Brandelli
di relitto
Diciamo
spesso di imparare dalla storia. Accade ogni volta che assistiamo a
qualche sprovvedutezza protetta al petto come fosse un bene grande.
Altrettanto spesso osserviamo che l’occasione della sua lezione è
andata perduta una volta ancora.
Evidentemente
c’è una forza che ci impedisce di sfruttare le opportunità che la
sorte ci offre per ridurre la vulnerabilità generale, per recuperare
la cultura umanista, per liberarci dalla dannazione alla quale ci
costringe quella tecnicista, nella quale siamo immersi.
Se
una parte di noi se la gode nuotando soddisfatto, l’altra, di
maggioranza, arranca in cerca di un brandello di relitto qualunque
che lo tenga a galla. Quando ne trova uno, nonostante tanti altri
come lui galleggino con fatica e siano in difficoltà, nonostante
molti non ce la facciano e vadano giù, è disposto a tutto pur di
appropriarsene, pur di non condividerlo. La lotta è per la
sopravvivenza. Il mors tua
vita mea si compie sotto gli
occhi soddisfatti del regista della realtà che viviamo.
La
lotta tra poveri non è un dramma per chi l’ha generata. È
qualcosa di più importante. È la dimostrazione del successo del
progetto, della regia. Dare tutto per sé e contro gli altri, pur di
non affogare, non permette di occuparsi di altro: il gioco è fatto.
È stato fatto innumerevoli volte. Ogni volta che serviva sottrarre
all’attenzione qualcosa sotto i riflettori dell’interesse comune.
Sceriffi
della verità
Dopo
le contraddizioni governative di queste ultime settimane viralizzate,
è questa è l’impressione che resta nell’animo di molti:
qualcosa non è chiaro. Oltre al problema della salute, il virus pare
abbia infettato le sorgenti pure dalle quali ognuno di noi si avvia
verso la valle della vita e il grande mare della morte.
Tutto
va al rovescio.
Il
monito ufficiale per la gestione della cosiddetta pandemia giungeva a
noi come pioggia scrosciante dalla quale alcun riparo poteva
proteggerci. Spruzzi di paura venivano lanciati a raggiera a tutte le
ore, come sale nei giorni di neve. La falda si inquinava, e noi con
essa. La chiaroveggenza dell’umanismo aveva perso la luce.
Il
martello della paura ha battuto il ferro della conoscenza
deformandolo fino alla forma orrifica della medicina. Quella
velenosa, destinata a curare i comportamenti senza curarsi delle
persone che li esprimono. Destinata perciò ad alienare tutti noi dal
nostro stesso corpo ovvero dal nostro setto sentire.
Per strada e nel mondo si incontravano
livelli vari di delatori. Da quello che cambiava marciapiede a quello
che insultava se considerava fuori norma il comportamento di
qualcuno. Invettive lanciate in nome e a sostegno dei burocrati della
scienza e della vita dai quali avevano preso il modello. Più di
prima si vedranno sicofanti, impeccabili come il quaderno di un
ragioniere, denunciare gli untori della loro misera e ottusa
concezione etica del mondo. E ancora si vedranno accanimenti contro
poveretti qualunque, eletti a capri espiatori di malfatte ridicole
per spostare l’attenzione da questioni e responsabilità ben più
gravi.
L’offerta
della storia
Eppure
la storia ci aveva posto il solito piatto d’argento dal quale
avremmo potuto scegliere prelibati temi, fortemente nutrienti. Quelli
sì da sviluppare senza soluzione di continuità. In sostituzione dei
precetti avrebbero potuto raccontare in lungo e in largo cosa sia il
sistema immunitario, volendo anche con argomenti di fisiologia, di
biochimica, di anatomia. Avrebbero potuto mostrare i dati relativi
alle controindicazioni delle medicine, alla loro tossicità e causa
di malattie. Avrebbero potuto parlare diffusamente sulla vera
missione delle cause farmaceutiche (non tutte) sul loro interesse a
provocare e ad alimentare uno stato di salute precario e il relativo
bisogno di cura. Avrebbero potuto raccontare in lungo e in largo
l’importanza dell’assunzione della Vitamina C e D. O, almeno che
assumere molti cereali e zuccheri, soprattutto se insieme, è
fortemente sconveniente nel momento e nel tempo. Avrebbero potuto
precisare quanto quelle due sostanze siano in buona misura le
responsabilità di molti malesseri e malattie che perciò, di fato,
creiamo noi attraverso l’alimentazione. E dunque, che la malattia
non è un caso; che in essa c’è molta nostra responsabilità e che
è arrivato il momento di prenderne coscienza. (E non è la prima
volta).
Di
questo avrebbero potuto e dovuto parlare notte e giorno al divano
dove gran parte degli italiani era inchiodata, ansiosa di sapere
cosa, fare, cosa dire, cosa pensare. Avrebbero potuto darci conforto
affermando che lo stato vuole partecipare al rinnovo culturale
implicato in certe consapevolezze. E che, diversamente da quanto
abbiamo spesso sentito dire, non si tratta di credere alla voce dello
Stato, piuttosto di verificarla per ottenere solo da se stessi, dal
proprio corpo, la risposta su quanto è vero che certi cibi,
sentimenti, e inattività ci nuociano o ci aiutino. Avrebbero potuto
battere il maglio su cosa aiuta e ciò che indebolisce il sistema
immunitario. Avrebbero potuto dialogare per tutto il tempo che
serviva per integrare le conoscenze tra ricercatori piuttosto che
dichiarare ciarlatani quelli che, con altre modalità, avevano i loro
risultati da proporre e valutare. Avrebbero potuto argomentare quanto
è vero che siamo noi i primi distruttori della nostra salute così
come ne siamo i primi autori, che perciò, gli agenti esterni
colpiscono le difese più deboli, non chiunque. Che muoversi, fare
attività motoria è necessario a tutto il nostro essere, che
respirare aria buona – e ora la si poteva trovare anche in città
– è fondamentale per la salute. Che allontanarsi dalle fonti di
elettromagnetismo era un’abitudine da acquisire. Che essere
costretti, perché senza alternative, a vivere sotto un elettrodotto
o dormire sopra la centralina dell’impianto elettrico erano
abitudini da abbandonare. Che la rete di campi elettromagnetici non è
solo il vantaggio del wifi e di tanti altri ma è, anche un prezzo
elevato di cui ancora non sappiamo con quanto sangue pagheremo il
conto. Avrebbero potuto dire che portare rancore e avere cattivi
sentimenti – lo sostengono ormai tutti gli psicologi della terra –
è fortemente velenoso; che in quegli aspetti fioriscono le
patologie. Che la crisi del virus sebbene abbia piegato le gambe
all’economia, ci da il tempo per rivisitare le modalità
smodatamente tossiche della vita che lo stesso virus ha obbligato ad
interrompere.
Ma
quanto avrebbero potuto fare, invece del napalm alla paura che hanno
sparato in tutte le direzioni?
L’obbligo
della biografia
Sul
piatto d’argento c’era l’occasione d’oro?
No.
Per niente. Non c’era neppure il piatto d’argento. Le possibilità
che possiamo contare non esistono nella realtà. In essa si dispiega
solo e soltanto il filo che la nostra biografia ci permette. Tutto il
resto sono illazioni, congetture, superstizioni. Guitto senno di poi
da bacchettoni sulla cattedra della vita. Non c’è alcuna libera
scelta, quantomeno finché la dipendenza da ciò che si crede di
essere sussiste, ovvero finché l’emancipazione dalla propria
struttura culturale e personale non è realizzata.
C’è
però permanentemente lo spazio libero che le nostre affermazioni
occupano rivelando tutto di noi. Mentire è impossibile.
Così,
in tempo di altissimo ascolto e interesse, di massima motivazione per
provocare certe consapevolezze ed educazioni è stato gettato come da
intento di qualche scienziato scientista – la peggior specie di
uomo dogmatico – e di qualche cosiddetto competente suo accolito.
Ancora una volta, alle ortiche l’opportunità di crescere una
generazione che avrebbe beneficiato di questa crisi. E i suoi padri,
invece di dannarsi per aver lasciato alla loro progenie un mondo
peggiore di quello che avevano ereditato, avrebbero potuto liberarsi
dal senso di colpa ed essere fieri di se stessi.
E
invece? Non si è assistito ad alcun cambio di paradigma se non in
peggio, c’è da presumere. La rincorsa al ritorno dell’economia
perduta non si vede come non possa proseguire con i vecchi sfaceli e
comportarne di nuovi.
Dunque,
i giovani, che nella loro vita avrebbero potuto consolidare ed
arricchire le consapevolezze che il virus ci aveva in potenza donato,
e i loro genitori gli avrebbero servito, resteranno lettera morta.
Il
contorno
E
la guarnitura? Non è mancata. Non manca mai.
La
censura non si è limitata a denigrare ed escludere, nel dibattito e
nelle scelte dell’emergenza, le voci, anche ortodosse, ma con
prospettive differenti. Essa si è viralmente estesa a tutto ciò che
gli scienziati di Stato e la loro cricca ritenessero opportuno
abbattere. Quindi esclusione, epurazione, censura, scomunicazione,
radiazione anche di tutta l’informazione – che avrebbe dovuto
essere libera secondo la Costituzione e ben accetta secondo la
Scienza – portata da menti, sì libere e pensanti. Non guitte e
ubbidienti, soddisfatte nel riferire i dispacci e le veline
governative. Inconsapevoli – lasciamogli la buona fede, come agli
attori del mulino bianco che sono felici dei propri sorrisi –
della spinta di lobby d’interesse industriale, commerciale,
finanziario, ricattatorio. E tutto ciò caricato fino al grottesco se
si allineano i gravi inciampi della loro
versione unica e ufficiale.
L’assurdità
della scienza come verità sola e definitiva sussiste. Ha retto il
colpo. Una cultura gravemente contagiosa, infetta il suo popolo una
volta di più.
L’officina
alchemica è rimasta vuota di garzoni e apprendisti anche stavolta.
Statuari dogmi legalizzati, armati e cattivi, ne hanno impedito
l’accesso.
Il
piombo resterà piombo, nessuna sublimazione può avvenire senza che
la negra materia nel crogiolo non sia caricata del bianco spirito
delle cose. L’oro che siamo, ancora una volta rimarrà esclusiva
dei ciarlatani.
Le
spie, gli informatori, i probiviri sapranno denunciarli all’autorità
competente.
Lorenzo Merlo
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