Nisargadatta Maharaj disse...



"La maggior parte dei libri religiosi dovrebbe rappresentare la parola di una persona illuminata. Comunque una persona illuminata dovrebbe parlare sulla base di certi concetti che trova accettabili. Ma la notevole distinzione della Bhagavad Gita è che il Signore Krishna ha parlato dal punto di vista che lui è la fonte di ogni manifestazione, cioè dal punto di vista non del fenomeno, ma del noumeno, dal ... punto di vista "la manifestazione totale sono Io stesso".
Questa è l'unicità della Gita. Considera cosa deve essere accaduto prima che qualsiasi antico testo religioso fosse registrato. In ogni caso, la persona illuminata deve aver avuto pensieri che deve aver messo in parole e le parole usate potrebbero non essere state del tutto adeguate per trasmettere i suoi pensieri esatti.
Le parole del maestro sarebbero state ascoltate dalla persona che le ha registrate, e ciò che ha registrato sarebbe stato sicuramente secondo la sua comprensione e interpretazione. Dopo questa prima annotazione manoscritta, varie copie sarebbero state fatte da più persone e le copie avrebbero potuto contenere numerosi errori. In altre parole, ciò che il lettore legge in un determinato momento e il tentativo di assimilare potrebbe essere molto diverso da quello che era veramente inteso essere trasmesso dal maestro originale.
Aggiungete a tutto ciò le interpolazioni inconsapevoli o deliberate di vari studiosi nel corso dei secoli, e capirete il problema che sto cercando di trasmettervi. Mi è stato detto che lo stesso Buddha parlava solo in lingua maghadi, mentre il suo insegnamento, come registrato, è in pali o in sanscrito, cosa che avrebbe potuto essere eseguita solo molti anni dopo; e quello che ora abbiamo del suo insegnamento deve essere passato attraverso numerose mani. Immagina il numero di modifiche e aggiunte che devono essersi introdotte in esso per un lungo periodo.
C'è quindi da meravigliarsi che ora ci siano divergenze di opinione e controversie su ciò che il Buddha ha effettivamente detto o intendeva dire? In queste circostanze, quando vi chiedo di leggere la Gita dal punto di vista del Signore Krishna, vi chiedo di rinunciare immediatamente all'identità con il complesso corpo-mente durante la lettura. Vi chiedo di leggerlo dal punto di vista che voi siete la coscienza animatrice - la coscienza di Krishna - e non l'oggetto fenomenico a cui dà la sensibilità - in modo che la conoscenza che è la Gita può esserti veramente rivelata. Capirai allora che nel Vishva-rupa-darshan ciò che il Signore Krishna mostrò ad Arjuna non era solo il suo Svarupa, ma lo Svarupa - la vera identità - di Arjuna stesso e quindi di tutti i lettori della Gita.
In breve, leggi la Gita dal punto di vista del Signore Krishna, come la coscienza di Krishna; ti accorgerai allora che un fenomeno non può essere "liberato" perché non ha esistenza indipendente; esso è solo un'illusione, un'ombra.
Se la Gita viene letta con questo spirito, la coscienza, che si è erroneamente identificata con il costrutto corpo-mente, diventerà consapevole della sua vera natura e si fonderà con la sua fonte".
Nisargadatta Maharaj



Riannodare i fili che tengono uniti gli esseri viventi...




“Paolo, tu parli spesso del “dharma”. Il tuo è agire da rompighiaccio e da seminatore. Il mio, e credo di averlo capito alcuni mesi fa, è quello, nel mio piccolo, di unire le persone, farle incontrare, dando loro l’opportunità, se lo vogliono e se io “ci ho azzeccato” di conoscersi, di scambiarsi idee, esperienze, affetto, aiuto, amore e chi più ne ha più ne metta. Credo proprio sia questo il mio compito in questa “esperienza” che è la vita. E’ come se io fossi una tessitrice, ma di quelle che fanno i tappeti persiani, o le reti da pesca (mi vengono queste due immagini) . Io faccio qualche nodo e a volte mi riesce, a volte vengono dei groppi oppure il nodo è troppo sottile e si lacera o semplicemente, non tiene. Io ci provo, ma è proprio una tendenza che non posso non considerare, anche a costo di “non farmi i fatti miei”. A me pare che viviamo in un’epoca in cui c’è molta solitudine oppure sono io che la sento così e non è facile fare da collante. Ma è questo che io mi sento di fare. Con ciò, è ovvio, vado incontro anche ad un mio bisogno, cerco di fare qualcosa di giusto e buono prima di tutto per me stessa, mi sembra di dare un sia pur piccolo senso a questa vita, che ha senso già per il fatto di esserci e di darmi modo di respirare”.

Scrivevo questo nel 2010, oggi cosa è cambiato, per me, se qualcosa è cambiato? Il discorso del “fare rete” ormai è opinione diffusa, tutti usano questo termine ed io, dal canto mio, mi sento un po' “svuotata” in questo senso. Sono un po' stanca, gli anni passano e si fanno sentire sempre di più, anche se in fondo non sono poi così tanti. E, nonostante non abbia mai cercato un riconoscimento, forse cercavo comunque dei frutti delle mie azioni, e questi frutti mi sembrano alquanto scarsi rispetto agli sforzi. Mi pare che tutto sommato Paolo sia molto più efficiente da questo punto di vista. Non so com'è. magicamente, da quando conosco lui, ho conosciuto tante belle persone, alcune persone le ho anche perse, ma si vede che doveva andare così.

Però lo stesso credo che ci sia da fare ancora un passo, il passo successivo al completamento dell'opera di riavvicinamento degli esseri umani, nel mio, nel nostro piccolo, ovviamente. Quello di creare un legame, in modo da potersi sentire fratelli e sorelle.
Sarà perché sono figlia unica, che queste figure mi sono sempre mancate e le sono sempre andate cercando, in un'amica, un amico, un fidanzato, un marito, una figlia. Lo so, è sbagliato, ognuno deve avere il ruolo che gli compete, ma, scusate, non posso fare a meno di desiderare di avere accanto a me alcune persone e da poterle considerare tali. E apprezzo la lettura di un libro come quello della Freedman che, pur un po' noiosetto a tratti, parla della civiltà dei Moso, una popolazione cinese, che segue l'organizzazione matrilineare, ma non è solo che lì la donna “dirige” la situazione, ma le famiglie sono composte prevalentemente dalla madre e dai suoi figli. Il marito se c'è c'è, ma può anche non esserci. Certo, in una famiglia piccolissima come la mia, sarebbe stato un po' difficile ricostruire una struttura del genere.

Qualche giorno fa una persona che apprezzo molto mi ha detto:” Tu sei una persona che si prende cura degli altri”. A volte è vero, mi piace prendermi cura degli altri, se questi altri mi risuonano e mi sembra che possano aver bisogno di una mia carezza. Del resto possiamo vedere la cosa anche da un altro punto di vista: un certo Gesù (ammesso che sia esistito, ma quel che importa è il messaggio) disse: “fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te” e se ammettiamo (e chi non lo farebbe?) che questo sia un insegnamento vero, basterebbe che ognuno o almeno la maggior parte degli esseri umani lo facesse proprio, per ribaltare la situazione di competitività, egoismo che stiamo vivendo. Personalmente desidero quella carezza, desidero riconoscermi nello sguardo amorevole dell'altro, desidero sentire che dentro di me c'è la stessa “cosa” che c'è nell'altro.

Forse sarà anche un desiderio di accettazione, il mio, e ci sto lavorando.

Certo, non tutto è nelle nostre mani, nelle nostre possibilità, ci sono esseri che dell'egoismo hanno fatto il loro sistema ed a livelli molto importanti e che coinvolgono le sorti della umanità intera, ma secondo me bisognerebbe cominciare a dare loro meno importanza, meno cibo e agire come se si fosse di un altro mondo e credo sia possibile in questo modo creare una società parallela, più “umana” e “naturale”. Sarà possibile se si riacquisteranno il senso della fratellanza e della comunanza.

Caterina Regazzi - Rete Bioregionale Italiana



Mio commentino: ”Veramente bello questo articolo di Caterina, invita a sentirsi tutti parte della grande comunità umana. Mi piacciono anche le foto che sono state scattate a Calcata, quando ancora abitavo lì, nel 2009...” (P.D'A.)