Compagni
di viaggio
Un libro per
essere l’infinito
Qualche
considerazione generata dalla lettura del nuovo libro di Paolo
D’Arpini, Compagni di Viaggio.
di Lorenzo Merlo
200320
«Nonostante il
contenuto più evidente di questo libro siano i racconti degli
incontri di Paolo con vari santi e saggi, incontri diretti, fisici,
ma a volte solo indiretti, i personaggi descritti e ricordati hanno
avuto per Paolo, e indirettamente avranno sul lettore, lo scopo di
aiutarlo a scoprire il proprio Sé». [Dalla Postfazione
di Caterina Regazzi.]
È in queste poche
parole il centro di un libro e di un Maestro. Titolo che certamente
non gli aggrada. Come non rinuncia a precisare Paolo, un maestro
non è altro da noi. Noi riconosciamo e poi eleggiamo il nostro
maestro a mezzo di un sentimento sottile ma preciso. Nessun
maestro che si professa tale lo è,
ovvero, è più simile a un imbonitore.
Non
solo, chiamare, pensare, credere di essere un maestro è un’ambizione
positivista che alimenta il mondo duale. Molti non attendono che il
titolo per poterlo vantare, per poter ritenersi ed essere ritenuti
superiori a chi ne è sprovvisto. Ma quell’arroganza,
apparentemente dovuta e considerata innocua, in contesto spirituale,
energeticamente parlando è una specie di ossimoro. Non averne
coscienza è una falla per sé e per eventuali innocenti discepoli.
Semmai
siamo noi che eleggiamo qualcuno a maestro. Dire,
quello è il mio maestro,
è sempre richiamare l’emozione, è sempre camminare su quel ponte
di energia sul quale era transitato qualcosa di importante per noi.
Tuttavia
nell’eleggere qualcuno, c’è un rischio residuo e di un certo
valore. Quello di perdere di energia. Adagiarsi
sulla parola del maestro è
interrompere la propria personale ricerca. La fatica, la dedizione,
il perdersi, il ritrovarsi non solo non sono delegabili, ma sono il
cuore di chi è sulla via. L’esperienza non
è trasmissibile. Chi non ha sufficiente motivazione rimarrà
permanentemente a cena con i luoghi comuni della spiritualità, senza
saperla ricreare.
Non
a caso, alcuna saccenza o distanza, tra Paolo D’Arpini e il
lettore, traspare dalle pagine di Compagni
di viaggio,
in cui vi si legge l’arco
evolutivo di una persona
che, in un certo senso, all’anagrafe e solo lì, è Paolo D’Arpini.
«Avete
visto quella faccia della foto in vetrina… chi è quello, sono
forse io?
Potrei dire di sì ed anche di no… Sono io per le convenzioni del mondo, non sono io perché l’io non può essere fissato ad un’immagine momentanea e mutevole».
Potrei dire di sì ed anche di no… Sono io per le convenzioni del mondo, non sono io perché l’io non può essere fissato ad un’immagine momentanea e mutevole».
Mettersi
a nudo non è per tutti. Anche chi vanta di aver superato vanità e
orgoglio ha i suoi angoli che con maestria cela al prossimo e,
spesso, a se stesso, per proteggere la propria immagine.
«Molto
scettico, quasi ostile, verso tutto quell’interesse paraspirituale
che era sorto in Europa dopo il ’68. E io il ’68 l’avevo fatto,
e anche il ’69, il ’70 e tutti gli anni a seguire, insomma avevo
vissuto nel vortice, ero un intellettuale, un illuminato, che ci
andavo a fare in mezzo ai guru?».
Raccontando le sue
esperienze, il suo pensiero e gli eccessi di gioventù non
così virtuosi, crea in noi un corto
circuito emozionale che ce lo fa vivere fratello. L’intimità
diviene un momento di bellezza al quale non possiamo, né vogliamo
sfuggire. Il libro è anche questo. Oltre poi, anche il ritorno
all’equilibrio.
Non
mancano,
invece, gli aneddoti
di quell’epopea spirituale italiana e non solo. Quel periodo
avviatosi in corrispondenza dei movimenti giovanili e operai del
finire degli anni ’60 del secolo scorso. E, insieme agli aneddoti,
ecco comparire i lati formali, i volti, i modi di personaggi, noti e
meno noti, che davano la materia a quegli incontri, domestici e
internazionali. Uomini come noi, semplicemente divenuti consapevoli
che la dimensione duale, nella quale il pensiero è sempre su un ring
eternamente pronto a prenderle e a darle, non è intellettualmente
e razionalmente superabile.
Dunque
una raccolta di insegnamenti a volte
identici ma di estrazione diversa, provenienti da personaggi noti e
sconosciuti
Storie
e leggende
minute che hanno scatenato grandi
consapevolezze. Sì, perché l’accesso alla realtà, sempre
identica a noi stessi, dalla porta della nuova consapevolezza è
sempre piena di significato, di senso della vita.
Compagni
di viaggio
è dunque una storia di vita, di evoluzione, che chiunque può
ripercorrere attraverso i propri sentieri, che può ricreare tramite
la propria natura. In esso sono sparse molte risposte che tutti
i ricercatori
si pongono.
«[…]
sperimentai il “risveglio della Kundalini” alla presenza del mio
Guru, a volte credevo di impazzire o che ci fosse Lsd nel cibo».
Oltre alla nostra
dedizione, serve un fatto estetico, emozionale per provocare una
presa di coscienza – e ognuno ha la sua e il suo momento –
affinché la consapevolezza d’essere tutti espressioni
dell’Uno, come per ogni foglia di una pianta, ci permetta di
accedere a una realtà differente, ad un se stessi diverso, a
relazioni altre. Non più prevaricate dall’io ma capaci di
compassione, gratitudine, amore. Una realtà non più composta da
parti separate, ma riconoscibile come un intero, diviene evidente,
altrettanto quanto il presuntuoso
tentativo della scienza moderna che
crede di poterla separare in parti indipendenti.
Aderire,
identificarsi a un punto di vista,
significa sostenere la dimensione duale della realtà. Un fatto
tutt’altro che innocuo, visto che quell’identificazione
costituisce la brace dalla quale ripartiranno gli incendi personali e
storici. I semi del dolore e del malessere hanno residenza proprio
lì.
Ritenere
di dover difendere la propria opinione è una specie di cartina
di tornasole metafisica che ci
informa sul nostro stato di emancipazione da noi stessi.
I
punti di vista sono sempre da difendere con le unghie, sempre
implicano fideismo e dogmi ideologici, i genitori dei conflitti.
Il Sé è uno per
tutti, sebbene nascosto e zittito sotto strati di consuetudini
scambiate per verità.
Consapevoli
di questa unità, diveniamo capaci di imparare oltre che dai Maestri
che sono stati di Paolo, da chiunque e da ogni tradizione. Sia l’I
Ching, l’astrologia, Jung, come si comporta l’acqua, cosa fa il
fuoco o l’ortolano sotto casa.
«Se
il mistico ignora i segreti del mondo mi chiedo l’oste da chi li ha
imparati».
Hafez,
1315-1390
Insegnamenti
elettivi li chiama Paolo, quelli che
emergono o avvengono senza la necessità di uno spunto intellettuale.
Semmai il ponte è emozionale. Dunque, un fatto energetico si
direbbe. Un transito di spirito, da chi ne dispone, a colui che è
pronto a riceverlo. Una specie di maieutica naturale o, ancora,
energetica. In pratica si assiste ad un risveglio illuminante che
contiene nuove consapevolezze, perciò nuove
realtà. “Nuove”, in corsivo perché sempre erano state in noi.
Ma
nulla di tutto ciò, di questa magia, si compie senza la nostra
esigenza purché espressa nel non-fare.
Molti sono gli
angoli reconditi e bui in cui albergano autoreferenziali, segrete
meschinità egoiche. La luce, per scoprirle e vederne il significato,
può giungerci in dono da chiunque. Essere in ascolto invece che
in affermazione,
amplia considerevolmente la popolazione dei donatori.
«Significa
accettare sia la gloria che l’infamia, sia il successo che
l’insuccesso, sia il riconoscimento che l’offesa».
Nel Sé non v’è
incertezza di verità. Nel Sé si ricompone l’Uno, quella
dimensione ancestrale in cui gli opposti si riuniscono e si spiegano.
Nel Sé gli uomini vivono il segreto della Trinità, come la
chiamano i cristiani. Sanno di essere individui, sanno di essersi
liberati dai laceranti vincoli della dualità.
Leggeri realizzano l’amore e la gratitudine, senza che
nessuno glielo indichi, riconoscono l’Uno ovunque osservino.
Nel Sé non c’è
neppure bisogno di portare argomenti per sostenere la meditazione
come fonte di equilibrio, guarigione e salute. Attraverso essa ci
riallineiamo al flusso energetico che vizi ed egoismi avevano
interrotto, producendo malesseri e
malattie a vario stadio. Non a caso se si dovesse cercare l’opposto
della meditazione, incontreremmo le forme-pensiero. Vere
entità che ci divorano lo spirito nutrendosi del ciclo ininterrotto
di pensieri, sostanzialmente tutti destinati a progetti
retti da superstizioni, che finiranno nel vicolo cieco
dell’illusione.
Le
difficoltà non sono mancate a Paolo e ce le racconta, come non
mancheranno a chiunque si metta sulla via. C’è
solo il percorso, con le sue
avventure. Nessuna vetta ci sottrarrà dall’oscillare. Il movimento
è vita e l’oscillazione la sola permanenza umana. La vita lo
richiede affinché attraverso noi faccia esperienza e possa anch’essa
rinforzarsi.
Nelle
pagine albergano infatti anche i tonfi
egoici, duali, che Paolo non ha
voluto rinunciare a narrare, in quanto supporti di una ricerca che
andava dirigendosi in senso opposto.
«Ma prima di
giungere a questa “consapevolezza di Sé” dovrò fare molta
strada indietro nel tempo, per raccontare spezzoni e spezzoni del mio
sogno, della mia identificazione con l’immaginario “io” che ho
creduto di essere per tanto tempo.
[…]
Già, immaginavo
che ci fossero dei guru ad ogni angolo di strada pronti ad
imbambolare la gente con
le loro litanie. “Niente paura, io sono laico, li smaschererò
tutti”».
Il libro è dunque
anche un conforto per coloro ancora
disorientati o meglio soltanto
attratti da qualcosa che hanno percepito, da un territorio intravisto
nel quale sentono di non sapersi muovere da soli. In cui avvertono
nebulosamente che tutti gli strumenti resi disponibili dalla
cultura non funzionano se non per finire nel buio ogni volta che si è
creduto d’aver trovato l’arcano.
Senza autonomia,
ovvero senza una guida interiore, si trovano sempre a caccia di un
segnale che gli indichi in che direzione procedere.
In quel
territorio limbico e tormentato dagli abissi
dei dogmi, dove quello che ci
avevano detto scricchiola, e quello che abbiamo avvertito non è
ancora per niente chiaro, lo abbiamo conosciuto tutti. È esperienza
comune, per questo certe pagine di Paolo ci sottraggono un po’
dalla nostra nebbiosa solitudine.
In quel territorio
di ricerca, accade però che qualche circostanza venga a fare luce
attraverso metafore, allegorie, similitudini. Del resto la formula
alchemica così in alto come in basso è una sintesi
del tutto che di volta in volta, davanti ad ogni nuova
consapevolezza, ritorna a mostrare il suo valore.
«“The
spiritual teaching of Ramana
Maharshi”. In esso non si parlava di religioni e
nemmeno di Dio. Si parlava di cinematografo e di come io mi fossi
trasformato da semplice spettatore in uno dei personaggi proiettati
nel film».
L’accanimento,
così gradito in campo positivista, non è gradito a quel territorio
dai confini incerti in cui ci stiamo inoltrando.
È utile invece l’apertura, la non pretesa, l’umiltà attenta. È
così che il rischio di incontrare il
proprio Maestro si alza.
«Per lo
Shaktipat [La trasmissione della Grazia divina. N.d.A.] uno
deve essere maturo per la Grazia divina. Per ricevere il Favore del
Maestro innanzitutto uno studente deve rilasciare la sua propria
grazia sul Maestro».
«Shaktipat?
Questo ovviamente è solo un modo per definire il risveglio
dell’energia spirituale che spontaneamente avviene al contatto con
un essere realizzato. In altre tradizioni questo “risveglio” è
stato definito in modi diversi: Spirito Santo, Satori, etc. Insomma è
qualcosa che succede quando l’anima è matura a distaccarsi
dall’illusione separativa».
A quale fine
tendiamo? A un certo punto diviene chiaro a tutte le persone di
cultura cattolica che il Paradiso non c’entra niente. Almeno così
come ce ne hanno sempre parlato, nient’altro che un succedaneo
stantio del suo simbolico significato esoterico. Nulla, a parte il
permanente percorrere la via della conoscenza; a parte la liberazione
dal conosciuto, è lo scopo a cui tendiamo.
«Mukta, il
liberato vivente. Questa “condizione” (se così si può chiamare)
è il fine di ogni conoscenza spirituale».
Lo spirito, lo
spirituale. Come prendere il concetto? Come riconoscerlo? Come essere
certi di lui? Trasferiamo tutto nel mondo fisico e prendiamo ciò che
chiamiamo idea. Tutti sappiamo di cosa stiamo parlando. Non ci
poniamo domande su essa. Nei nostri discorsi impieghiamo il concetto
idea senza rischiare improprietà. Essa è lo spirito di
un’azione. Non solo, un’idea che non ci muove, non porta ad
alcuna creazione, a nessuna realizzazione. Non ci emoziona e restiamo
fermi, così, passiamo ad altro. Allo stesso modo, lo spirito
soggiace alla materia e alle sue forme. Queste sono l’espressione
fisica di un’idea spirituale. Senza lo spirito siamo inanimati, la
creatività ci abbandona.
Dicono
che per leggere un saggio occorra molta concentrazione, che
apprezzare la poesia sia una questione di cuore e iniziare un romanzo
sia la medicina per il bisogno d’avventura. Quale predisposizione
spirituale per leggere il libro di Paolo? Compagni
di viaggio non ha bisogno di
essere compreso mentre ci racconta
della realizzazione del Sé.
Volere,
nella sua forma di pretesa, rallenta l’avvicinamento, costituisce
un ostacolo sulla via di ogni ricercatore. Liberi dal positivistico
voler capire, si può seguitare a
leggerlo restando vibrisse, in
attesa della vibrazione adatta a noi.
Ma
a quel punto, appena compreso un senso fino ad allora latente e
sfuggente, il passo non è ultimato. La comprensione intellettuale,
che per cultura ci fa credere esaurisca il sapere, non è niente
rispetto alla conoscenza. Come la crosta terrestre rispetto a ciò
che le sta sotto. Il passo si realizza quando saranno le nostre
parole e azioni a ricreare quel significato che, leggendo Paolo, per
la prima volta era emerso dalla profondità che è in noi.
Parlando dei suoi
incontri, Paolo intercala episodi della sua esperienza personale
sulla via della libertà dal conosciuto. Quest’ultima, che è
anche il titolo di un libro di Krishnamurti e, per tornare alla
questione delle parole, significa contemporaneamente libertà
dall’io.
Una volta
riconosciuto l’io, il conosciuto, Maya, la Caverna platonica,
descriverà a modo suo, senza più pensare: cosa mi ha detto di
fare l’istruttore in questi casi?
Non vedere più
sorgere in noi spontanea questa domanda, pronunciata con un certo
grado di smarrimento, è il segnale di essere sulla via del Sé. Una
traccia che si tende a riconoscere nella giungla delle forme e
delle sirene del mondo guardandosi dentro e che si tende a
smarrire cercando fuori da noi.
Ri-creare
è necessario per esprimere nel fare ciò che con la comprensione
avremmo potuto solo ripetere. Ma non è tutto. Accontentarsi di
ripetere, significa seguire luoghi
comuni e dogmi. Ovvero, esattamente ciò da cui Compagni di
viaggio, in più modi e a più riprese, ci mette in guardia.
«Le
filosofie son gabbie
schematiche e l’anelito
verso l’autoconoscenza non ha bisogno di alcun concetto o
ideologia. Anzi direi che il fine della Spiritualità Laica è quello
di liberare l’uomo da tali ideologie.».
Compiuto
il passo che ci permette – come successe a Truman quando il
bompresso della sua barca bucò l’orizzonte disegnato della
scenografia entro la quale viveva e che fino a quel momento aveva
scambiato per realtà e verità – di riconoscere la
logica duale e la sua implicita sofferenza
oltre che fatuità, potremo osservare come le ideologie (non soltanto
quelle messe per iscritto dai pensatori) avevano sempre catturato la
nostra attenzione e consumato la nostra energia. Potremo osservare
come un nuovo flusso creativo sia ora disponibile per noi.
Ma
allora Padre-Figlio-Spirito Santo cosa c’entrano?
Nel libro, per chi
lo leggerà con attenzione, c’è scritto cosa è la Trinità.
In un certo senso è uno scoop. Nessuno ci è mai riuscito. Ma solo
in un certo senso, perché dando dignità a ciò che da subito non
riusciamo a incasellare nel nostro ordine, in cui crediamo di poter
comprimere l’infinito, diventa facile riconoscere che Uno, Io, Sé,
il triangolo baricentro del discorso di Paolo,
trova la corrispondenza nel Dio-Cristo-Consapevolezza del Sé.
Culture diverse hanno prodotto linguaggi differenti. Ma l’esigenza
umana di tenzone verso l’infinito trova nelle tradizioni della
terra il medesimo culmine. Con una precisazione. La
vulgata del Cristianesimo non ha
nulla a che vedere con l’interpretazione esoterica del
Cristianesimo stesso. Ed è a quest’ultimo che si rifanno tali note
e comparazioni.
Qui,
però, è opportuno accennare all’altro cruccio di Paolo,
evidentemente consapevole dell’equivoco frequente in cui si
arrovellano le persone che si apprestano alla ricerca del Sé: fare
presente che spiritualità e religione NON sono sinonimi e possono
anche non avere alcuna relazione.
Il
Cristianesimo dei bigotti prevede un
Dio che sbuca dalle nubi con la sua testa a triangolo. Quell’ente
vede tutto e sa tutto. Diversamente Paolo fa notare che chi si denuda
dagli orpelli che la cultura gli ha fatto credere essere reali,
arriva a vedere che Dio è nella natura, nelle cose, in noi. Lo
spirito, o vita, si esprime per mezzo del cosmo. Non ne è sopra, né
fuori.
Ma anche questo non
è nulla, se paragonato a ciò che
possiamo essere una volta emancipati da ciò che credevamo di essere.
E cosa possiamo
essere a parte quanto crediamo di essere?
Tutto, perché lo
siamo già. Perché era l’io a farci credere di essere solo lui.
Più io, corrisponde a meno creatività.
«Ramana
diceva: “Sii ciò che sei”. Questo è un invito ad accettarsi
completamente, sia in termini della propria natura più intima e
vera, il Sé, che per quel che siamo nella forma in quanto
espressione di quel Sé. Questa è la base del risveglio spirituale.
Infatti accettarsi non significa rinunciare alla propria crescita,
anzi vuol dire che accettiamo di crescere partendo da ciò che
siamo».
Liberi dai
conflitti duali,
possiamo essere in
equilibrio, in salute, lucidi;
possiamo avere un
timone fermo e trovare la rotta nelle burrasche della storia;
possiamo essere
illimitatamente creativi;
possiamo amare,
come già il Cristo ci aveva accennato.
«Ognuno potrà
guardare dentro e fuori di sé, con maggiore chiarezza e amore».
[Dalla Postfazione
di Caterina Regazzi]
Dunque,
le parole. Paolo le scrive con semplicità,
anche con leggerezza. Sempre, sta a noi ricrearne
il senso utile al nostro intento. E
non è certo necessario che accada subito. Né che accada quando lo
vogliamo.
•••
Paolo D’Arpini è
per alcuni italiani un riferimento spirituale certo e concreto da
diversi anni. I suoi diversi blog, la sua newsletter quotidiana, le
sue iniziative ecologiste, la sua ricerca sulla Spiritualità
Laica (modo di essere), l’Ecologia Profonda
(modo di concepire la natura/il divino) e il
Bioregionalismo (modo di concepire la socialità) – tre
riflessi fisici e metafisici originati dalla medesima consapevolezza
– ne sono espressione.
Tuttavia,
di cosa sia fatta la Spiritualità laica, a cosa corrisponda e a cosa
alluda, ancor più che nel breve saggio delle pagine finali, in cui
Paolo delinea i suoi tre cavalli di battaglia, si vede, si legge, si
percepisce nelle righe di tutto il suo libro.
Compagni di
viaggio, per quanto maggiormente dedicato alla Spiritualità
laica, tratta necessariamente anche di Natura e Società.
•••
[Salvo quando
specificato, tutti i brani citati sono stati tratti da Compagni di
viaggio.]
Compagni di
viaggio
Di Paolo D’Arpini
OM Edizioni
2020
Quarto Inferiore
(Bo)
Per ordini:
info@omedizioni.it
- https://www.omedizioni.it/
Paolo D’Arpini
diffonde quotidianamente da anni Il Giornaletto di Saul e
tiene aggiornati diversi blog, tra cui:
Caro Lorenzo, il tuo ri-raccontare si inserisce bene nello spirito dei compagni di viaggio. E non è solo riscontro è anche integrazione e approfondimento. In questo viaggio che è la vita ognuno di noi ha qualcosa da raccontare che in fin dei conti non è riferita ad uno specifico personaggio ma è analogia universale. Poiché tutti i compagni di viaggio sono espressioni dello stesso Uno. E quando i santi s'incamminano -come dice il noto soul- anch'io voglio essere nel numero.
RispondiEliminaSiamo qui in cerchio, come gli archetipi di uno zodiaco, che cantano con le proprie immagini il tempo, eppure assorti nel canto siamo anche fuori del cerchio e fuori del tempo, siamo solo dentro di noi.
Evviva!
Commento di Caterina Regazzi: "Fantastico, questo me lo devo leggere 3 o 4 volte, al mattino subito dopo la colazione. Per poter cogliere un po' più di sfumature (non tutte, non lo pretendo)... Mannaggia a te, Lorenzo...! Buona giornata, buone giornate"
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