Ipnosi mediatica...


image.png

Calcio, politica e gossip-attualità ( e non menziono la religione perché ognuno di questi tre elementi di volta in volta la sostituisce) qui da noi rivestono un ruolo molto importante: sostenendo il mondo dell'illusione convogliano un'enorme quantità di energie emotive e mentali nel buco nero che un autore medievale definiva "la nube della non conoscenza", ai fini di sostenere e perpetuare lo status quo che mantiene il mondo nella condizione di un campo di concentramento globale, in cui si è prigionieri della contingenza, dell'effimero. 

Ci si sente così costretti ad inscenare di volta in volta euforia, disappunto, rabbia, amarezza, tutti stati d'animo che non ci appartengono in realtà nello specifico, per cose di nessun conto e di nessuna conseguenza ai fini della nostra vera natura e sviluppo interiore; ma che ci svuotano di preziosa energia psichica, che sarebbe meglio impegnata in altre direzioni. Si è, come si suol dire, "agiti", poiché l'azione non parte da noi, non è una spontanea e naturale esigenza, e vi ci si adegua: si dà la disponibilità della nostra anima a partecipare a un gioco (di altri, o meglio di altre forze) che è un vicolo cieco,una messinscena.

Ma come diceva saggiamente il re Salomone nei Proverbi, "non si può prendere fuoco in seno senza esserne bruciati".

Simon Smeraldo

Immagine correlata

“Tribù indiane. Capitale e proletari nella storia del Nord America” di Giorgio Stern - Recensione



Qualche tempo addietro, verso la metà di luglio del 2019, ricevetti una email da Giorgio Stern in cui mi chiedeva un indirizzo postale per farmi pervenire il suo libro “Tribù indiane. Capitale e proletari nella storia del Nord America” (Zambon Editore), in quel periodo mi trovavo in Emilia, a casa di Caterina, e nel giro di pochi giorni ricevetti il volume. Conoscevo solo di nome Giorgio Stern e la sorpresa nel ricevere questo dono inaspettato fu tanta. Ma in fondo non c’era poi da meravigliarsi, poiché sia lui che io facciamo parte della lista No-Nato e quindi dal punto di vista “politico” già condividiamo diverse opinioni.

La curiosità solleticata dal come ero venuto in possesso del libro mi spinse immediatamente alla lettura, anche perché delle vicissitudini e delle sofferenze degli indiani d’America avevo iniziato ad interessarmi dai tempi di “Soldato blu” un film epico e drammatico che per primo modificava l’approccio verso l’epopea del “selvaggio West” (pellicola del 1970, diretto da Ralph Nelson e ispirato al romanzo storico di Theodore V. Olsen, Arrow in the Sun, a sua volta ispirato ai reali eventi del massacro di Sand Creek del 1864. Si tratta di uno dei primi film western a schierarsi dalla parte degli Indiani d’America).

L’epopea e la tragedia del popolo dalla pellerossa sono descritte in dettaglio nel libro “Tribù indiane” di Stern ed è subito chiaro sin dalla prefazione dell’autore, in cui è detto: “Quanto qui brevemente esposto riassume un capitolo di storia determinante nei suoi sviluppi successivi, facilmente documentabile per l’accesso alle fonti e per i numerosi studi editi negli stessi Stati Uniti, spesso disatteso o snaturato dai mezzi di diffusione di massa e dagli storici di professione”.

Insomma si tratta, come diremmo oggi, di un “libro verità” in cui i vari aspetti ed eventi che portarono allo sterminio, da parte dei “civili yankee” di una popolazione indiana stimata attorno ai 14 milioni di persone ed oggi ridotta a poche centinaia di migliaia. Un olocausto tremendo perpetrato non tanto per motivi “ideologici” quanto per motivi di rapina.

Il “selvaggio west” del popolo dalla pelle rossa è stato così descritto da un esponente Sioux, Standing Bear, nel 1890: “Noi non abbiamo mai considerato le grandi pianure, la distesa delle colline e i tumultuosi torrenti fiancheggiati da folti cespugli, come qualcosa di “selvaggio”. Solo per l’uomo bianco la natura era un “mondo selvaggio”, e solo per lui la terra era “infestata” da animali selvaggi e da gente “selvaggia”: Per noi tutto era famigliare e domestico. La terra ci ricopriva di doni ed eravamo circondati dalle benedizioni del Grande Mistero. Solo quando l’uomo peloso venuto dall’est con la sua brutale frenesia rovesciò ingiustizie, su di noi e sulle cose che amavamo, questo mondo divenne “selvaggio”. Quando gli stessi animali della foresta cominciarono a fuggire davanti ai suoi passi, ebbe inizio per noi l’epoca del “Selvaggio West”.

Già da queste parole potei capire e dare una giusta collocazione agli eventi storici contenuti e particolareggiatamente descritti nel libro di Stern. Gli imbrogli, le nequizie, le stragi, la diffusione volontaria del vaiolo e dell’acqua di fuoco, lo sterminio gratuito dei bisonti, il continuo restringimento entro piccole riserve desertiche, l’espropriazione delle stesse ove facesse comodo alla costruzione di reti ferroviarie o allo sfruttamento di risorse minerarie. Insomma la riduzione in schiavitù e la quasi estinzione di un popolo nobile e generoso. Questo fecero i fautori della democrazia e della religione cristiana e giudea che ancora osano mettere sulla loro monete e sui loro simboli: “In God we trust”.  Quale Dio?, mi chiedo, forse trattasi di Mammona, se non peggio. E ciò viene evidenziato anche nel capitolo relativo all’affermarsi del primo capitalismo bancario, finanziario e industriale e conseguente sfruttamento delle masse popolari di immigrati affamati ed oppressi.

Leggendo le tristi vicende occorse ai lavoratori bianchi “di serie b” trucidati durante gli scioperi e costretti ad orari sfibranti per soddisfare la sete di denaro dei padroni, nonché alle mistificazioni portate a scusante dell’eccidio del popolo pellerossa, libero e pulito, è più facile oggi comprendere la frenesia di dominio e di sfruttamento dimostrato da questi “uomini bianchi pelosi” nei confronti di ogni altra nazione del mondo. Gli sterminatori “religiosi e democratici” che affermano “In God we trust” ma solo per giustificare ruberie e distruzioni, allora come ora!

L’emozione provata scorrendo i vari nitidi capitoli del libro mi ha impedito una lettura continuata, ho dovuto riporre il volume più volte, per non soccombere alla rabbia ed alla frustrazione. Insomma ho impiegato quasi un mese a completare la lettura di un testo di appena 160 pagine.

“Tribù indiane” si conclude con le vicende attuali di un ultimo eroe indiano perseguitato dai “democratici e religiosi”, Leonard Peltier, tutt’ora imprigionato senza giusta causa ma solo per punirlo del suo amore e rispetto verso la sua gente e verso le tradizioni ancestrali.

Che dire di più? Termino con le parole della mia compagna, Caterina Regazzi, che a sua volta avendo preso in mano il libro di Giorgio Stern gli scrisse: “Gentile Sig. Stern, sto anch’io leggendo il suo libro su “Tribù indiane…” e lo sto trovando veramente esaustivo, interessante e illuminante su tanti aspetti non certo edificanti della storia degli Stati Uniti d’America. Credo che meriti di essere diffuso e conosciuto… Cordiali saluti!”

Paolo D’Arpini




Il messaggio segreto nella grotta...



Si è venuti misteriosamente a sapere che un vecchio saggio, vissuto centinaia se non migliaia di anni fa ha nascosto un messaggio di fondamentale importanza per l'umanità racchiudendolo in uno scrigno all'Interno di una grotta nel cuore dell'Amazzonia.


La notizia, rimbalzata su tutti i media ma recepita soprattutto dalla stampa alternativa, dalle stazioni radio pirata e dalle ballerine di tip tap, ha innescato una massiccia mobilitazione. L'orda smisurata di cercatori della verità (fra cui il sottoscritto) è andata gradualmente assumendo le immani proporzioni di una crociata dei fanciulli: mosse non si sa da quale impulso le folle oceaniche si sono radunate, come ad un segnale convenuto, al porto di Marsiglia, cercando un imbarco (gratis per via della penuria di finanziamenti) per l'agognata meta. Dopo tante richieste andate a vuoto, dopo tanti sprezzanti dinieghi, finalmente un capitano si è mosso a compassione e ha acconsentito a darci un passaggio sulla sua petroliera ,scusandosi per la poca comodità ma concludendo che "però c'è tanto posto".

Com'è, come non è, l'infido lupo di mare, quell'abominevole uomo delle navi, ci ha fatto sbarcare sulle coste tunisine, dov'è albeggiata su di noi l'amara verità: ci aveva venduti come schiavi a una carovana di beduini, che si è diretta verso le coste atlantiche del Marocco con la sua miserabile mercanzia umana.

Potete immaginarvi le privazioni e gli stenti che apersero larghi vuoti tra le nostre file, sicché arrivammo a Casablanca in poche decine.

Quivi il gestore del mercato degli schiavi locale, certo Abdullah Ha'l Cappot Hal Gileth Ha'l Maglion, prostrato come di consueto verso la Mecca, ha ricevuto da Allah la rivelazione di lasciarci liberi, al che, masticando un po'amaro per l'ingente guadagno venutogli meno, ha obbedito all'ingiunzione dell'Altissimo (sia benedetto il Suo nome). Alla gioia per la fortunosa liberazione ha fatto ben presto seguito lo sconforto per la lontananza della meta.

Allora, chi a nuoto chi con mezzi di (s)fortuna, tipo kayak eschimesi, canoe indiane, piroghe tailandesi e pedalò riminesi, ci si è avventurati sulle sterminate acque oceaniche alla volta delle Canarie. La cronaca purtroppo registra una completa defaillance dei nuotatori, una discreta percentuale di imbarcazioni indigene colate a picco e assolutamente nessun sopravvissuto fra gli utenti dei pedalò.

A questo punto un insignificante pugno di temerari è arrivata alle Canarie; che si fa, che non si fa, a qualcuno è venuta l'idea di affittare un notevolissimo numero di palloncini ed affidarci al vento. La pietà impone di tacere del numero dei tapini che, preda delle bizzarrie di Eolo, si sono ritrovati sull'isola di Pasqua o, peggio, a Pago-Pago (come se non avessero pagato abbastanza):oppure semplicemente congelati nella stratosfera, quando non cucinati nelle bocche vulcaniche del Krakatoa.

Inutile dire che al nostro atterraggio sull'Amazzonia venezuelana, nei pressi del Salto Angel, eravamo meno di una decina. Lì ci accorgiamo con sgomento di essere arrivati sull'altopiano descritto da Arthur Conan Doyle ne "Il mondo perduto" dove pullulano dinosauri poco amichevoli e rettili mostruosi.

Alla fine purtroppo alcuni nostri compagni di sventura furono divorati da un Tyrannosaurus Rex di passaggio, e rimanemmo solo la mia compagna ed io... ma la grotta del messaggio eccola lì davanti ai nostri occhi...

Simon Smeraldo


.................


LA GROTTA DEL MESSAGGIO (nascosto) -parte 2

E così, cari ascoltatori, amici vicini e lontani, eccoci lì, proprio davanti alla famigerata grotta!Non credevamo ai nostri occhi, ma per evitare di essere fagocitati da qualche immenso sauro come i nostri malcapitati compagni, senza por tempo in mezzo io e lei ci siamo addentrati nelle viscere della terra a circa un metro di profondità - la grotta era in lieve discesa.

Meraviglia! Lo scrigno era là, intoccato da secoli, forse millenni. Con mani tremanti, in preda all'emozione, cerchiamo di far scattare la serratura arrugginita dal tempo. Dai che si apre... mmmmph! dai che si...arrrrggghhh! dai che...mmmmghh!.acc! Non si apre! 


Che fare? Con le buone... ragioniamo. La pestiamo, la colpiamo ripetutamente con una pietra, la scagliamo violentemente contro la parete della grotta....niente! Sfiniti dai ripetuti sforzi, in preda allo scoramento più totale, ci lasciamo cadere a terra. In quel momento.....tac uno scatto metallico e si alza il coperchio del cofanetto: c'era una serratura a molla!


Ed ecco il foglio di papiro arrotolato, tenuto insieme da un laccetto per le confezioni di pan bauletto. Una delle solite incongruenze archeologiche. Senza badarci più di tanto, febbrilmente srotoliamo il foglio....ed eccoci padroni del messaggio più importante per l'umanità, che il vecchio saggio, certamente uomo di poche parole ma di molta perspicacia, ha affidato allo scritto.

Già ce lo figuriamo, l'anziano uomo (o donna) piegato dalle tempeste della vita ma non spezzato, che avanza a fatica, fra uno stegosauro e un bradipo gigante, tenendo a bada con la sua sola presenza le tigri dai denti a sciabola e i velociraptor, sfidando le intemperie (40 gradi all'ombra), attingendo alle sue ultime risorse vitali per venire fin qui, per depositare il suo retaggio in questa oscura caverna di un mondo che fu. 


Lui (o lei) sì che era....veramente lui (o lei).
E allora, carissimi tutti e tutte, volete davvero sapere quel che c'era scritto in quel tanto sospirato messaggio?


Eccolo qua:
"Chi parla non sa;
Chi sa non parla"


Simon Smeraldo


(P.S. Questo racconto fa parte di un gioco di fantasia  condotto da Maria Bignami, il 25 giugno 2017, alle ore 16.30, durante l'incontro collettivo ecologista tenuto a Ca' Lamari di Montecorone di Zocca.)

Mission: “Senza peccato non c’è redenzione!”...

 


[…] mi sovviene una storiella, forse vera e comunque verosimile, appresa da Osho, ed il fatto sembra accadde realmente in una scuola missionaria d’oltre oceano.

Un missionario cristiano svolgeva la sua opera in uno sperduto villaggio nella foresta amazzonica. L’apostolato si presentava bene, prima aveva preso in cura i malati, poi era passato ad assistere gli anziani ed i poveri infine aveva costruito una chiesa con un oratorio per poter insegnare la religione ai bambini. Un giorno stava spiegando la bibbia e raccontava la storia dell’uomo, del peccato originale, della faticosa via verso il bene e di come il compassionevole Gesù fosse venuto in terra per redimere i peccatori che si erano pentiti ed affidati a lui.

Dopo aver così istruito i bambini, per vedere se avessero capito bene il concetto della religione cristiana, chiese ad alta voce alla classe: “Ecco dopo aver ascoltato quel che ho detto chi sa dirmi in sintesi qual è il messaggio della religione?”. Subito un ragazzino sveglio si alzò e disse: “Io l’ho capito, il messaggio è che bisogna peccare”. “Come sarebbe a dire – interloquì il prete – se ho parlato male del peccato dall’inizio alla fine?”. “Tu hai detto che l’uomo è un peccatore, ma egli deve necessariamente peccare per poi potersi pentire e prendere rifugio in Gesù che lo salva… Senza peccato quindi non c’è redenzione”.

Paolo D’Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica

Risultati immagini per paolo d'arpini

Mito dell'eterna giovinezza (comprata)...


Risultati immagini per vampiri psichici

Ricordo un vecchio film di fanta-ecologia-spirituale, un cartone animato in cui si immaginava la società umana, in chiave simbolica, che era stata suddivisa in una comunità egemone sdoppiata  in cui una   parte dominava il mondo con la sopraffazione e l'uso del potere magico scientifico, mentre un'altra metà era dedita all'ascesi ed alla realizzazione spirituale. In verità queste due umanità erano rappresentate dagli stessi individui che per mezzo di una divisione alchemica avvenuta in tempi remoti si erano scissi in "buoni e cattivi".  I cattivi invecchiavano come i buoni, pur avendo entrambi una esistenza lunghissima, solo che i buoni si accontentavano di invecchiare in pace e di morire sereni mentre i cattivi escogitavano sistemi  scientifici per avere flash di ringiovanimento, che ottenevano attraverso il risucchiare l'energia vitale di altri esseri e che concedeva ai "vampiri" di avere  momenti di giovinezza indotta, una sorta di  orgasmo psico-fisico.   
Con il passare dei secoli lo sfruttamento della natura e dei suoi abitanti, da parte dei cattivi,  era arrivato al punto limite...  Nel frattempo  il numero dei dominatori si era assottigliato a pochi elementi e di pari numero era composto quello dei buoni (nel senso che trattandosi in verità delle stesse entità sdoppiate alla morte di una di esse anche la controparte scompariva).  
Alla fine il pianeta era allo stremo e il numero residuo dei buoni decide di andare incontro agli ultimi cattivi per compiere l'osmosi finale e concludere così la scissione delle due componenti, l'occasione favorevole combaciava con una particolare congiunzione planetaria astrale in cui le  due metà di un grande diamante cosmico si sarebbero ricongiunte, in quel momento i buoni ed i cattivi entrando l'uno nell'altro avrebbero sancito il ritorno all'origine contemporaneamente scomparendo dal pianeta. Ovviamente, in seguito a ciò,  il resto degli esseri viventi, alleggerito dal peso opprimente degli umani "sdoppiati",  avrebbe trovato nuova possibilità di espressione e nuova vita, in piena libertà...

Tutto ciò mi è tornato in mente avendo letto una notizia di cronaca relativa al succhiare il sangue dei giovani (poveri) per fermare l'invecchiamento dei ricchi. Una nuova tecnica di rapina biologica dopo l'espianto trapianto di organi... 


Risultati immagini per trasfusione sangue da giovani

"Non più una teoria della cospirazione: le élites pagano per il sangue dei giovani.

Quella che una volta era solo una delle fantasie dei teorici della cospirazione – i ricchi ingerivano il sangue dei giovani per favorire la longevità – è ormai una realtà ed un vero e proprio business negli Stati Uniti. Non è solo un affare ma ci sono miliardari che ammettono di essere interessati ad esso.

“Sto cercando tra la roba parabiosi, che penso sia qualcosa di
veramente interessante. Hanno scoperto che il sangue di topi giovani,  iniettato in topi anziani ha un enorme effetto ringiovanente”.  E’ quello che Peter Thiel, il miliardario co-fondatore di PayPal e consigliere di Donald Trump ha detto alla rivista Inc Magazine “Penso che ci siano un sacco di queste cose che sono state stranamente sottovalutate.”


Ma questo non è più un esperimento che riguarda solamente i topi. La società startup di Jesse Karmazin, Ambrosia, sta facendo la stessa cosa con gli esseri umani e molti ricchi sono in coda per ricevere il sangue dei giovani.

Comunque, memento mori...

Paolo D'Arpini

Viaggio oltre il velo...


“Camminare senza che ci sia un cammino, rimboccarsi le maniche senza che ci siano braccia, sguainare la spada senza che ci sia una spada, menare le mani senza che ci sia un avversario” (Tao Te Ching, LXIX)




Gli avvenimenti sempre più frequenti e più tragici con cui ci confrontiamo oggigiorno vengono di volta in volta ascritti agli islamici, agli omofobi, ai cristiani fondamentalisti, ai sionisti, agli imperialisti e compagnia bella.Tutto sbagliato. Tutti costoro che si macchiano di tanto orribili delitti sono solo ottuse pedine su di una tenebrosa scacchiera retta da mani che non si vedono, gestita da menti molto lontane dal livello umano, la cui identità è smascherata da questo passo tratto da una delle scritture sacre dei popoli: “Poiché il nostro combattimento non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze della malvagità che sono nei luoghi celesti”.

Gli gnostici di un tempo parlavano di “Arconti”; nel film Matrix lo stesso comportamento è a carico delle macchine che hanno conquistato il mondo, ma la tattica è sempre quella: ”divide et impera”. Far scagliare i popoli gli uni contro gli altri, i bianchi contro i neri, gli ebrei contro gli arabi, la destra contro la sinistra, gli interisti contro i milanisti, e così via. Questi conflitti generano un’enorme quantità di energia emozionale che, pur scaricandosi a livello fisico in un grado di violenza sempre crescente, a livello “sottile” (cioè ultraterreno) invece va ad alimentare queste dinamiche estremamente deleterie che cavalcano il dualismo insito nella natura umana portandolo però a livelli di esasperazione. Sono forze il cui fine ultimo è cavare ogni goccia di vitalità all’uomo, per caricarsene come con delle batterie, come ben esemplificato in Matrix, una parabola la cui aderenza simbolica alla realtà è stata molto sottovalutata.

Gli esseri umani, ingenui perché generalmente non dotati della vista che va oltre la vista, cadono continuamente in questa trappola, vedendo il diavolo nella parte contrapposta, e credendosi di possedere la verità. Stoltamente,la loro azione non cambia mai nulla nel mondo, che continua, praticamente da sempre, la sua marcia verso l’annichilimento, sostenuto da questi “martiri della fede”, come da tifosi sfegatati a un torneo di calcetto e da politicanti che si lanciano frecce da un comizio all’altro. Tutti animati dalla stessa energia, come marionette appese a dei fili invisibili. I miti che parlano di due personaggi contrapposti insegnano: Caino e Abele, Osiride e Seth, Quetzalcoatl e Tetcatlipocha. Il problema è che per l’uomo moderno mito è sinonimo di “favola”.

Non vediamo l’enorme massa sommersa dell’iceberg: scorgendone solo la punta, la sua fondamentale realtà ci è ignota, e scambiamo fischi per fiaschi, lucciole per lanterne, prendendoci in giro costantemente chiamando in gioco una “causa” più “legittima”dell’altra. Uno sviato senso di giustizia si prende gioco di noi, ci possiede, ci deraglia.

L’Unità fondamentale del cosmo però in tutto questo rimane invariata per chi ha “occhi per vedere e orecchie per udire” ed elevarsi al di sopra della melma degli ideali, dei partiti, delle cause perse e vinte.

Simon Smeraldo








Più artificiale di così...!?

 


Il discorso sull’intelligenza artificiale è avviato, è presente nelle trame dialettiche quotidiane, si studia, ne si constatano le forme in cui appare al pubblico, se ne sfruttano i servigi, fa innamorare. In pochi temono l’osmosi. In pochi vedono il patrimonio umano andare a perire e poi essere dimenticato, ormai troppo tardi per pentirsene quando saremo noi a essere funzionali al virtuale, quando non potremo farne a meno, quando tutto ciò che faremo sarà fatto per mantenere l’assuefazione. Quando cioè verrà il tempo del rimpianto analogico.

Considerazioni sull’intelligenza artificiale sfruttando Maniac di Benjamìn Labatut (1), in cui la mossa 37, operata dal programma AlphaGo, mai presa in considerazione dalla tradizione millenaria del Go, con sorpresa dei più forti giocatori, lo ha portato al successo; e in cui la 78, messa in atto da Lee Sedol, in un’altra partita sempre contro Alpha Go, gli aveva invece permesso di superare il potere di calcolo della macchina, dandogli la vittoria.

Il Go è un gioco orientale, molto diffuso in Cina, dove ebbe origine oltre 3000 anni addietro, in Corea del Sud, in Vietnam e in Giappone. È considerato assai più articolato degli Scacchi, in quanto richiederebbe una prospettiva strategica nettamente superiore.

“Alcune mosse che noi umani avremmo considerato creative siano in realtà convenzionali”. Maniac, p. 347

Sono le parole del campione di Go, Lee Sedol, dopo aver perso la partita contro AlphaGo, un modello di intelligenza artificiale.

Nell’affermazione di Lee non c’è soltanto il riconoscimento di un potere di calcolo e previsione superiore a quello umano. Magari la questione fosse limitata a questa ovvietà. In essa vi è scritto, come inciso su una pietra, un nuovo santo Graal, che prima eravamo i soli a muoverci entro la corte di quel potere e potevamo, per mezzo suo, raggiungere la conoscenza, e che ora siamo in compagnia, anzi, sotto il dominio di un nuovo re, che non avrà incertezze quando gli servirà eliminarci.

Nella cultura della vulgata non sarà mai presente in forma sostanziale – superficialmente e come luogo comune, certamente sì – la precipua differenza tra l’umano e la macchina, ovvero la coscienza serendipica o quantica di sé e la relativa creatività, a fronte di una coscienza di sé e creatività di natura computata.

“«Credo ci sia ancora qualcosa che gli esseri umani possono fare contro l’intelligenza artificiale [...]»”. Maniac, p. 348

Quel “credo” è la legittima speranza di non venire sopraffatti, è la sola arma per resistere all’annientamento dell’umano. Ma, e questo è il tragico, v’è in quella piccola parola l’ammissione occulta di un’imminente abdicazione, di una resa delle armi, di una sottomissione definitiva e assoluta. I buoi sono usciti, chiudere la stalla ora è il ridicolo che ogni uomo di corte vedute è destinato a realizzare.

“«[...]. La mia sconfitta [è Lee che parla, nda] non è la sconfitta del genere umano. Credo che queste partite abbiano dimostrato la mia debolezza, non la debolezza dell’umanità»”. Maniac, p. 348

Mi viene in mente Kosovo Polje, la piana dove, nel 1389, gli islamici sconfissero i cristiani serbi e questi, che sentirono e sapevano di aver difeso, ultimo baluardo, la cristianità, perciò l’Europa tutta dall’Islam, la considerano ancora oggi alla stregua di una vittoria spirituale, che la cristianità non gli ha riconosciuto.

Il significato è duplice. Uno, che c’è chi confida nell’umanità nonostante la superiorità del nemico, l’altro, che anche le allerte e le battaglie di qualcuno contro lo spadroneggiamento della cultura che celebra l’intelligenza artificiale come un salto avanti del progresso non verranno riconosciute nel loro valore. Inoltre, chi le sta conducendo si sente, alla stregua dei serbi, l’ultimo baluardo tragicamente insufficiente in difesa dell’umanità.

Il discorso sull’intelligenza artificiale è avviato da tempo e la verità che in esso risiede è ormai affermata. Ciò a cui assistiamo ne è l’ultima espressione, quella concreta.

In riconoscimento degli autentici sforzi di AlphaGo per padroneggiare i fondamenti taoisti del go e raggiungere un livello prossimo al territorio della divinità”. Maniac, pp. 348-9

Sono le parole che hanno accompagnato l’attestato assegnato ad AlphaGo e ai suoi creatori. Il primo di una prevedibile lunga serie, normalmente destinato ai maestri che hanno raggiunto il 9° dan, quello che “rasenta il soprannaturale”.

Un attestato che, in termini positivi, premia un grande lavoro, ma che in quelli umanistici spinge giù, sotto la superficie dell’acqua, la testa dell’intelligenza analogica, cioè quella che risente di emozioni e sentimenti, quella che crea la realtà, come Dio, che non la induce da un calcolo, come una macchina. Un’intelligenza senza più potere né dignità, buttata a mare come accadde con le streghe.

L’encomio ad AlphaGo ne pare un esempio, in quanto la compressione del taoismo entro un calcolo lo riduce a mera pratica positiva, ne uccide il padre spirituale e, come si può evincere, lo fa senza vergogna né timore. È l’abdicazione dell’umano. È la vittoria dello scientismo.

Il noto motto di Lao Tsu, quando lo stolto sente parlare per la prima volta del Tao scoppia a ridere, deve purtroppo essere modificato: quando lo stolto sente parlare per la prima volta del Tao lo scambia per la scienza.

“«[...] ma quella che ho imparato io [dice Lee, nda] era un’arte. Il go è un’opera d’arte realizzata da due persone. Adesso è tutto diverso. Dopo l’avvento dell’IA, il concetto stesso di go è cambiato. È una forza devastante. [...]. Anche se diventassi il giocatore migliore che il mondo abbia mai conosciuto, c’è un’entità che non può essere sconfitta»”. Maniac, pp. 352-53

Se la verità è l’espressione dell’accredito che diamo a un’idea, a un pensiero, e la forza corrisponde alla fede nei confronti di quell’idea e di quel pensiero, incluso quello su noi stessi, nelle parole di Lee assistiamo all’abiura di un mondo, di una cosmogonia dal carattere umano-analogico-magico. Se, prima, l’assolutismo della computazione nella determinazione del vero aveva la sua ragione d’essere, e faceva il suo ottimo servizio, in contesti amministrativi, chiusi, ovvero quelli la cui natura è ben rappresentata dal Gioco, con le sue regole condivise e linguaggio univoco, ora, una volta di più rispetto a quanto abbia tentato di imporre il pensiero razionalista, la glorificazione dell’intelligenza artificiale comporta, ha già comportato, la sua invasione in tutti i campi aperti in cui l’uomo si muove secondo necessità creative, incomprimibili in protocolli amministrativi.

Alla nostra generazione tocca la sorte di assistere al compimento del cambio di paradigma scientista, e di essere la sola a poterne fare la cronaca. A breve, se non già in atto, alla nostra discendenza non toccherà più neppure l’onere di vedersi obbligati a gettare la spugna umanistica. Nascerà in un’ambiente estraneo da cartacce, disordine e complessità. Un contesto in cui farsi guidare dall’intelligenza superiore sembrerà una vittoria senza pari. E proprio in quel momento una pace fondata sulla sorveglianza e sull’ubbidienza sarà propagandata come conquista, sfruttata per mantenere il controllo e ridurre la popolazione con il consenso generale. Sarà l’ultimazione del disegno iniziato con uno schizzo che passerà alla storia come Covid19.

La sconfitta è triplice. Una risiede nella fede nella superiorità della macchina e, quindi, come detto, nell’autogarrotazione dell’intera natura umana, l’altra nell’esaurire l’umanità nella competizione con la macchina stessa, l’ultima nell’assuefazione e nella dipendenza da un’amante senza cuore (2).

Quindi sconsolatamente se il potere calcolatorio umano viene soverchiato da quello della macchina, e se entro quest’ultimo crediamo di poter comprimere l’essenza dell’uomo, allora sì che l’umanità ha perso. E così sta andando. la destinazione è lapalissiana. L’idolatria all’altare dell’intelligenza artificiale non risparmierà nulla e avrà occasioni crescenti per mandare in delirio più di quanto abbiano potuto i Beatles, molto di più.

Eppure, basterebbe avere consapevolezza che l’esperienza non è trasmissibile, che il potere creativo disponibile agli umani ha il carattere dell’infinito, non del finito entro cui le macchine sono costrette. Del resto, come si è arrivati a creare l’intelligenza artificiale se non per la natura creatrice degli uomini?

Non si deve lasciar perdere l’ispirazione, è grazie a questa che da noi fuoriesce l’infinito delle creazioni, non si può lasciar cadere il più potente momento umano, non lo si può sostituire con il calcolo e lo studio. Esso ha il carattere della cruna dell’ago, verso la quale convergono tutte le energie, che la attraversano generando un orgasmo in cui, come in quello sessuale, chi lo vive non può dire io, ma può solo esserlo.

“[...] il giovane pianse, togliendosi gli occhiali dalla montatura spessa e asciugandosi le lacrime mentre cercava di descrivere la sensazione di impotenza che lo aveva sopraffatto durante le partite, appena aveva cominciato a giocare contro Master, aveva percepito qualcosa di nuovo, e di profondamente destabilizzante. Quando gli chiesero di spiegare in cosa Master si distinguesse da AlphaGo, Ke Jie non poté fare a meno di ricadere nel tipo di linguaggio che si utilizza di solito per gli esseri dotati di coscienza: «Per me è un dio del go. Un dio in grado di annientare chiunque lo sfidi. Io non ho mai dubitato di me stesso. Ho sempre sentito di avere tutto sotto controllo. Pensavo di avere una grande consapevolezza della composizione, una conoscenza intima della tavola. Ma Master guarda tutto questo ed è come se dicesse: ‘Scemenze!’. Lui riesce a vedere l’intero universo del go [campo chiuso, nda], io vedo solo la minuscola area intorno a me. Quindi, vi prego, lasciategli pure esplorare l’universo, e lasciate che io giochi in pace nel mio cortile. Pescherò nel mio piccolo stagno. Quanto ancora potrà migliorare attraverso l’autoapprendimento? I suoi limiti sono difficili da immaginare. Credo che il futuro appartenga all’IA»“. Maniac, p. 355

La destabilizzazione del colpo di mano dell’intelligenza artificiale nei confronti della tradizione di pensiero non è presa in considerazione dalla politica, e forse neppure dalla massa acefala della maggioranza degli intellettuali. Dovrebbe essere al centro di un dibattito e di un contrasto che, invece, sono attualmente pressoché inesistenti, a dimostrazione dell’inconsapevolezza di ciò che siamo, dell’abdicazione di noi stessi, della sublimazione della macchina eletta ad algoritmico dio. Le faccende umane gestite dagli uomini saranno quindi “scemenze”, lo possiamo dare per garantito, non secondo il giudizio dell’intelligenza artificiale ma secondo quello degli uomini stessi, suoi devoti. Cioè da progressisti, divanisti o sublimi scientisti, contenti che, come diceva quel tale economista di un certo lignaggio cultural-progressista, “la storia vada avanti”, come se al suo interno le scelte degli uomini non esistessero.

Il cavallo di Troia dell’intelligenza artificiale è annidato in noi che crediamo sia un regalo della provvidenza. Da esso sono usciti e seguiteranno a uscire piccoli microbi, che infetteranno il nostro status, fino modificarci. Nella destabilizzazione, come dice Jie, i dottori ci prescriveranno le sostanze utili a cancellare il passato analogico per farci apprezzare il presente, per indurci a lavorare secondo il nuovo paradigma sociale fondato su algoritmi che nel tempo saranno autopoietici, sempre con il nord orientato verso la miglior efficienza. Pastiglie necessarie a farci accomodare in ergonomici spazi abitativi-lavorativi da loro predisposti, affinché non usiamo neppure una goccia di tutto il potenziale che abbiamo di ribellarci (3).

Se l’uomo, invece di credersi un’entità autonoma con diritto d’orgoglio, avesse consapevolezza d’essere espressione della natura, l’intelligenza artificiale “diventata l’entità più forte che il mondo abbia mai conosciuto a go, scacchi e shōgi” (Maniac, p. 357) sarebbe una fortuna.

Perché una fortuna? Perché non utilizzerebbe tout court il potere calcolatorio dell’intelligenza artificiale, come invece sta avvenendo e, come è elementare prevedere, si attesterà quale miglior scelta per il progresso. Lo limiterebbe al contesto amministrativo o dei campi chiusi, quelli governati da regole condivise e da un linguaggio univoco, consapevole che fuori da quel recinto c’è l’infinito, vera residenza dell’umanità, un oceano dove essa può navigare, nuotare e pescare.

Ma temo che ciò resti una consapevolezza esoterica. Se il Grande fratello ha fatto milioni di attenzioni, cosa farà l’intelligenza artificiale?

Resta un ulteriore interrogativo vestito da timore, vissuto con terrore. Prima di pensare e fare, faremo un click per chiedere cosa pensare e cosa fare?

“«Lo sai chi sono?». «Sì!» risposi. «Da tempo sei causa per me di dolore e afflizione. Sei la facoltà razionale della mia anima»”. Hadewijch di Brabante, mistica e poetessa del XIII secolo. Maniac, esergo

Lorenzo Merlo


Note

1 Benjamìn Labatut, Maniac, Milano, Adelphi, 2023.

2 https://www.youtube.com/watch?v=owtTuSWK4dg

3 Assessment (La valutazione), un film del 2024, di Fleur Fortuné. Qui, l’ultima goccia di umanità è stata utilizzata.

Esiste la realtà fuori di noi? Dobbiamo rinunciare ad investigare sulla realtà?

  


Sotto il termine generico di Empirio-Criticismo, questo atteggiamento filosofico consiste nel fatto di considerare Scienza e Conoscenza come basate solo sul dato empirico fenomenico (sensazioni, percezioni) senza però considerare se queste sensazioni e percezioni ci derivino da oggetti reali che esistono effettivamente nella realtà. Dovremmo rinunciare – quindi – ad indagare sulla realtà sottostante al fenomeno (che potrebbe anche non esistere).
 
Le scuole filosofiche di questo tipo partono da posizioni apparentemente empiriste per poi virare verso posizioni quasi “idealiste”, in cui al posto delle idee “pure” troviamo le sensazioni e le percezioni “pure”. Per chiarire meglio al lettore con un esempio la posizione di questi pensatori, basterà ricordare che alla fine dell’800 essi erano convinti che gli atomi non esistessero perché “non si vedono”.
 
Questa filosofia ebbe il suo massimo rappresentante nel fisico viennese Mach, che fu anche filosofo sottile di grande intelligenza ed amico ed avversario del “realista” Boltzmann. Mach  ha avuto il merito indubbio, riconosciuto anche da Einstein, di mettere in crisi alcune acquisizioni errate della fisica precedente, come il presunto “spazio assoluto” presupposto da Newton cui farebbero riferimento tutti i moti e le forze d’inerzia. Mach faceva notare che non esisteva uno “spazio assoluto” e che bisognava riferirsi piuttosto alla distribuzione reale delle masse nell’Universo, e criticava anche il concetto di “massa” così come formulato da Newton.
 
Mach, però, sosteneva anche che la Scienza ha un carattere convenzionale ed è basata, non su elementi reali, ma su percezioni che sono a metà tra mondo fisico e psichico, e che il soggetto che percepisce e l’oggetto percepito sono la stessa cosa. L’analisi dei fenomeni sottostanti le percezioni sarebbe irrilevante e lo scienziato dovrebbe solo produrre delle buone equazioni matematiche che prevedano i risultati sperimentali di controllo. La Scienza consisterebbe nello scegliere alcune sensazioni più significative, e più facilmente riducibili a simboli, nel flusso continuo di sensazioni che ci arriva.
 
Mach nel 1897 negò esplicitamente l’esistenza degli atomi. Era anche ferocemente contrario alle teorie meccaniciste di Galilei, Newton e Boltzmann: “Chi si avvale delle stampelle dei concetti meccanici per arrivare al riconoscimento dell’equivalenza del calore e del lavoro non comprende se non a metà il progresso realizzato da questo principio”.
 
Questa filosofia ha un suo antecedente nella filosofia settecentesca del vescovo inglese Berkeley, autore di sottili ragionamenti, che partendo da posizioni empiriste arrivava poi al punto di affermare che l’unica realtà sono le percezioni (“Esse est percipi”, cioè “esistere significa essere percepito”). In questo modo Berkeley negava l’esistenza di un mondo materiale, sostituito dalle sole percezioni. Non è forse errato dire che nella filosofia empirio-criticista si sente anche l’influenza della Fenomenologia di Husserl che poi ha dato vita a varie scuole filosofiche di tendenze irrazionaliste (Heidegger, Jaspers ed il moderno Esistenzialismo). Husserl infatti affermava che la conoscenza è data solo da pure essenze ideali ottenute depurando le sensazioni, provenienti dal continuo flusso dei fenomeni, da ogni riferimento oggettivo all’esperienza.
 
In altri articoli dedicati a questo argomento  abbiamo ricordato la polemica scoppiata alla fine del secolo XIX tra i seguaci di Mach (tra cui il chimico Ostwald, il filosofo Helm, lo storico della Scienza, il francese Duhem sostenitore del carattere convenzionale della Scienza), che negavano l’esistenza degli atomi e la validità delle leggi della meccanica sostenendo che nel modo si verificavano solo scambi energetici (”Energetismo”), e – dalla parte opposta - Boltzmann, sostenitore del meccanicismo e dell’atomismo. Abbiamo anche ricordato che a favore di Boltzmann intervennero il grande fisico Max Planck (iniziatore della Fisica Quantisca) ed il grande rivoluzionario Lenin in persona. Infatti nel 1909 Lenin pubblicò la sua opera “Materialismo ed Empirio-Criticismo” in cui prendeva energicamente posizione a favore di una Scienza materialista e realista. Lenin riteneva che l’Idealismo è reazionario, il Materialismo è rivoluzionario.
 
Gli studi e le esperienze di Einstein, Perrin, J.J. Thomson, Rutherford, ecc., hanno certamente determinato la vittoria degli atomisti, ma le impostazioni di Mach hanno continuato ad influenzare profondamente le impostazioni della corrente maggioritaria, detta “ortodossa”, dei Fisici quantistici guidati dal danese Bohr, creatore del famoso Istituto di Fisica di Copenaghen, e rappresentata da Heisenberg, Dirac, Pauli, Max Born, Jordan, Feynman. In altri articoli dedicati all’argomento abbiamo visto come Bohr abbia elaborato il “Principio di Complementarità” secondo cui dobbiamo limitarci a registrare i risultati contradditori forniti separatamente dagli strumenti (come nel caso di oggetti sub-atomici che si presentano a volte come particelle, a volte come onde, fatto già teorizzato già dal fisico francese De Broglie). Sarebbe superfluo investigare sul perché ciò accada. Ci basta avere delle buone equazioni che descrivono i fenomeni.
 
Premettiamo – a scanso di equivoci – che i fisici menzionati sopra sono stati tutti dei giganti della Fisica, e che la Fisica Quantistica ha ottenuto risultati teorici ed anche pratici spettacolari. La Fisica Quantistica è alla base delle tecniche dei semiconduttori e dei transistor che ha permesso la diffusione di computer miniaturizzati per uso comune, cellulari, robot dotati di Intelligenza Artificiale, lettori DVD, laser, apparecchi per la risonanza magnetica, ecc. che hanno costituito una terza rivoluzione industriale a metà del secolo XX. Vogliamo però sottolineare alcune pericolose forzature filosofiche di questi scienziati, che rischiano di portare la Scienza fuori strada.
 
Percorrendo questa strada i fisici quantistici “ortodossi” aderenti alla “Scuola di Copenaghen” tendono ad allontanarsi da interpretazioni “realistiche” del mondo. Solo pochi anni dopo aver sviluppato il modello atomico che porta il suo stesso nome Bohr nel 1920 dichiarò che:  ”quando si tratta di atomi, il linguaggio può essere usato solo come si fa in poesia. Il poeta non è molto preoccupato dalla descrizione dei fatti, ma dal creare immagini e stabilire connessioni mentali”.   Ed ancora: “Le particelle materiali sono astrazioni. Le loro proprietà si possono definire ed osservare solo attraverso le loro interazioni con altri sistemi”.
 
Per Bohr ed Heisenberg la Fisica non ha a che fare con la realtà oggettiva ma solo con la conoscenza (superficiale) che abbiamo di essa, concezione in cui la realtà sottostante diviene evanescente. Il fisico conosce solo ciò che può misurare, non quello che c’è sotto. Le misure non indicano proprietà indipendenti degli oggetti. Heisenberg giunge a dire che l’idea che le particelle esistano realmente è discutibile.  Anche il concetto di traiettoria della particella è rifiutato da Heisenberg. Circa 15 anni dopo la formulazione del modello atomico di Bohr spariscono dalla meccanica quantistica orbite e particelle. Il mondo sarebbe fatto di eventi, non di oggetti. Si unisce a questo coro anche il filosofo Goodman: un oggetto non esiste di per sé: è solo un processo. Sono le relazioni esistenti in un processo a “creare” l’oggetto.
 
Negli anni ’30 Bohr mise persino in dubbio il principio di conservazione dell’energia per interpretare l’emissione continua della radiazione “Beta”, spiegata poi da Pauli con l’ipotesi (rivelatasi esatta) dell’esistenza del neutrino.
 
Questi atteggiamenti sono diventati di moda tra molti fisici attuali. Per lo statunitense John Wheeler un fenomeno non esiste se non è osservato. Anche il nostro Carlo Rovelli – esperto di Gravità Quantistica e divulgatore scientifico - è giunto a pronunciare concetti tipici della filosofia fenomenologica: “La realtà non è fatta di oggetti. È un flusso continuo continuamente variabile”. I confini degli oggetti sono arbitrari ed un sistema fisico è un’idealizzazione. Ha espresso anche concetti idealistici: la statua non è solo marmo, ma sarebbe una relazione tra la mente di Aristotele che ne parla, quella di Fidia che la progetta, e la nostra mente che la sta pensando.
 
Ma uno stuolo di fisici di prima grandezza – che pure avevano contribuito in modo decisivo alla nascita ed allo sviluppo della Fisica Quantistica - non era d’accordo con queste posizioni: tra questi Einstein, Planck, De Broglie, ed Erwin Schrödinger (quest’ultimo aveva sviluppato l’equazione più famosa di questa branca della Fisica). Basti ricordare le parole di Einstein rivolte a Schrödinger:” Bohr è un mistico che ci vieta di investigare su una realtà indipendente da chi la osservi. È un filosofo talmudista che considera la realtà come una figura terrorizzante inventata da una mente ingenua”. Einstein riteneva la Fisica Quantistica ortodossa “incompleta”. Planck sosteneva esplicitamente che il mondo esterno indipendente da noi esiste e la Fisica non è affatto convenzionale. Per Planck bisogna distinguere tra mondo sensibile e l’immagine fisica che ne diamo con leggi e concetti matematici che potrebbero non corrispondere esattamente, ma ciò non deve indurci ad una concezione puramente convenzionale della Scienza.
 
Anche da parte dei fisici sovietici sono spesso state formulate accuse di “idealismo” nei confronti della fisica quantistica “ortodossa”. Il fisico Fock faceva notare che non c’è nulla di misterioso nel fatto che esperienze e strumenti diversi ci diano immagini diverse (ad esempio, a volte onde, a volte particelle). È compito del fisico cercare una spiegazione fisica ed effettuare una sintesi.
 
Anche Rovelli sembra assumere una visione più “realista” quando afferma che non basta far previsioni matematiche che poi corrispondano a previsioni verificabili. Vogliamo anche capire la realtà fisica sottostante. Copernico e Newton hanno prodotto teorie senza esperienze dirette, ma sfruttando esperienze di altri. Alla fine l’origine del sapere è sempre empirica e si riferisce ad una realtà fisica concreta.
 
Nella sua polemica con Mach anche Lenin affermava che l’errore del fenomenista è la convinzione che la realtà oggettiva coincida con le sue sensazioni e rappresentazioni, che invece sono strumenti per cogliere una realtà indipendente. Esiste un mondo esterno che coincide con la realtà ed è materiale. Il pensiero è il riflesso della realtà materiale. Dalle sensazioni si passa ai concetti per astrazione. Il materialista dialettico è sicuro dell’esistenza di una realtà indipendente da noi. Sono parole molto chiare e certamente da sottoscrivere.
 
Vincenzo Brandi



 

Causalismo e Determinismo: Le cose succedono per caso?

 


Nella Fisica “classica” ed in tutte le Filosofie realiste e materialiste ogni cosa avviene per una causa precisa (Causalismo) ed ogni avvenimento si svolge necessariamente in un modo predeterminato dalle leggi naturali (Determinismo). Se conosciamo bene queste leggi possiamo anche prevedere gli eventi futuri.
 
Il primo concetto fu espresso già 2500 anni fa dalla splendida frase dell’atomista Leucippo: “Nulla avviene nell’Universo che non abbia una causa ed una ragione”. Il secondo è stato espresso con chiarezza dal fisico e matematico Laplace, vissuto in epoca napoleonica:” se conoscessimo in un certo istante la posizione e lo stato fisico di ognuna delle particelle che costituiscono l’Universo, potremmo prevedere che succede nei momenti successivi”.
 
Quando non si ha una conoscenza così grande della realtà, bisogna ricorrere a metodi probabilistici come quelli a cui ricorsero Maxwell e Boltzmann nella Teoria cinetica dei gas. Lo stesso Laplace sviluppò una matematica probabilistica. Poincaré, che fu un determinista coerente, diceva che parliamo di “caso” solo quando non abbiamo sufficienti informazioni per determinare le cause degli eventi. Il “caso” è solo la misura della nostra ignoranza. Per Planck nella termodinamica le leggi macroscopiche sono causate da precisi moti deterministici delle singole particelle. Poiché non siamo in grado di seguire i singoli moti, ricorriamo a distribuzioni statistiche di energia e leggi statistiche, peraltro molto esatte.
 
Il grande fisico e fisiologo tedesco dell’800 Helmholtz diceva che nelle stesse condizioni esterne si hanno sempre gli stessi effetti e che da questi, mediante successivi ragionamenti teorici, bisogna sempre determinare delle leggi generali e delle cause finali. Era convinto della teoria atomica e che i fenomeni fossero dovuti ad interazioni di particelle elementari.
 
Tutti i grandi fisici “classici”,  Galilei,  Newton,  Boltzmann, Einstein, Schrödinger sono stati deterministi. Secondo Adorno, tutta la filosofia realista, tesa a stabilire un contatto con la realtà, è intrinsecamente deterministica.
 
Tutto cambia negli anni ’20 del secolo XX quando  Heisenberg mette a punto il suo famoso “Principio di Indeterminazione”, secondo cui è impossibile misurare con eguale precisione i valori di due grandezze correlate, come la posizione e la velocità di una particella sub-atomica. Con una serie di forzature filosofiche questo fatto (che nessuno ha contestato) non viene più riferito alle sole misure, ma assume significati fisico-filosofici più profondi.
 
I fisici quantistici “ortodossi”, della scuola di Bohr ed Heisenberg, cominciano a sostenere posizioni prima “indeterministiche” e poi apertamente anti-deterministiche. Sostenevano che non sappiamo nulla sulla traiettoria delle particelle sub-atomiche. Tra un’apparizione e l’altra l’elettrone si muoverebbe a caso. Il futuro di un sistema fisico è imprevedibile perché il comportamento delle particelle su piccola scala è imprevedibile. Secondo il fisico spagnolo Arroyo Perez, nella fisica quantistica l’esistenza stessa degli oggetti, come elettroni e fotoni, è questione di fede. Si prevede solo che un certo esperimento darà un certo risultato, ma senza investigare attraverso quale processo ciò avviene.
 
Secondo Adorno Heisenberg mette in forse non solo il determinismo, ma anche il principio stesso di causa. Per gli indeterministi due eventi si susseguono, ma ciò non ci autorizza a dire che l’uno è causa dell’altro. Secondo il fisico teorico Bricmont, autore del bel libro “Quantum,  Sense and Nonsense” sulla Fisica Quantistica, oggi il determinismo in Fisica non esiste più. A questo stato di cose Einstein reagì energicamente dichiarando polemicamente che “Dio non gioca a dadi”, ed anche: “se le cose succedono a caso allora invece che il fisico vorrei fare il croupier”.
 
Anche per quanto riguarda gli aspetti ondulatori della realtà i fisici quantistici “ortodossi” considerano le onde come “onde di probabilità”, che ci indicano dove con un certo grado di probabilità si trovi un elettrone. Essi si discostano dalle idee di De Broglie, sostenitore del determinismo, che considerava l’onda come qualcosa di reale e di materiale. Dello stesso parere era Schrödinger, la cui famosa equazione doveva indicare qualcosa di reale, mentre per Max Born indicava solo una probabilità di esistenza di una particella in un certo istante ed in un certo punto.
 
Alcuni fisici, come il fisico spagnolo Jesus Navarro Faus, assumono una posizione intermedia distinguendo tra causalismo e determinismo. Se esiste una possibile causa, non è detto che avvenga l’evento previsto: se gettiamo semi in un campo alcuni producono pianticelle, altri no.. Si tratta – però – di un pessimo esempio: evidentemente si svilupperanno i semi che trovano un terreno più fertile o più ricco d’acqua: quindi la spiegazione c’è. Più calzante un altro esempio fatto dagli indeterministi, secondo cui, pur essendovi delle leggi precise della decadenza radioattiva, in cui conosciamo il ritmo con cui le particelle si staccano dall’atomo, non sappiamo quale particella, tra le tante, si staccherà per prima.
 
Già nell’antichità Epicuro, pur essendo un tardo allievo della scuola atomista, si staccò dal pensiero rigidamente determinista del maestro Democrito, affermando che gli atomi cadono tutti nella stessa direzione per il loro peso, salvo ad assumere a volte arbitrariamente un’inclinazione che permette loro di toccarsi. Questa asserzione - che costituiva il nucleo della Tesi di Filosofia dello studente Karl Marx - è in realtà molto lontana dalla fisica moderna: come Mach ed Einstein ci hanno insegnato, non esiste nessuno spazio assoluto e nessuna direzione privilegiata (mentre per il più coerente Democrito gli atomi sono da sempre in moto in tutte le direzioni). La ragione per cui Epicuro introduce una deviazione arbitraria è tesa a spezzare il determinismo per introdurre, per motivi morali, la possibilità del Libero Arbitrio. 
 
Preferiamo pensare che in un mondo essenzialmente deterministico, dove certamente non possiamo cambiare i moti delle galassie e la rotazione della Terra, e nemmeno cambiare individualmente il corso della Storia, ci sia permesso, dopo che l’evoluzione ci ha fornito un cervello dotato di autocoscienza e capacità di decisione, di prendere almeno delle limitate decisioni di ordine sociale, politico ed individuale. Ma questa è una materia molto complessa che lasciamo ai filosofi della morale.
 
Vincenzo Brandi