Non si può amare in continuazione...


Nella coscienza umana è penetrata in profondità l’idea che se ami una persona, deve essere così ventiquattr’ore su ventiquattro. Questa è una totale assurdità. Se ami davvero una persona, ci saranno momenti in cui vorrai essere assolutamente solo. Se non ami, non ci sono problemi, perché anche insieme alla persona sei solo. Non c’è problema. Si può vivere in mezzo alla folla ventiquattr’ore su ventiquattro e non c’è problema, perché in mezzo alla folla si è soli. In quale altro luogo si può essere più soli? Facendo il pendolare in treno con migliaia di persone sei solo. A New York, a Bombay, a Londra, camminando per le strade sei solo. Nel momento in cui sei con un amico che ami, non sei più solo.

Questo è il significato dell’amore: siete insieme. Quando siete insieme, a volte vorreste essere soli, perché ogni cosa ha un ritmo. È proprio come mangiare: non puoi mangiare di continuo; devi fare una pausa tra un pasto e l’altro di sei, otto ore.

L’amore è cibo, è nutrimento. Quindi, quando sei innamorato di una persona arriva sempre il momento in cui sei saturo, sazio. È il momento di alzarti dal tavolo da pranzo. Anzi, prima che la tua pancia sia completamente piena, alzati. Lascia un po’ di spazio. E la stessa regola dovrebbe essere osservata tra amanti: quando iniziate a sentire che vi state avvicinando a un punto di sazietà, lasciatevi in pace a vicenda; altrimenti oltre quel punto vi verrà la nausea.

Nessuno lo dice, perché sembra duro e brutto dire all’amante che stare insieme fa venire la nausea. Ma io devo dirvi la verità. La verità è: c’è un momento in cui stare insieme fa venire la nausea e succede solo quando sei innamorato, altrimenti no. Perché da innamorati vi mangiate a vicenda, letteralmente: vi nutrite entrambi dell’energia dell’altro. Ecco perché l’amore è così nutriente. Ma poi arriva un punto oltre il quale, se continui a mangiare, devi vomitare. Quel vomito è la lotta, lo scontro.

E il problema è maggiore con gli uomini che con le donne; anche questo deve essere compreso. L’amore per un uomo è solo una parte della sua vita; ha molte altre cose da fare. L’amore per una donna è tutta la sua vita. Se fa qualcos’altro è solo perché ama: cucina, prepara la casa, pulisce, fa mille altre cose. Magari compone musica, poesia, pittura, ma in fondo lo fa perché ama. Queste sono solo le sue espressioni dell’amore. Se ama un uomo, dipinge i muri e mette dei quadri ai muri per rendere bella la casa. Ma la sua preoccupazione non è la bellezza della casa; la sua preoccupazione è l’uomo che ama.

L’amore è tutta la vita per una donna. Per l’uomo non è così. Per l’uomo l’amore è una delle tante cose. Vuole scrivere poesie, non perché ama; vuole dipingere, non perché ama: la pittura ha un suo valore completamente separato dall’amore. Stanco della pittura, della musica, vuole innamorarsi profondamente in una sorta di oblio; questo è il suo riposo. Osserva la differenza: l’amore per l’uomo è il suo luogo di riposo. Quando è stanco del mondo, di mille altre cose, vuole sprofondare nell’energia di una donna, nel suo calore, e scomparire.

Ma ricorda: vuole amare solo perché così si riposa e può tornare a dipingere, a scrivere poesie, a fare musica o a ballare. L’amore è un bisogno fondamentale per lui, ma per fare altre cose. Per le donne è esattamente l’opposto: fanno altre cose perché amano. Se una donna non ama smette di fare qualsiasi cosa.

Se l’uomo deve scegliere tra l’amore e la poesia, sceglie la poesia; può rinunciare all’amore, ma non può rinunciare alla poesia. Non è un caso che tutti i grandi scienziati, tutti i grandi poeti, tutti i grandi mistici fossero non sposati. Per necessità hanno dovuto rimanere da soli, perché la richiesta della donna è di amore totale e loro sono già impegnati totalmente in qualcos’altro. Possono amare una donna e godere di quell’amore, ma non sceglierebbero mai la donna contro la pittura, è impossibile. Preferiscono scegliere la pittura e lasciare che l’amore ne faccia le spese.

Questa differenza deve essere compresa e una volta compresa le cose diventano molto chiare.

 


da: Osho, God’s Got a Thing About you 

XX Settembre 1870 - “Alla breccia di Porta Pia sono entrati i bersaglieri…”



XX Settembre, ricordate? Ricorre l’anniversario della presa di Roma, ovvero si festeggia la breccia di porta Pia attraverso la quale i “nostri” bersaglieri poterono penetrare in città. 

Il papa Pio IX aveva emesso una scomunica su chi avesse consentito l’accesso degli stranieri nella città eterna.. e siccome i militi piemontesi erano tutti ferventi cattolici e non si trovava nessuno disposto ad accollarsi la maledizione papale, l’ordine di aprire il fuoco e praticare la fessura fu impartito da un ufficiale ebreo, così le anime cristiane furono salve e il merito della presa di Roma restò ai giudei.


Questo fatto simbolico ancora “pesa” sull’unità d’Italia. Sono in molti a criticare quel 20 settembre 1870 che consegnò l’Italia intera ai Savoia. Una dinastia di poca qualità. Ma almeno, con la breccia di Porta Pia è finito questo strazio delle scomuniche papaline! Infatti il 20 settembre si celebra la caduta del potere temporale del papato (o meglio dire il suo ridimensionamento).

Accadde con l’entrata strombettante dei bersaglieri dalla breccia di Porta Pia. “Alla breccia di Porta Pia sono entrati i bersaglieri…” faceva il ritornello della canzoncina allegra che si cantava una volta nelle scuole il 20 settembre, ed io l'ho cantata. Oggi non si canta più comunque la data resta a segnare un momento cruciale della nostra storia patria e dell’affermazione (sia pur per un breve momento storico) dei valori della laicità dello stato: “..perché niun savio dell’avvenire – reo di verità discoperta – s’inginocchiasse a un prete..”. Diceva il poeta evidentemente riferendosi alla disavventura di Galileo Galilei, costretto a piegarsi dinnanzi al papa ed a rinnegare la verità dei fatti per salvarsi la pelle.

Parlando di eretici mi sovviene anche l’eretico per antonomasia, nato il 21 settembre del 1452, Gerolamo Savonarola il quale si scontrò con il papa Alessandro VI (il Borgia) e finì sul rogo… Per lui niente cerimonie di commemorazione anche se Gramsci così lo ricorda: “Chi lo ritiene uomo del medioevo non tiene conto della sua lotta al potere ecclesiastico che voleva rendere indipendente Firenze dal potere feudale della chiesa”.

La storia è solo un racconto. L’angolazione del giudizio sui fatti esaminati dipende solo dalla propensione emozionale a vedere le cose per come le sentiamo vere. Sappiamo però che la storia non è mai qualla raccontata e nemmeno quella percepita con le budella.

La storia, anche nella migliore delle ipotesi, è un mosaico di piccoli particolari ed eventi disgiunti che solo all’analisi successiva appaiono consequenziali… " è comunque fondamentale, assolutamente fondamentale, capire e conoscere i fatti. Non credo al relativismo, credo alla verità e la differenza di punti di vista, nella sua infinita varietà, può essere, tra l’altro, tra due errori, tra un errore ed una verità e tra due verità" (Luca Zolli)

Nella nostra vita abbiamo lo stimolo di rispondere adeguatamente alle occasioni più diverse che ci capitano e non possiamo dire che il filo conduttore sia la nostra volontà di ottenere i risultati che ci siamo prefissati… Succede quel che succede e poi noi esprimiamo il nostro parere: ho fatto questa cosa e mi piace, ho fatto quella cosa e non mi piace… In realtà nessuno fa nulla c’è solo un’intersecazione e commistione di forze diverse che agiscono attraverso di noi. Quel che resta sono i semplici fatti, non le ragioni o le intenzioni. Comunque tendiamo ad esaminare quei fatti con la nostra visione personale ed il nostro senso del giudizio.

La vita è tutta una meravigliosa sorpresa e voler stabilire il suo significato è semplice arroganza! Questa la mia opinione…

Saul Arpino, alias Paolo D’Arpini



Società al disarmo. Finisce il culto degli antenati ed anche quello dei successori...


Il culto degli antenati in molte delle civiltà antiche è stato il fattore coagulante per la conservazione del senso di comunità. In Cina, ad esempio, era assurto quasi a religione, infatti il confucianesimo non è altro che un sistema morale basato sul rispetto delle norme “gerarchiche” di padre/figlio – sovrano/suddito. In qualche modo questo sistema, che garantisce un ruolo alle generazioni della comunità, ha assicurato in oriente come in occidente, una crescita ordinata e rigorosamente etica della società, pur con le pecche di inevitabili eccessi, esso ha mantenuto quel processo solidaristico nato nei clan matristici anteriori, e successivamente trasmesso al patriarcato.

Questa concezione è andato avanti senza grandi sovvertimenti sino all’inizio del secolo scorso momento in cui si è avviata una “rivoluzione di sistema”, una rivoluzione apparentemente incruenta e non specificatamente voluta, ma il risultato è un repentino mutamento d’indirizzo e la sortita dei modelli utilitaristici ed esclusivi.

Coincide con l’inizio dell’era industriale e dell’economia di mercato e con la comparsa dei grossi insediamenti urbani, le metropoli., che già avevamo visto l’abbozzarsi nel modello imperiale di Roma poi ripreso negli Stati Uniti d’America.

La scintilla del nuovo paradigma sociale ed economico -secondo me- è una diretta conseguenza della grande crisi del 1929 che da una parte costrinse migliaia di famiglie all’urbanizzazione forzata ed all’abbandono del criterio piccolo-comunitario e all’adozione di modelli sociali strumentali. Una nuova programmazione sociale ed economica basata sulla capacità collettiva di produzione e sul consumo di beni superficiali (coincide con la nascita della Coca Cola, delle sigarette, delle fibre sintetiche, della diffusione di automobili ed altri macchinari). Come ripeto questo modello non fu specificatamente perseguito ma l’inevitabile conseguenza di una accettazione di gestione produttiva “finalizzata” -da parte degli individui operativi- e la demandazione agli organi amministrativi delle funzioni solidali e sociali.

Questo procedimento trovò la sua affermazione anche in Europa a cominciare dagli anni ‘50 (malgrado le prove generali dei primi del secolo in Inghilterra) e pian piano si espanse al resto del mondo occidentalizzato, meno che in sacche di necessaria “arretratezza” che oggi definiamo “terzo o quarto mondo”. Ma questo terzo o quarto mondo sta anch’esso pian piano assumendo il modello utilitaristico ed il risultato è il totale scollamento familiare e sociale con l’interruzione dell’agricoltura ed artigianato e venuta in luce di schegge impazzite di società aliena a se stessa. Avviene nelle cosiddette megalopoli di venti o trenta milioni di abitanti, con annesse baraccopoli e periferie senza fine. La solidarietà interna delle piccole comunità è morta mentre si son venute a stratificare categorie sociali che hanno poco o nulla da condividere con “l’umanità”.

Nelle grandi città industrializzate e consumiste da una parte c’è la classe dei produttori “attivi” e dall’altra quella dei cittadini “passivi”, ovvero i bambini e gli anziani. Lasciamo per il momento in sospeso la discussione degli attori in primis, i cosiddetti produttori ed operatori, e vediamo cosa sta avvenendo nelle categorie passive, degli usufruitori inermi od assisiti.

I bambini sono forse i più penalizzati giacché verso di loro è rivolto il maggior interesse redditizio e di sviluppo, sono i “privilegiati” delle nuove formule di ricerca di mercato ed allo stesso tempo abbandonati a se stessi, in seguito alla totale mancanza di solidarietà interna in ambito familiare e sociale. Con poche prospettive reali di crescita evolutiva in intelligenza ed interessi futuri, i bambini si preparano ad essere la “bomba” della perdita finale di collegamento alla realtà organico-psicologica tra uomo natura ambiente. Già in essi assistiamo alla quasi totale incapacità di relazionarsi con una realtà sociale e materiale, sostituita da una “realtà virtuale e teorica”. Ora finché le generazioni che son nate dagli anni ‘50 sino al massimo degli anni ‘80 sono in grado di reggere il colpo della produzione utilitaristica questa massa di “imberbi passivi” può ancora mantenere una ragione almeno consumistica, dopodiché la capacità di sopravvivenza si arresta ineluttabilmente, assieme al volume operativo dei genitori…..

L’altra categoria, passiva per eccellenza, è quella degli anziani ed invalidi, i pensionati, che sopravvivono senza speranza già sin d’ora, preda di violenze sempre più diffuse, di furti e truffe e di strumentalizzazioni della loro condizione vittimale (perseguita da enti ed associazioni che sorgono per “proteggerli” dagli abusi….). Nella società solidaristica antecedente gli anziani avevano una precisa ragione sociale nella trasmissione della cultura e delle esperienze necessarie alla vita, convivendo in ambiti familiari in cui non c’era separazione fra bambini, giovani e vecchi. Ora gli anziani son d’impiccio e finché possono arrangiarsi da soli, bene, poi diventano oggetto di mercato per gli assistenti sociali, per gli ospizi e per colf spesso senza scrupoli o finti operatori assistenziali che mungono alle loro misere pensioni, inoltre -recentemente- son sempre più vittime di “enti morali” fasulli e ladri. E questo perché gli anziani non hanno più posto né tutela nella società.

Come faranno i cinquantenni di oggi a garantirsi la sopravvivenza se la struttura sociale è così degradata? Nella loro  vecchiaia, non saranno assistiti né dalla società nè dai loro figli e -forse- sarà proprio per questo inconsapevole sospetto che molti rifiutano di aver figli e si atteggiano ad eterni “ragazzi”. Oggi si è “giovani di belle speranze” sino a cinquant’anni e poco più e poi improvvisamente si precipita nell’inferno dell’anzianità e dell’abbandono.  

Insomma “finché ce la fai a barcamenarti con le tue forze bene e poi ciccia al culo!” Forse siamo ancora in tempo a prendere coscienza di ciò ed attuare una repentina inversione di marcia prima del precipizio.

La soluzione -secondo me- sta nel superamento dei modelli consumistici e dello schema familiare di coppia moderna, in primis, per ritrovare in una socialità allargata nuove espressioni per la solidarietà umana, contemporaneamente abbandonando l’ampliamento dei grandi agglomerati urbani e rinunciando ai parossismi culturali (musiche preconfezionate, televisioni, sport idioti, giochetti virtuali, etc) in modo da ricreare in noi lo stimolo primario della gioia di vita e la capacità creativa per produrre qualcosa che abbia lo spirito del necessario e del bello. Insomma si parla ancora di ecologia profonda e di spiritualità laica.

Paolo D’Arpini