Buona parte di noi utilizza le bugie nel discorso comune. Le bugie hanno un loro spettro ontologico. Vanno dal taciuto al detto premeditatamente equivoco, dal diversivo allo strumentalizzato, dalla negazione all’invenzione.
A dire il vero, più che buona parte di noi – che è una bugia – si dovrebbe dire tutti noi, circostanza permettendo. Per circostanza si intende una forza superiore alla nostra che non è mai stabile ma sempre variabile.
La circostanza è a suo modo, la sede latente della dimostrazione dell’identicità degli uomini. Sul grande palco della realtà, recitiamo il ruolo opportuno a sostenere la nostra identità, autostima, valore, orgoglio, il nostro io. Un ruolo che può essere del buono o del cattivo, del censore e del libertario, del bigotto e del libertino, della vittima e dell’aguzzino, secondo circostanza appunto, proprio come un vero attore.
Coloro che dissentono dalla rotazione dei ruoli, perché “a me non è mai successo”, e vantano rettitudine, stanno pensando alle occasioni in cui hanno potuto mantenere la propria coerenza valoriale, ma non a quelle in cui, agguantati dall’opportuna circostanza, hanno innocentemente vestito panni altrui.
Circostanza permettendo arriviamo a tutto. Per osservare la banalità di questa affermazione è sufficiente ascoltare la cronaca, la storia grande del mondo e quella piccola della nostra biografia. Circostanza permettendo infatti, abbiamo fatto e affermato ciò da cui poi abbiamo preso le distanze, abbiamo negato noi stessi.
Abbiamo travalicato la dirittura morale che a freddo sosteniamo di seguire.
Abbiamo preferito fuggire invece di affrontare.
La circostanza è un contesto non protocollabile. In quanto ognuno è in inconsapevole attesa della propria, la cui caratteristica è essere sempre su misura.
Tuttavia se ne possono individuare anche prête-à-porter, da tonnara, ovvero idonee a infrangere molto facilmente le basse protezioni etiche di molti di noi.
Dedicare attenzione alla circostanza è filosoficamente e spiritualmente necessario. Fermarsi al piano morale, al giudizio, alla condanna o, all’opposto, al senso di colpa, non è funzionale all’evoluzione individuale – che vuol dire sociale – ma alla guerra.
Dunque, sebbene implicato, non interessa qui il riflesso che induce a concludere che, con la scusa della circostanza propiziatoria, siamo tutti assolti.
Non interessa in quanto dovremmo prima definire un criterio meritocratico profondo, che contempli e coniughi la genetica e l’epigenetica, la condizione familiare e quella scolastica, i traumi subiti e le fortune accadute, le malattie patite e il benessere goduto, il contesto geografico e quello storico. Ma sarebbe una modalità di grande soddisfazione soltanto per gli scientisti. Essa sarebbe disumana, a meno di credere fermamente nel meccanicismo o in farse di potere norimbergariane. Nelle norme, sempre autoreferenziali, non si può comprimere la serenpidità quantica della vita.
Al di là di quanto precisato. E al di qua della base distintiva di ognuno, che permette definizioni quale coraggioso, pusillanime, codardo, saturnino, pacioso, riflessivo, impulsivo, eccetera, si può affermare che buona parte di noi utilizza le bugie nel discorso comune. Non ne può fare a meno. Ne dipende. Senza esse sarebbe nudo, sarebbe un altro. Sarebbe morto.
Il motivo che possiamo addurre alla nostra mancanza di verità, ammesso la si voglia definire così, è di due tipi. Uno, consapevole e argomentabile, ha la tendenza interna a salvaguardaci dalla mancanza stessa, a sostenere la necessità della bugia pronunciata, in quanto funzionale al mantenimento dell’immagine che abbiamo di noi stessi, e a quella con cui cerchiamo di essere riconosciuti quindi, alla ricerca del buon giudizio del prossimo. L’altro, è facilmente inconsapevole e allude a un’immaturità, all’inadeguatezza, alla fuga dal confronto col prossimo.
È noto a tutti infatti che ciò per cui mentivamo prima e non mentiamo più riguarda soltanto la nostra capacità di assumerci la responsabilità del nostro fare, l’emancipazione dal giudizio altrui, l’idoneità a essere noi stessi. Cioè lo svincolo da certe consuetudini che, come una forza maggiore, ci imponevano comportamenti allineati, anche ben prima della grave moda del politicamente corretto, della cosiddetta inclusività tout court.
Ma c’è un aspetto ulteriore che si può aggregare all’argomento dei bugiardi.
Utilizzare la bugia in modo ordinario nei nostri discorsi è sempre un’energia rubata. Un atto di tipo sottile che ci appare innocuo. Ma che, invece ci allontana dal flusso energetico che tutto compone. Inquina le relazioni, impone recitazioni.
Mentire non è solo venire meno al proprio sé, non è seguire vie senza un cuore, né brutalizzare i propri sentimenti, è venire meno al bene comune.
Utilizzare le bugie nel discorso ordinario costituisce una garanzia al ripetersi del ciclo della menzogna come e alla sua misera educazione. La bugia è un mattone con cui erigere la Torre di Babele.
Lorenzo Merlo