La nascita del computer...



Il matematico inglese Alan Turing (1912-1954) è stato uno degli scienziati più influenti del secolo XX, considerato l’iniziatore dell’era dei computer e dell’Intelligenza Artificiale. Le vicende personali della sua vita furono molto particolari. Fu uno dei membri più importanti del gruppo che decifrò durante la Seconda Guerra Mondiale il codice Enigma usato dai Tedeschi per i messaggi cifrati e morì suicida nel 1954 a soli 41 anni dopo essere stato condannato da un tribunale britannico alla castrazione chimica per omosessualità, allora vietata nel Regno Unito(1). Queste vicende sono state narrate in due film di successo: “Enigma” e “The Imitation Game”. Il secondo titolo si riferisce ad un test con cui Turing intendeva misurare l’intelligenza di un dispositivo intelligente.


Un precedente delle macchine calcolatrici può essere visto nei progetti di Pascal e Leibniz nel ‘600 e ‘700 (vedi NN. 44 e 53) e nelle macchine meccaniche dell’800 dovute all’intelligente figlia del poeta Byron, Lady Lovelace, ed al matematico inglese Babbage, capaci di compiere operazioni matematiche (N. 72).

Nel 1936 Turing raccolse la sfida posta dal grande matematico logico Hilbert (N. 93), che sosteneva la possibilità di trovare algoritmi (cioè una serie di formule matematiche) per dimostrare la veridicità di qualsiasi teorema matematico con una macchina calcolatrice(2). Turing ideò la struttura di una macchina detta di Turing-a (automatica) programmabile mediante un nastro fornito di caselle dove venivano inserite le informazioni utilizzando il sistema binario di Boole (N. 92) formato da BIT (quantità minima di informazione) che potevano assumere solo i valori 0 ed 1, o nessun valore (“blanck”).

Una testina di lettura e scrittura rilevava il dato, cioè lo stato della macchina, e lo sostituiva con uno nuovo, spostandosi poi di un posto. Esisteva anche una “tabella delle azioni” che programmava i vari stati della macchina (come in una lavatrice). Furono ideate versioni più complesse della macchina con più nastri o più testine, fino a giungere al modello Turing-u (universale) che era multi-programmabile (come gli odierni smartphone). Fu descritto anche un terzo tipo (teorico) ancora più versatile detto Oracle”. Turing aveva così creato il concetto di computer programmabile in cui il nastro aveva una funzione simile a quella della memoria RAM nei moderni calcolatori. Lo svizzero N. Wirth ha definito il programma come un algoritmo più una strutturazione dei dati.

Negli anni seguenti, in collaborazione con il matematico statunitense Alonzo Church (1903-1995), Turing definì computabile un algoritmo calcolabile con una macchina di Turing, riconoscendo che vi sono algoritmi e teoremi non computabili (ad esempio le sequenze dei numeri decimali di molti numeri reali, o la semplice asserzione che la somma di due numeri pari non è dispari!). Acquista, quindi, importanza il tempo di arresto della macchina, cioè il momento in cui il processo elaborativo finisce. Se la macchina continua a calcolare, ed il tempo di risposta continua a crescere esponenzialmente, teoricamente all’infinito, significa che l’algoritmo non è computabile. Church elaborò anche un linguaggio “lambda” equivalente ad una macchina di Turing, da cui poi nel 1958 John McCarthy (1927-2011) derivò il “linguaggio di programmazione funzionale” per macchine intelligenti” LISP.

Negli anni della Guerra, il gruppo britannico decifratore, in cui Turing ebbe una funzione di primo piano, mise a punto un dispositivo, detto “Bomba” per poter leggere i messaggi scritti dai Tedeschi con la macchina “Enigma”. La prima macchina effettivamente funzionante che somigliasse ad un computer fu il Colossus, costruito dal gruppo di decifratori britannici nel 1944 per decifrare un altro linguaggio criptato relativo alla macchina tedesca “Lorenz”. Il Colossus, il cui “hardware” (cioè la struttura materiale) era dovuta al tecnico Tommy Flowers, derivava da una precedente macchina “Robinson” a due nastri. La memoria era ottenuta collegando una serie di valvole, con una valvola sensibile alla luce (fotomoltiplicatore) che funzionava da amplificatore. Aveva due porte tipo AND ed OR, cioè circuiti elettronici che trasmettevano le informazioni in linguaggio digitale booleiano.

Il primo vero computer, progettato da Turing subito dopo la Guerra, quando si era spostato presso l’Istituto Nazionale di Fisica (PNL) fu il Pilot-ACE (Automatic Computer Engine), presentato nel 1950 e piuttosto avanzato per l’epoca. Esso utilizzava per la memoria colonne di Mercurio con terminali piezoelettrici in cui i dati erano distinti dal tempo in cui i segnali passavano attraverso la colonna dopo essere stati trasformati in ultrasuoni e poi ritrasformati in segnali elettrici. Il computer, che funzionò fino al 1955, possedeva anche una memoria principale e utilizzava programmi predisposti per effettuare operazioni matematiche invece di appositi circuiti elettronici. La memoria, divisa in caselle, era “a due indirizzi”, cioè conteneva sia l’indirizzo della casella interessata che l’indirizzo dell’istruzione successiva.

Dall’ACE derivarono alcuni computer commerciali come il DEUCE ed il MOSAIC. Turing, trasferitosi a Manchester – dove nel 1949 era stato completato da M. Wilkes il computer EDSAC, fornito di circuiti elettronici e 3000 valvole - partecipò alla programmazione di altri computer, come il Manchester Mark 1, per i quali l’ingegnere F.C. Williams aveva progettato un’innovativa memoria costituita da un tubo catodico. Tuttavia i Britannici, pur essendo partiti con un vantaggio tecnologico, furono poi superati dagli Statunitensi.

Il primo importante computer prodotto negli USA nel 1943 (dopo alcuni computer sperimentali come ABC e Harvard Mark I) fu – a fini militari - il gigantesco, ma primitivo ENIAC fornito di ben 18.000 valvole. ENIAC, che consumava 160 kW, era privo di memoria principale, per cui era incapace di memorizzare programmi. Funzionò fino al 1955 e fu usato per i calcoli relativi alla bomba atomica con algoritmi messi a punto da Enrico Fermi(3).

Seguirono i più piccoli FERMIAC e MANIAC per studi atomici e delle particelle, e poi il grande EDVACCSIRAC UNIVAC I, che utilizzavano colonne di Mercurio. Per la memoria nei computer più evoluti furono successivamente usati tamburi ricoperti di materiale ferromagnetico e poi dischi rigidi sottili a due testine Nel 2007 il fisico francese A. Fert ed il tedesco P. Grünberg hanno vinto il Nobel per i loro studi sulla magnetoresistenza gigante che hanno permesso la costruzione di dischi rigidi innovativi con memoria superiore al megabyte.

Fu soprattutto l’adozione di transistor al posto delle valvole che permise una miniaturizzazione dei dispositivi, una riduzione dei consumi elettrici di 1000 volte, e la creazione di personal computers, smartphone, tablet, ecc. come meglio vedremo nell’articolo dedicato ai semiconduttori ed altre tecnologie innovative (N. 121). Alla società UNIVAC si sostituì poi l’IBM e furono poi adottati vari metodi operativi (Unix, Windows, ecc.) a seconda della tecnologia adoperata dalle varie compagnie (IBM, Apple produttrice del computer McIntosh, ecc.).

Un decisivo impulso allo sviluppo dei computer USA fu dato dal brillante matematico di origine ungherese John Von Neumann (1903-1957), già membro del Progetto Manhattan e considerato padre del computer insieme a Turing(4). Fu importante soprattutto il suo rapporto del 1945 su EDVAC, in cui fissava l’architettura necessaria del computer, che doveva comprendere, un’unità aritmetica logica, un’unità di controllo per gestire i programmi e una memoria principale (RAM). Insieme al matematico di origine polacca Stanislav Ulam (1909-1984), Von Neumann mise a punto anche il metodo di calcolo Montecarlo ben noto anche a Fermi. Si tratta di un metodo di calcolo per soluzioni approssimate che parte dal dominio delle soluzioni possibili; poi passa ad una serie di soluzioni aleatorie distribuite secondo il grado di probabilità. Si calcolano le varie soluzioni ed alla fine si sceglie una soluzione finale(3).

Nei moderni computer i nastri della macchina universale di Turing sono stati sostituiti progressivamente, per analogia di funzioni, da dischi rigidi, tastiere, monitor, memorie RAM, microprocessori, ecc., ma il contributo teorico di Turing, Von Neumann e quello di altri tecnici e ingegneri che svilupparono le prime soluzioni tecnologiche (“Hardware”) rimane fondamentale.

Vincenzo Brandi





(1) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Turing”

(2) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Hilbert”

(3) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza - Fermi”

(4) RBA, “Le Grandi Idee della Scienza – Von Neuman”

Ça va sans dire: "Il vuoto è solo un concetto astratto..."

 


Il vuoto è un concetto storico proprio della dimensione/osservazione analitica del reale. Tuttavia, emozioni e sentimenti “dimostrano” come la separazione tra noi, l’altro e la realtà sia solo un’apparenza scientista.

Il vuoto è corpo integrante della dimensione materialistica e razionalistica, dimensione che oggi regna sui nostri pensieri. Essa fa la cultura e forgia le modalità di vita fondate su pilastri via via più effimeri e virtuali. Si tratta di un piano di lavoro bacato, la cui missione ultima ed esiziale è assistere al precipitare di chiunque non se ne sia emancipato. Quel vuoto è concreto, sebbene metafisico, spirituale. Nella fanfara trionfante dell’opulente mondanità, gli individui marciano, smargiassi o miserabili, verso le voragini. Damblé, senza più il senso di sé – quantomeno quello fornitogli dal cliché –, della vita, disponibili così, come qualunque invasato, ad essere preda del male, dicasi atti inconsulti nei confronti di se stessi e degli altri. Nonché nei confronti della vita che diviene alienante, vuota appunto, dove la bussola culturale che ci era stata fornita non ha più il nord, non può più indicarci la via nella quale trovare il senso delle cose.

Perciò, un arco di eventi che ogni oracolo – ovvero chiunque sia in grado di sentire le forze in campo – può riconoscere nella concezione materialistica e razionalistica della vita e del mondo.

Dunque, il vuoto è parte integrante della nostra cultura, vera spada di Damocle appesa sopra la storia. Tuttavia, possiamo emanciparci dal rischio che questa precipiti.

Come già segnalato da millenni da tutte le tradizioni sapienziali che ogni geografia del mondo ha generato, l’uomo ha riconosciuto cosa gli produce sofferenza e cosa gliela crea. È un discorso che riguarda l’io separatore, la scienza analitica, l’individualismo, l’edonismo e altro ancora. Per tutti si tratta, in sostanza, della separazione dal tutto, dall’Uno originario, regno di tutte le idee dal quale gli uomini estraggono soltanto quelle idonee e permesse dalla loro biografia.

Ma se la matrice materialistica svolge il suo miglior servizio in contesto meccanico-amministrativo, quando viene mutuata – accade inconsapevolmente – a quello relazionale, il disastro è tanto in nuce quanto conclamato. Il principio di causa effetto, efficace descrizione di un mondo limitato a pochi elementi, pressoché statici, non si addice a rappresentare e ad esaurire le dinamiche latenti in una relazione tra gli universi diversi che siamo.

In questi tempi contemporanei, viene in aiuto – ma in ultima posizione – la fisica quantica. La sua natura illogica, la sua modalità non protocollabile di rappresentare il mondo in forma probabilistica e non deterministica, la sua capacità di riconoscere la verità di un mondo dove il tempo e lo spazio non sono quelli che hanno insegnato, regolari e misurabili, non sono che rappresentazioni idonee a riconoscere il carattere profondo delle relazioni e ad annullare così il vuoto.

Allora, entanglement ed emozioni hanno di che raccontarsi. Probabilità e rischi di una relazione possono essere riconosciuti nel principio di indeterminazione, il sentimento di un elemento della relazione corrisponde all’idea che la realtà vari in occasione della sua osservazione di essa.

La sincronicità sostituisce la consequenzialità. La considerazione non è più avviene questo a causa di quest’altro, ma cosa significa ciò che sta avvenendo ora?

Ed è proprio in quest’ultima domanda che si può cogliere l’assenza del vuoto, in quanto segnale che tutto è collegato, che tutto è un solo organismo, che separarne una parte è la pornografia scientista. La logica e i suoi saperi cognitivi, somma di dati alieni alla vita, tanto lustri ed esclusivi nel mondo del causa/effetto, perdono potere. L’illogico torna a far parte di questo mondo a pieno titolo.

La fisica quantica dà, dunque, dignità ai cosiddetti ciarlatani, quel popolo che non voleva né poteva sottostare al campo autoreferenziale della scienza moderna, esclusivamente fondata sui pilastri della fisica meccanica e sull’assolutismo del metodo scientifico come sola fonte e sede di verità definitiva. Struttura alla quale, si badi, le condivisibili considerazioni di Popper non spostano di una virgola la natura del sistema analitico della conoscenza.

Dando dignità a tutto il non scientifico, possiamo trovare in ciò che l’ascolto e l’empatia ci insegnano le doti utili a gestire le relazioni anche con noi stessi. Doti che implicano una migliore condizione di vita, quindi una migliore società, cultura, politica, educazione.

Migliore vita allude a realizzare uomini compiuti, ad evolvere verso l’invulnerabilità sempre più solida ed estesa. Ovvero individui all’altezza di muoversi secondo la loro natura. Mai più si troveranno davanti a un vuoto baratro in cui perdersi.

Il non vuoto che anche la fisica quantica ci segnala ha in sé il potere di frenare la corsa ammattita verso il vuoto vero, alla quale l’uomo ha educato se stesso.

Lorenzo Merlo



Talis et qualis... come la peste a Ginevra

 


"Quando la peste bubbonica colpì Ginevra nel 1530, tutto era già pronto. Hanno persino aperto un intero ospedale per gli appestati. Con medici, paramedici e infermieri. I commercianti contribuivano, il magistrato dava sovvenzioni ogni mese. I pazienti davano sempre soldi, e se uno di loro moriva da solo, tutti i beni andavano all'ospedale.

Ma poi è successo un disastro: la peste andava spegnendosi, mentre le sovvenzioni dipendevano dal numero di pazienti.

Non esisteva questione di giusto e sbagliato per il personale dell'ospedale di Ginevra nel 1530. Se la peste produce soldi, allora la peste è buona. E poi i medici si sono organizzati.
All'inizio si limitavano ad avvelenare i pazienti per alzare le statistiche sulla mortalità, ma si sono presto resi conto che le statistiche non dovevano essere solo sulla mortalità, ma sulla mortalità da peste.
Così cominciarono a tagliare i foruncoli dai corpi dei morti, asciugarli, macinarli in un mortaio e darli agli altri pazienti come medicina. Poi hanno iniziato a spargere la polvere sugli indumenti, fazzoletti e giarrettiere. Ma in qualche modo la peste continuava a diminuire. A quanto pare, i bubboni essiccati non funzionavano bene.
I medici andarono in città e di notte spargevano la polvere bubbonica sulle maniglie delle porte, selezionando quelle case dove potevano poi trarre profitto. Come scrisse un testimone oculare di questi eventi, "questo rimase nascosto per qualche tempo, ma il diavolo è più preoccupato di aumentare il numero dei peccati che di nasconderli."

In breve, uno dei medici divenne così impudente e pigro che decise di non vagare per la città di notte, ma semplicemente gettò un fascio di polvere nella folla durante il giorno. Il fetore saliva al cielo e una delle ragazze, che per un caso fortunato era uscita da poco da quell'ospedale, scoprì cosa fosse quell'odore.
Il medico è stato legato e messo nelle buone mani degli “artigiani" competenti. Hanno cercato di ottenere più informazioni possibili da lui.

Comunque, l'esecuzione è durata diversi giorni. Gli ingegnosi ippocrati venivano legati a dei pali su dei carri e portati in giro per la città. Ad ogni incrocio i carnefici usavano pinze arroventate per strappare loro pezzi di carne. Venivano poi portati sulla pubblica piazza, decapitati e squartati e i pezzi venivano portati in tutti i quartieri di Ginevra.  L'unica eccezione fu il figlio del direttore dell'ospedale, che non prese parte al processo ma spifferò che sapeva come fare le pozioni e come preparare la polvere senza paura di contaminazione. È stato semplicemente decapitato "per impedire la diffusione del male".

François Bonivard, Cronache di Ginevra, secondo volume, pagine 395 - 402”