Estasi significa perdersi...


La mente umana sfocia sempre nell’ego, quello è il suo sviluppo finale. Quindi, innanzitutto bisogna capire in che modo la mente umana diventa ego.
L’ego è la barriera. Più sei, meno il divino può manifestarsi. Meno sei, più sei disponibile al divino. Se sei totalmente vuoto, il divino diventa l’ospite e può diventare l’ospite solo quando sei totalmente vuoto, quando non resta nemmeno un frammento di te. A quel punto diventi l’anfitrione e lui diventa l’ospite. Quando non sei, sei il padrone di casa. Quando sei, tutte le tue preghiere sono vane, tutti i tuoi inviti falsi. Quando sei, non l’hai ancora chiamato, perché la tua chiamata può essere autentica solo quando non sei. È la sete silenziosa di un essere vuoto, la preghiera silenziosa e senza parole di una mente che non c’è più, di un ego che si dissolve.
Una volta accadde che Mulla Nasruddin venne da me, molto turbato, triste, perplesso e disse: “Sono in guai seri. È sorto un problema. E non sono un cieco credente, sono un uomo razionale”. 
Gli chiesi: “Qual è il problema?”. Rispose: “Proprio questa mattina ho visto un topo sul Corano, il Sacro Corano. Quindi sono turbato. Se il Corano non può proteggersi da un normale topo, come può proteggere me? Tutta la mia fede è a pezzi, tutto il mio essere è sconvolto. Ora non posso più credere nel Corano. Cosa devo fare?”.
A quel punto gli dissi: “Questa è la conseguenza logica: inizia a credere nel topo, perché hai visto con i tuoi occhi che il topo è più forte del Sacro Corano”.
E, naturalmente, la forza è l’unico criterio per la mente, il potere è ciò di cui la mente è alla ricerca: Friedrich Nietzsche ha ragione.
Dissi a Mulla Nasruddin: “L’uomo non è altro che volontà di potere. E ora hai visto con i tuoi occhi che un topo è più potente del Sacro Corano”.
Si convinse. Ovviamente non c’era modo di sfuggire alla logica, quindi iniziò ad adorare il topo. E presto si trovò nei guai, perché un giorno vide un gatto balzare sul topo. Ma questa volta non venne a chiedermi consiglio, aveva già la chiave in mano: iniziò ad adorare il gatto. Presto fu di nuovo nei guai. Un cane inseguì il gatto facendolo spaventare. Quindi iniziò ad adorare il cane. Ma poi si ritrovò ancora una volta nei guai: sua moglie uccise il cane a botte. 
A quel punto tornò da me e disse: “Questo è troppo. Posso adorare un topo, un gatto, un cane, ma non mia moglie”. Gli risposi: “Nasruddin, sei un uomo razionale ed è così che funziona la ragione. Non puoi tornare indietro, devi accettarlo”. 
Quindi disse: “Allora farò una cosa. Le farò una foto, senza che nessuno lo sappia, entrerò nella mia stanza, chiuderò a chiave la porta dall’interno e la adorerò. Ma per favore non dirglielo”.
Così iniziò ad adorarla in segreto e le cose stavano andando bene. Ma un giorno sua moglie corse da me e mi disse: “Qualcosa non va da molti giorni. Pensavamo che fosse diventato un po’ matto, perché ha adorato un topo, poi un gatto, poi un cane e da alcuni giorni fa qualcosa in segreto nella sua stanza. Si chiude a chiave e non permette a nessuno di entrare. E oggi, per curiosità, ho guardato attraverso il buco della serratura ed è troppo da sopportare! 
Le domandai che cosa stesse facendo e lei rispose: ‘Vieni a vedere’. 
Quindi dovetti andare a spiare attraverso il buco della serratura! Era nudo davanti a uno specchio e adorava se stesso. Bussai alla porta. Lui aprì e disse: “Questa è la logica conclusione. Questa mattina mi sono arrabbiato e ho picchiato mia moglie. Quindi ho pensato: sono più potente di lei! E ora sto adorando me stesso”.
 ⋮ Voglia di perdersi nell'estasi ⋮ Cat. [Georges Bataille ...
È così che la mente procede verso l’ego: l’obiettivo finale è “io”. E se ascolti la mente, prima o poi arrivi inevitabilmente a questo punto: devi adorare te stesso. 
E non sto scherzando. È questo che l’umanità nel suo complesso adora. Tutti gli dèi sono stati messi da parte, tutti i templi sono diventati inutili e l’uomo adora se stesso.
Come è possibile? Se ascolti la mente ti convincerà, con sofisticate argomentazioni, che sei il centro del mondo, che sei l’essere più importante del mondo. Sei l’essere supremo, sei dio. Questo atteggiamento egoico è inevitabile, è l’estrema conclusione logica. E la mente solleverà dubbi su tutto, ma non ti farà mai sorgere dei dubbi sul tuo ego. 
Ogni volta che la mente sente di doversi arrendere, solleva dei dubbi. Dice: “Che cosa stai facendo? Arrenderti a un maestro? Abbandonarti a un dio? Arrenderti al tempio o in chiesa? Arrenderti nella preghiera e nell’amore? Arrenderti nel sesso? Cosa stai facendo? Ti stai perdendo. Stai attento e controllati, altrimenti ti perderai”.
Quando c’è qualcosa in cui puoi lasciarti andare, la mente resiste. Ecco perché la mente è contro l’amore, perché l’amore è una resa: nell’amore l’ego non può esistere. Per questo la mente è contro il maestro, il guru, perché l’ego deve arrendersi, altrimenti il maestro non può operare. Ecco perché la mente è contro dio, perché se c’è un dio non puoi essere superiore, l’ego rimarrà sempre inferiore e non potrai mai essere incensato sul trono più alto. 
Non puoi permettere a dio di esistere.
 Nuvola | Doppiozero
Nietzsche ha detto: “È impossibile per me ammettere che ci sia un dio, perché che ne sarebbe di me? Dove mi collocherei? Se dio esiste, io non mi colloco da nessuna parte, quindi scelgo me stesso, non dio”. 
Ecco perché Nietzsche ha detto: “Dio è morto e ora l’uomo è libero, assolutamente libero”. 
Nietzsche ha fatto scuola in questo secolo, è stato il profeta di questo secolo. 
È il fondamento di tutti voi, che lo conosciate o meno. È nel profondo di tutti coloro che sono nati in questo secolo. Per voi dio è morto, solo l’ego è vivo. E ricordate: non possono esistere insieme.
Nell’Antico Testamento c’è una bellissima frase. La frase è: “Non puoi vedere dio da vivo”. Il significato è lo stesso: quando vedi dio devi morire, non puoi vedere dio da vivo. Quando muori, solo allora puoi vedere dio, perché tu stesso sei la barriera, sei il muro. O l’ego o dio, è così che vanno le cose: non puoi averli entrambi. E se provi ad averli entrambi, avrai l’ego e dio morirà. 
Morirà dentro di te, perché nell’esistenza dio non può morire, ma dentro di te dio sarà morto, non ci sarà. L’hai sbattuto fuori, perché sei troppo pieno di te. “Sei” troppo. E l’ego non è “poroso”, non ha spazio per nessun altro. È molto geloso, è assolutamente geloso. Non permetterà a nessun altro di entrare nello scrigno interiore del tuo essere. Vuole essere il sovrano supremo.
La mente è sempre contraria alla resa. Ecco perché quando la mente diventa dominante, tutte le dimensioni della resa scompaiono. 
Questo secolo soffre, perché questo secolo non può arrendersi. Questo è il problema. Questo è il fondamento, il fulcro della mente moderna… 
E continuate a chiedere: “Come faccio ad amare?”. 
La mente non può amare. La mente può andare in guerra, è facile, ma la mente non può addentrarsi nell’amore, è impossibile. Perché in una guerra la mente può esistere, può funzionare bene. Ma nell’amore, la mente deve arrendersi.
Amore significa dare all’altro potere su di te e tu hai paura. Significa che l’altro diventa molto importante, molto più importante di te, e se dovesse verificarsi una crisi, arriveresti a sacrificarti per il tuo amante. L’amante è sul trono: tu sei solo un servo, sei solo un’ombra. 
Questo è difficile per la mente. Ecco perché l’amore non è possibile e persino il sesso diventa impossibile. Perché anche nel sesso arriva il momento in cui devi perderti e solo allora può accadere l’orgasmo, solo allora tutto il corpo può riempirsi di una nuova energia, di nuove vibrazioni, di bioelettricità. Può diventare un flusso vibrante e radioso: perdi te stesso. Ma anche questo non è possibile... 
Osho: amore libero, droga, Rolex e Rolls Royce
Fonte: Osho Times n. 265 - Da: Osho, When the Shoe Fits

Nessuno fa nulla... tutto accade!


NULLA ACCADE PER CASO - YouTube

"I cosiddetti 'fatti' sono filtrati dalle nostre emozioni e interpretazioni e raccontano la 'nostra' storia così come noi l'abbiamo percepita." (Saul Arpino)

L'angolazione del giudizio sui fatti esaminati nella storia e nella nostra vita dipende solo dalla propensione emozionale a vedere le cose per come le sentiamo vere. Come accade ad esempio per le diverse verità narrate nel film Rashomon…

Addio a Machiko Kyo, star di Rashomon di Akira Kurosawa

Sappiamo però che la storia non è mai quella raccontata e nemmeno quella percepita con le budella.

La storia, anche nella migliore delle ipotesi, è un mosaico di piccoli particolari ed eventi disgiunti che solo all’analisi successiva appaiono consequenziali e collegati gli uni agli altri, Come i fotogrammi scelti dal regista per raccontare la trama del suo film.

Nella nostra vita percepiamo lo stimolo di rispondere "adeguatamente" nelle evenienze più diverse che ci capitano ma non possiamo dire che il filo conduttore sia la nostra volontà di ottenere i risultati che ci siamo prefissati. Succede quel che succede e poi noi esprimiamo il nostro parere: "ho compiuto questa azione e mi piace", oppure: "ho compiuto quell'azione e non mi piace…", e con ciò riteniamo che quanto avvenuto sia il risultato del nostro agire (buono o cattivo che sia).

In realtà nessuno fa nulla c’è solo un’intersecazione e commistione di forze diverse che agiscono attraverso di noi. Quel che resta sono i semplici fatti, non le ragioni o le intenzioni. Comunque tendiamo ad esaminare quei fatti con la nostra visione personale ed il nostro senso del giudizio.

La vita è tutta una meravigliosa sorpresa e voler stabilire il suo significato è semplice arroganza! Questa la mia opinione…

Paolo D’Arpini


Chi la fa l'aspetti... ma l'officina è vuota!



Chi la fa l'aspetti | StarWalls

Brandelli di relitto
Diciamo spesso di imparare dalla storia. Accade ogni volta che assistiamo a qualche sprovvedutezza protetta al petto come fosse un bene grande. Altrettanto spesso osserviamo che l’occasione della sua lezione è andata perduta una volta ancora.
Evidentemente c’è una forza che ci impedisce di sfruttare le opportunità che la sorte ci offre per ridurre la vulnerabilità generale, per recuperare la cultura umanista, per liberarci dalla dannazione alla quale ci costringe quella tecnicista, nella quale siamo immersi.
Se una parte di noi se la gode nuotando soddisfatto, l’altra, di maggioranza, arranca in cerca di un brandello di relitto qualunque che lo tenga a galla. Quando ne trova uno, nonostante tanti altri come lui galleggino con fatica e siano in difficoltà, nonostante molti non ce la facciano e vadano giù, è disposto a tutto pur di appropriarsene, pur di non condividerlo. La lotta è per la sopravvivenza. Il mors tua vita mea si compie sotto gli occhi soddisfatti del regista della realtà che viviamo.
La lotta tra poveri non è un dramma per chi l’ha generata. È qualcosa di più importante. È la dimostrazione del successo del progetto, della regia. Dare tutto per sé e contro gli altri, pur di non affogare, non permette di occuparsi di altro: il gioco è fatto. È stato fatto innumerevoli volte. Ogni volta che serviva sottrarre all’attenzione qualcosa sotto i riflettori dell’interesse comune.

Sceriffi della verità
Dopo le contraddizioni governative di queste ultime settimane viralizzate, è questa è l’impressione che resta nell’animo di molti: qualcosa non è chiaro. Oltre al problema della salute, il virus pare abbia infettato le sorgenti pure dalle quali ognuno di noi si avvia verso la valle della vita e il grande mare della morte.
Tutto va al rovescio.
Il monito ufficiale per la gestione della cosiddetta pandemia giungeva a noi come pioggia scrosciante dalla quale alcun riparo poteva proteggerci. Spruzzi di paura venivano lanciati a raggiera a tutte le ore, come sale nei giorni di neve. La falda si inquinava, e noi con essa. La chiaroveggenza dell’umanismo aveva perso la luce.
Il martello della paura ha battuto il ferro della conoscenza deformandolo fino alla forma orrifica della medicina. Quella velenosa, destinata a curare i comportamenti senza curarsi delle persone che li esprimono. Destinata perciò ad alienare tutti noi dal nostro stesso corpo ovvero dal nostro setto sentire.
Per strada e nel mondo si incontravano livelli vari di delatori. Da quello che cambiava marciapiede a quello che insultava se considerava fuori norma il comportamento di qualcuno. Invettive lanciate in nome e a sostegno dei burocrati della scienza e della vita dai quali avevano preso il modello. Più di prima si vedranno sicofanti, impeccabili come il quaderno di un ragioniere, denunciare gli untori della loro misera e ottusa concezione etica del mondo. E ancora si vedranno accanimenti contro poveretti qualunque, eletti a capri espiatori di malfatte ridicole per spostare l’attenzione da questioni e responsabilità ben più gravi.

L’offerta della storia
Eppure la storia ci aveva posto il solito piatto d’argento dal quale avremmo potuto scegliere prelibati temi, fortemente nutrienti. Quelli sì da sviluppare senza soluzione di continuità. In sostituzione dei precetti avrebbero potuto raccontare in lungo e in largo cosa sia il sistema immunitario, volendo anche con argomenti di fisiologia, di biochimica, di anatomia. Avrebbero potuto mostrare i dati relativi alle controindicazioni delle medicine, alla loro tossicità e causa di malattie. Avrebbero potuto parlare diffusamente sulla vera missione delle cause farmaceutiche (non tutte) sul loro interesse a provocare e ad alimentare uno stato di salute precario e il relativo bisogno di cura. Avrebbero potuto raccontare in lungo e in largo l’importanza dell’assunzione della Vitamina C e D. O, almeno che assumere molti cereali e zuccheri, soprattutto se insieme, è fortemente sconveniente nel momento e nel tempo. Avrebbero potuto precisare quanto quelle due sostanze siano in buona misura le responsabilità di molti malesseri e malattie che perciò, di fato, creiamo noi attraverso l’alimentazione. E dunque, che la malattia non è un caso; che in essa c’è molta nostra responsabilità e che è arrivato il momento di prenderne coscienza. (E non è la prima volta).
Di questo avrebbero potuto e dovuto parlare notte e giorno al divano dove gran parte degli italiani era inchiodata, ansiosa di sapere cosa, fare, cosa dire, cosa pensare. Avrebbero potuto darci conforto affermando che lo stato vuole partecipare al rinnovo culturale implicato in certe consapevolezze. E che, diversamente da quanto abbiamo spesso sentito dire, non si tratta di credere alla voce dello Stato, piuttosto di verificarla per ottenere solo da se stessi, dal proprio corpo, la risposta su quanto è vero che certi cibi, sentimenti, e inattività ci nuociano o ci aiutino. Avrebbero potuto battere il maglio su cosa aiuta e ciò che indebolisce il sistema immunitario. Avrebbero potuto dialogare per tutto il tempo che serviva per integrare le conoscenze tra ricercatori piuttosto che dichiarare ciarlatani quelli che, con altre modalità, avevano i loro risultati da proporre e valutare. Avrebbero potuto argomentare quanto è vero che siamo noi i primi distruttori della nostra salute così come ne siamo i primi autori, che perciò, gli agenti esterni colpiscono le difese più deboli, non chiunque. Che muoversi, fare attività motoria è necessario a tutto il nostro essere, che respirare aria buona – e ora la si poteva trovare anche in città – è fondamentale per la salute. Che allontanarsi dalle fonti di elettromagnetismo era un’abitudine da acquisire. Che essere costretti, perché senza alternative, a vivere sotto un elettrodotto o dormire sopra la centralina dell’impianto elettrico erano abitudini da abbandonare. Che la rete di campi elettromagnetici non è solo il vantaggio del wifi e di tanti altri ma è, anche un prezzo elevato di cui ancora non sappiamo con quanto sangue pagheremo il conto. Avrebbero potuto dire che portare rancore e avere cattivi sentimenti – lo sostengono ormai tutti gli psicologi della terra – è fortemente velenoso; che in quegli aspetti fioriscono le patologie. Che la crisi del virus sebbene abbia piegato le gambe all’economia, ci da il tempo per rivisitare le modalità smodatamente tossiche della vita che lo stesso virus ha obbligato ad interrompere.
Ma quanto avrebbero potuto fare, invece del napalm alla paura che hanno sparato in tutte le direzioni?

L’obbligo della biografia
Sul piatto d’argento c’era l’occasione d’oro?
No. Per niente. Non c’era neppure il piatto d’argento. Le possibilità che possiamo contare non esistono nella realtà. In essa si dispiega solo e soltanto il filo che la nostra biografia ci permette. Tutto il resto sono illazioni, congetture, superstizioni. Guitto senno di poi da bacchettoni sulla cattedra della vita. Non c’è alcuna libera scelta, quantomeno finché la dipendenza da ciò che si crede di essere sussiste, ovvero finché l’emancipazione dalla propria struttura culturale e personale non è realizzata.
C’è però permanentemente lo spazio libero che le nostre affermazioni occupano rivelando tutto di noi. Mentire è impossibile.
Così, in tempo di altissimo ascolto e interesse, di massima motivazione per provocare certe consapevolezze ed educazioni è stato gettato come da intento di qualche scienziato scientista – la peggior specie di uomo dogmatico – e di qualche cosiddetto competente suo accolito. Ancora una volta, alle ortiche l’opportunità di crescere una generazione che avrebbe beneficiato di questa crisi. E i suoi padri, invece di dannarsi per aver lasciato alla loro progenie un mondo peggiore di quello che avevano ereditato, avrebbero potuto liberarsi dal senso di colpa ed essere fieri di se stessi.
E invece? Non si è assistito ad alcun cambio di paradigma se non in peggio, c’è da presumere. La rincorsa al ritorno dell’economia perduta non si vede come non possa proseguire con i vecchi sfaceli e comportarne di nuovi.
Dunque, i giovani, che nella loro vita avrebbero potuto consolidare ed arricchire le consapevolezze che il virus ci aveva in potenza donato, e i loro genitori gli avrebbero servito, resteranno lettera morta.

Il contorno
E la guarnitura? Non è mancata. Non manca mai.
La censura non si è limitata a denigrare ed escludere, nel dibattito e nelle scelte dell’emergenza, le voci, anche ortodosse, ma con prospettive differenti. Essa si è viralmente estesa a tutto ciò che gli scienziati di Stato e la loro cricca ritenessero opportuno abbattere. Quindi esclusione, epurazione, censura, scomunicazione, radiazione anche di tutta l’informazione – che avrebbe dovuto essere libera secondo la Costituzione e ben accetta secondo la Scienza – portata da menti, sì libere e pensanti. Non guitte e ubbidienti, soddisfatte nel riferire i dispacci e le veline governative. Inconsapevoli – lasciamogli la buona fede, come agli attori del mulino bianco che sono felici dei propri sorrisi – della spinta di lobby d’interesse industriale, commerciale, finanziario, ricattatorio. E tutto ciò caricato fino al grottesco se si allineano i gravi inciampi della loro versione unica e ufficiale.
L’assurdità della scienza come verità sola e definitiva sussiste. Ha retto il colpo. Una cultura gravemente contagiosa, infetta il suo popolo una volta di più.
L’officina alchemica è rimasta vuota di garzoni e apprendisti anche stavolta. Statuari dogmi legalizzati, armati e cattivi, ne hanno impedito l’accesso.
Il piombo resterà piombo, nessuna sublimazione può avvenire senza che la negra materia nel crogiolo non sia caricata del bianco spirito delle cose. L’oro che siamo, ancora una volta rimarrà esclusiva dei ciarlatani.
Le spie, gli informatori, i probiviri sapranno denunciarli all’autorità competente.


Lorenzo Merlo


O la commedia o la vita... !?


Essere o non Essere? La Verità tra Shakespeare e Parmenide della ...

Può capitare, osservando se stessi, di avvertire ciò che alcuni chiamano risveglio. La magia che si compie comporta di vedere il reale diverso da come era prima, pur essendo lui, sempre identico. È una magia a più livelli, prospettive o combinazioni. Essa include infatti anche la chiara comprensione che la realtà esce – e non, entra – dai nostri occhi. Include che non ci si senta più monadi separate dall´universo; che l´infinito che siamo è sempre mortificato da quello che crediamo; che l´energia compone il cosmo, tra cui noi stessi.

La recita
«La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa di tutte le illusioni».
Paul Watzlawick

Guardava i siti dei giornali del giorno. Leggeva qualche titolo e si soffermava sulle immagini dei personaggi come avesse aperto una scatola di ricordi. Non c’era nessuna novità e così era stato nei giorni passati. Il tempo aveva cessato di correre avanti, tutto era già noto.
Nelle fotografie, i volti dei protagonisti del momento non corrispondevano a persone specifiche, non erano e non avevano niente di differente da tutti gli altri che li avevano preceduti. La differenza, era chiaro, era solo formale. Un involucro di carta di riso dentro il quale c’era qualcuno identico al precedente e a tutti gli altri. E anche identico a noi. Non solo il tempo era morto lasciando il posto ad una sua eternità, le cose del mondo non erano più separate. Si sentiva un respiro solo ed era cosmico.
L’eterno ritorno gli si era svelato. Una chiarezza sorprendente lo trapassò. Le leggi relazionali tra tutte le parti gli apparivano come evidenza. Il perché della storia gli si spiegava davanti. E così pure le ragioni dell’impossibilità di una liberazione dal ciclo della storia erano tutt’altro che incomprensibili.
Vedeva che ruotavano da sempre intorno al perno imperituro dell’egoismo. Vedeva che la celebrazione dell’Io, che l’uomo da secoli perpetuava soddisfatto, ignaro di dove lo avrebbe portato, mostrava ora il lato nascosto e spietato.
Capì che quel nichilismo, che gli era sempre parso una morte insostenibile di vitalità, corrispondeva a un’interpretazione superficiale. Anch’essa un abbaglio dal quale, in quel momento, si stava ravvedendo. Il segreto si era svelato e appariva nella sua banalità come la pelle vuota di un corpo scuoiato.
L’equiparazione di tutti i valori della vita e della storia non spaventava più. Non era più un mostro che si nutriva delle nostre passioni, dei nostri entusiasmi. Non era più una nebbia posata sull’orizzonte nel quale avevamo creduto, nel quale ci eravamo riconosciuti. Il suo carattere, piuttosto, era un altro. Incredibilmente, opposto. Quella consapevolezza dell’inutile immanente a tutto, quella mortificazione privata da ogni appello di liberazione, nulla aveva a che vedere con la peggiore sorte che un uomo potesse percorrere.
Non credere a nulla di quanto la storia ci ha mostrato è la nuce del passo mai compiuto dagli uomini. La loro centratura sulla dimensione egoica della vita, glielo aveva sempre impedito. Leggere il nichilismo in quel modo, faceva finalmente luce su quanto gli era rimasto da sempre nascosto. Su quanto si era sempre nascosto nell’inconscio universale che ognuno ha nel sé.
Tutti gli interessi meschini e tutte le prospettive parziali che l’ego rincorre; tutte le energie che mette in campo per i suoi irrinunciabili progetti; tutto ciò in cui si riconosceva, in cui inseguiva il suo futuro, era ora chiaro, non erano che piccole espressioni di nuclei di vita incapaci di vedere l’intero al quale appartenevano.

Alla scoperta del Teatro: La Commedia - Plautus Festival

Ora gli era chiaro che l’accesso alla dimensione della natura, l’interruzione della separazione da essa, corrispondeva all’emancipazione di ciò che aveva creduto di essere. Corrispondeva alla comprensione della dimensione energetica degli opposti e la loro necessità di conflitto. Gli era chiaro come uscire dalla storia. Ne comprese in un istante tutta la logica. Comprese che tutti i sentimenti sono identici in tutti noi e così le emozioni; che la loro variazione è solo nel tempo e nel luogo, nell’occasione opportuna; che sciamano tra noi. Comprese che in sostanza si riducono a due soltanto. Uno di attrazione e uno di repulsione. E che era quello il punto in cui si genera la scintilla del conflitto e del dolore.
Comprese che ne eravamo completamente dominati: essi dettavano la legge e noi le ubbidivamo. Comprese che a causa di quel dominio la storia non poteva che avere un solo sbocco, una sola identità: il conflitto. Le eccezioni erano apparenze: la pace è una brace accesa pronta a riprendere vigore soggiogata dalla giusta circostanza. Capì che credere che una buona etica sia il necessario per risolvere i problemi della storia era pensiero infantile rispetto al problema da trattare. Tutta la sua dedizione a perseguire la rettitudine, aveva da sempre comportato di oscurarne le contraddizioni. Comprese che, come si dedicava alle sue passioni, si dedicava anche a moralizzare il prossimo come avesse in sé l’ordine del mondo etico, che non poteva ottusamente sottrarsi dalla sua edificazione. Comprese che si considerava estraneo a quanto osservava.
Riconobbe quanto inopportuna fosse la sua dedizione a cercare nella regolamentazione la sede della giustizia, così come nella punizione quella della redenzione e nel caso – o in dio – quella delle malattie e di tutte le sventure.
Comprese che era lui stesso a fare il mondo che credeva di vedere; che la realtà non era che in lui solo. Comprese il male che tanta inconsapevolezza implica; che tanto egoismo necessita. Comprese di avere sbagliato tutto. Ma non ne risentì, come accadeva prima per qualcosa che pareva andato perduto. Il crollo si era compiuto ed era totale, ma per nulla mortale, anzi.

«Il moderno non sa nulla dell’individuo. […] La coscienza di sé come individuo è generalmente andata smarrita. Egli si sente come un atomo nell’infinita, articolata catena dello Stato. Il moderno allontana da sé la responsabilità per la creazione della felicità individuale e ne rende responsabile lo Stato, cioè le relazioni con i suoi simili sono giuridicamente regolate. Le differenze individuali implicano una differenza nelle aspettative. Poiché solo da qui sorgono inadeguatezze per l’unità e l’omogeneità legali dello Stato. Il moderno cerca di livellare le individualità con un’istruzione il più possibile uniforme, cioè annientarle».
Carl Gustav Jung

Vita nuova - La Divina Commedia

La vita
«Colui che vede tutti gli esseri in sé e se stesso in tutti gli esseri non prova più odio».
Isha Upanishad

La sua nuova condizione elaborava il mondo e se stesso in una modalità del tutto nuova. Percepiva l’energia, i nodi che le nostre pretese le creavano impedendole di scorrere, impedendoci di riunire gli opposti, sempre obbligandoci a identificarci con una delle parti, di liberarci dall’arrogante maschera di un teatrante che sul palco della storia si chiama Io.
Si accorse che aveva spesso vissuto con paura. Si accorse che quell’incertezza, cuore di ogni timore, gli depredava la vita, sempre, troppo coi freni serrati da un pastone di convinzioni e convenzioni, una ricetta il cui vero nome, ora lo comprendeva, era superstizioni.
Si sentì leggero, ampio come non pensava la materia potesse concedere.
Una quiete era scesa e la nebbia era svanita. Si rese conto di cosa fosse la vita senza più anteporre se stesso alla sua interpretazione delle cose. Si accorse che ciò che lo perturbava ora gli scivolava via. Si accorse di poter amare senza pensare anche di possedere.
E si accorse anche che, da quel nichilismo – tanto incompreso da chi non ha conosciuto la disperazione – non era che la consapevolezza della futilità degli affanni. Non era perciò che il prodromo al passo necessario per accedere all’equilibrio, alla forza, al coraggio, alla bellezza, alla vera vita.

«Fin da quando nasciamo, gli altri ci dicono che il mondo è in un determinato modo, e naturalmente noi non abbiamo altra scelta che accettare che il mondo sia così come gli altri hanno detto che è». (Carlo Castaneda)


Lorenzo Merlo


Ora è tempo di tornare a combattere... oh Arjuna!

Arjuna e Krishna – Francesco Dal Pino
"...Penso ad Arjuna che teme di doversi sottrarre alla battaglia perché comporterà la morte di persone che rispetta e perfino di persone amate. Ma Krishna gli dice che costoro sono già morti e che moriranno ancora, che ogni vita è già gettata tra le grandi fauci del tempo che tutto ciclicamente consuma. Di non temere, né per sé né per gli altri, che non c’è morte più santa che quella che si incontra sul proprio campo di battaglia, nel proprio swadharma, dovere e vocazione, che è l’incontro con il presente, che è sempre fatale. 
Eppure questo potente discorso, disturbante e al limite dell’inaccettabile, da tempo è trasmesso in una forma di quietismo che dispone anche le anime più pigre a un servizio disinteressato, di solito circoscritto a umili mansioni. Invece, è il discorso sul vivere e sul morire, che evidentemente per molto tempo non aveva sfiorato più nessuno, fino ad oggi. Discorso che parla della vita come sacrificio supremo, che l’essere vivi e compiere la propria opera è il sacrificio supremo, così come nelle Upanishad è detto: l’uomo è invero il sacrificio.
C’è qualcosa che facevamo e che nutriva ben altro che l’economia, ma da cui l’economia al massimo discendeva, quando non ostacolava. Era il nostro sacrificio, di anni di lavoro e di studio, il dovere che ciascuno sente di fare per sé e per tutto il resto, che è la quintessenza pratica dello spirito, quello che non è mai separato dalla materia e dal corpo vivente, che nei corpi abita temporaneamente, che li brucia e li sacrifica, e non si arresta con la morte, perché i suoi effetti sopravvivono al singolo. 
Perciò il Dharma è perenne, non perché immutabile per via di qualche legge, ma perché vive ardendo il corpo che lo ospita, e il Dahrma che con lui ha vissuto prosegue. Immortalità momentanea che tutti godono quando sentono di essere in questa potenza dello spirito che si percepisce come vita, ma che è il soffio universale, che con molta fatica si riesce a salire, o si cade subito sconfitti, e che con tutto il sacrificio di sé si realizza, per essere trasportati un attimo da quel sentimento che svuota di sé e crea ogni cosa, che diventa altro, che non si possiede e non si può trattenere e conservare. 
Quella sensazione, che ha molti nomi, che è la percezione diretta e indimostrabile di essere vivi, in un vivente che ci sovrasta e ci consuma, inevitabilmente. Amiamo solo questo ardere, tra un visibile e invisibile corpo universale di infiniti altri, e tutto quello che ci rende vivi è l’ardore in cui ci stiamo consumando. La morte non è mai pensabile, perché la percezione di quel flusso che non si arresta e una volta montato come un’onda, non ci abbandona...."
Beatrice Udai Nath – Visionaire Blog

Dobbiamo ripartire, ritornare, come l'Eroe dalla battaglia, ma perché e con quale spirito? leggete il resto e forse ve lo ricorderete:  https://blog.visionaire.org/2020/05/karma-e-yagna-epica-sacrificio-e-lavoro-tra-lindia-vedica-e-il-tempo-del-coronavirus/?fbclid=