"Scienza e Magia"... secondo Lorenzo Merlo e Guido Dalla Casa

 


Diversamente da quanto ha imperato nella nostra cultura, scienza e magia sono soltanto due percorsi differenti che cercano risposte alle medesime domande. Contrapporle è inopportuno alla ricerca stessa. Riconoscere il loro significato culturale tende a creare consapevolezze individualmente e socialmente, quindi politicamente utili al cambiamento di paradigma del quale tutti percepiamo l’esigenza e auspichiamo l’avvento.

Scienza

Nel suo Fisica e filosofia del 1958 (1), Werner Karl Heisenberg esprime a chiare lettere che le prospettive aperte dalla fisica quantistica incrinavano le certezze che avevano fino a quel momento sostenuto le meccanicistiche verità della cosiddetta meccanica classica. Si aprivano concezioni e possibilità concettuali fino a quel momento castrate dall’assolutismo del materialismo e della sua genia: razionalismo, positivismo, scientismo.

Il fisico tedesco e il suo collega danese Niels Bohr erano stati i referenti del principio di indeterminazione, pilastro portante della fisica quantistica. Secondo quest’ultimo, non era possibile rilevare contemporaneamente il moto e la posizione di una particella. L’osservazione riguardava il microscopico mondo elementale. Tuttavia, coinvolge filosoficamente il mondo macroscopico che chiamano realtà tangibile. Ovvero, le verità culturalmente considerate definitive del meccanicismo, ad un certo ingrandimento, mostrano il loro limite, dunque la loro relatività.

Riportando in ambito relazionale, quindi umanistico, le osservazioni della fisica quantistica, possiamo riconoscerne la corrispondenza. Quando il contesto della relazione è condiviso, così le sue regole, il suo linguaggio, accezioni incluse, tende a realizzarsi un rapporto paritario, nel quale gli interlocutori si muovono su binari che non permettono accidenti, incomprensioni, equivoci. È il campo amministrativo. Tutto è chiaro e condiviso da tutti. Ma questo terreno, nonostante gli sforzi del razionalismo, non può contenere tutte le relazioni umane; non può realizzare sempre comunicazione. Basta un equivoco per dimostrarlo. Ed è proprio in questo libero campo umanistico, in cui ognuno impiega il proprio linguaggio, ordina il mondo secondo i propri principi ed esigenze, si muove secondo i propri bisogni, che la regola condivisa cessa di imperare e con essa l’infinità di ulteriori punti che ogni parte credeva fermi e ovvi.

Se in campo amministrativo, come in quello del biliardo, le parti si muovono secondo una logica comune e quanto affermato dal meccanicismo si compie senza sbavature, in quello relazionale le cose vanno diversamente, serendipicamente, come avessero una vita indipendente, capace di svincolarsi dal guinzaglio razionalistico con il quale crediamo di poterla governare a piacimento. Ciò che osserviamo non è più la realtà oggettivata e oggettiva, immobile e separata da noi. In essa osservato e osservatore creano una mente che esubera dal controllo che ambo le parti pretenderebbero: soggetto-materia-energia sono un solo organismo. In essa regna l’equivoco che, per allegoria, corrisponde a una particella – la nostra affermazione – che, in funzione del destinatario, prende un significato oppure un altro. Ovvero, nel rispetto della fisica quantistica, è visto dall’osservatore/destinatario come particella o onda.

In campo umanistico libero dal conosciuto, cioè dall’assolutismo culturale del razionalismo e della logica aristotelica, possiamo osservare comportamenti e realtà illogiche e immateriali, che la stupidità razionalista cerca di estirpare e sempre colpevolizza, come se la vita potesse esaurirsi nella sua amministrazione. In fisica quantistica, entanglement è il termine con il quale si riscontra una comunicazione che si compie senza i supporti che la fisica classica ritiene necessari. A distanze siderali due elementi possono reagire in contemporanea provocati dal medesimo stimolo. Significa che la verità del tempo lineare e uniforme non è più vera e che non sussiste più alcuno spazio tra gli elementi del reale.

Magia

Prima della scienza moderna ci erano arrivate le tradizioni sapienziali e la magia che, non a caso, definisce se stessa scienza suprema.

La magia è consapevole delle forze sottili che muovono pensieri, sentimenti, comportamenti, emozioni. Soltanto percentualmente pochi scienziati, tra cui Ilya Prigogine, David Bohm, Gregory Bateson, Fritjof Capra, sono all’altezza di riconoscere il merito della ricerca sapienziale. La maggioranza vanta ciò che si sta scoprendo ora come un’esclusiva personale. Un atteggiamento che certo castra l’apertura necessaria per accedere all’infinito e all’eterno. Affari loro, d’élite, ma anche nostri, culturali.

Forze sottili che nella magia nera permettono il dominio sull’altro e in quella bianca il bene comune. Una praticata per interesse personale, l’altra compiuta in nome di una deliberata bellezza che muove lo spirito di alcuni di noi. Il paragone con i tempi attuali, con l’incantesimo del liberismo, della protopandemia, del vaccinismo, ben rappresenta l’applicazione del maligno sul prossimo da parte di chi detiene il potere di farlo.

Nella magia l’illogico, l’irrazionale, l’impossibile non sono che categorie buie, in quanto il materialismo che le genera è inetto a fare luce. Nonostante tutto, esse sono di semplice disvelamento una volta consapevoli che il punto di attenzione è un vincolo che impone una certa realtà. Divenire capaci di cogliere il punto di attenzione dell’altro permette le due magie, una per soggiogare, l’altra per emancipare.

Nell’esperimento del gatto di Erwin Schrödinger, del 1935, lo scienziato austriaco ci dice che, aprendo la scatola nella quale giace un gatto e un marchingegno che può ucciderlo, lo potremmo trovare vivo o morto con pari probabilità. La congettura è relativa al relativismo quantistico, secondo il quale non si può determinare a priori lo stato di un elemento. Questo assume valore definitivo soltanto aprendo la scatola. Alcuno lo troveranno vivo altri morto. Se meccanicisticamente il doppio epilogo è impossibile, magicamente è l’ordinario.

È ordinario che la realtà sia nella relazione e che la sua descrizione non è che una nostra emanazione con la quale contemporaneamente la creiamo. Significa che una realtà c’è o meno, in funzione di chi la concepisce.

Il valore della filosofia estraibile dalle osservazioni quantiche non è quello di rielaborare attraverso il suo linguaggio la conoscenza delle tradizioni, bensì quello di riconoscere le dinamiche indeterminabili nella realtà affinché l’assolutismo del razionalismo torni ad occupare il ruolo parziale e amministrativo che gli compete lasciando ogni porta aperta a quello del mondo delle relazioni. Così facendo alzeremmo il rischio di dare vita ad una cultura nella quale tolleranza e amore avrebbero maggior potere emancipativo nei confronti del dominio della scomposizione, dell’analisi, dell’ordine, delle categorie, delle classificazioni e valutazioni. Tutte opere buone, ottime in contesto amministrativo, ma disastrose in quello relazionale, che pur non potendoselo permettere, cercano di comprimere l’infinito che è in noi, la potenzialità di cogliere l’energia cosmica, il suo flusso, il suo cangiare.

Dal volume che tutto contiene possiamo estrarre ogni realtà, inclusa quella logicamente e razionalmente irraggiungibile, quella che non sta nella forma e nella sostanza, quella che ad ogni tentativo di definirla le fa compiere un balzo avanti come per deridere l’inettitudine delle nostre trappole. Quella che solo la magia e la fisica quantistica lasciano cogliere a causa della loro idoneità a cogliere che mente-materia-energia sono la trinità di un solo ente.

Lorenzo Merlo




Ho reso partecipe di questo articolo Guido Dalla Casa, noto ricercatore dell’ecologia profonda e non solo. Ecco le sue note sull’articolo.

NOTE su SCIENZA E MAGIA

Il principio di indeterminazione fu formulato per la prima volta da Werner Heisenberg nel 1927. Fu convalidato da Niels Bohr, che in quel periodo era già un’autorità nel campo della Fisica, che sostenne la versione (in seguito sempre confermata) che l’indeterminazione non era una mancanza di precisione nei nostri strumenti o nei nostri sensi, ma una caratteristica insita in tutta la Natura e in tutti i fenomeni. Fu enunciato, per altra via e poco dopo, anche dal fisico austriaco Erwin Schroedinger, che riuscì a formulare l’equazione (che porta il suo nome) con la quale è possibile descrivere l’andamento della probabilità di trovare una “particella” in movimento. Successivamente, con i sistemi complessi, anche questa tenue prevedibilità è venuta meno. Oltre un certo tempo, l’andamento di un fenomeno diventa completamente imprevedibile, anche in linea teorica. Il determinismo e il meccanicismo sono finiti. In sostanza, il principio sancisce il fatto che la mente (l’osservazione) è inseparabile dalla materia-energia (l’osservato): la distinzione non ha alcun significato.

È interessante il fatto che il principio fu esteso ad altre coppie di grandezze (oltre a quella originaria quantità di moto-posizione): la più notevole è la coppia materia-energia/tempo: se cerco un tempo esatto, la cosiddetta “particella” è completamente indeterminata, cioè non è definibile in alcun modo, è un “fantasma” (vuoto quantistico).

Il fenomeno dell’entanglement, più volte dimostrato, sancisce la fine delle cosiddette “teorie realistiche locali”, sempre sostenute dalla fisica classica (e anche dalla relatività). In sostanza: sono possibili azioni istantanee a qualunque distanza. Sono le azioni ammesse dalla magia! Se due “particelle” sono state in qualche modo “in contatto”, lo saranno per sempre: nulla è separabile.

Sul gatto di Schroedinger: in quell’ora fra la rottura/non-rottura della fiala di cianuro e l’apertura della scatola il gatto si dovrebbe trovare in una posizione di vivo-morto. La logica aristotelica è saltata. Recentemente il fisico italiano Carlo Rovelli ha formulato una soluzione interessante: chi ha lo status di osservatore? Secondo una sua espressione “l’osservatore può essere anche un fotone”: in altre parole, non esiste alcun oggetto, né alcuna entità, esistono solo relazioni.

Guido Dalla Casa




 

Note

  1. Pubblicato in Italia da Il Saggiatore nel 1963.