Ecologia sessuale e matrismo

 


Ricordo che ad una festa di Beltaine un “galante” si presentò, buttando tutto il discorso sulla cosiddetta "prostituzione sacra": insomma, aveva un disperato bisogno di gnocca; e quando scoprì che le cose non andavano come la sua originaria mentalità cattolica gli aveva suggerito, rimase molto deluso...

Per certe cose Google torna utile, mi ha consentito di tirar fuori un vecchio comunicato del nostro Punto Verde Calcata, ripreso da Adnkronos: “Roma, 26 apr. 1994 - ''Rapporti sessuali liberi, apriamo i 'parchi dell'amore'...''. La proposta di Punto Verde è quella di creare alcuni ''parchi dell'amore'' in cui le cooperative, appositamente costituite e aventi per scopo prestazioni sessuali gratuite, possano lavorare ''tranquillamente'' all'interno di grotte o capanne, anche per ricreare quell'atmosfera naturale e spontanea legata alle antiche tradizioni iniziatiche degli Etruschi e dei Falisci."


Come la sessualità diventa "consumo" con l'avvento del patriarcato


Sin dai primordi della  comparsa dell'uomo e dall'avvento delle prime civiltà del paleolitico ma in particolare e - più consapevolmente- durante la civiltà gilanica, ovvero per tutto il neolitico e per i primi anni dell'epoca del bronzo, la sessualità fu vissuta  come forma di spiritualità e “religione” della vita. Nella società umana da tempo immemorabile è stata data grande rilevanza al sesso, l’atto sessuale è stato posto in cima alla scala dei valori umani (prima che subentrasse l’oscurantismo sessuofobico ed utilitaristico dei culti monolatrici e patriarcali).

Questo spontaneo  interesse per l’amore sessuale è dovuto non solo al “richiamo della carne” –uno stimolo che ha sempre condizionato i rapporti sociali- ma soprattutto alla consapevolezza che il rapporto “procreativo” ha sovente esercitato una potente attrattiva nella mente umana che ha visto in esso l’unica possibilità conosciuta di perpetuare la propria esistenza. La ricerca dell’eternità, in questo caso, passa attraverso quella “trasmissione di sé” che appunto sta alla base del rapporto sessuale, un modo insomma di perpetuare e suffragare l’essere…

Gli animali, soprattutto i mammiferi, dedicano alle attività sessuali e riproduttive gran parte delle loro energie, anzi la loro vita è centrata sulla sessualità, la loro esistenza è scandita dalla pulsione sessuale e dai suoi ritmi e regole. Non si può fare a meno di osservare nell’uomo ciò che avviene nei suoi fratelli animali. Ma c’è qualcosa che contraddistingue l’uomo nell’espletamento delle funzioni riproduttive: la perdita dell’estro femminile ed anche la capacità di sublimare o trasformare il rapporto sessuale in atto rituale e di adorazione, ovvero in gesto d’amore. Non voglio ora prendere ad esempio l’estrema sublimazione, quella dell’asceta che rivolge il suo desiderio sessuale verso una divinità astratta,  trasformando lo stimolo carnale in energia mistica. Vorrei piuttosto evidenziare come la relazione sessuale sia divenuta, nel corso di questa nostra civiltà umana, un modo di esprimere religiosità e sentimento.

Affresco di Carlo Monopoli

La prima religione conosciuta dall’uomo è quella della Madre Terra, la sua pratica era già evidente nelle statuine femminili che evocavano la capacità fertilizzatrice  e procreatrice trasposta all’umano. Ciò avvenne nel cosiddetto periodo matristico o gilanico. Persino l’uso di grotte o spelonche od oscure foreste come luogo di culto delle “madri” è sinonimo di una religiosità che poneva al primo posto la sessualità.

Questa visione panteistica di rispetto verso la sessualità fu importante non solo nelle cosiddette società matriarcali ma anche nei periodi successivi in cui l’uomo (il maschio) assunse una maggiore considerazione sociale con la conseguente “mascolinizzazione” delle divinità.

Ma è soprattutto in questo momento storico, in piena società dei consumi, che la naturale sessualità sta subendo i colpi peggiori.

Recentemente si fa un gran parlare di trasmettere l’educazione sessuale, in chiave teorico illustrativa, integrandola con le teorie pansex, gender e simili,  come se la sessualità  fosse una materia scolastica in progress, tipo matematica o chimica… Ma non c’è nulla di peggio per cancellare ogni romanticismo e mistero verso la sessualità, non c’è niente di peggio  di questa strumentalizzazione  che  trasforma l’amore in mera funzione corporale. Alla fine vince ancora una volta l’immoralità mascherata da morale. Vince la perfidia dell’allontanamento dalle sane abitudini umane, trasformando il sesso in “consumo ragionato”. In tal modo il rapporto vien vissuto in forma di assimilazione esterna a sé o di apprendimento virtuale (avulso dalla quotidianità). Così si lascia la sperimentazione all’estemporaneità o, peggio ancora, alla sopraffazione di chi magari approfitta dell’interesse morboso risvegliato nelle ingenue menti giovanili.

Sarebbe decisamente meglio rispolverare il metodo popolare alla “Grazie zia..” Oppure lasciare che la conoscenza sessuale –non più sporcata dalla proibizione moralistica o banalizzata dall’uso edonistico- diventi una parte integrante della vita di ognuno, una libertà espressiva che segue la natura, nella consapevolezza che l’energia sessuale appartiene alla vita e non c’è bisogno di “compiacere” nessuno adattandosi alle leggi di mercato per conquistarsi un “pezzetto” d’amore.

Il percorso all’inverso da compiere, dopo secoli di condizionamento maschilista che hanno portato al “matrimonio” (pagamento della madre), allo stupro ed alla perversione, è lungo e difficile ma è l’unico da intraprendere per riportare l’essere umano alla sua pienezza emotiva e sessuale.

Paolo D'Arpini 



Restare ebrei (o bramini) per scelta...



Di tanto in tanto ho una scambio di vedute con Paolo Bancale, direttore della rivista "Non Credo", con cui collaboro da anni su vari temi riguardanti la spiritualità laica. In alcuni numeri del passato sono stati pubblicati  vari miei articoli sul "problema" ebraico, esaminato con un approccio laico. Dico "laico" in senso totale, poiché spesso ho notato che molti critici del cristianesimo o dell'islamismo si definiscono "laici", mentre alla fine si scopre -per loro stessa ammissione- che  appartengono alla comunità ebraica. Quindi la loro critica delle altre religioni è un po' pelosa. 

Nel corso della mia esistenza  ho conosciuto diversi ebrei, con i quali ho stretto amicizia,  di solito questi amici hanno  dimostrano una grande apertura mentale e spesso non esitavano a definirsi liberi cercatori spirituali, e magari  "atei" o perlomeno "agnostici", quindi dal punto di vista intellettuale si potrebbero definire "laici". Il fatto è che l'adesione all'ebraismo, non  dipende semplicemente  da una  scelta religiosa filosofico-elettiva , nel senso del pensiero,  e quindi aperta a tutti. L'ebraismo è sostanzialmente un riconoscimento  etnico-culturale, che viene tramandato fra gli appartenenti del popolo  ebraico, cioè i nati da famiglia o da donna ebrea.  Il popolo ebreo e l'ebraismo sono perciò un tutt'uno inscindibile (indipendentemente dal credere o meno nella religione avita). 

Come avviene ad esempio nel bramanesimo induista, in cui i bramini dal punto di vista dottrinale possono appartenere a varie sette del Sanatana Dharma, possono essere  vishnuiti, shivaiti, shakta e persino nichilisti atei  ma continuano in realtà a mantenere la tradizione genetica braminica (sposandosi e riproducendosi solo tra bramini).   


Ed allora quando smette  un ebreo di appartenere all'ebraismo od un bramino  alla sua casta, oltre alla rinuncia intellettuale elettiva? 

La risposta è semplice: il momento in cui abbandona anche la tradizione genetica del matrimonio e della riproduzione all'interno della sua "etnia" o casta.  Non essendoci  più ascendenza-discendenza  le caratteristiche genetiche vengono rimescolate e pian piano le tracce ancestrali disperse assieme a quelle culturali. 

Certo alcune caratteristiche psicofisiche dominanti per un po' restano. Ma scompare il senso di appartenenza  al gruppo etnico. In un certo senso questa rinuncia alla "gens" è quanto fecero i romani antichi, che essendo originariamente etruschi, sabini, falisci e latini, etc. rinunciarono alla loro "famiglia genetica" per riconoscersi nella nuova cittadinanza romana. 

Però l'esempio dei romani non è da considerarsi "universale"  e definitivo poiché essi rifiutarono  le precedenti  origini tribali ma non si fusero con "l'umanità" in senso lato. Cambiarono soltanto il senso di  identità. Quindi va de a sé che una vera "laicità" deve avvenire nel ricongiungersi totalmente nell' "Umano" lasciando da parte ogni altra identificazione con religioni, etnie, razze o dir si voglia. 

Questo fu esattamente il mio caso. Infatti i miei nonni paterni erano entrambi  di origine ebraica, quella  "originale", non quella ashkenazita, che è composta da  turcomanni convertiti nell'anno 1000  (e che a rigor di logica non è di matrice semita), essi però durante il fascismo rinunciarono alla loro identità, forse per salvare la pelle o per simili ragioni. I loro figli, compreso mio padre, sposarono donne gentili, rompendo  la continuità genetica, ed io a mia volta ho continuato in questa strada di allontanamento.  Dal che si può affermare che la mia ascendenza-discendenza ebraica è  nulla. Resta -come detto sopra- solo qualche caratteristica psicofisica: il naso grosso ed un po' appuntito, l'intelligenza speculativa ed altre cosucce che non sto a menzionare.

Beh, perché vi sto raccontando tutto questo?  Qui ritorno ad un numero specifico della  rivista Non Credo in cui erano presenti addirittura tre lettere di lettori evidentemente di famiglia ebraica, in particolare mi riferisco alla lettrice Sarah Ancona, che scriveva al direttore Paolo Bancale: "Negli ultimi due fascicoli di Non Credo ed anche in fascicoli precedenti, si parla di ebrei, ma non di ebraismo in quanto religione, il che sarebbe nella normale tematica della rivista, ma piuttosto come popolo. Per inquadrare questi interventi nella loro categoria vorrei chiederle quale è la sua opinione sulla spinosa vicenda di quel popolo?" 

Il direttore rispose esaurientemente  ma "indirettamente" ho voluto anch'io rispondere alla signora Sarah Ancona. Una risposta che vuole anche essere un invito allo scioglimento nell'Umanità a cui tutti noi indistintamente apparteniamo. Aldilà di ogni componente etnica. Riconoscendoci quindi nella comune matrice della specie umana  e cancellando ogni vestigia di "razza", che tra l'altro anche dal punto di vista scientifico antropologico  non ha alcuna consistenza. Infatti la genetica ha stabilito che esiste una sola specie umana e le cosiddette "razze" non esistono,   non essendo altro che il risultato di  un adattamento  di popolazioni umane  che si sono evolute in determinati ambienti e clima.

Paolo D'Arpini



Definizione di popolo ebraico su wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Ebrei