d’Albania che, accanto all’ipertrofica confusione di uno sviluppo urbano spesso incontrollato, spesso nasconde squarci di inaudita bellezza. Coste contornate da mari perlacei ed improvvise risalite su passi di montagna ad altitudini alpine, da cui ammirare un panorama mozzafiato di isole e costiere. Città turche, come Berat, adagiate sui costoni di due montagne, da cui partire per visitare la versione illirica del monte Olimpo, attraverso un panorama riarso dal sole, sino a giungere alla fine della strada, alla presenza dell’immensità di un canyon, di una fenditura della crosta terrestre, probabilmente seconda solo a quella strapubblicizzata in Colorado, Usa. 

Oppure dopo una sfibrante gita da Saranda sulla costa meridionale, alla città storica di Argirocastro/Gjrokaster, tra monti impervi, solcati da stradacce e tornanti senza fine, fermarsi nella fresca radura delle sorgenti dell’Occhio Blu, infilate nel cuore delle montagne di un parco nazionale, e gettarsi tra i dieci gradi di gelide acque sorgive, quasi a voler rinnovare istintivamente il rito senza tempo di una “lustratio” a cui tutti i pellegrini ed i viaggiatori dovrebbero sottoporsi al termine di un percorso che non solo fisico è, ma anche, e specialmente ideale, connettendo l’anima a quell’ “idèin/vedere” che, di essa è il momento principiale…oppure dopo aver visitato i resti della ellenistica Butrint/Butrothos, andarsi a gettare nelle acque di una qualsivoglia assolata e semideserta spiaggia ionia. 

O visitare la greco-romana Apollonia e recarsi alla scoperta dei semideserti litorali a nord della confusionaria Valona. Parlare con la direttrice del rinnovato museo archeologico di Durres per poi scoprire che, la costa epirotica tutta, fu colonizzata da greci provenienti da Kerkyra/Corfù, isola cara agli Dei e, pertanto, tutta fu dedicata a Diana/Artemide, Dea della caccia e della natura ferina, lì a testimoniare che, a dispetto del brullo aspetto odierno, una volta le terre d’Albania erano ricoperte tutte da verdi foreste di querce, cipressi, faggi e pini, rifugio di fiere ma anche di ninfe e driadi…

Percorrere impossibili strade deserte attorno a laghi di montagna, lontani da tutto, eppure a due passi da città confuse come Scutari, le cui vestigia venete fanno bella mostra di sé nel centro città, accanto a moschee ed edifici cadenti. Scoprire la presenza veneta nelle città montenegrine di Cotor/Cattaro ed Herceg Novi, magari incastonata tra moschee e bastioni, come in Bar. Percorrere laghi oceanici, come quello di Scutari, aridi ed immoti, immersi in foschie senza tempo e d’improvviso ritrovarsi davanti agli occhi scorci di paludi e foreste senza fine…Allontanarsi dalla confusione delle città costiere, per respirare la quiete mistica in monasteri come quello di Ostrog, incastonato tra le rocce, a precipizio di una ripida montagna…

E poi tuffarsi nel verde della costiera dalmata, tra penisole ricoperte di pini e cipressi, contornate da isole senza fine, qua e là puntellate di chiesette e minuscoli borghi dalla caratteristica matrice architettonica veneta e da cui, ogni tanto, sbucano resti e vestigia romane. E poi quella disarmante gentilezza, quel senso dell’ospitalità, tutte balcaniche che, in Albania, proprio non ti saresti aspettato, ma che, senza eccezioni, accomunano tutte le lande da me percorse, Grecia, Albania, Montenegro e la Croazia stessa…

Ospitalità, cortesia, sorrisi, ma tante, troppe, significative contraddizioni che stonano significativamente. Arrivi nella povera Albania, tra strade scassate o altre in costruzione, edifici fatiscenti, redditi minimi da 250 euro al mese in su…ma un parco macchine da far paura anche ai nostrani italioti, tanto amanti delle quattro ruote. Miseria e povertà a profusione, ma tanti abiti firmati, griffe e tanti bei cellulari di ultima generazione… discoteche sul mare, con la musica sparata a tutta birra, neanche fossimo a Ibiza. 

Tra una tappa e l’altra, qualcuno sommessamente mi racconta di strutture sanitarie assolutamente insufficienti e mal funzionanti e di una endemica corruzione che, pare, stia rallentando la costruzione di strade e compagnia bella…Stessa solfa in Montenegro: anche se, rispetto all’Albania, ti sembra di stare in Svizzera, quanto a servizi, qualità dei cibi nei supermercati, etc., di strade kaputt e storie del genere se ne sentono a bizzeffe. Concludo il mio percorso in Croazia, prima a Ragusa/Dubrovnik e poi, infine, a Spalato, gironzolando per il Palazzo di Diocleziano. 

Mi ero precedentemente recato, alcuni anni fa, in queste città, e ben ricordavo le folle di turisti, ma quanto ho adesso veduto, ha stavolta superato ogni limite. Orde di giovinastri yankee vocianti e cafoni, hanno invaso la bella città; uno stuolo di ciccione sguaiate ed ubriache, coppiette di maschietti barbuti mano nella mano…arroganza, invadenza, totale mancanza di rispetto per la meravigliosa storia di Spalato. Il tutto con il condimento finale della squallida esibizione musicale di un guitto che, nello spiazzale antistante al Tempio di Giove ed alla Ecclesia Maior (edificata su un altro tempio pagano, sic!), con tanto di chitarra elettrica, intona un nauseabondo “Hey Jew” , ad memoriam dei Beatles, che li’, in quel contesto, proprio non “c’azzecca” nulla. La melodia (si fa per dire) del guitto è accompagnata da uno sguaiato coretto di turisti e turiste yankee, sbragati alla ben’e meglio tra le vetuste rovine di Spalato. Disgustato da quello spettacolo, mi allontano tra i vicoli della città, in cerca di un po’ di silenzio e nel mentre vengo colto da una visione che, di quell’intero scenario, rappresenta la classica ciliegia sulla torta. 

Mentre cammino assorto nei miei pensieri tra quegli stretti vicoli, il mio occhio cade in un negozio di non so cosa; spalle al muro, assise allo stesso tavolo, due splendidi esemplari di giovani femmine croate. L’etera bellezza di volti freschi dalla pelle tirata, condita da un’espressione immota, catatonica, rivolta verso il nulla…quel nulla che oggi si chiama cellulare, smartphone…

Come per un perverso sortilegio le due giovanette stanno lì a contemplare il nulla in tutta la sua magnitudo…per loro il mondo, la gente, in ragazzi, i sorrisi, gli ammiccamenti, la voglia di uscire, conoscere, curiosare, amare, il mondo, non esistono più…per loro è tutto un “emoticon”, dietro a cui sta solo un arido ed inanimato groviglio di fili e relais. Improvvisamente colto da un senso di fastidio e rabbia, torno a ripercorrere con la memoria, alcuni momenti della mia vita. E come per incanto, mi ritrovo proiettato in una via di Roma negli anni ’70, tra l’aspro fumo dei lacrimogeni e la voce roca a forza di urlare slogan, ma felice ed esaltato dagli scontri e dai cazzotti dati e presi con i compagni… mi ritrovo ancora una volta, zaino in spalla a viaggiare giovane ventenne con il treno attraverso quell’Europa, piena di splendide e sorridenti fanciulle straniere desiderose di fare quattro chiacchiere con un giovane di altre contrade…o a conversare tra sacchi di sabbia e strade deserte, al suono di colpi di cannone, con i giovani croati della “Garda” e della “Hos”, durante la terribile guerra balcanica dei primi anni ’90. 

Tutto crudamente e magnificamente vero, reale, animato dalla voglia di vivere, amare, morire che tutti quegli anni mi hanno sbattuto dinnanzi agli occhi, come in un film vissuto in prima persona. Mi risveglio, giro i tacchi e, mentre lascio le mie catatoniche marionette a svuotarsi le sinapsi in aridi giochi virtuali, mi dirigo verso il Tempio di Giove, di cui, sino a quel momento non ero riuscito a ritrovare, dopo anni, l’ubicazione. Il Tempio è piccolo e ben curato; a guardia del suo ingresso un omino a chiedere un balzello d’ingresso. Quale giornalista potrei entrar gratis ma, preferisco versare volontariamente quel “piaculum” quale dedica a Jupiter/Giove/Zeus/Nous, una volta Mente di quel Tutto, ora svuotato di qualsiasi contenuto, che non siano boutiques e cellulari…l’ambiente piccolo, sormontato da una statua assolutamente non pertinente e, addirittura, riempito di blocchi di muro pieni di glifi di età medioevale cristiana… mi allontano silenziosamente passando come un fantasma , indifferente a quel “bailamme” con il quale, mi rendo conto, sento di non aver nulla a che spartire. 

Ma non è solamente in Croazia, nella splendida Spalato, che ho avvertito questa sensazione. Dovunque io mi sia, in questi ultimi anni, recato, sia in moto che in aereo, sia in Europa che fuori di essa, via via in me è andata rafforzandosi la percezione di una barriera di incomunicabilità con il mondo esterno…oggidì rappresentato da quel mondo occidentale che, gettatosi anima e corpo tra le braccia di un alienante modello Tecno Economico, ha invece causato la propria desertificazione spirituale, avendo scelto di far gestire a quest’ultimo le proprie spinte vitali, sino ad arrivare al capolinea di un’assurda auto castrazione. E così il mio peregrinare attraverso terre e continenti, si fa metafora di un percorso attraverso tutti i fallimenti d’Occidente. Dalla ingloriosa fine delle dittature pauperiste che, in barba a tutti i bei propositi, hanno spalancato la strada a famelici e smodati modelli liberisti, anch’essi alienanti e fallimentari quanto queste prime, sino ad arrivare al cuore di un modello di sviluppo che, grazie al suo totale asservimento alla Tecno Economia, ha fatto dell’incomunicabilità tra gli individui, il proprio vessillo. 

E così mi rendo conto che i miei sono stati pellegrinaggi effettuati nel caos silente di un mondo che, sempre più, vive di apparenza e di poca, o nulla, sostanza. Ed è allora che, come in preda ad un repentino “satori”, sale nell’animo mio di giramondo la necessità di trovare delle risposte che sappiano essere oltre e dentro la stessa sostanza delle cose che ho davanti agli occhi. Il mondo mi si presenta allora innanzi, come un gigantesco caleidoscopio, una molteplicità di forme che fanno capo ad un’unica misteriosa realtà. Ed allora, oltre alla condizione della contemporanea, umana alienazione, mi ritrovo davanti agli occhi, in tutto il loro splendore, quei mari, quelle montagne, quelle foreste, quei deserti, ma anche quei magici “rassemblements” architettonici, che ho percorso in sacra solitudine. 

E capisco come le antiche semplificazioni, tutti quei modelli di intransigente monoteismo mentale, non siano più sufficienti a dare una spiegazione ed un senso alle cose. E sempre più avverto la presenza di una percezione “altra” da quella solita che, da sempre, costituisce sfida e tentazione per le menti che ne sappiano cogliere le suggestioni. Essa è fatta di simboli e simulacri oggi, all’apparenza, polverosi ma che, a guardar meglio, risvegliano in noi antiche e mai sopite suggestioni. Ci parlano di Astri, di insensate forme e simboli geometrici, ci riportano a Dei e Dee, ma anche alla possibilità attraverso essi, di penetrare l’anima, seppur senza estraniarsene, di quel mondo, di quella caotica e multicolore confusione, di cui costituiscono il senso ultimo. Meditando, appuntando le proprie energie mentali sopra uno di essi, scopri che possono essere il varco verso il controllo di uno o più aspetti di quella realtà che ci avviluppa come un misterioso Velo di Maya, ma che, d’improvviso sembra volerci disvelare e suggerire una soluzione all’apparenza semplice ma, per noi mortali, sempre sfuggente: quella del giuoco d’ombre dell’immanenza della trascendenza e della trascendenza dell’immanenza. 

E questa realtà finisce con il riportarmi a quel mondo che, con i suoi infiniti aspetti ne è la principale espressione. Il viaggio finisce così, con il farsi forma di autoiniziazione, di lucida apertura verso quella duplice dimensione della realtà, verso la quale, ogni qualvolta ne veniamo a contatto, non possiamo non provare “thàuma”/sbigottimento. Un’improvvisa folata di vento mi risveglia dai miei pensieri e mi riporta, a cavalcioni della mia moto, in un rigido pomeriggio d’autunno tra i monti dell’alto Lazio, tra foreste il cui rosso fogliame, mi fa venire alla mente l’arzigogolato manto di Diana, Dea delle foreste… proseguo lungo la strada del ritorno, mentre il carro solare di Helios va a tuffarsi per il tramonto in un mare di nubi, creando uno splendido effetto scenico multicolore. E’ l’ultimo saluto di quegli Dei che, oggidì, solo attraverso l’immersione nella “natura naturans”, si possono ancora incontrare….

 Umberto Bianchi ordet3000@yahoo.it 







Articolo in sintonia: https://www.ereticamente.net/2019/08/la-natura-esiste-ed-e-tangibile-dio-e-solo-unipotesi-paolo-darpini.html

Helena P. Blavatsky, la società teosofica ed il materialismo scientifico...



Nella  trasmissione “Il Pentagramma Segreto”  il sig.  Guerrieri ha definito  H.P.B. e tutti i teosofi maghi neri   https://www.youtube.com/watch?v=yPWDxSWxoCE&feature=youtu.be  - a 1h,17 ca –

 

Affermazione che lascia attoniti tutti coloro che hanno letto  anche   pochi scritti di Helena P. Blavatsky, quali ad esempio il suo libro “La chiave alla Teosofia”. E’ noto che la Società Teosofica venne istituita a fine ottocento per arginare il materialismo scientifico e le lotte dogmatiche tra le varie religioni,  lotte sovente  strumentalizzate dallo scientismo globalista.    E’ altrettanto noto che nel 1908 i teosofi fondarono, tra le altre, la lega contro vaccinazioni e vivisezione  perché in quel periodo, dopo il vaccino antivaioloso,  le persone morivano come mosche.

Se si fossero seguite le  ricerche di  H.P. Blavatsky, che l’antropologo-teosofo Bernardino del Boca ha aggiornato con le sue del   secolo scorso, forse non ci saremmo trovati in un mondo dominato dalla paura di un invisibile virus  e la maggior parte della popolazione mondiale avrebbe già da tempo confutato le basi stesse della virologia

In questo sito si possono trovare alcune delle ricerche di Blavatsky e di Bernardino del Boca sufficienti a sfatare molte menzogne  http://www.teosofia-bernardino-del-boca.it/

 

Nelle  facoltà di medicina, antropologia, genetica ecc. la mente-anima-spirito non sono menzionati, conseguentemente nella ricerca delle cause delle malattie o epidemie,  viene spesso aprioristicamente esclusa  l’esperienza personale,   il proprio vissuto/sentito,  alimentando  in tal modo la  separazione fra scienza-mente-psiche-spirito e, conseguentemente,  il  divide et impera che perdura da millenni.

 

Fra i commenti di alcuni articoli  pubblicati su siti web  ho inserito i miei  seguenti:

 

“Stefan Lanka:  “Poiché questi virologi hanno chiaramente violato le leggi del pensiero, la logica e le regole del lavoro scientifico con le loro affermazioni e con le loro azioni, possono essere colloquialmente descritti come imbroglioni della scienza. Ma poiché la frode scientifica non si verifica nel diritto penale e non ci sono precedenti per questo, suggerisco, e lo farò io stesso, di far stabilire in tribunale e nel diritto penale la frode occupazionale dei virologi - che fingono di essere scientifici ma agiscono e argomentano in modo antiscientifico. Le autorità governative responsabili sono chiamate a perseguire questi truffatori occupazionali antiscientifici per impedire loro di fare cose antiscientifiche e, di conseguenza, antisociali e pericolose. Dal momento in cui un primo tribunale stabilirà i fatti descritti di seguito e condannerà il primo virologo della frode occupazionale, la fine della crisi della corona sarà annunciata e sigillata dal tribunale e la crisi globale del corona si rivelerà un'opportunità per tutti.

https://evokeagents.blogspot.com/2020/12/i-responsabili-della-crisi-del-corona.html

 

Il dr. Scoglio nel suo intervento: Dove sbaglia la Bolgan   https://www.databaseitalia.it/dott-stefano-scoglio-dove-sbaglia-la-bolgan/

  “Forse dovremo seguire l’esempio di Stephan Lanka, e mettere un premio a disposizione di chiunque voglia cimentarsi con la dimostrazione sia dell’isolamento che della patogenicità del fantomatico SARS-Cov2…così vedremo se c’è qualcuno che si farà avanti non con arrampicamenti sugli specchi, ma con prove scientifiche vere, che però sono molto più difficili da produrre dei discorsi…”

 

Speriamo che Lanka possa  finalmente  riuscire in questo suo intento. Non se ne  può più di assistere ad un mondo  devastato,  con il supporto della virologia che continua  sostenere lo spillover o salto di specie, suffragando in questo modo  la farsa  che la spagnola, e i suoi 50 milioni di decessi, sia stata causata dagli uccelli.   


Un caro  saluto.  Paola  Botta  Beltramo




 

 











Alcuni  link  https://www.ingannati.it/2017/09/05/vaccini-anche-fra-complottisti-qualche-scivolone-carpeoro/

 

http://accademiadellaliberta.blogspot.com/2020/10/vaccini-ogm.html

 

http://accademiadellaliberta.blogspot.com/2018/07/vaccini-e-dna-accadde-nel-2017.html

 


 

L'illusione dell'apparenza...



Viviamo in un mondo dove il falso e l’artifizio hanno preso il posto del vero e del semplice. Questo è il meccanismo della “seduzione” -dell’apparenza- che prende il posto del “naturale” -dell’intrinseca verità. “se-ducere” letteralmente significa “condurre a sé” e ciò avviene attraverso una caleidoscopica mascherata che sterilmente si avvicenda nel riflesso degli specchietti. 

Gira e rigira il caleidoscopio e gli specchietti mostrano fugaci composizioni. Un gioco sterile dell’esteriorità. La seduzione è allusione e miraggio, con essa si mostra ciò che l’altro vorrebbe vedere, è semplice barbaglio proiettivo di una immagine costruita a misura per attrarre l’altro. E chi è l’altro? Chi svolge la funzione separativa dell’io e dell’altro? Perché si sente la necessità di appropriarsi della attenzione dell’altro?

La fissità dello specchio, come nella storia di Narciso, è imbroglio erotico spirituale, è fascinazione che conduce alla morte, sebbene lo specchio sia nato per uno scopo magico, lo scopo di vedere “attraverso le forme” riflesse. Ricordate la storia di Don Juan che istruisce Castaneda ad attrarre gli spiriti (l’alleato) attraverso uno specchio immerso nell’acqua corrente?

Lo specchietto per le allodole è un altro eufemismo utile a capire come la fascinazione seduttiva sia una trappola mortale, in cui sia il seduttore che il sedotto giocano a perdersi vicendevolmente. La seduzione insomma è camuffamento, un mescolamento dell’apparente bello e di desiderio mentre la chiara visione, potremmo dire la “chiaroveggenza” è la vera capacità percettiva di scorgere il bello in ciò che è, senza orpelli, senza luminarie, senza zavorra inutile di finzione incipriata. 

Questo il significato di Santa Lucia, la santa della Luce?

Paolo D'Arpini




La domanda essenziale, tra ignoranza e conoscenza...



Esistono due modi di fare domande. Uno di essi non nasce perché non sai, ma perché sai qualcosa: scaturisce dalla tua cosiddetta conoscenza. Hai già la risposta e quindi sollevi la domanda. È così stupido!

Qualunque cosa tu sappia, non la sai per davvero, altrimenti non ci sarebbero domande. In secondo luogo, dal momento che la domanda è nata da una risposta preconcetta, non sei pronto a ricevere una nuova risposta. Con domande del genere è assolutamente inutile, non ti portano da nessuna parte.

Non chiedere mai perché sai qualcosa. Se sai, va benissimo e non c’è alcun bisogno di chiedere. E se non sai, chiedi come se fossi ignorante, come se non sapessi. Se non senti di non sapere, non sarai mai vulnerabile, aperto, ricettivo. E la ricettività è necessaria, altrimenti fai una domanda e non permetti alla risposta di entrare.

Più o meno tutte le domande sono così. Abbiamo già la risposta e cerchiamo una conferma. Non siamo sicuri, perché non sappiamo per davvero, ma abbiamo semplicemente raccolto determinate informazioni. Ora vogliamo che qualcuno ci convinca ulteriormente, qualcuno che sia testimone della nostra conoscenza, in modo da poter sentire: “Sì, ho ragione”.

Questo è assurdo. Se sai, la conoscenza stessa, il fatto stesso di sapere, ti dà fiducia e fornisce una prova di se stessa. Se sai qualcosa, anche se il mondo intero lo nega, non fa alcuna differenza. E allo stesso modo, se non sai nulla e tutto il mondo dice: “Sì, è vero”, anche questo non fa differenza. Conoscere è auto-provante e anche l’ignoranza rivela se stessa.

Quindi non chiedere basandoti sulle tue conoscenze. Se sai, va bene così. Se non sai, sii consapevole di non sapere e chiedi basandoti sulla coscienza della tua ignoranza.

Il secondo modo di fare domande, che è quello autentico, sincero e onesto, proviene sempre dalla sensazione di non sapere. Le tue porte sono aperte e sei pronto a invitare l’ospite. Altrimenti, inviti l’ospite e la tua casa è completamente chiusa e quindi non è un vero invito. 

Se fai un invito, crea lo spazio per l’ospite! Se hai delle risposte già pronte, non hai spazio per ricevere la risposta.

Fare domande è inutile se non c’è lo spazio per ricevere. 

Quando fai una domanda, osserva se c’è lo spazio per ricevere la risposta. Prima crea lo spazio, poi chiedi. Così la domanda non è solo intellettuale, non è solo mentale. Tu sei totalmente coinvolto, è in gioco tutto il tuo essere, il tuo essere totale. Questo è ciò che si intende con “esistenziale”. Ora la domanda arriva dalla tua stessa esistenza, dal tuo essere.

Il primo modo di fare domande è sempre condizionato dagli altri e questo va compreso molto chiaramente. L’ignoranza è tua, ma la tua cosiddetta conoscenza ti è data dagli altri. L’ignoranza è più esistenziale della cosiddetta conoscenza. Se non sai, questo non-sapere è tuo. Ma se dici: “Lo so perché ho letto la Gita. Lo so perché qualcuno da qualche parte ha detto una cosa del genere. Lo so perché Buddha aveva una teoria simile e io ne ho sentito parlare, quindi, lo so”, questa conoscenza non è tua! 

E ricorda, persino la tua ignoranza è più preziosa della conoscenza altrui, almeno è tua, è possibile fare qualcosa. È reale, è esistenziale. 

Con una finzione non si può fare nulla. 

Ciò che è reale può essere trasformato e cambiato, ma con una finzione non puoi fare nulla, con l’immaginazione non puoi fare nulla. La conoscenza immaginata, basata solo sull’informazione, è fittizia, non è esistenziale.

Quindi poni una domanda, indaga su qualcosa, ma attraverso i tuoi sentimenti esistenziali, non attraverso le informazioni mentali accumulate. 

Se chiedi davvero a partire dalla tua ignoranza, la tua domanda sarà universale in un senso e individuale in un altro, perché quando chiedi basandoti sulla tua ignoranza, sollevi una questione che è uguale per tutti. Se chiedi a partire dalla tua conoscenza, la questione sarà diversa. Un hindu non farà mai la stessa domanda di un musulmano; un cristiano non farà mai la stessa domanda di un giainista. La conoscenza di un musulmano è completamente diversa dalla conoscenza di un hindu, ma non esiste l’ignoranza del musulmano o l’ignoranza di un hindu. L’ignoranza è universale, esistenziale, ma la conoscenza si differenzia. La conoscenza musulmana è diversa dalla conoscenza hindu, giainista o cristiana.

 

Se la tua domanda scaturisce dalla tua conoscenza, è inevitabile che provenga dal tuo condizionamento sociale. Quindi non è universale, esistenziale. Quando un musulmano chiede qualcosa, in realtà non è lui che chiede. Chi chiede è ciò che gli è stato imposto, ciò che gli è stato inculcato, ciò per cui è stato condizionato. È quel condizionamento che pone la domanda. 

L’uomo reale è nascosto dietro il musulmano e il musulmano imposto (o l’hindu imposto) fa la domanda. E allora è superficiale e qualunque risposta riceverà non arriverà in profondità, perché la domanda non è nata dalla profondità.

Le domande esistenziali implicano che attraversi tutti gli strati condizionati della tua mente e chiedi in quanto esistenza pura e nuda, non come musulmano, sikh o giainista. Chiedi come se non ti fosse mai stata fornita alcuna risposta prima. Metti da parte tutte le tue risposte. 

E allora la tua domanda sarà individuale in un certo senso, perché è arrivata da te, e sarà contemporaneamente universale, perché ogni volta che una persona entra dentro di sé così profondamente, arriva la stessa domanda.

Quindi sii esistenziale nel chiedere e non chiedere mai a partire dalla tua conoscenza, chiedi in base alla tua ignoranza. Se vuoi trasformazione, mutazione, chiedi in base alla tua ignoranza. Sii consapevole della tua ignoranza. Scava in profondità e trova quelle domande che arrivano dalla tua ignoranza e non dalla tua conoscenza.
 

Tratto da: Osho, The Eternal Quest #12




 






Fonte: Osho Times n. 271