Il "volume" della conocenza...



La cultura materialista, razionalista, meccanicista, positivista, scientista ci impedisce di compiere osservazioni banali per conoscere le modalità che rivelano chi siano gli artefici di tutti i nostri problemi.

1.

Nel volume ci sono tutti gli uomini e con essi tutte le loro idee e con esse tutto il tempo, quand’anche tutto lo spazio.

L’inconsapevolezza di questa banale osservazione genera la storia che conosciamo. Storia di conflitti.

Fenomenologia e accettazione sono due espressioni originarie da, tra loro, lontane geografie. Che si muovono però sullo stesso binario, divise soltanto da forma, tempo e spazio. Entrambe portano in sé la medesima ricerca destinata a spiegare le origini dei conflitti. Entrambe hanno in nuce la via che porta alla consapevolezza utile per ridurre nella praxis, ed eludere nella teoria, il rischio di conflitto.

Osservando negli uomini la loro ontologica necessità di rispettare le orme della propria biografia, esattamente come i piedi posteriori del cavallo si posano dove erano quelli anteriori, possiamo riconoscerne una coerenza intrinseca, alla quale mai veniamo meno. Anche in occasione di aggiornamenti della nostra identità. Non a caso, questa non avverte alcuna interruzione con ciò che si era rispetto a ciò che si è divenuti. Quel senso di essere sempre gli stessi sussiste anche in occasioni di morti simboliche, dalle quali si rinasce inseguendo modalità e valori prima assenti. La biografia è una e una soltanto. La striscia di bava che lasciamo indica il percorso che abbiamo fatto, le svolte brusche e le continuità.

Tale perseveranza si riempie di innumerevoli affermazioni, tutte relative agli interessi che porta, tutte con un obbligato fondo, più o meno spesso, di positivismo a breve e a lunga fioritura.

Ogni affermazione richiede un campo dal quale emergere o nel quale esistere.

Ogni campo è governato da norme, tali per cui un’affermazione inopportuna viene subito punita o esclusa. Il bimbo che non conosce l’affermazione della lama si taglia, in quanto non rispetta le regole sottese alla verità intrinseca all’affermazione stessa.

Per muoversi entro il campo implicito nell’affermazione è dunque necessario stare alle regole.

Il campo contiene la verità e questa sussiste soltanto attraverso il rispetto delle leggi che lo governano.

Fieri di ciò, le affermazioni vengono difese, se necessario fino alla sopraffazione dell’altro. Altrimenti detto, significa che l’io si muove tra campi creati dalle sue affermazioni o entrando in campi creati da altri, per condividere la verità che portano o per demolirla.

Così procedendo, ci si trova vincolati alla permanente oscillazione tra l’adesione e il rifiuto, tra l’amore e l’odio.


2.

Con la presa di coscienza del campo e della nostra volontà di sostenerlo, possiamo riconoscere la struttura egoistica del nostro fare e il conseguente permanente stato di conflittualità che comporta.

Diviene possibile ora una ulteriore consapevolezza. La nostra modalità è davvero nostra, nel senso, di tutti.

Per il passo successivo è disponibile l’osservazione che i campi creati dalla nostra biografia, dalle nostre esigenze, altro non sono che congetture. Infatti, se mettiamo in un solo volume tutte le posizioni e tutte le idee di tutti gli uomini – ognuno dei quali si crea il campo in cui ciò che afferma è vero – non possiamo che convenire all’evidenza che da quel volume strumentalmente scegliamo ciò che di più ci aggrada. Ma, se tutti facciamo così, come possiamo ritenere di aver tratto dall’infinito soltanto il giusto e il vero?

Ponendosi questa domanda, ci si motiva a trovare, non la risposta, ma l’antidoto. Ciò che sta nel nostro campo è di pari dignità con quanto sta nel campo altrui, fosse anche un poco di buono, in quanto la meritocrazia è a sua volta una verità di campo.

L’identificazione di se stessi con il proprio giudizio è come una falce che reseca le espressioni altrui. Ogni giudizio, affermazione, posizione, ha come struttura portante uno spericolato allineamento dei pochi elementi che gli permettono di traguardare per un momento tra le nebbie delle forme e delle forze, il culmine dell’affermazione in quanto verità. Basterebbe che... è un campione valido che tutti abbiamo impiegato per risolvere il problema prospettato. Come Ulisse, che per affermare la sua posizione ha la convinzione e la determinazione sufficienti a tendere l’arco e scoccare la freccia che attraverserà gli anelli delle scuri, in un simbolico allineamento dei punti e degli elementi utili al suo discorso.

Abbattiamo tutti e sempre il misterico volume nella verità della bidimensione. Traiamo dall’incommensurabile divenire una semplice istantanea. Strumento indispensabile per descrive la ferma realtà che vi è rappresentata.

Stando così le cose, il rischio di conflitto si riduce e si alza quello della tolleranza. Tolleranza tutt’altro che moralistica o buonistica o politica. Bensì autentica. Che in pratica si esprime in forza.

Fino a quel momento sperperata dietro meretrici in forma di verità.

Lorenzo Merlo 



Sogno o son desto...?

 


Vi racconto un aneddoto, una bellissima storia ebraica. È immensamente significativa: parla di un uomo.

Aveva sempre sonno. Era sempre pronto a dormire. Da tutte le parti. Ai grandi raduni di massa, ai concerti e ai convegni importanti, lo si vedeva sempre seduto e addormentato.

Devi aver conosciuto quell’uomo, perché tu sei quell’uomo. E devi aver incontrato quell’uomo molte, molte volte, perché come avresti potuto evitarlo? Sei tu!

E dormiva in ogni posizione concepibile e inconcepibile. Dormiva con i gomiti per aria e le mani dietro la testa. Dormiva in piedi, appoggiato a se stesso per non cadere. Dormiva a teatro, per le strade, nella sinagoga. Ovunque andasse, i suoi occhi grondavano di sonno.

Se fosse stato un hindu avrebbe potuto persino dormire in shirshasan. Ho visto degli hindu dormire in quel modo. Molti yogi diventano bravissimi nel dormire capovolti sulla testa. È difficile, scomodo, e richiede una grande pratica, ma succede.

I suoi vicini di casa raccontavano che aveva dormito anche durante sette grandi incendi e che una volta, in un incendio davvero grande, fu portato fuori dal letto, ancora addormentato, e adagiato sul marciapiede. Dormì ancora per diverse ore fino a quando arrivò una pattuglia della polizia che lo portò via.

Si raccontava che quando era in piedi sotto il baldacchino nuziale e pronunciava i suoi voti: “Prometto di...” si addormentò alla parola “santo” – cercate di ricordare quest’uomo – e dovettero picchiarlo sopra la testa con dei pestelli di ottone per diverse ore per riuscire a svegliarlo. Poi disse lentamente la parola successiva e si addormentò di nuovo.

Ricorda la tua cerimonia nuziale. Ricorda la tua luna di miele. Ricorda il tuo matrimonio. Sei mai stato sveglio? Hai mai perso un’occasione in cui avresti potuto addormentarti? Ti sei sempre addormentato!

Lo dico in modo che tu possa credere alla prossima storia del nostro eroe!

Una volta, andò a dormire e dormì molto a lungo. Ma nel sonno gli parve di udire dei tuoni per la strada e di sentire il suo letto tremare. Quindi pensò, nel sonno, che fuori pioveva, e di conseguenza il suo sonno diventò ancora più delizioso. Si raggomitolò nel tepore della sua coperta.

Ricordi quante volte hai interpretato le cose attraverso il sonno? Ti ricordi che a volte hai puntato la sveglia e che quando ha suonato hai cominciato a sognare di essere in chiesa e che fossero le campane a suonare? Un trucco della mente per evitare la sveglia, per evitare il fastidio creato dalla sveglia.

Quando si svegliò vide uno strano vuoto: sua moglie non c’era più, il suo letto non c’era più, la sua coperta non c’era più. Avrebbe voluto guardare dalla finestra, ma non c’era nessuna finestra da cui guardare. Avrebbe voluto scendere le tre rampe di scale e gridare “Aiuto!”, ma non c’erano scale da scendere né aria in cui urlare. E quando avrebbe voluto semplicemente uscire di casa, vide che non c’era un fuori. Era tutto evaporato!

Per un po’ rimase lì confuso, incapace di comprendere cosa fosse successo. Ma poi pensò: vado a dormire. Vide, però, che non c’era più terra su cui dormire. Solo allora si portò due dita alla fronte e rifletté: “A quanto pare ho dormito fino alla fine del mondo. Che bel pasticcio!”.

Diventò depresso. Niente più mondo, pensò. “Cosa farò senza un mondo? Dove andrò a lavorare, come farò a guadagnarmi da vivere, soprattutto ora che il costo della vita è così alto e una dozzina di uova costa un dollaro e venti centesimi e chissà se sono fresche. E che ne sarà dei cinque dollari che mi deve la compagnia del gas? E dov’è finita mia moglie? Possibile che sia scomparsa anche lei con il mondo e con i trenta dollari di paga che avevo in tasca? E lei non è per natura il tipo che scompare” pensò tra sé e sé.

Anche tu penserai in questo modo, un giorno, se scoprirai improvvisamente che il mondo è scomparso. Non saprai a cos’altro pensare. Penserai al prezzo delle uova, all’ufficio, alla moglie, ai soldi. Non sai a cos’altro pensare! Il mondo intero è scomparso! Ma sei diventato meccanico nel modo di pensare.

E come farò a dormire? Su cosa mi stenderò se non c’è il mondo? E mi farà male la schiena? E chi finirà il lavoro al negozio? E supponiamo che abbia voglia di un whiskey, dove lo prendo?

“Eh” pensò “si è mai vista una cosa del genere? Un uomo si addormenta con il mondo sotto la testa e si sveglia senza!”.

Questo accadrà un giorno o l’altro. È quello che succede a ogni uomo quando muore. Improvvisamente, il mondo intero scompare. Improvvisamente non fa più parte di questo mondo. Improvvisamente è in un’altra dimensione. Questo succede a ogni uomo che muore, perché tutto ciò che conosci è periferico. Quando muori, improvvisamente la tua periferia scompare: sei scaraventato nel tuo centro. E tu non conosci quel linguaggio. E tu non sai niente del centro. Sembra privo di tutto, vuoto. Sembra solo una negazione, un’assenza.

Mentre il nostro eroe se ne stava lì in mutande, chiedendosi cosa fare, gli venne in mente un pensiero: “Al diavolo! Non c’è nessun mondo! Chi ne ha bisogno comunque? Scomparso è scomparso: tanto vale andare al cinema e ammazzare un po’ di tempo”. Ma con suo stupore vide che, insieme al mondo, erano scomparsi anche i film.

“Ho combinato un bel pasticcio qui”, pensò il nostro eroe e cominciò a lisciarsi i baffi. “Un bel casino ho combinato qui, addormentandomi! Se non avessi dormito così profondamente”, si rimproverò, “sarei scomparso insieme a tutto il resto. Invece sono stato sfortunato. E dove troverò un whiskey? Adoro berne un bicchiere al mattino. E mia moglie? Chissà con chi è scomparsa? Se è con il muratore dell’ultimo piano, la ucciderò, dio mi perdoni! Chissà che ora è?”.

Con queste parole il nostro eroe cercò di guardare l’orologio, ma non riuscì a trovarlo. Cercò con le mani nelle tasche, la sinistra e la destra, del vuoto infinito, ma non trovò nulla da toccare.

“Ho appena speso due dollari per l’orologio ed eccolo già sparito”, pensò tra sé. “Va bene. Se il mondo è sparito, è sparito. Questo non mi riguarda. Non è il mio mondo. Ma l’orologio? Perché è sparito anche il mio orologio? Un orologio nuovo. Due dollari. Era nuovo di zecca!

E dove troverò un bicchiere di whiskey? Non c’è niente di meglio al mattino di un bel bicchiere di whiskey. E chissà se mia moglie… Ho dormito durante una catastrofe così terribile, mi merito il peggio. ‘Aiuto, aiuto, aiutooo!’. Dov’è il mio cervello? Dov’era il mio cervello prima? Perché non ho tenuto d’occhio il mondo e mia moglie? Perché li ho lasciati scomparire quando erano ancora così giovani?

E il nostro eroe iniziò a battere la testa contro il vuoto, ma poiché il vuoto era molto morbido non gli fece male e rimase in vita a raccontare la storia.

Questa è una storia della mente umana in quanto tale. Crei intorno a te un mondo di illusioni. Continui ad affezionarti a cose che non resteranno con te quando morirai. Continui a identificarti con cose che ti saranno portate via.

Per questo, gli hindu definiscono il mondo “illusione”. Per “mondo” non intendono il mondo che esiste, intendono semplicemente il mondo che hai creato nel sonno. Quel mondo è maya, illusione. È un mondo di sogno.

Chi è tua moglie? L’idea stessa è stupida! Chi è tuo marito? Chi è tuo figlio? Tu non sei tuo, come può qualcun altro essere tuo? Nemmeno tu sei tuo, nemmeno tu appartieni a te stesso. Ti sei accorto, qualche volta, che nemmeno tu appartieni a te stesso? Anche tu appartieni a una qualche esistenza sconosciuta in cui non sei mai penetrato.

Più in profondità dentro te stesso arriverai a un punto in cui anche il sé scompare: solo uno stato di non sé, o chiamalo sé supremo. È solo una differenza di linguaggio e di terminologia. Non hai visto nel profondo di te stesso sorgere cose che non ti appartengono? I tuoi desideri non ti appartengono, i tuoi pensieri non ti appartengono. Nemmeno la tua coscienza: non l’hai creata, ti è stata data, questo è un dato di fatto. Non sei tu che l’hai creata: come potresti crearla?

All’improvviso ci sei, come se accadesse per magia. Sei sempre nel mezzo, non conosci l’inizio. L’inizio non ti appartiene e nemmeno la fine ti appartiene. Nel mezzo puoi creare, puoi continuare a creare sogni. È così che un uomo diventa accidentale.

Attento! Diventa sempre più essenziale e sempre meno accidentale. Ricorda sempre: solo ciò che è eterno è vero, solo ciò che esisterà per sempre è vero. Ciò che è momentaneo non è vero. Il momentaneo deve essere osservato, ma non ti devi identificare.


Testo di Osho da: A Sudden Clash of Thunder 






Genocidi e crimini dimenticati



Lo sterminio che viene ricordato con insistenza è quello degli Ebrei, perpetrato dal nazismo,  ammesso che le vittime siano ugualmente rispettabili  indipendentemente dalla razza o dalla religione, occorre domandarsi quale sia in criterio di questa scelta...

 Ma chi ci ricorda con insistenza sempre lo stesso olocausto non ritiene le vittime ugualmente rispettabili indipendentemente dalla razza o dalla religione. Il genocidio degli Ebrei è più grave del genocidio degli Zingari o degli Armeni o dei Nativi americani o dei Negri?

Quanto poi ai campi di concentramento questi furono usati precedentemente dagli Inglesi in Sudafrica nel 1900-1902 durante la guerra contro i Boeri (contadini ed allevatori di origine olandese): nella seconda fase della guerra; i Boeri difendevano la loro terra con una guerriglia di stampo resistenziale. Gli Inglesi incendiarono allora 40.000 fattorie, ne distrussero i raccolti, abbatterono o confiscarono il bestiame e deportarono figli e mogli dei Boeri in campi di concentramento. Vi fu un vero e proprio genocidio. Il tasso di mortalità raggiunse tra i Boeri proporzioni spaventose: il 36% degli adulti e l’88% dei bambini. Di queste, pur essendo cifre superiori a quelle dei campi di concentramento nazisti, non se ne parla mai, né mai si fanno film per ricordare le colpe dei grandi crimini e criminali della storia.

Franco Libero Manco




Spunti tratti dal libro di Bruno Melas “La Bibbia, gli Ebrei e le altre storie”