La meraviglia e il vero Sé...

 


Le ricerche effettuate finora hanno collegato la meraviglia a ogni sorta di benefici, sia per il singolo che per la società, come un maggiore benessere e meno stress quotidiano, maggiore compassione, più gratitudine e amore. I nuovi risultati “la trascendenza di sé, seguita dal desiderio di scoprire sé stessi può essere alla base di questo meccanismo”, sostengono Jiang e Sedikides.
La meraviglia è spesso definita come quel sentimento che si ha in presenza di qualcosa di vasto, qualcosa che sfida il nostro modo di vedere il mondo e il nostro posto in esso. Il nostro “vero Sé” è ciò che siamo davvero, compresi i desideri, le aspirazioni e i valori.

Ora un nuovo studio suggerisce che la meraviglia possa “suscitare la trascendenza di sé”, aiutando le persone ad avvicinarsi al vero nucleo di se stesse.

Tonglin Jiang dell’Università di Beijing e Constantine Sedikides hanno esaminato 14 studi per un totale di 4400 persone in un articolo pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology: Interpersonal Relations and Group Processes. Negli studi precedenti i ricercatori hanno rilevato che la predisposizione di una persona a provare meraviglia era collegata al suo desiderio di scoprire il proprio vero Sé. Il tutto è stato misurato con una scala di valore in grado di valutare la tensione verso il Sé autentico di un individuo.




L'Alba di Tutto. Una nuova storia dell'umanità - Recensione

 


Da dove nascono la guerra, l'avidità, lo sfruttamento, l'insensibilità alle sofferenze altrui?

E qual è l'origine della disuguaglianza, ormai riconosciuta come uno dei problemi più drammatici e radicati del nostro tempo?

Da secoli, le risposte a queste domande si limitano a rielaborare le visioni contrapposte dei due padri della filosofia politica: Jean-Jacques Rousseau e Thomas Hobbes. Stando al primo, per la maggior parte della loro esistenza gli esseri umani hanno vissuto in minuscoli gruppi ugualitari di cacciatori-raccoglitori.

A un certo punto, però, a incrinare quel quadro idilliaco è arrivata l'agricoltura, che ha portato alla nascita della proprietà privata.

Poi sono apparse le città, e con esse si è affermata l'organizzazione fortemente gerarchica di quella che chiamiamo «civiltà».

Per Hobbes, al contrario, la necessità di imporre un rigido ordine sociale si è imposta per contenere la natura individualista e violenta dell'essere umano, altrimenti sarebbe stato impossibile progredire organizzandosi in grandi gruppi.

Quasi tutti conoscono queste due storie alternative, almeno nelle loro linee generali: riassumono le idee più diffuse sulla storia dell'umanità e la sua evoluzione, e hanno contribuito a definire la nostra visione del mondo.

Ma pongono anche un problema: entrambe dipingono la disuguaglianza come una tragica necessità; un elemento che non potremo mai cancellare del tutto, in quanto intrinsecamente legato al vivere comune. Una visione che non convince affatto gli autori di questo libro, decisi a gettare nuova luce sul passato della nostra specie.

In una sintesi tanto meticolosa quanto di largo respiro, che coniuga i risultati delle ricerche storiche e archeologiche più recenti al contributo di pensatori provenienti da culture diverse da quella occidentale, il sociologo David Graeber e l'archeologo David Wengrow ci raccontano una storia diversa – più articolata e ricca di chiaroscuri – dell’evoluzione sociale dell’Homo sapiens.

Una storia illuminante e molto più attendibile, dalla quale ripartire per provare a immaginare un futuro diverso.
 

Fiorigialli.it  - info@fiorigialli.it





Sugli autori: 
David Graeber è professore di Antropologia presso la London School of Economics. Ospite e commentatore della BBC, scrive regolarmente per «Guardian», «Strike!», «New Left Review». Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo Progetto democrazia. Un'idea, una crisi, un movimento (Il Saggiatore, 2014), Burocrazia. Perché le regole ci perseguitano e perché ci rendono felici (Il Saggiatore, 2016) e Bullshit jobs (Garzanti, 2018).

David Wengrow (nato il 25 luglio 1972) è un archeologo britannico e professore di archeologia comparata presso l'Institute of Archaeology,University College London. 

"L'Eresia di Giordano Bruno e l'Eternità del Genere Umano" di Giuliana Conforto - Recensione



Di grande attualità, l'eresia di Giordano Bruno anticipa le cause del cambio che ci sta coinvolgendo.

Non è solo un cambio climatico e non è da temere. È la Renovatio Mundi, la rivelazione che questo mondo è una realtà virtuale, dipendente da convinzioni false e un'illusione ottica sempre testimoniata dagli "eretici".
Il cambio è la rivelazione di ciò che inquina le menti umane: l'idea della divisione tra Uomo e Universo e l'ignoranza delle proprie origini che non sono perdute in un passato remoto, ma nascoste dal nostro credo in un unico tempo, utile a calcolare i profitti dei pochi e i debiti dei tanti.

La lingua degli astri è musica e Canto, afferma il grande eretico e confermano scoperte poco note. Gli infiniti mondi intelligenti sono uniti dalla Vita Cosmica, l'Opera con infiniti tempi, nascosti dal campo magnetico terrestre che sta diminuendo in modo repentino.

Ci stiamo liberando dal colossale inganno: il credo in un "sapere" funzionale al potere temporale.È il Ritorno all'Età dell'Oro.

Per Giuliana Conforto, Giordano Bruno è quasi un familiare. Suo padre Giorgio era direttore della rivista "La Ragione” ispirata al pensiero del grande saggio e quindi sin da bambina ha assimilato quelle idee audaci che poi ha ritrovato in scoperte scientifiche poco diffuse oppure inquadrate nella logica consueta.
È la tirannia che domina questo mondo e vincola tutti al suo inesorabile procedere: il nostro stesso credo nella linearità del tempo. L'autrice qui lo esamina mettendo in luce il dramma delle menti che la subiscono senza indagare se il credo è valido o meno.

Con una ricerca trasversale che comprende fisica e biologia, astrofisica e geofisica, l'autrice si concentra sul ruolo cruciale dell'Uomo e della sua Mente Superiore che non ha bisogno del dio inverosimile delle religioni né dei timori infondati delle scienze.

In un mondo afflitto da memoria breve e da conflitti di ogni tipo, urge la trasparenza alla Memoria Genetica e alla Sua eternità che si riflette in quella del genere umano in un'evoluzione imminente che il potere nasconde e cerca di evitare... inutilmente.



............



L'Autrice
Giuliana Conforto

Giuliana Conforto, nata come astrofisica, ha spaziato varie discipline scientifiche e fondato una nuova scienza che comprende la co-scienza dell'osservatore. E' la Fisica Organica che collega anche le recenti scoperte ad effetti fisici e psichici, già suggeriti dai grandi miti e saggi della storia, quali Socrate, Pitagora, Giordano Bruno, etc. Ha viaggiato e conosciuto varie realtà. Ha insegnato Meccanica Analitica all'Universidad de Los Andes, in Venezuela, e poi, all'Università di Calabria, in Italia. Ha insegnato fisica quantica all'Università dell'Aquila e fisica classica nelle scuole superiori. Ha lasciato l'insegnamento della fisica per dedicarsi alla sua ricerca preferita, la filosofia ermetica e la scoperta di sé. Questa ricerca ha compiuto un balzo di qualità quando ha incontrato la possibilità concreta di percorrere la "via", ovvero l'alchimia di cui ha scoperto il significato pratico e le conseguenze sul piano individuale e sociale; questo profila l'evoluzione genetica dell'essere umano, l'uso cosciente delle proprie risorse interiori, una prossima e repentina evoluzione della Terra, una "catastrofe" solo per il potere al quale tutti si inchinano: una conoscenza che alimenta il grande inganno ed ignora il significato della Vita. Giuliana Conforto applica un antico metodo che consente la cognizione diretta. Le scoperte più recenti sono: il Sole o Cristallo al centro della Terra e i vari mondi terreni di cui possiamo essere partecipi e che spiegano la nostra umana immortalità. Con questo contribuisce all'emergere di una società organica capace di usare l'infinita risorsa, la creatività finora repressa, e di coniugare la libertà individuale con l'armonia collettiva. info@ilgiardinodeilibri.it 

Avanti, avanti... sempre più lontani!

 Viviamo su un piano di realtà inclinato, vertiginosamente ripido. Salvo imprevisti, ci porterà alla morte. E sarà una buona sorte, almeno dal punto di vista della rinascita. Qualche riga manichea che salta molti grigi della realtà, con il solo intento di riferirsi alle tendenze di fondo...



Forse vivo o vengo da un altro mondo. In questi ultimi due anni sono accadute cose che ci avrebbero fatto perdere la casa e qualunque patrimonio se ci avessero proposto di scommettere su una simile distopia. Eppure, a cose fatte, la maggioranza ha accettato con indifferenza – al massimo con malesseri individualistici – la sua realizzazione. Anche la sovranità individuale è stata delegata, il guinzaglio attaccato e i canini mostrati ai propri simili meno disponibili ad alienare se stessi.

Abbiamo assistito a cambi di versione di verità, a minacce, a dichiarazioni di persecuzione, a preghiere di morte e di esclusione dallo stato sociale, a elicotteri a caccia di solitari in riva al mare, a cambi di definizione del concetto di pandemia; abbiamo saputo dell’obbligo contrattuale di irresponsabilità delle case farmaceutiche del siero e sapevamo della sua eterodossia, abbiamo sentito affermare bugie da capi di stato e di governo, da politici e giornalisti, mai seguite da dimissioni né smentite, tanto meno mea culpa; abbiamo visto affermare posizioni come fossero verità definitive, ci hanno fatto credere fosse per il nostro bene e tutto si è rivelato una strategica azione politica per alzare il controllo necessario al nuovo assetto socio-economico che ne azionava le mosse. Abbiamo visto ricatti nascosti sotto trasparenti foglie di fico tinte di verde, olezzanti di merda. Abbiamo visto la gioia in volto ai Figliol-codanti, che sarebbero potuti tornare a sciare e in discoteca, che credevano di scambiare un buco tossico per l’immunità. Abbiamo visto la frattura sociale alimentata dalla cosmologia del regime. Abbiamo visto ridicolizzate le manifestazioni nazionali e internazionali, come non contassero, come non esistessero, come fossero quattro gatti. Abbiamo visto ignorare i cambi di politica protopandemica di un crescente numero di paesi. Abbiamo assistito al miglior mondo che gente e agende meschine potessero realizzare. Abbiamo assistito ai peggiori tradimenti felici di vedere Fiorello a Sanremo e di applaudire ai suoi insulti ai sofferenti. Tutto ciò in mezzo al tradimento [nessun aggettivo disponibile, nda] dei 5Stelle, alla sideralizzazione del Pd, alla falsa fermezza delle destre, alla farsa dell’elezione presidenziale e a quella dell’Italia che riprende dopo essere stata veramente condannata.

E nessuno ha detto nulla.

Meglio, anche se ultimamente qualcuno sta dicendo qualcosa, per lungo tempo nessuno ha detto nulla.

Nessuno ha reagito. Tutti hanno seguitato ad accreditare la classe politica, i sindacati e le istituzioni, nonostante i fatti discriminatori così sostanzialmente identici a ciò che la storia dei totalitarismi ci ha mostrato fino a poco fa. Nessuno della maggioranza, infatti, nonostante la quantità di società andate a gambe all’aria, di lavoratori e di studenti impediti ad accedere alle sedi di lavoro e di studio, di bambini sottratti dal gioco, di medici non solo non ascoltati nonostante i loro successi di cura, ma anche sospesi dai loro ordini, di disoccupati condannati da probiviri governativi che offrono lavoro solo ai sottomessi, di malati rifiutati se privi della vergognosa tessera, ovvero di ciò che non serve a nulla, ha ritenuto di indignarsi, di cessare di dare il proprio accredito a chi ci ha offerto il peggior esempio della cosiddetta democrazia. E miglior campione di educazione sociale in vista delle prossime vessazioni per l’ambiente, per il clima, per l’energia, per i poveri, per la guerra. Nessuno ha reagito, se non contro chi gli faceva presente che un nuovo modello socio-politico-economico si era attestato nella spaccatura sociale, e l’hanno chiamato complottista e gli hanno augurato la morte.

Se l’operato dei giornalisti è fuori dalle classiche del demerito, quello dei medici gli è pari. Quello dei politici e della magistratura non è neppure più esorcizzabile. Il barcone che tutti insieme governavano nelle bonacce della paura si è subito riempito di piccoli uomini le cui doti di coraggio e determinazione si sarebbero subito palesate per gettare a mare gli ipotetici untori, solo perché si ponevano interrogativi elementari su quanto stava accadendo. Non è un’illazione. Chiunque, in questi anni, si sia mosso senza maschera, ha potuto vedere spettacolari salti di marciapiede e udire alle spalle insulti ed improperi a lui destinati dal popolo solerte alla vanitosa ubbidienza. Da pochi giorni abbiamo visto cadere il governativo obbligo di maschera, ma non abbiamo visto perdere la condizione di zerbini alla buona percentuale che ancora, forse con orgoglio, lo protrae come pusillanimi proboviri capoclasse.

Ma ci vorrebbe qualcuno che avesse preso nota strada facendo o qualcun altro che avesse voglia di spulciare l’archivio dei giorni per moltiplicare gli argomenti annotati in queste poche righe, che vogliono essere soltanto evocative di uno stato di incantesimo diffuso.

Alla stessa maniera è accaduto che i paesaggi si siano popolati di ciminiere, la strada di scatole meccaniche, il pensiero di pretese e vanità. Di volta in volta, nessuno ha detto nulla. E chi diceva era screditato, criminalizzato, colpevolizzato, ciarlatanizzato. E chi non lo è stato era solo un cantante, un cantautore o un teatrante: Celentano, Faber e Gaber. E se proprio rompeva, poeta, scrittore o regista che fosse, per ragion di stato si poteva anche fare ciò che essa richiede.

Quello di ora, come per tutti gli altri che in nome del progresso materiale hanno ammazzato più di Pasolini, è stato un processo di realtà che nulla aveva a che vedere con la conoscenza. Non quella dei saperi analitici, tanto utili quanto stupidi se concepiti come i soli degni di epistemologia, ma quella che fa riferimento alla natura, senza lucro né colore.

Rispetto a quanto accaduto in passato, il tempo di ora ha beneficiato di mezzi di comunicazione a terminale digitale. La quantità di attenzione che questa implica ha comportato assuefazione e, quindi, dipendenza. Significa che la tecnologia domina il nostro fare. Oppure che il fare naturale che terrebbe legati alla terra e alle sue verità è, per la maggioranza, divenuto lontano vaneggiamento new age. Nuovamente da screditare, criminalizzare, colpevolizzare e, se necessario, eliminare. Niente più.

Se ci vuole una rara virginea visionarietà per tracciare un progetto capace di interrompere il declino spirituale abbozzato in queste considerazioni, osservare cosa comporta proseguire secondo le logiche dell’attuale politica, è cosa più accessibile a molti. Se ne potrebbero scrivere volumi. Probabilmente se ne sono scritti. E se ne scriveranno. Basterebbe una loro pagina, una loro briciola per evocare l’impressionante esigenza di fermare la folle corsa. Ma sarebbe un’evocazione raccolta da pochi, da quelli che alla maggioranza piace chiamare apoti.

Se ne può scrivere, allora, anche qualche riga, almeno come pianto e invocazione.

Privati di identità sociale e individuale, come la politica globalista richiede, non solo siamo perduti, non solo siamo volatilmente disponibili a quella della maggioranza, dell’occasione e della moda, ma diveniamo definitivamente incapaci di evolvere, di divenire individui compiuti, il cui destino è nel sentire la dignità che ci viene data e quella che necessariamente daremo, nel riconoscere la natura come madre e maestra, come fonte e dimora, come essere e non più come oggetto. O nessuna storia potrà essere diversa da quella di un incantesimo. Il cui principio è di essere mossi da entità a noi aliene.

Forse vivo o vengo da un altro mondo. Davanti a queste considerazioni, il meglio che mi sono sentito dire è di essere disadattato, che non mi occupo di realtà, che devo dimostrare ciò che esprimo, che devo studiare. Erano le voci della maggioranza, quelle lontane dal mondo. Dentro l’incantesimo.

Lorenzo Merlo