Molte volte ho evidenziato la somiglianza glottologica fra la Calcata della Tuscia e la Calcutta del Bengala. Infatti cercando su Google alla voce Calcata appare anche Calcutta, dato che entrambe si pronunciano allo stesso modo. Ma la differenza è chiaramente etimologica, infatti nell’800 allorché gli inglesi si insediarono nel golfo del Bengala costruirono una città che potesse rappresentare l’impero in quelle lande. La città fu edificata sulle rive del fiume Gange nei pressi di un villaggio consacrato alla Dea Kali, “Kali Kat” (il luogo di Kali), perciò la nuova città prese il nome da quel luogo preesistente ma siccome gli inglesi non sapevano (o non volevano) pronunciare accuratamente quella parola per loro ostica traslitterarono il nome in Calcutta (pronunciato Calcata).
Passarono gli anni e siccome una lingua è in perenne mutazione gli indiani che mal pronunciavano l’inglese ulteriormente storpiarono la dizione facendo diventare la città Kolkata (che presentemente è stata ufficializzata anche nelle carte geografiche).
Diversa è la storia della denominazione della nostra Calcata…. che significa “schiacciata” essendo un acrocoro più basso di tutto il pianoro circostante ed invisibile alla vista, infatti chi visita Calcata vedrà che da qui non si osserva alcun orizzonte se non il cerchio delle piane che circondano il paese. In dialetto locale il posto veniva chiamato “corgata” ma evidentemente la pronuncia fu italianizzata nella oggi familiare Calcata.
Ma i suoi abitanti continuarono a chiamarsi corgotesi o cargatesi. L’orografia di un territorio contribuisce a creare anche la sua storia, perciò il fatto che Calcata (in questo caso la nostra Calcata) fosse nascosta ed isolata per secoli e secoli contribuì alla formazione di una mentalità e di un sistema di vita. Sino agli anni’60 del secolo scorso il paese era chiuso in se stesso, non avendo vie di comunicazione che lo congiungessero al resto della Tuscia, ed i suoi abitanti erano un clan circoscritto (una “tribù perduta” direbbero gli ebrei..) con propri costumi e regole, insomma la piccola comunità era doppiamente “cargata” (calcata) sia in senso metaforico che geografico….
Ed ecco che, a partire dai primi anni ’80 del secolo scorso, per mia “colpa” e di alcuni altri, improvvisamente il paesino si vide proiettato nei media e divenne pian piano un “villaggio di culto”, un culto alternativo e stranamente a metà strada fra il vecchio ed il nuovo, anzi il nuovissimo…. Giacché Calcata è divenuta il simbolo di un modello alternativo di vita in continua fase sperimentale…
Il motto che avevo lanciato per significare il valore di tale sperimentazione era: “Una, cento, mille Calcata!” Mi sovviene ora di un detto di T.A. Edison, l’inventore della lampadina elettrica, il quale dopo aver compiuto innumerevoli esperimenti, tutti falliti,giunse al millesimo tentativo e disse al suo gruppo di lavoro, a mo’ d’incoraggiamento: “stavolta è la volta buona, questo esperimento riuscirà, ne sono sicuro…”.
Ricordo un altro evento che accadde prima di una difficile battaglia in Giappone in cui il principe condottiero, sfavorito dal numero, lanciò in alto una moneta dicendo ai suoi soldati “se viene testa vinceremo se viene croce saremo sconfitti” uscì testa ed i guerrieri entusiasti vinsero facilmente la battaglia, subito dopo l’ufficiale di campo si recò dal condottiero e gli annunciò “non ci si può opporre al destino, abbiamo vinto!” al che il duce esclamò “davvero…?” e gli mostrò la moneta con due teste…!
Scusate la divagazione, stavo parlando della lampadina… ah, sì, quel millesimo esperimento riuscì e nacque la prima lampadina elettrica… Ma per la creazione della società ideale di Calcata non siamo arrivati a quel punto “critico” in cui la va o la spacca, siamo anzi ben lungi, e la sperimentazione è ancora molto imperfetta, addirittura talvolta sembra che Calcata sia uscita dai binari della idealità, sembra che Calcata sia entrata nell’ambito della finzione scenica, dell’esperimentare per scena… (o per denaro, come all’isola dei famosi…).
Ma di tanto in tanto scopro che qualche piccola verità si manifesta,che qualche pizzico di sincera ricerca ancora permane nell’alchimista un po’ disilluso che è il “cargatese” di oggi... Mi riferisco alla ricerca culturale del Teatro Cinabro, alla quale ho anch'io partecipato e che porto nel cuore anche ora che ho lasciato "fisicamente" Calcata. Penso inoltre all'esperimento di alcuni amici lì rimasti che strenuamente cercano di riportare la normalità nella comunità calcatese, restituendola al suo habitat naturale, e ricostituendola attraverso l'esempio concreto, senza specchietti né riverberi, semplicemente rimboccandosi le maniche e lavorando (più o meno) in silenzio....
Paolo D'Arpini