Tantrismo... se il sesso aiuta la causa (spirituale)!



Nei testi che trattano di tantrismo abbiamo spesso letto che individui speciali, dotati di un’autentica potenzialità spirituale, riuscivano sovente a convertire altri esseri umani (ovviamente di sesso opposto) proprio grazie ad un’abile utilizzo delle loro potenti capacità sessuali. Queste persone speciali (grandi yogi, o mahasiddha) erano in grado di ottenere risultati davvero strabilianti, tramite le pratiche tantriche di cui erano perfettamente padroni, risultando così vincenti nel rapporto sessuale e affettivo, tanto che i loro partner (spesso al femminile, ma talvolta anche al maschile) arrivavano così ad una sorta di venerazione che poi, una volta che essi stessi raggiungevano la vera comprensione del Dharma, sublimavano in una comune Coscienza unica. 

Alcune di queste storie  sono spesso state davvero promozionali per l’illuminazione delle persone che ebbero tali esperienze (in quanto un individuo realizzato ha sempre principalmente a cuore la redenzione e la salvezza degli altri esseri, portandoli poi alla conoscenza del Dharma) si può perciò capire quanto mai utili possano esser state quelle esperienze (e quindi, anche quelle di tipo sessuale).

Poiché, di solito, il sesso è già di per sé una forte attrattiva e una potente calamita che spinge le persone fuori di sé per farle aggrappare fisicamente e mentalmente ad un altro individuo di sesso opposto (o almeno, questo è ciò che avviene in natura nella maggior parte dei casi), il cosiddetto sesso sacro è usato dalle persone illuminate per far dirigere le persone ‘normali’ verso la spiritualità. Questi esseri illuminati, proprio per attirare gli esseri ‘ordinari’ verso il Dharma, diventavano delle ‘esche’, al fine di poter essere afferrate dalle menti delle persone ottenebrate ed abituate a trattare con i consueti fenomeni ‘normali’ del mondo ordinario (samsara). Quindi, proprio come veri bodhisattva, essi scendevano nei meandri della vita di tutti i giorni e utilizzavano la loro abilità nelle arti amatorie per far innamorare i rispettivi partner occasionali.

    I mahasiddha indiani e tibetani (e probabilmente anche cinesi) usavano tutta lo loro potente virilità per riuscire a far innamorare particolari donne che poi, quando erano ben emancipate, diventavano a loro volta delle ‘realizzate’ che poi andavano a caccia di determinati uomini, per ripetere tutta la faccenda… (0vviamente, in tutto ciò giocava anche e soprattutto il ruolo del karma, dato che solo persone con elevati meriti virtuosi potevano essere avvicinate dai bodhisattva, per la loro redenzione). Così, tutte quelle persone che venivano attratte dall’amo del bodhisattva, normalmente, diventavano a loro volta individui speciali dotati di forte capacità intuitiva per comprendere il Dharma e proseguire così l’apostolato.

   Bisogna dire, comunque, che questa sorta di iniziazione tramite l’approccio sessuale, o almeno tramite il rapporto affettivo, non fu soltanto una prerogativa dell’Induismo e del Buddismo. Vi sono innumerevoli esempi, più o meno approfonditi o rivelati in modo parziale, anche in altre religioni. Già nell’antico Cristianesimo possiamo leggere che Licia, una giovane fanciulla che era al seguito dei discepoli e dei seguaci di Gesù Cristo, fece innamorare di sé un giovane centurione, al fine di convertirlo alla ‘fede’, e grazie alle sue ‘grazie’, a quanto sembra vi riuscì… 


E nell’Islam, ai devoti musulmani che applicano bene la religione e le regole del Corano, viene promesso che dopo la loro morte essi potranno arrivare in un celestiale paradiso, delizioso e pieno di felicità, abitato da disponibilissime e bellissime vergini chiamate ‘uri’, che sanno bene come ricompensare i baldi giovani che hanno meritato quel paradiso… Vi sono comunque tanti esempi, per cui non serve che io ne faccia un elenco. Basta saper sfogliare i testi sacri e si scoprirà che la sessualità, se usata a fin di bene, è una magnifica ‘leva’ per poter aprire la porta del cuore, e quindi per approdare alle sponde del Nirvana.

   D’altronde, nel Buddismo, il sesso non è mai esplicitamente vietato. Al contrario, noi troviamo che viene solo raccomandato di ‘non fare sesso scorretto’, il che significa che vi sono circostanze, periodi e persone in cui e con le quali il sesso NON si deve fare. Ed è facile capire quali siano le persone, le circostanze e i periodi in cui bisogna astenersi dal fare sesso. Sono tutte quelle volte in cui il sesso produce dolore e sofferenza. Cioè, quando si fa soffrire qualche persona a causa del voler ricercare il nostro personale piacere e quindi, ogni volta che si provoca un dolore nella mente di un’altra persona. Facilmente si capisce, perciò, quali siano le occasioni e le persone con le quali bisogna astenersi dal fare sesso. In tutte le altre occasioni, quando la natura e l’altra persona (il partner, o coloro da cui essa dipende) sono permissive e consenzienti fino in fondo, allora possiamo utilizzare il sesso per provare, e far provare gioia e felicità.

  Oggigiorno, sembra che le cose che riguardano la sessualità non siano più così facili, e forse nemmeno così utili e vantaggiose. La morale sociale e religiosa più imperante è che il sesso può essere fatto solo dopo il matrimonio ed a scopo procreativo. Qualche eccezione la legge la consente a persone adulte consenzienti che abbiano comunque la decenza di farlo in luoghi privati ed appartati. Ma, quanto agli effetti ‘emozionali’ e psi-cologici che i rapporti sessuali hanno sulla sfera sociale, la cosa viene lasciata al caso o solo alla maturità individuale delle singole persone. Benchè vi sia un numero crescente di ‘sessuologi’ che blaterano intorno alla sessualità, nelle istituzioni pubbliche e sociali il sesso è e resta sempre un ‘tabù’, anche a causa di una continua ‘degenerazione’ delle coscienze che, ai giorni nostri, sono davvero ridotte allo stato pre-animale.

  Forse, ed è appunto questa la conclusione del mio discorso, oggigiorno nemmeno la religione e la spiritualità possono più redimere il sesso e farlo tornare alla sua funzione di sacralità. Se, continuamente, nella Chiesa Cattolica moltissimi sacerdoti e alti prelati sono accusati, e spesso anche condannati, per i loro immorali atti sessuali perpetrati nei confronti di ingenui giovani e donne che frequentano oratori e sacrestie, ciò sta a significare che la funzione di sesso sacro si è profondamente ‘trasformata’. Mancando un vero spirito di redenzione e salvezza dell’anima nei riguardi dei nostri simili, oscurati dalla loro ignoranza di ‘come le cose veramente sono’, quei religiosi di qualunque tipo che oggi sono così invischiati nelle passioni del sesso, purtroppo cadono nella egoistica trappola del mero sfogo personale. Ecco quindi perché, alla fine, essi vengono travolti totalmente, restando imprigionati alle passioni solo per il loro piacere personale, e non certo per un atto di compassione e tenerezza verso gli ingenui succubi delle loro turpi manifestazioni.

   Purtroppo, questo mistero del ‘sesso-sacro’ rimane oscuro ed ignoto ai profani, dato che esso si svela e viene totalmente compreso solo dopo l’illuminazione. Infatti, è solo quando si è compreso che ‘siamo tutti un’unica realtà, che è possibile sentirsi e ‘inter-relarsi’ come se fossimo tutti ‘un solo corpo’. A quel punto, così come ognuno sa bene come far emergere il piacere dal proprio corpo, manipolandolo senza alcun bisogno di creare disturbi in altre persone, a quel punto, si sarà in grado di far sorgere il piacere in altre persone, pensandole e trattandole come se fossero il nostro stesso corpo. Però questo è il segno e la caratteristica di chi ha superato il limite egoistico della persona comune, ed è in grado di usare il sesso allo steso modo di ogni altra capacità umana, se e quando è usata allo scopo altruistico per aiutare e non nuocere agli altri 

   Questo significa che, al giorno d’oggi, in cui il sesso è spesso considerato quasi come una violenza fatta su qualche altra persona, di solito ignorante in materia ed educata soltanto a non essere usata come sfogo degli altrui istinti animaleschi, è molto meglio applicare la ‘via della rinuncia’. Alla luce di questo, i bodhisattva contemporanei hanno dovuto riadattarsi e riprogrammarsi. Oggi non è più possibile (se non in particolari e rare circostanze) gettare l’esca della sessualità tantrica per far abboccare le coscienze. Oggi è necessario saper utilizzare meglio gli altri ‘mezzi-abili’, che sono la dialettica, la metafisica, una buona capacità di convinzione, il carisma (quando c’è) e una grande compassione mentale che sia in grado di espandere il suo amore per gli esseri, perché non vuole più vederli soffrire e vuole portare le loro menti sulla via della saggezza consapevole e dell’illuminazione.


Alberto Mengoni

Karma e libero arbitrio in chiave buddista



Molti chiarimenti in materia di ‘karma’ e ‘libero-arbitrio’ si trovano negli scritti Buddisti (Sutra). Da essi par di capire che un vero e proprio ‘atto-libero’, in realtà, non sia che un’utopica illusione (come, del resto, lo sono tutti i fenomeni e le manifestazioni di questo mondo e di questa forma di esistenza). Ovviamente, parlando in termini di realtà ultima, o assoluta. Perché, in termini di realtà relativa, o mondana, allora purtroppo tutti i fenomeni e le manifestazioni appaiono davvero ‘reali’ alla nostra mente ingannata, con tutte le conseguenze del caso, che sono appunto: il ‘karma’.

Quindi, in un certo senso, si può dire che, anche se così non sembra, questo ‘karma’ è proprio il nostro ‘agire’ volontario, o pseudo-libero. Significa perciò che proprio il nostro “volere” (o non volere) questa o quella cosa, è ciò che mette in moto una causa con il relativo e obbligatorio ‘effetto’ che, in questa ‘realtà’ duale e fatta di ‘opposti’, genera una forza-energia di tipo contrastante, che si risolve nel farci sperimentare, prima o poi, una sorta di ‘ricompensa, o punizione, per aver desiderato, o voluto, una certa cosa che ha direzionato la nostra mente verso il ‘bene’ o verso il ‘male’. E’ un po’ la teoria, ben spiegata nei Sutra, del seme e del suo germoglio… Così come un chicco di riso non potrà mai produrre una spiga di grano (e viceversa), così pure una volontà, o azione negativa, non potrà mai produrre effetti ‘positivi’ (e viceversa)…

Ecco dunque spiegato in breve la dinamica del ‘karma’ e dell’apparente idea di ‘libero-arbitrio’. Si può, quindi, eseguire qualunque azione a nostro piacimento, in questo mondo, ma sarebbe bene che noi si sia istruiti ed informati sul fatto che, in seguito, ogni effetto derivante da quella nostra azione, torna come un ‘boomerang’ a scatenarsi su noi stessi. Che lo si capisca o no, questa è una ‘legge’ universale e quindi non può prescindere dal fatto che noi la si conosca o meno. 

Tant’è vero che tutti i Sutra ammoniscono che le nostre ripetute rinascite non sono altro che il frutto o il prodotto, cioè l’esecuzione forzata, dei nostri desideri, o paure, messi in moto da quel ‘karma’, e che non si sono ancora potuti realizzare, o non sono ancora intervenuti a punirci.

Aliberth


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Mio commentino: “...di tutte le teorie su causa effetto o sincronicità prediligo il pensiero taoista (contenuto anche nell'I Ching) per cui ognuno di noi incarna un ente idoneo ad esprimere un certo tipo di energia che va a combinarsi con tutte le energie degli altri enti (non solo umani ovviamente). Il senso dell'io che si appropria dell'azione compiuta è semplicemente una proiezione mentale, come il senso di identificazione con le qualità espresse. In verità la mente individuale funziona come una griglia psichica che consente il passaggio di pulsioni energetiche corrispondenti alle qualità spazio temporale che contribuiscono al funzionamento della eterna mutazione. Dal che se ne deduce che non può esserci premio o castigo individuale né responsabilità o merito per l'ente. Ciò non toglie che la chiarezza di visione del "meccanismo" consente l'uscita di scena dell'ente illuminato, o come dicono i taoisti "il ritorno alla matrice". Ma tale "assorbimento" è anch'esso una componente del funzionamento globale. Anche in questo caso la funzione del "risvegliato" è semplicemente quella di indicare la "via di uscita" a chi staziona nei pressi...” (Paolo D'Arpini)

La questione del "Dio" nel buddhismo




         Da più di un secolo, i molti Occidentali a cui è stato insegnato il Buddismo, hanno acriticamente accettato che assolutamente e categoricamente non c'è alcun Dio, nessun Divino nel Buddhismo. Ma è abbastanza vero, questo? Non è forse il momento di riguardare ciò che in realtà questa grande religione sostiene in relazione all'idea di una possibile Divinità? In primo luogo, occorre che noi si definisca "Dio". Un concetto chiave è quello dell'assoluta Realtà eterna. La "Cambridge Encyclopedia" (CUP, 1997 p. 460) dice: "Dio è concepito come 'essere esso stesso'… assoluto, infinito, eterno, immutabile, incomprensibile… totalmente saggio (onnisciente), sempre presente in ogni dove (onnipresente), e totalmente buono (onni-benevolente)". C'è un qualcosa che si avvicina a questo nel Buddismo? Sì! Guardiamo qualche piccolo dato della grande quantità di evidenze.

     Nei suoi primi insegnamenti, il Buddha parlò del reame di Nirvana (eterna pace e felicità) che è "non-nata, non-originata, non-creata" (Udana). Questo significa che il Nirvana non giunse in essere per una qualche causa: esso era là da sempre.     In seguito, nei suoi insegnamenti del Mahayana, il Buddha parla del Buddha come il "Re Santo" di questo reame misterioso di Nirvana. Nel Nirvana Sutra, afferma: "La dimora dell’insuperato Signore del Dharma, il Re Santo, è concordemente chiamata 'Grande Nirvana'." (Mahayana Mahaparinirvana Sutra, tradotta da K. Yamamoto, redatto da T. Page, Nirvana Publications, 2000, Vol. 7, p. 28). Il "Dharma" è il sostenere la cosmica Verità Ultima, ed il Buddha è l'incarnazione di questa Verità – il volto personalizzato dell'impersonale Assoluto.  

     Inoltre, si dice che il Buddha sia presente dappertutto. Di nuovo, nel Nirvana Sutra, il Buddha dichiara di sé: "… il Tathagata [cioè, il Buddha] pervade tutti i luoghi, proprio come lo spazio. La natura dello spazio non può essere vista; così similmente, il Tathagata non può realmente essere visto, eppure fa sì che tutti possano vederlo attraverso la sua sovranità. Tale sovranità è chiamata 'il Grande Sé'. Quel Grande Sé è chiamato 'il Grande Nirvana'. " (ibid, p. 30). Così si afferma che Egli è "onnipresente", invisibile, però in grado di manifestarsi attraverso la sua grande "sovranità". Un ‘Sé’ sovrano, onnipresente, invisibile, increato, cioè il Dio Signore – non vi è familiare, tutto ciò? Non ha un qualche sentore della forma della Divinità?

     Andiamo avanti. Il Buddha, nelle Istruzioni sul sutra ‘Non c’è Diminuzione e Nè Aumento’, rivela come la sua intima ed onnipresente natura - chiamata "Dharma-dhatu" (reame della Verità) - costituisce il Rifugio Eterno per tutte le creature ed il vero cuore di tutti gli esseri. Egli dice: “La Base di questo eterno, immobile, puro ed immutabile Rifugio, che è libero dal sorgere e dal cessare, l’inconcepibile puro Dharmadhatu, io lo chiamo 'puro-essere' [sat-tva]." Notiamo che questa "terra-di-base" dell'essere, del Buddha è "inconcepibile" o "incomprensibile" – che sono un'altra qualità associat con il Divino.

      Ma c'è di più. Nel Lankavatara Sutra, il Buddha dice di come Egli è adorato sotto diversi nomi, come Verità (satyata), Nirvana, e "Dio" ("Isvara"), eppure non è compreso da coloro che lo adorano in queste varie modalità. Loro non riescono a vedere che l’uno-e-stesso increato, imperituro essere, è qui chiamato sotto una gran quantità di nomi. Alcuni pensano perfino che egli sia una non-entità, un non-esistente! I commenti di Buddha: "Essi mi prestano rispetto e mi donano offerte, ma non capiscono bene il significato delle parole, non distinguono le idee, e né il vero dal falso; attaccandosi alle parole degli insegnamenti, essi erroneamente discriminano che il Non-nato e l’Imperituro significhino la non-esistenza. Così loro non sono capaci di comprendere che il Tathagata [cioè, il Buddha] può essere conosciuto in molti diversi nomi e titoli". (‘Studies in the Lankavatara Sutra’, del Dott. D. T. Suzuki, Motilal, 1999 p. 354).

 Forse è questo il motivo percui molte persone hanno frainteso un'importante area del Buddismo: dato che il Buddha parla di qualcosa che era Increato o Non-nato, molti hanno presunto erroneamente che ciò doveva significare che non c'è nulla del tutto, - poiché nulla è mai venuto ad esistere. Ma questo è mancare il punto centrale – e cioè, che la Realtà era, è, e non può mai essere creata: perciò essa È!

Infine, se il lettore ha ancora dubbi riguardo al Dio concepito nel Buddismo, provi ad ascoltare le parole del Buddha Primordiale, il cui nome è Samantabhadra – che guarda caso significa "Tutto-Buono", una delle definizioni di Dio, il quale nel sutra "All Creating King (Il Re che Tutto-crea)", rivela in termini maestosi e che ispirano il più alto timore riverenziale - che tutti gli esseri e i fenomeni sgorgano in nessun altro luogo che da essa - la cosmica Mente Risvegliata: "Io sono il centro di tutto ciò che esiste. Io sono il seme di tutti quelli che esistono. Io sono la causa di tutti gli esseri che esistono. Io sono il tronco di tutto ciò che esiste. Io sono la base di ogni esistenza. Io sono la radice stessa dell’esistenza. Io sono 'il centro',perché contengo tutti i fenomeni. Io sono 'il seme' perché genero tutto. Io sono 'la causa' perché tutti vengono fuori da me. Io sono 'il tronco'perché le ramificazioni di ogni evento germogliano da me. Io sono 'la base' perché tutti dimorano in me. Io sono chiamato 'la radice' perché io sono Tutte-le Cose". (Chogyal Namkhai Norbu, "La Suprema Fonte", trad. di Adriano Clemente, Snow Lion Publications, 1999 p. 157). Questo Buddha è sicuramente come Dio - la fonte, sostenitore ed essenza di Tutte le Cose e Tutti gli Esseri. Perciò, non è forse giunto il momento di smettere di chiamare "ateo" il Buddhismo? 

Tony Page  


(Fonte: http://www.nirvanasutra.org.uk/index.htm)

 (Traduzione di Aliberth)

Zingari - Credenze fantastiche su un popolo nomade...



«Si fermarono qui per due giorni individui non molto morigerati, ma quasi animali bruti e furenti». Così il frate domenicano Girolamo da Forlì descriveva l’arrivo nella città romagnola di un gruppo di zingari nell’agosto del 1422. Si tratta di una delle prime testimonianze scritte sull’arrivo in Europa di questa misteriosa popolazione.

Per gli uomini medievali la comparsa degli zingari fu un arcano insondabile e fin dall’inizio gli intellettuali del tempo associarono queste strane genti all’assassino biblico Caino, nonché a fenomeni di magia nera e di satanismo. La leggenda popolare narrava anche che gli zingari avessero fabbricato i chiodi per la croce di Cristo!

Gli storici imbevuti della superstizione del documento scritto si sono scervellati per cercare di individuare origini e vicende degli zingari, uno dei temi più affascinanti della storia mondiale. La tesi più verosimile elaborata dalla storiografia scientifica è che gli zingari siano originari dell’India e che siano un gruppo umano formato da individui esclusi dal sistema delle caste.

Tuttavia le indicazioni della cultura esoterica possono farci intuire molto di più sullo statuto esistenziale di questa singolare popolazione.

René Guénon, la cui autorità in materia esoterica è fuori discussione, sosteneva l’origine tradizionale del popolo gitano in un curioso articolo: «Il Compagnonaggio e gli Zingari» (René Guénon, Studi sulla Massoneria e il Compagnonaggio). In quello scritto il filosofo rilevava interessanti analogie fra zingari e compagnoni: un compagnone presenziava regolarmente al pellegrinaggio annuale che gli zingari svolgono alla chiesa di Saintes-Maries-de-la-Mer, nel Sud della Francia. I compagnoni si chiamano fra di loro con l’appellativo di ‘passante’ che viene utilizzato anche per designare gli zingari. Inoltre Guénon rilevava le evidenti similitudini fra ebrei e zingari: lo stile di vita nomade che tende alla creazione di lingue miste, e la divisione in due gruppi (zingari orientali e zingari meridionali; ebrei Ashkenazim e ebrei Sephardim). Il grande esoterista concludeva che: «se non ci sono rapporti etnici fra zingari ed ebrei forse ve ne sono di altro tipo che, senza precisarne ulteriormente la natura, possiamo qualificare come tradizionali».

Guénon tornava sull’argomento con Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi. Nel suo capolavoro Guénon si soffermava sul ‘nomadismo malefico’ che sembra perseguitare i ‘popoli in tribolazione’ e prediceva gli effetti negativi causati dai tentativi di fissare gli zingari su un territorio, così come stigmatizzava le pretese sioniste di dare una sede definitiva al popolo ebraico, errante per definizione…

Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, nel suo Mission de l’Inde en Europe (trad. it. Il regno di Agarttha) sosteneva che gli zingari fossero nientemeno che una delle popolazioni che abitavano ad Agarttha: «Fra le tribù meno colpevoli che furono espulse dalla grande Accademia nello stesso momento in cui lo furono le altre, ve ne è una, errante, che, dal XV secolo, sposta attraverso l’Europa le sue singolari pratiche. Tale è in effetti la vera origine dei Boemi: Bohami, ritirati da me. Queste povere genti hanno portato con sé qualche vago ricordo, qualche formula sperduta in un cumulo di superstizioni più o meno grossolane. Presto o tardi, essi ritorneranno alla loro patria originaria, quando il soffio sinarchico avrà restituito all’India l’antico Spirito della sua organizzazione prima, vera, giusta e buona».

Ferdinand Ossendowski, ripercorrendo la mitologia del mondo interno nel suo celebre Bestie, Uomini, Dei proponeva un’ipotesi simile: gli zingari avrebbero vissuto a lungo nel regno di Agarthi, e le loro abilità nel leggere la mano e i tarocchi sarebbero state il residuo di facoltà paranormali di cui avrebbero goduto nel mondo sotterraneo. Il viaggiatore polacco riferisce così le parole del lama buddhista sull’argomento: «Provenendo dai paesi occidentali anche alcune tribù dalla pelle scura penetrarono in Agarthi e ci vissero per molti secoli. Dopo che furono cacciate dal Regno e tornarono sulla superficie della terra, portarono con sé il mistero delle predizioni fatte con le carte, le erbe e le linee del palmo della mano. Sono gli zingari…».

Un’altra testimonianza significativa è quella di Eliphas Levi che, nella sua Storia della magia, dedica un illuminante capitolo alla storia della popolazione nomade. L’occultista francese riporta le impressioni pressoché unanimi dei cronisti più antichi che per la prima volta si confrontarono con gli zingari: i nomadi praticavano fra di loro il comunismo e la promiscuità, erano nemici del lavoro, non rispettavano né la proprietà né la famiglia, e si fecero fama di essere parassiti, stregoni e ladri di bambini…

Nella Spagna medievale si trovavano più a loro agio nei territori musulmani, talvolta pareva che avessero riti simili a quelli ebraici, ma in generale sembravano praticare indifferentemente qualunque religione a seconda delle convenienze. Alcuni pensavano che fossero discendenti da quel Mambrete che voleva rivaleggiare in miracoli con Mosè, altri ritenevano che fossero i carnefici di cui si era servito Erode per la strage degli innocenti, altri ancora immaginavano che fossero i rifiuti umani di una setta ebraica che dormiva nei sepolcri e che si nutriva di cadaveri…

E ancora si favoleggiava sull’origine dei tarocchi, la cui lettura sembrava una specialità degli zingari: secondo alcuni la simbologia dei tarocchi sarebbe stata la chiave di una iniziazione universale di cui l’enigmatico popolo gitano sarebbe stato custode geloso e forse inconsapevole! (A questo tema Papus dedicherà il suo libro Le tarot des bohémiens).

Ma l’elemento più interessante dello scritto di Eliphas Levi riguarda un episodio accaduto in Francia nel 1840: un gruppo di operai ispirati a idee radicali diede vita a un movimento protocomunista i cui presupposti erano che la libertà sembrava impossibile finché fosse esistito il dovere di lavorare, e l’eguaglianza finché fosse esistito il diritto di acquistare! Il loro giornale, L’Humanitaire, fu soppresso nel 1841, ma secondo Levi se la pubblicazione fosse andata avanti, il mondo avrebbe conosciuto una nuova banda di zingari e il vagabondaggio errante avrebbe contato un popolo in più…

Le osservazioni di Eliphas Levi sono certamente quelle che colpiscono di più il lettore contemporaneo: in una società fondata sul parassitismo come è quella globalizzata, le popolazioni nomadi vengono utilizzate come vere e proprie truppe d’assalto dal regime mondialista, e lo stesso stile di vita degli zingari è chiaramente il modello che la classe politica sta cercando di imporre come comportamento di massa per far precipitare la società nel caos e nell’anarchia. Il risultato finale, ovviamente, sarà l’ennesimo tentativo di instaurare il tanto sospirato paradiso collettivista!

Ancora una volta gli autori esoterici sembrano molto più lucidi di tanti studiosi ufficialmente accreditati nel mondo accademico, tanto più che i recenti sviluppi anche giuridici e istituzionali delle questioni legate agli zingari esulano da ogni spiegazione razionale: si assiste all’estendersi di speciali tutele volte a blindare lo status giuridico dei nomadi e a sancirne la sostanziale impunità!

Sembra davvero che gli zingari siano sostenuti e protetti da una forza occulta, inquietante e inarrestabile, che lascia presagire l’approssimarsi di un avvenimento di portata immensa nell’ordine divino: ovvero il momento in cui «la ruota cesserà di girare», per dirla con René Guénon…

Michele Fabbri - https://michelefabbri.wordpress.com/




La religione eterna, il pensiero monistico e la sintesi panteista di Giordano Bruno

La teoria panteista di Giordano Bruno, secondo la quale l'universo è eterno, esclude il concetto di un Dio creatore, avvicinandosi in ciò al pensiero orientale   ed  uscendo completamente dal teismo.  E questo la chiesa non poté accettarlo poiché metteva in discussione la sua stessa ragione di esistere.
La religione eterna, il pensiero monistico e la sintesi panteista di Giordano Bruno
La differenza sostanziale nell'espressione religiosa fra oriente ed occidente è che in occidente la religione si considera con un inizio ed una fine mentre in oriente essa viene riconosciuta come"eterna", senza inizio né fine.

L'ebraismo, il cristianesimo ed anche l'islamismo, infatti, sono religioni che prendono l'avvio con la nascita dei loro rispettivi profeti, Mosè, Cristo e Maometto, e ci si aspetta che si concludano con l'apocalisse. In India, in Cina e nel resto dell'Asia, invece, lo Spirito viene dichiarato antecedente e successivo ad ogni manifestazione vitale ed allo stesso tempo esso è sia immanente che trascendente. Questa differenza di vedute porta ad una sostanziale differenza nella gestione del fatto religioso.

In oriente non esistono strutture di potere riconosciute come legittime custodi della religione, ciò che è eterno pensa a se stesso. In occidente al contrario si presuppone che la religione debba essere controllata e gestita da nuclei di potere ecclesiastico, proprio in considerazione della sua finitezza ed imperfezione, e questo per "evitare" devianze o eresie dalla norma consolidata e dal credo scritturale.

Forse l'esempio ideologico di un potere sacerdotale centralizzato derivò dalla figura di Mosè il quale riportò ordine e regole nella religione "madre", regole fatte in seguito proprie sia dal cristianesimo che dall'islamismo. Ma il potere centralizzato è soprattutto presente nel cristianesimo, formandosi nei secoli un diritto assodato del vescovo di Roma di gestire in modo autonomo ed assolutistico le cose religiose e mondane connesse al credo cristiano.
Questo semplice fatto ha comportato una "cura d'interessi" personalistica pure nei fatti dottrinali e nel riconoscimento di santità od eresia. Ad esempio andò bene a Francesco d'Assisi che venne ad umiliarsi a Roma e perciò ottenne l'autorizzazione papale e successivamente anche il riconoscimento di santità.
Molto male, forse perché in quel periodo regnavano pontefici più gretti, andò al Savonarola od a Giordano Bruno che furono sacrificati sul rogo. Nel periodo storico in cui visse Giordano Bruno, in verità vi fu un certo fermento illuminista con Galileo Galilei che studiò il sistema solare e lo definì eliocentrico, oppure con Tommaso Campanella che si ispirò alla teoria neo-platonica per immaginare la sua "Città del Sole".

Purtroppo per Giordano Bruno la sua intuizione fu troppo grande e troppo incontrollabile per poter venir accettata dal papato, addirittura egli chiamò l'universo eterno ed infinito, senza centro né circonferenza. Una cosa del genere non poteva piacere ad un potere religioso che basava il suo essere sulla "finitudine, sulla limitatezza, sul peccato originale, sulla differenza fra Dio e creature, sulla necessità di un salvatore specificatamente indicato".
Giordano Bruno fu troppo vicino nella sua espressione filosofica al "Sanathana Dharma", all'eterna legge dell'essere e del non essere, ben descritta dai saggi realizzati dell'oriente… Ed allora che posto avrebbe avuto un papetto qualsiasi, un cardinaletto, un curato di campagna nel contesto di tale verità?

Semplici figure immaginate e pretenziosamente costituite in veste istituzionale. Purtroppo l'abisso nel pensiero ed il rischio che questo avrebbe comportato alla continuità religiosa cristiana fu insormontabile per i meschinelli capi religiosi della cristianità (una religione per altro inventata a tavolino). Così fu necessario che Giordano Bruno fosse immolato sul rogo, nel tentativo di distruggere assieme al suo corpo martoriato anche il suo pensiero.
Ma andò così? No, la verità viene sempre a galla e sia pur ancora calpestata e misinterpretata essa alla fine trionferà, ed in realtà sta già trionfando, poiché il finito non può assolutamente condizionare l'infinito.

“La futura scienza di Giordano Bruno” - Recensione

Collage di Vincenzo Toccaceli

Appresi della filosofia avveniristica ed apparentemente fantascientifica del “pensatore” di Nola attraverso il libro: “La futura scienza di Giordano Bruno” di Giuliana Conforto, una professoressa di astrofisica che conobbi a Roma tanti anni fa. Affascinato dalle sue idee la invitai a vari incontri presso il Circolo Vegetariano VV.TT. e successivamente ad un convegno sulla Spiritualità Laica tenutosi a Viterbo alla fine del secolo scorso, a cui parteciparono anche Osvaldo Ercoli, Etain Addey, Arnaldo Sassi ed  altri amici laici.
Da allora la mia simpatia per Giordano Bruno è rimasta intonsa, ed inseguito si accrebbe avendo  conosciuto un’altra grande esponente della libertà di pensiero, la professoressa Maria Mantello, che ogni anno organizza  a Campo de Fiori una cerimonia per commemorare il sacrificio del filosofo di Nola finito sul rogo  il 17 febbraio 1600 a Roma, a cura dell'inquisizione papalina.

Giordano bruno non fu solo un pensatore  ma anche un indovino, di  seguito alcune profezie e alcuni aspetti del pensiero bruniano ed  alcune citazioni e commenti su di lui:
“L’uomo viaggerà nel cosmo e dal cosmo apprenderà il giorno della sua fine [...] proprio quando l’uomo si crederà padrone del cosmo molte ricche città faranno la fine di Sodoma e Gomorra [...] un Sole Nero inghiottirà nello spazio il sole, la luna, e tutti pianeti che ruotano intorno al sole”   (bibliografia: “De l’infinito Universo et mondi di Giordano Bruno”)
Significative sono le ultime due righe che, oltre ad attestare come Bruno avesse abbracciato la visione copernicana del mondo, confermano l’apparizione di un secondo Sole Nero perché non luminoso, così come non è luminoso un pianeta al confronto di una stella. 
Ed ora un'altra previsione:   «Il Sole Nero» inghiottirà tutti i pianeti a causa del suo forte campo gravitazionale, dovuto ad una massa così consistente che influenzerà pesantemente persino il campo gravitazionale solare. L’umanità apprenderà dall’osservazione del cielo «il giorno della sua fine», nel momento in cui «viaggerà nel cosmo». Solo nel novecento l’uomo ha iniziato a compiere viaggi nello spazio, è quindi certo che Bruno prevede che gli avvenimenti di cui parla si verificheranno in una data non precisata a partire dal XXI secolo e non prima.….
Alcuni cenni storici su Giordano Bruno:  Giordano Bruno, filosofo astronomo e scrittore, nato a Nola nel 1548, nonostante l’inquisizione ecclesiastica infliggesse il carcere e le torture, si rifiutò sempre di rinnegare le sue idee e fu arso vivo a Roma in Campo dei Fiori il 17 febbraio 1600.
Il suo torto fu di aver aderito alla visione copernicana, contrapponendo ad un universo chiuso e finito, infiniti universi. Il 1584 è l’anno in cui scrive “De l’infinito universo et mondi”, nel quale tratta il problema dell’essere dal punto di vista cosmologico: “l’essere è lo spazio infinito con i mondi innumerevoli” e dal punto di vista metafisico: “l’essere è l’infinito stesso”.

Paolo D'Arpini