ACCELERATORI DI PARTICELLE E MODELLO STANDARD...



In precedenti articoli abbiamo visto come il fisico francese Becquerel ed i coniugi Curie abbiano scoperto la radioattività, e come il grande sperimentatore neo-zelandese Rutherford ed i suoi collaboratori abbiano contribuito a scoprire le particelle provenienti dal decadimento radioattivo (“alfa” e “beta”) e quelle costituenti il nucleo atomico (protoni e neutroni).

Due dei collaboratori di Rutherford, l’irlandese Ernest Walton (1903-1995) e l’inglese John Douglas Cockcroft (1897-1967), entrambi premi Nobel per la fisica nel 1951, annunciarono nel 1932 che una macchina acceleratrice, da loro già progettata e sperimentata fin dal 1928, era entrata in funzione(1)(2). Lo scopo di questo tipo di macchine era quello di accelerare particelle per farle collidere con altre particelle o con corpi di vario tipo, per scindere gli atomi e le particelle (se composte da particelle più piccole) negli elementi costituenti e così studiare i corpuscoli più piccoli di cui è fatta la materia.

Le prime esperienze furono eseguite scagliando protoni su lamine di Litio. L’acceleratore era costruito senza l’uso di trasformatori con un sistema di valvole in serie. La difficoltà di creare voltaggi adeguati fu aggirata grazie all’opera di un altro collaboratore di Rutherford, il fisico sovietico Pyotr Kapitza (1894-1984), poi premio Nobel nel 1978 per i suoi studi sull’Elio liquido, sulla fisica delle basse temperature e la super-fluidità, settori nei quali collaborò – dopo il suo ritorno in URSS - con l’altro noto fisico sovietico Lev Landau. Kapitza riuscì a raggiungere un’energia di 260 KeV (cioè 260.000 elettron-Volt, ciascuno dei quali corrisponde all’energia raggiunta da un elettrone sottoposto ad una differenza di potènziale di un Volt).

Walton e Cockcroft – per aggirare la difficoltà di voltaggi inferiori ad un milione di Volt – utilizzarono anche il cosiddetto “effetto Tunnel”, che concerne la fisica quantistica, studiato da un altro scienziato sovietico, l’ucraino George Gamow(3)Negli anni seguenti fu invece costruito a Liverpool un acceleratore di diversa concezione su modello statunitense: il ciclotrone. Se ne interessò John Chadwick, che abbiamo già visto collaboratore di Rutherford e scopritore del neutrone (N. 97), che aveva lasciato Cambridge proprio per contrasti con Rutherford, che non approvava il tipo di macchina.

Il ciclotrone americano era stato progettato da Ernest Lawrence (1901-1958), premio Nobel nel 1939, presso l’università di California. Aveva un voltaggio di 1,2 milioni di Volt ed una forma circolare a doppia “D”. Generava protoni accelerati fino a 1,25 MeV (un milione e duecentocinquantamila elettron-Volt) da enormi campi magnetici in tubi a vuoto. Un altro acceleratore era stato costruito da Merle Antony Tuve (noto per aver calcolato l’altezza della ionosfera con impulsi radio, tecnica mediante la quale poi fu costruito il radar) presso l’Istituto Carnegie di Washington.

Già a partire dagli anni ’50 i fisici si erano convinti che vi fossero particelle più piccole in cui potèvano dividersi protoni e dei neutroni. Nel 1964 il fisico statunitense Murray Gell-Mann (1929-2019) - con un’iniziale collaborazione anche di Feynman alla fine degli anni ’50 - individuò queste particelle nei “quark” (definiti materia “barionica”) che possono essere di sei tipi (Up, Down, Strange, Charm, Top, Bottom). Ogni protone, o neutrone, è formato da tre quark (protone = 2up + 1down; neutrone = 2down + 1up). Gell-Mann ottenne il Nobel nel 1969.

Nel 1937 era stato individuato nella radiazione cosmica anche una particella detta “Muone”, carica negativamente come l’elettrone, ma 200 volte più pesante. Nel 1975 fu individuata un’altra particella negativa (“Tau”), ma 3500 volte più pesante dell’elettrone. All’elettrone, al muone, ed alla particella “Tau” sono state associati tre tipi di una minuscola particella neutra, (dieci milioni di volte più piccola dell’elettrone) detta “Neutrino”. A tutto questo gruppo di particelle viene dato il nome di “Leptoni”.

Una diversa categoria di particelle sono i “Bosoni” (così chiamati perché obbediscono alla “statistica di Bose-Einstein” e non al principio di esclusione di Pauli, come già vedemmo parlando delle ricerche di Einstein: N. 103). Il più noto è il “fotone”, particella priva di massa e fatta di pura energia che interviene nella trasmissione dell’energia elettromagnetica. Altro importante bosone è il “Gluone” che agisce da collante nelle interazioni nucleari forti tra quark per tenerli uniti, altrimenti si respingerebbero avendo lo stesso tipo di carica elettrica (positiva). Altri bosoni sono i tipi “W” e “Z” che agiscono nelle “interazioni nucleari deboli”, che oggi sono associate alle interazioni elettromagnetiche in un’unica “forza elettro-debole”. 

 Nel 1948 il fisico statunitense Louis Alvarez progettò il potènte acceleratore lineare LINAC dove le particelle erano accelerate con corrente elettrica alternata. Presso il famoso Massachussets Technology Institute (MIT) venivano usati acceleratori elettrostatici tipo Van Der Graaf che potèvano raggiungere energie di 20 MeV. Vennero quindi sviluppati i sincrotroni, di forma circolare e traiettoria chiusa, usati dopo gli anni ’60 per far collidere particelle tra loro. I più noti sono lo SPEAR a Stanford, ed il Tevatron presso il Laboratorio Fermi in Illinois, dove le particelle possono raggiungere un’energia di 0,9 TeV (900 miliardi di elettron-Volt). Qui fu scoperto il quark “Top”.

Oggi il sincrotrone più grande è l’LHC (Large Hadron Collider) di Ginevra, che dipende dal CERN (Conseil Europèen pour la Recherche Nucléaire), lungo 27 Km, e capace di far giungere le particelle fino ad un’energia di 4 Tev (quattromila miliardi di elettron-Volt) con possibilità di arrivare fino a 7 Tev, e velocità vicine a quella della luce. Qui nel 2012 è stato isolato il famoso Bosone di Higgs già previsto dal fisico inglese Peter W. Higgs (premio Nobel per la Fisica nel 2013) oltre trenta anni fa nell’ambito della teoria detta “Meccanismo di Higgs” facente parte della trattazione della forza “elettrodebole”. Questa teoria spiega l’esistenza della massa nelle particelle W+ W-  e “Z”. È in fase di progettazione da parte del CERN un nuovo gigantesco impianto di accelerazione costituito da una galleria lunga 100 Km che passerebbe sotto il lago di Ginevra collegando Svizzera e Francia e dotato di magneti potèntissimi.

Tutte le ricerche descritte hanno permesso di costruire il famoso “Modello Standard” basato su una serie di particelle: i 6 tipi di quark, più i 6 leptoni, prima descritti, cui si aggiungono i bosoni finora noti che funzionano da “intermediari” trasportando energia o agendo da collanti. Ai bosoni sono associati i campi di forza quantizzati che costituiscono tutto lo spazio: il “gluone” – come già si è detto - è responsabile dell’interazione forte che tiene insieme i nuclei atomici. Questa forza è enorme: ben 1038 volte più grande della forza di gravità. Mentre – però – la gravità agisce in tutto cosmo a qualsiasi distanza, l’interazione forte agisce solo al livello del nucleo dell’atomo cioè entro un raggio piccolissimo di circa 10-15 metri. Le particelle “W” e “Z” assicurano – invece - l’interazione debole ed i “fotoni” la forza elettromagnetica, con le ultime due forze in seguito inquadrate in un’unica “forza elettro-debole”.

Il modello Standard, in cui vige la reversibilità temporale tipica della meccanica newtoniana (con l’aggiunta – per quanto riguarda gli aspetti quantistici – anche dell’inversione delle cariche elettriche e degli assi cartesiani), tiene separata la forza di gravità cui dovrebbe corrispondere la particella nota come “gravitone”, ancora poco definita. L’importanza di questo modello, che descrive la struttura intima della materia di cui è fatto il mondo, è che si tratta di un modello che ha una grande base sperimentale rispetto ad altri modelli più teorici (e fantasiosi) che dovrebbero integrare o sostituire il modello Standard, cercando di includere anche la forza di gravità, ma che attendono conferme e verifiche (Teoria delle Stringhe, Teoria del Tutto, Gravità Quantistica a Loop, Multiverso, ecc.). Di queste teorie ci interesseremo nei numeri finali.

Per ora sarà utile ricordare che i ricercatori italiani hanno contribuito in modo sostanziale alle ricerche sperimentali cui si è accennato sopra: come il Prof. Carlo Rubbia, ex Direttore del CERN ed ex Presidente dell’ENEA, Premio Nobel nel 1984 per la scoperta dei bosoni vettoriali W+,We Z e gli studi sull’unificazione delle interazioni deboli e le forze elettromagnetiche; come il Prof. Nicola Cabibbo, ex Presidente dell’INFN (Istituto Nazionale Fisica Nucleare) e dell’ENEA, autore di studi sull’interazione debole, sulle particelle dette “strane”, sull’interazione di fotoni ad alta energia sui cristalli, e su vari tipi di quark; come infine l’attuale Direttrice del CERN, Fabiola Giannotti, sotto la cui direzione è stato isolato il bosone di Higgs.

Tuttavia anche il gigantesco nuovo impianto lungo 100 Km in progetto sotto il lago di Ginevra non appare in grado di assicurare la potènza necessaria a realizzare gli ulteriori esperimenti che potrebbero provare le ultime teorie più avveniristiche, come quella delle stringhe. Ne riparleremo in prossimi articoli).

Tratto dal libro "Conoscenza, scienza e filosofia" di V. Brandi







(1) C. Rovelli, “La Realtà non è come ci appare”, R. Cortina 2014

(2) RBA, “Le grandi Idee della Scienza – Rutherford”

(3) RBA, “Le grandi Idee della Scienza – Gamow”

Elisabeth Kolbert: "Sotto un cielo bianco" - Recensione



Il punto di arrivo della traiettoria dell’inazione è già segnato. Non fare nulla ora contro le emissioni di gas serra per giungere presto al collasso climatico (ma il discorso vale anche per una qualsiasi delle altre crisi ecologiche in atto) porterà la gente a chiedere ai governi di intervenire d’autorità con qualsiasi tipo di tecnologia. Sull’onda dell’emergenza (letali ondate di calore, carestie da siccità, inondazioni delle città costiere, pandemie, migrazioni bibliche…) arriverà il momento in cui verranno accettate anche le tecnologie più estreme, rischiose e costose. Verranno messi da parte sia i pregiudizi morali sulla liceità delle azioni volte a modificare i cicli vitali del pianeta, sia i dubbi scientifici sulle loro effettive conseguenze e si allargheranno invece i cordoni della borsa degli stati a disposizione di interventi da “ultima ora”. Loro, le società del business della bio-geo-nano-ingegneria lo sanno bene e si stanno da tempo preparando con soluzioni pronte all’uso. Per i decisori pubblici, infatti, è più facile accettare di intervenire modificando le leggi della natura, piuttosto che mettere in discussione l’uso dei combustibili fossili e gli stili di vita dei propri elettori.

Elisabeth Kolbert, giornalista e divulgatrice scientifica del New Yorker, già nota in Italia con La sesta estinzione di massa (Beat, 2014), torna ora con Sotto un cielo bianco. La natura del futuro (Neri Pozza, 2022, pag. 238, euro 18). Una dettagliata inchiesta su alcuni casi di “evoluzione assistita” della natura: la inversione del corso del fiume Chicago e la regimentazione del Mississippi, le tecniche di reimpianto e di “re-designer genetico” di alcune specie animali, gli impianti per la cattura del carbonio dall’atmosfera, i progetti di geoingegneria solare e altri ancora. Ne esce un catalogo degli incubi dei moderni dott. Frankenstein, ma anche, più prosaicamente, ci si può intravvedere il listino dei prezzi che la natura dovrà ancora pagare per la colonizzazione della stratosfera, degli oceani, del genoma degli esseri viventi. La distruzione degli spazi vergini per consentire l’espansione costante dell’accumulazione primaria del capitale (al ritmo del calcolo degli interessi composti) sembra davvero non avere fine.

Mi limito qui a segnalarvi alcune informazioni che Elisabeth Kolbert ha raccolto su ciò che sta accadendo nell’”aria”. E non da ora. Fin dal 1965 un rapporto governativo consegnato al presidente Lyndon Jonson avvisava che l’utilizzo massivo di combustibili fossili costituiva inconsapevolmente “un gigantesco esperimento geofisico” che avrebbe determinato “significativi cambiamenti nella temperatura”. Soluzione? “Apportare deliberatamente cambiamenti climatici compensativi”. Come? Disperdendo minuscole particelle riflettenti della luce nell’atmosfera e/o negli oceani. Tecniche, del resto, già sperimentate dalla Air Force non solo in Vietnam.

Rosalie Bertell, scienziata femminista nonviolenta, autrice di Pianeta Terra. L’ultima arma di guerra (Asterios editore, 2018), aveva già denunciato in ogni sede le sperimentazioni militari segrete, e non solo quelle nucleari, quali il tentativo fallito nel 1961 delle forze armate Usa di costruire uno “scudo di telecomunicazione” nella ionosfera, per contrastare l’interferenza del vento solare con le radio-comunicazioni. “Hanno portato nella ionosfera 350 trilioni di aghi di rame lunghi 2-4 cm, tentando di costruire una fascia di 10 chilometri (6 miglia) di spessore e 40 chilometri (25 miglia) di larghezza per formare una cintura”.

Ora vi sono scienziati delle università di Yale, Harvard e di New York e una schiera di ingegneri nei laboratori finanziati dalle fondazioni di Bill Gates (Stratospheric Controlled Disturbance Experiment, SCoPEx) che scalpitano per mettere in pratica sistemi di Stratospheric Aerosol Injection. Una flotta di superjumbo pronta a scaricare particelle di calcite (carbonato di calcio), o di solfato (anidride solforosa), o di ioduro d’argento, ma potrebbero andare bene anche minuscole gocce di acqua salata cristallizzata, con proprietà ottiche tali da provocare l’effetto dell’eruzione di un “vulcano artificiale”: sbiancare il cielo e oscurare il sole. Il raffreddamento della superficie terrestre sarebbe pressoché immediato. Le popolazioni accaldate plaudirebbero entusiaste. Dice un geologo intervistato dalla Kolbert impegnato in questi progetti: “La gente dovrebbe smettere di chiedersi se approva o meno la geoingegneria solare. Quello che deve capire è che non possiamo scegliere. Gli Stati Uniti non possono scegliere. Se sei un leader mondiale ed esiste una tecnologia in grado di eliminare la sofferenza e il dolore o di ridurli, dovresti essere fortemente tentato di implementarla” (p.200). Non è forse questa la logica consueta che presiede l’introduzione delle innovazioni tecnologiche?

La Groenlandia ha abbastanza ghiaccio da poter aumentare di sei metri il livello globale dei mari, ci ricorda Kolbert. E il suo scioglimento è assicurato anche a emissioni ridotte a zero, poiché i tempi di permanenza della CO2 in atmosfera sono molto lunghi. Quindi: “non c’è scelta” al controllo artificiale del clima tramite la geo-bio-ingegneria. “Oscurare quel cazzo di sole potrebbe essere meno rischioso di non farlo” ha detto il direttore della Solar Radiation Management Governance Initiative alla Kolbert.

In attesa dello sdoganamento dell’ingegneria solare, un folto gruppo di imprese stanno mettendo a punto sistemi di rimozione per estrazione diretta del carbonio presente nell’aria come CO2, stoccaggio (meteorizzazione come carbonato di calcio) e/o recupero e reimpiego. La loro filosofia è ben spiegata da un ingegnere del Center for Negative Carbon Emission: “L’anidride carbonica dovrebbe essere considerata alla stregua dei liquami (…) Finché le emissioni saranno viste negativamente i responsabili saranno sempre colpevoli” (p. 167). Insomma, una volta “naturalizzate” le emissioni dei gas da combustione – consumare energia fossile farebbe oramai parte del “metabolismo sociale”, per usare un’espressione marxiana – i macchinari per la loro cattura andrebbero considerati normalmente come lo sono ora i depuratori delle acque reflue. Una soluzione contemplata anche dallo Ipcc e ben accolta anche dai sostenitori del New Green Deal, ecosocialisti compresi. Il prossimo passo sarà una maschera d’ossigeno d’ordinanza o una cupola geotermica con aria condizionata sopra le città?

Più “naturale” la tecnica di cattura tramite riforestazione (Bioingegneria con cattura e stoccaggio di carbonio). Piantagioni di specie vegetali geneticamente modificate (per esempio, alberi con il fogliame di colore più chiaro per riflettere meglio i raggi solari) verrebbero coltivati e al momento della loro massima capacità di assorbimento della CO2 tagliati e sotterrati in enormi trincee. È stato calcolato che per dimezzare le emissioni di CO2 basterebbe riforestare una superficie di nove milioni di chilometri quadrati, ovvero una distesa di legno grande come gli Stati Uniti (p. 175). Non è forse così che in ere geologiche passate si sono formati i giacimenti di carbone e petrolio?

Con questo approfondito lavoro di inchiesta la nostra autrice intende metterci in guardia da almeno due grossi pericoli della via tecno-ottimistica alla soluzione delle crisi ecologiche: quello di intervenire solo sugli effetti a valle (e non modificare le cause a monte), generare una spirale perversa di progressivo “controllo del controllo della natura” (p.18) che finisce per irrigidire il sistema e lo spinge verso ecosistemi-sempre-meno-naturali. Come darle torto!

Il libro della Kolbert andrebbe letto assieme ad altri testi. Innanzitutto, quello già ricordato della Bertell che riteneva che le armi di distruzioni di massa a disposizione dei militari, più pericolose delle stesse bombe atomiche, siano quelle capaci di modificare i cicli naturali della Terra attraverso la geoingegneria. Poi ricordiamo di Christopher Preston, L’età sintetica. Evoluzione artificiale, resurrezione di specie estinte, riprogettazione del mondo (Einaudi, 2018), in cui si dice che: “Stiamo fabbricando nuove strutture atomiche e molecolari per creare materiali con proprietà completamente nuove. Stiamo modificando la composizione delle specie presenti negli ecosistemi, sperimentando al contempo le tecniche per riportare in vita animali estinti. Stiamo studiando come utilizzare tecnologie che possano riflettere la luce del Sole per mantenere fresco il pianeta. In ciascuno di questi modi l’umanità sta imparando a sostituire alcune delle attività naturali”. Dovremmo quindi: “decidere fin dove dovremmo spingerci nel rifacimento della Terra”.

Paolo Cacciari


Al Vaticano non piacciono i saggi di altre parrocchiette... (come ad esempio Rajneesh)



Ogni qualvolta un saggio compare sulla Terra e  mette a repentaglio la credibilità delle autorità religiose "ufficiali", queste sguaiano la spada contro gli ipotetici concorrenti. Ma le operazioni che il Vaticano compie sono subdole, spinge altri ad assumersi la responsabilità  della persecuzione. Ad esempio spinse Reagan a perseguitare Rajneesh (più tardi conosciuto come Osho), invitando tutti gli altri Stati del mondo a rifiutargli ospitalità e addirittura -si dice- avvelenandolo...  (vedi: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2012/07/osho-rajneesh-qualcosa-che-so-di-lui-ad.html).  

Le autorità religiose riconosciute dall'Occidente spesso  utilizzano la propria influenza politica per denigrare  uomini straordinariIl mondo concede ospitalità ai criminali di guerra più efferati ma chiude la porta in faccia ai santi che non fanno parte della parrocchietta del sistema.

Ma il karma è un gioco sottile sul quale possiamo riflettere proprio prendendo in considerazione l'episodio riguardante Rajneesh.

Il Vaticano chiese agli Usa di perseguitare Rajneesch. Così il Vaticano assunse un debito con il destino e subito dopo lo stesso paese che gli diede ascolto mise sul tavolo del mondo l'ipotesi che la chiesa possa avere ingannato il popolo per duemila anni.

Il vaticano ha cercato di inquinare la dignità di un filosofo come Rajneesh, denigrando il suo messaggio laico spirituale, senza pensare alle conseguenze delle sue azioni. 

Ma Rajneesh non è stato l'unico personaggio  perseguitato dalla chiesa...

Giancarlo Rosati



Veneto indipendente e spritz libero!

 


Il nostro, anzi il mio, Veneto -non dimentichiamo che sono mezzo veneto da parte di madre che era padovana e che son vissuto a Trieste (da bambino) ed a Verona (da giovincello) per tanti anni- e proprio in memoria di quella gioventù eroica e ribelle faccio mia la richiesta -sacrosanta e degnissima- delle autorità venete che chiedono come primo passo verso l'indipendenza che lo spritz sia libero (od a poco prezzo).

Paolo D'Arpini









Ecco le richieste al completo, segnalate dall'amico veronese Uberto Tommasi:


Referendum sull'autonomia del Veneto


1) Decade il monopolio dello stato sui tabacchi, perchè le sigarette le fen noialtri coe legne che avanza dala stua

2) Sovratassa sull'esportazione del prosecco fuori dal Veneto, perché noialtri sen boni de farlo e l'è giust che i nelo paghe

3) Riduzione in regione delle accise sul prezzo dello spritz (Spriss libero al massimo a un euro)

4) Scorporamento dalla regione di tutta la provincia di ROVIGO (parchè no i xe veneti dai mo)

5) Inserimento nelle scuole di almeno un'ora alla settimana di dialetto veneto (biasteme comprese, parché senó el bocia no impara)

6)Tassa sul lusso per i turisti di Venezia (perchè Venessia a xe bea e si ti vol vedarla... PAGARE)

7) Chiusura, abbattimento e bonificazione di strutture dedicate alla vendita di mezzi, stazioni e areoporti (Aerei, treni, machine e moto da noialtri no ghin voen parchè se usa solche tratori)

8) Rimodernizzazione del Ponte della Costituzione a Venezia (parché col piove se sbrissia)

9) Le lauree conseguite al di fuori delle Università della Serenissima (ghemo dito NO ROVIGO) vengono considerate estere e pertanto valutate valide tramite esame in sede


10) Sostituzione di tutti i ristoranti Sushi All You Can Eat con ristoranti locali "Poenta e Muset: tut quel che te vol, te magna finché no te sciopa"

11) Abolizione della parola "immigrato" da tutti i dizionari (perché ognuno sta a casa soa)

12) Spriss libero o al maximo a un euro lo ghemo dito?!