OTTIENI CIÒ CHE HAI GIÀ



Il fatto che dio ti protegga è una benedizione, ma la benedizione è possibile solo se sei in beatitudine. Questa è una delle leggi fondamentali della vita: se hai, avrai di più, se non hai, perderai anche quello che hai. È una legge molto strana, ma bisogna capirla. Non c’è niente da fare, bisogna seguirla: è così.

È così nel mondo comune, è così nel mondo interiore. Il ricco diventa più ricco, perché il denaro attira più denaro; e il povero diventa più povero. Lo stesso vale anche nel mondo interiore: la persona beata diventa più beata; tutte le benedizioni di dio si riversano su di lei. La persona infelice diventa più infelice. Ottieni solo ciò che hai già, perché ciò che hai diventa una forza magnetica che attrae qualcosa di simile a sé. È come quando un ubriacone arriva in città: presto troverà altri ubriaconi. Se arriva un giocatore, presto incontrerà altri giocatori. Se arriva un ladro, troverà altri ladri. Se arriva un ricercatore della verità, troverà altri ricercatori. Qualunque cosa creiamo in noi diventa un centro magnetico, crea un certo campo di energia. E in quel campo di energia le cose iniziano ad accadere.

Quindi, chi vuole la benedizione di dio, deve creare tutta la beatitudine di cui è capace, deve fare del suo meglio; e la sua beatitudine diventerà mille volte più grande. Più ne hai, più ne arriverà. Una volta compreso questo segreto, si diventa sempre più ricchi interiormente e sempre più profonda è la gioia. E non c’è fine all’estasi, bisogna solo iniziare nella giusta direzione.

La sensazione di essere un estraneo deve essere trascesa, perché è fondamentalmente sbagliata. Facciamo parte dell’esistenza, non siamo estranei. Siamo onde dell’oceano, non siamo estranei all’oceano. Come possiamo essere estranei all’oceano? Nasciamo dall’oceano, ci viviamo, un giorno ci spariremo dentro. Ne facciamo parte. Questa esistenza è la nostra casa. Non siamo estranei; anche se volessimo non riusciremmo a starne fuori, ne facciamo parte. 

Non c’è alcun luogo dove andare, non possiamo uscire dall’esistenza, è tutto dentro. Non c’è un confine dove l’esistenza finisce e possiamo saltarne fuori. Il pesce può uscire dall’oceano, ma noi non possiamo uscire dall’esistenza, è impossibile. Ovunque siamo, siamo radicati nell’esistenza.

Questo è il sentimento religioso fondamentale. Una persona non religiosa sente di essere uno straniero, un estraneo, un alieno. Quella sensazione è cresciuta molto in questo secolo. In tutto il mondo tutte le persone intelligenti soffrono di uno strano tipo di malattia. La malattia può essere chiamata “sensazione di essere estranei”, di non appartenere all’esistenza, che l’esistenza non ci appartiene, che siamo solo degli incidenti, che non stiamo adempiendo a nessuno scopo, che non siamo necessari, che le cose andrebbero benissimo senza di noi, che siamo superflui. Tutto questo è totalmente sbagliato, assolutamente sbagliato.

Persino un minuscolo filo d’erba è intrinseco, non accidentale. È importante quanto la stella più grande. Senza di lui l’esistenza non sarà la stessa, qualcosa mancherà, rimarrà uno spazio vuoto. Non è superfluo, niente è superfluo. Quando lo capisci, tutta la paura scompare e arriva un grande rilassamento naturale. Diventi capace di riposare, perché questa è la nostra casa.

Percepire l’esistenza come “casa”, sentire che è nostra madre, nostro padre, che gli alberi e le montagne e le stelle sono la nostra famiglia, è l’esatto significato della parola “dio”.

E dio è dolce! E anzi, il fenomeno più dolce, il fenomeno più delizioso è dio. Chi ha assaggiato dio ha assaggiato il nettare. Diventa immortale, non sa nulla di nascita e morte. Per lui il tempo diventa irrilevante, inizia a vivere nell’eternità.

Man mano che si va in profondità nella meditazione, la vita diventa sempre più dolce, piena di canzoni, musica, gioia. Migliaia di fiori sbocciano e tutto l’anno è primavera. E tutto diventa profumato di dio, perché tutto è pieno di dio. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un modo per vederlo; e la meditazione è il modo.

I miei sannyasin devono vivere una vita di beatitudine, questa è la loro meditazione. Devono abbandonare ogni serietà, devono diventare più giocherelloni. Devono considerare la vita non come un problema, ma come un mistero. Se lo consideri un problema diventi serio, perché allora sorge una grande tentazione di risolverlo ed è irrisolvibile. Ti porterà a una serietà sempre maggiore, alla frustrazione, alla tristezza.

Non è possibile arrivare a una conclusione. Sì, potresti trovare molte risposte, ma ogni risposta creerà più domande di quante ne risolverà. Ecco perché i filosofi, i teologi, diventano molto seri. Perdono ogni giocosità. Dimenticano cosa significa essere leggeri e se dimentichi cosa significa essere leggero dimenticherai cosa significa essere pieno di gioia, perché sono due aspetti dello stesso fenomeno. Essere leggeri è un requisito fondamentale affinché la gioia accada.

La gioia accade solo negli stati d’animo leggeri. 

Non prendere la vita come un problema, non è affatto un problema. È un mistero da vivere, non da risolvere; è da godere, ballare, amare, cantare, ma non da risolvere. Non è un enigma, non è una sfida a risolverla. È una sfida a esplorarla, con meraviglia, con stupore, come un bambino.

Per i miei sannyasin la beatitudine è meditazione e più diventi beato, più diventi meditativo. Quindi impara a essere allegro; prendi le cose come divertimento. Tutto deve essere preso come divertente, persino la morte.

Se riesci a vivere la vita come se fosse solo un ruolo che stai interpretando in una commedia, sei diventato un sannyasin.

La beatitudine è dio. Non esiste altro dio: essere beati è essere divini.


Osho

 

Tratto da: Osho. The Imprisoned Splendor

Anche gli altri animali sono esseri umani

 


A partire dalla fine degli anni '80 del secolo scorso, quando ancora il circolo vegetariano VVTT aveva sede a Calcata, abbiamo raccolto migliaia di firme  affinché lo status di "esseri umani" venisse riconosciuto a tutti gli animali. 

Ovviamente se ciò avvenisse comporterebbe immediatamente la chiusura di tutti gli allevamenti  e di tutti i mattatoi. Ricordo che inviai agli allora governanti quella richiesta, cercando di sensibilizzare anche l'allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, il quale ci rispose dicendo che non era nelle sue prerogative intervenire in tal senso. Beh, successivamente, anche per tacitare l'opinione pubblica,  passò almeno la legge contro il maltrattamento degli animali da compagnia, che oramai sono diventati a tutti gli effetti "compagni di vita" per molti umani. 
Purtroppo la stessa considerazione non è rivolta verso gli altri animali che ancora sono torturati  e vivisezionati, maltrattati in tutti i modi, uccisi per scopi culinari o per gioco e divertimento.  Qui rilevo che anche la chiesa cattolica  non considera la “pietas” verso i nostri consimili come una necessità etico-filosofica (per non dire religiosa e morale).
Paolo D’Arpini 

Racconto tratto dal libro  “Incontri con i santi”







La scimmia ed il Kalaò
Dopo un mese ad Abidjan mi sembra di aver conosciuto tutto della città, perlomeno nell’ambito dei rapporti e dei luoghi che mi erano consentiti. Chiacchierate attorno alla piscina dell’hotel più “in” (quello dove andavano i turisti americani) per stare a contatto con i ricchi, puntate nelle taverne africaine (frequentate da prostitute e gente di malaffare), nottate passate in terrazze della città vecchia fra i tamburi che ripetono senza sosta il loro richiamo verso l’istinto, qualche festa o cena nella villa di qualche annoiato patron francaise e soprattutto permanenze pomeridiane al famoso Kalaò, il bar riferimento dei viaggiatori e della scenografia, una specie di Harris Bar in Costa d’Avorio.
Ero ospite di una signora francese che aveva sposato un alto funzionario africano e poi si era separata e viveva un po’ allo sbando ed un po’ nel finto decoro in una casa normale di Cocodì, il quartiere elegante di Abidjan. Con me c’era anche una piccola banda di giovani avventurosi e di belle speranze, giunti anch’essi ognuno per proprio conto alle porte dell’Africa Nera. Uno svizzero, due francesi ed un altro italiano, oltre ad un meticcio che era anche l’amante della donna. Ripagavamo l’ospitalità con qualche poulet e qualche bottiglia di birra. A quel punto tutte le avventure che si potevano vivere ad Abidjan mi sembravano già vissute, le brochettes avec piment erano state tutte assaggiate, i ristoranti visitati, le ragazze frequentate, non mancava nulla e sentivo veramente di averne abbastanza della solita solfa e delle solite cose di un’apparentemente eterna “vacanza”. Sentivo la necessità di qualcosa di vero. Decisi un bel giorno di andarmene in brousse, di andare in qualche villaggio sulla costa, star da solo per scoprire nuovi agganci nuovi rapporti nuove situazioni. Salutai gli amici del Kalaò e partii, non ricordo come, forse su un pullman forse facendo autostop. Giunsi in un posto che era abbastanza lontano dalla città, dove non c’erano bouvettes né turisti, solo l’oceano e qualche rada villa. Gironzolavo attorno cercando un posto per piazzarmi e trascorrere il tempo in isolamento e riflessione. Percorrevo a piedi una strada che costeggiava l’oceano, sentivo il rumore forte dei flutti e delle onde, attorno a me alberi maestosi che mi riparavano dai cocenti raggi del sole. 
Ad un certo punto vidi in distanza una specie di tukul disabitato che stava a poca distanza dal mare, proseguii in quella direzione e scorsi, nascosta dalla vegetazione, una grande villa colonica di cui forse il tukul era una dependance, mi avvicinai all’ingresso per capire che aria tirava e proprio allora mi avvidi di una grossa scimmia che mi guardava. Era uno scimpanzé molto grande, alto all’incirca come me, muscoloso e sveglio. Mi sentivo un po’ a disagio ma osservando meglio scoprii che lo scimpanzé era legato ad una catena e capii che era stato messo lì di guardia per spaventare i passanti. Mi avvicinai ma restai a due passi dalla bestia, non aveva un’aria minacciosa, anzi mi ispirava molta pena. Pensate un animale così nobile ed intelligente costretto alla catena, davanti alla vastità della foresta e dell’oceano, solo per accontentare le esigenze di qualche riccone egoista. Rimasi per un bel po’ a fissare la scimmia ed anche lei mi guardava, sembrava che leggesse il mio sguardo.
Sentii l’impulso di avvicinarmi ancora e restai in silenzio davanti a lei con rispetto e compassione, non osavo avvicinarmi di più, la paura dell’animalità me lo impediva, allungai una mano come per salutarla ed in quel preciso istante la scimmia repentinamente si allungò al massimo della lunghezza consentita della catena e mi abbracciò. Si, mi prese fra le sue braccia muscolose e pelose e mi strinse al suo petto con forza. Pensai di svenire, immobilizzato in quell’abbraccio, ma non urlai, non tentai di scappare, ero esterrefatto, fermo, non volevo offenderla o creare una situazione reattiva in lei. Un momento indimenticabile in braccio a King Kong….. Ad un certo punto, non so dopo quanto, la scimmia aprì le braccia e mi lasciò andare, indietreggiai di un passo, non fuggii, e continuai a guardarla per capire cosa mi avesse voluto dire. Mi accorsi allora che era una femmina.
Ormai era scesa la sera mi allontanai e mi sdraiai nella capanna, con il vento ed il mare che ululavano divertiti della mia angoscia, rimasi in un trepido ascolto. Ero così sconvolto, così stranito, che la notte non riuscii a chiudere occhio, quel tukul mi sembrava l’ingresso dell’ade, una voce inconscia mi diceva che dovevo lasciarmi andare alle forze oscure della natura, mi masturbai senza alcun piacere come se dovessi semplicemente compiere un dovere od un rito. L’indomani mattina presto ritornai sui miei passi, la scimmia non c’era più. Abbandonai ogni progetto di solitudine e riflessione e feci ritorno al Kalaò ed alla vita di Abidjan.
Ma non durò ancora a lungo….
Paolo D’Arpini