In memoria di Martin Luther King



Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi all'Università di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama. Dal 1955 (è il primo dicembre quando Rosa Parks da inizio alla lotta contro la segregazione sui mezzi di trasporto) guida la lotta nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, più volte oggetto di attentati e repressione, muore assassinato nel 1968, il 4 di aprile.

Nel ricordo e alla scuola di Martin Luther King proseguiamo nell'azione nonviolenta per la pace e i diritti umani; per il disarmo e la smilitarizzazione; contro la guerra e tutte le uccisioni, contro il razzismo e tutte le persecuzioni, contro il maschilismo e tutte le oppressioni.

Vi è una sola umanità in un unico mondo vivente casa comune dell'umanità intera. Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignità, alla solidarietà.

Solo la nonviolenza può salvare l'umanità.

"Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo 

"Avere l'anima non è da tutti.." secondo il sommo pontefice di Roma


Il papa ha detto  che "per gli animali non c'è vita eterna" ovvero sono privi di anima e quindi, sostanzialmente, si possono uccidere e sfruttare (tanto sono equiparabili ad oggetti)... Chissà se codesta affermazione  è stata fatta in considerazione dell'infallibilità papale (dogma cattolico) o in quanto semplice opinione di un comune essere umano (sia pur di altissimo rango religioso) che si appresta a festeggiare la "santa" Pasqua con l'abbacchio alla cacciatora? Nel frattempo, però, Francesco aveva anche detto che "nell'universo non siamo soli" aprendo quindi la porta alle illazioni sulla presenza di esseri alieni "extraterrestri". E -ancora- chissà se questi, secondo il sommo pontefice romano,  sono dotati di anima? E le donne?
Secondo i grandi saggi l’opinione è solo un riflesso personale della percezione individuale della verità. Insomma l’opinione è sempre e comunque parziale ed incapace di riferire un’interezza. Ma se siamo in grado di interpretare ogni opinione come un tassello del pensiero universale e cerchiamo di integrarla nell’insieme del conosciuto forse stiamo mettendo in pratica quel “sincretismo” di pensiero auspicabile per il superamento delle ideologie e delle religioni precostituite. Unica discriminante dovrebbe essere la qualità della sincerità ed obbiettività in cui l’opinione viene espressa…
Infatti se un’opinione è solo “strumentale” allora non vale nemmeno la pena di considerarla, essa non è nemmeno etichettabile come “opinione” (che già di per se stesso è un termine “riduttivo”) ma possiamo definirla “imbroglio giustificativo” teso alla soddisfazione di un vantaggio personale o ideologico… basato sull’assunzione di un pensiero (definito universale). Ciò avviene quando si mente sapendo di mentire o anche allorché non si è andati sufficientemente in profondità nell’analisi interiore!
Per questa ragione punto sul merito della laicità, o equanimità, ed è quanto cerco di affermare in ogni mia espressione… Ma secondo me “laicità” deve presupporre anche il lasciare agli altri la libertà di pensare a modo loro e non possiamo usare la laicità per continuamente controbattere sui punti che a noi sembrano ledere tale principio…
Insomma dovremmo essere laici persino nei confronti della laicità..
Questo atteggiamento mentale, super partes, è decisamente utile ed interessante per l’affermazione di un “sincretismo” che dovrebbe accomunare noi tutti esseri umani nel riconoscimento del pari valore del pensiero che in ognuno si manifesta…
Ah, per quel che riguarda l’ipotetica differenza fra Uomini, Animali od Extraterrestri è solo un fatto di gradiente o predisposizione intellettiva, ma la coscienza che anima queste categorie vitali è la stessa, la possibilità di auto-conoscenza è pure la stessa…
Amo gli animali, amo gli extraterrestri, amo ogni forma di vita ed ogni elemento.. ma dovendo perseguire una mia crescita personale (unico presupposto per la crescita universale) vale il detto “ad ognuno il suo”. E dal punto di vista umano, essendo io stesso un uomo, mi occupo della mia auto-conoscenza e lascio agli altri esseri (umani o non umani) di fare la parte che ad ognuno compete!
Tradotto in termini laici significa che per fare il bene di tutti è sufficiente non arrecar male ad alcuno.
Paolo D'Arpini

Istinto o ragione? - Analisi introspettiva sulla spinta che muove il mondo



Inizialmente ho cominciato a riconoscere alcune tendenze come rabbia o tristezza, dopodiché ho cercato le radici di tali tendenze e ho cercato di riequilibrarle. Solo dopo ho potuto osservare che tali manifestazioni sono legate e generate da due componenti equilibratrici presenti in noi . la parte destra e la parte sinistra. 

Queste due componenti possono essere chiamate in vari modi: ego e superego, canali simpatici destro e sinistro, maschile e femminile, proiezione al futuro o passato, caldo o freddo ecc. 

Nessuna di queste due componenti genera di per sé benessere o sofferenza ma tutte è due possono allo stesso tempo alimentare una o l'altra. Sono i due piatti della bilancia su cui noi mettiamo la nostra attenzione. 

Parallelamente alla mia esperienza personale generata per la maggiore dalla mia tendenza ad essere "un po' esagerato negli estremi" ho studiato molte idee al riguardo e oggi scrivo queste riflessioni spinto dalla voce di un bambino autistico che consiglia di scordare tutto ed essere creativi a modo proprio (non ricordo come si chiama ma è stato candidato ad un oscar) . 

Studiando ho trovato più confusione che altro , mille visioni limitate ed in parte contraddittorie . Così ricercai in me le risposte , creavo una chiave di lettura generale, una specie di passpartout che mi creava altre domande e risposte in un gioco infinito. In questo gioco erano attori di base due componenti fondamentali che creavano un continuo mutamento di forme, idee, percezioni. 

Tutto aveva inizio nella divisione e tutto ruotava attorno ad essa, osservavo la divisione illusoria che abbiamo delle cose e percepivo che da li nasceva tutto. Quindi raggiunta la consapevolezza che la mia attenzione spostava radicalmente il mio modo di vedere le cose ho cominciato a sperimentare varie possibilità. 

Nello spostare la mia attenzione notavo che era necessaria molta energia sia per modificare il modo di vedere le questioni sia per consolidare e mantenere questa posizione . In principio ciò che mi impediva maggiormente di farlo a piacimento erano i preconcetti, gli attaccamenti ad un modo di " vedere " che conoscevo e mi dava sicurezza , poi trovai infiniti ostacoli ma volli comunque indirizzare la mia attenzione su quelle possibilità che intuivo potessero essere pratiche. 

Nei tentativi di spostare la mia osservazione-attenzione notavo e lo notavo per varie ragioni pratiche che il miglior luogo dove riporre questa " MAGIA" era il presente o ciò che chiamiamo adesso . Allo stesso tempo mi accorgevo che il luogo dove si riponeva la mia attenzione dipendeva da un atto di volontà paragonabile a qualsiasi altro atto di volontà. 

Così cominciai ad osservare il presente in una maniera più profonda slegata da un interpretazione costante e più vicina ad un sentirsi parte del momento . In questo processo ho dovuto scardinare una parte di quella che chiamiamo "razionalità", fare esperienza che la comprensione non è legata solo alla mente ma ad un sentire che mette in gioco tutto ciò che viviamo , ed essendo razionalmente impossibile spiegare tutto ciò che viviamo ho alimentato l'intuizione , l'empirismo , la fantasia e la percezione in genere. 

Ho così osservato quali erano state le motivazioni , il seme, di tale ricerca. Il seme erano la sofferenza e la rabbia . Erano arrivati per insegnarmi. Ho visto la sofferenza come una freccia che mi trafiggeva e la rabbia come la prima risposta del corpo , ho visto il processo che mi ha portato alla ricerca della "creatività personale in consapevolezza senza pensiero" come un mezzo utile a vivere un esistenza più completa e ricca di gioia. 

Tutte le componenti che osserviamo hanno la forma e la sostanza che noi diamo loro . Sono piatti di una bilancia, una bilancia gigantesca, che non ha nessun valore se non quello che gli attribuiamo.  È però esistente l'illusione delle cose divise e con essa dobbiamo serenamente convivere , dobbiamo convivere con la sofferenza con l'odio con l'ignoranza o con il male. 

Cambierà il modo di percepirle ma le questioni pratiche sono comunque pratiche . Scavando raccolgo la terra la porto a casa , mi sporco, la poggio sul tavolo , lo sporco , la plasmo con le mani , le muovo , osservo , creo. 

Creazione ed ego sono legati, uno compensa l'altro, creazione ed ego sono a loro volta compensati da distruzione e superego e così via all'infinito con tutto ciò che esiste. 

Ogni cosa che esiste regge ed è retta dall'universo. 

Ogni affermazione è vera e falsa, ogni cosa che esiste naturale . Per questioni pratiche consiglio di allenare volontà e pazienza , domandarsi "cosa essere io" e mangiare sano.  Per la volontà fare ciò che non vi piace , per la pazienza soffrite , per domandarsi " cosa essere io" fare come il brucaliffo di Alice nel paese delle meraviglie e per mangiare sano seguite l istinto . 

A che fine? Vivere il mondo è una questione pratica e poter cambiare il proprio modo di vedere le questioni , il mondo in generale, e riportare l'attenzione al presente è utile a vivere più pienamente e serenamente la propria esperienza. Quando parlo di cose pratiche intendo quelle cose che ci comportano un impegno per vivere il presente sufficientemente limitato da poter avere l'energia per stare in osservazione del punto di equilibrio tra le divisioni di forma che creiamo nell'osservare stesso. 

Per por stare tra ego e superego , tra luce e buio , tra dentro e fuori , vivi e non , passivo e attivo . Ostacoli sono la presunzione, l'arroganza, la pigrizia, l'autocommiserazione, il narcisismo , e l'egocentrismo in generale.  Come ogni equilibrio è il risultato di forze contrastanti, l'equilibrio è anche annullamento di componenti o energie nel momento presente.

L'equilibrio non esiste se non nel presente , è una caratteristica di ogni presente, assume manifestazioni infinite osservabili in altrettante prospettive.  Il presente ciò che evita l'illusione è da lui che ha origine il maya e a lui torna, ha in se tutte le leggi e le loro alternative, nel presente si può modificare il presente e renderlo il presente. 

Se sogniamo, ridiamo, soffriamo, voliamo, lo facciamo sempre nel presente. Il presente e l'unica possibilità di ogni futuro e passato. Il presente è dio . Il presente è ciò che ci libera dal presente. Nel presente la natura umana può percepire compassione per tutto, stupore per ciò che conosce, amorevole ammirazione per il percepito , amore incondizionato. Il presente è ciò su cui mettiamo la nostra attenzione. Il piacere di vivere il presente è in equilibrio con il dispiacere altrimenti non sarebbero esistiti e con loro il presente. 

Tutto è possibile, anche l'impossibile, il presente è entrambi. L'istinto è consapevolezza senza pensiero. L'istinto non misura, percepisce e agisce in sincronicità con il mistero che ci comprende. È una comando-azione che preserva la vita. 

I bipedi anno perso il contatto con il proprio istinto , lo hanno confuso con qualcosa di primordiale ed inutile, credono che oggi siamo nei " tempi moderni" , che non serve più. Gli animali preVEDONO i terremoti. Noi no. 

La nostra razionalità ci impedisce di essere sereni e non ci fa percepire il mondo, ci racconta e si racconta la realtà e ci crede. Il mondo è un mistero e come tale non può essere razionalizzato. L'istinto ha accesso ad una memoria che è ancestrale, genetica, cristallina. Ne ha accesso senza volontà o costruzioni mentali.

(Ignoto sofista)

"Treia: storie di vita bioregionale" di Paolo D'Arpini - Presentazione di Michele Meomartino e introduzione dell'autore



Copertina: grafica di Daniela Spurio

Introduzione:

In questo libro racconto alcune storielle minute di eventi vissuti a Treia, da quando mi sono qui trasferito nel 2010. Le osservazioni di questo mio vivere sono per me significative anche perché rappresentano la fase finale della mia esistenza. Avendo già raggiunto un’età in cui solitamente un uomo si definisce anziano, infatti ho già compiuto i settanta anni...


Osho disse: “Se stai invecchiando, ricorda che la vecchiaia è il culmine della vita. Ricorda che la vecchiaia può essere l’esperienza più bella. Il vecchio si trova nello stesso stato di quiete dopo una tempesta, quando prevale il silenzio. Quel silenzio può avere una bellezza immensa, una profondità e una ricchezza incredibili. Se il vecchio è realmente maturo, allora diventa bello. Cresci, matura interiormente, diventa più attento e consapevole. La vecchiaia è l’ultima opportunità che ti viene concessa”.


Ovviamente sono d’accordo con lui e mi godo questa esperienza con grande calore e soddisfazione, anche perché ho avuto la fortuna di trovare, proprio in tarda età, una compagna adatta al mio percorso: Caterina Regazzi. È stata lei, tra l’altro, a “rapirmi” da Calcata ed a condurmi a Treia, dove ora abito nella sua bella casa nel centro storico. Così, per riconoscenza verso Treia, il luogo che mi ha accolto, ho pensato di scrivere questi racconti bioregionali. Invito tutti gli amici vecchi e nuovi a leggere le storie qui contenute affrontando un’avventura meravigliosa da condividere e da ri-raccontare….

Paolo D'Arpini





Presentazione a cura di Michele Meomartino:

Se con “Vita senza tempo”, Paolo D’Arpini, ci ha raccontato, attraverso un fitto scambio epistolare, il suo rapporto con la sua compagna Caterina, coautrice del libro, e con “Riciclaggio della memoria” ci ha confidato le sue idee sul mondo e sulla vita, intrise di spiritualità laica e di ecologia profonda, con quest’ ultima fatica “Treia: storie di vita bioregionale”, ha voluto rendere omaggio al paese dove vive, appunto, Treia, sottolineando l’appartenenza a questa comunità di cui si sente cittadino attivo e operoso.


Le storie che vengono narrate nel libro sono il frutto di un’attenta osservazione che, quasi sempre, trovano spazio nel suo diario telematico, “Il Giornaletto di Saul”, come lui ama definirlo, e che Paolo condivide con puntuale regolarità con tante persone di diversa provenienza e sensibilità.


Esse non sono né banali, né scontate e soprattutto sono scevre da pregiudizi e luoghi comuni. Sono piuttosto un invito alla riflessione e alla formazione di un sano spirito critico, a guardare le cose per quelle che sono al di là di come appaiono.


Questi racconti di vita quotidiana, di storie cosiddette sui bordi o minori, sono un lavoro encomiabile che, di certo, non hanno l’ambizione di catturare il lettore con effetti speciali o di far leva su un’ emotività di superficie. Sono l’invito a soffermarsi sul qui ed ora, a non allontanarsi da sé per inseguire le chimere e gli idoli della modernità.
Paolo non seleziona, scrive tutto, la sua parola è sincera. La cronaca è precisa, attenta ed equilibrata. In un mondo mediatico dominato da notizie sensazionalistiche, per non dire catastrofiche, da un vojerismo ruffiano che sa solo suscitare pruriti indecenti, da falsi miti ed “eroi plastificati”, la narrazione nuda e cruda della quotidianità, a cui non fa difetto l’acutezza dell’osservazione e la bellezza della poesia, rappresenta un fatto inusuale che restituisce alla normalità la sua originale dignità.


Una normalità fatta di semplicità e di lentezza, sempre più rare e apprezzate, perché la febbre, che tanto eccita gli animi umani, si nutre di smanie, di protagonismi, di ostentazioni, di rivalità.


Il pregio di questo libro sta proprio nella narrazione della quotidianità, di come anche dalle periferie, da uno dei tanti piccoli paesi della nostra penisola, si possa contribuire a costruire un’etica condivisa, un senso comune di appartenenza, un anelito alla bellezza e alla giustizia, un rispetto per la natura e la sua complessità, tanto più urgenti e necessari, oggi, quanto più si assiste a forme di preoccupante e dilagante individualismo, cinico e superficiale.


Il libro, nel tentativo di restituirci una dimensione interiore in cui il tempo è scandito da ritmi lenti e da un respiro profondo, ci invita soprattutto a sostare e a rallentare i nostri passi.


Ma noi sapremo ancora apprezzare la bellezza di un paesaggio o di un mandorlo in fiore o l’incomparabile architettura dei nostri borghi antichi? Vorrei continuare a sperare, nonostante i tanti segni di disattenzione e di degrado, non solo sociale e ambientale, ma anche e soprattutto etico e culturale. L’umanità sembra dispersa e forse confusa, fa fatica a ritrovarsi, ma a che serve continuare ad imprecare contro il buio? Piuttosto si avverte l’urgente bisogno di accendere qualche lume.

La clinica della speranza e la tisana salvifica di René Caisse




La storia incredibile, ma vera, di René Caisse comincia in Canada nella regione dell’Ontario nel 1922.

René era capo infermiera in un ospedale e fra i malati della sua corsia noto una signora con un seno stranamente deformato. Incuriosita, le domandò cosa fosse accaduto. La signora raccontò che vent’anni prima un uomo di medicina degli indiani Objiwa, saputola malata di cancro al seno, le aveva fatto bere per un lungo periodo un the di erbe che l’aveva guarita. L’indiano aveva definito questa miscela di erbe e radici: “Una bevanda benedetta che purifica il corpo e lo riporta in armonia  col grande spirito”

René fece tesoro dell’informazione e prese nota della ricetta. due anni dopo ebbe modo di sperimentarla su sua zia, malata terminale di cancro allo stomaco e al fegato. La zia guarì.

René capì di essere di fronte ad una scoperta fantastica e in collaborazione col dott. Fisher, il medico della zia che aveva assistito al processo di guarigione, cominciò ad usare la bevanda su altri malati terminali di cancro. I successi si ripetevano. In quei tempi si pensava di aumentare l’efficacia di un rimedio se lo si fosse inoculato per via intramuscolare e così René cominciò ad iniettare la tisana, ma gli effetti collaterali erano troppo spiacevoli. Negli anni a venire, dopo studi di laboratorio condotti su topi, fu individuata l’erba iniettabile e le altre venivano fatte bere in infuso.

I risultati positivi continuarono. Bisogna sottolineare il fatto che René mai richiese un compenso dai suoi pazienti, accettando solo le loro offerte spontanee.

La voce si sparse ed altri otto dottori dell’Ontario cominciarono ad inviarle pazienti giudicati senza speranza. Dopo i primi risultati i medici scrissero una petizione al Ministero della sanità Canadese chiedendo che si prendesse in seria considerazione la cura. L’unico risultato che ottennero fu l’invio di due commissari col potere di arresto immediato nei confronti di René. I due pero rimasero colpiti dal fatto che nove dei migliori medici di Toronto collaborassero con la donna e invitarono René a sperimentare su topi la sua medicina.

Ella tenne in vita per 52 giorni topi inoculati con il sarcoma di Rous.

Tutto tornò come prima, René continuò a somministrare la bevanda in un
appartamento di Toronto .In seguito dovette spostarsi a Peterborough in Ontario, dove la raggiunse un ordine di arresto recato da un poliziotto. Ancora una volta ebbe fortuna perché il poliziotto, dopo aver letto le lettere che i suoi pazienti le avevano scritto in segno di riconoscenza, decise che era il caso di parlare della cosa al suo capo. Dopo questo episodio René ebbe il permesso del ministero di continuare a lavorare solo su quei pazienti che recassero una diagnosi scritta di cancro redatta da un medico.

Nel 1932 uscì, su un giornale di Toronto, un articolo intitolato: “Infermiera di Bracebridge fa una importante scoperta per il cancro”.

A questo articolo seguirono innumerevoli richieste di aiuto da parte di malati di cancro e la prima offerta commerciale.

L’offerta era davvero vantaggiosa ma le si richiedeva di svelare la formula in cambio di una somma considerevole e un vitalizio. René rifiutò categoricamente, giustificò la sua decisione col fatto che non voleva che si speculasse sul suo rimedio.

Nel 1933 il comune di Bracebridge le mise a disposizione un Hotel, sequestrato per ragioni di tasse, perchè potesse farne una clinica per
i suoi malati.

Da allora e per i successivi otto anni, un cartello sulla porta avrebbe indicato “CLINICA PER LA CURA DEL CANCRO”.

Dal giorno dell’apertura centinaia di persone erano convenute alla clinica e, alla presenza di un medico, si facevano fare l’iniezione e bevevano la tisana.
La clinica diventò in breve una sorta di Lourdes Canadese.

Nello stesso anno si ammalò la madre di René, cancro al fegato inoperabile. René le somministrò la sua cura ed ella guarì nonostante
che i medici le avessero predetto una sopravvivenza di pochi giorni.

Fu in questi anni che il dottor Banting, uno dei partecipanti alla scoperta dell’insulina, affermò che il the aveva il potere di stimolare il pancreas fino a riportarlo alle sue normali funzioni, curando così i malati di diabete. Il dott. Banting invitò ufficialmente la signora Cassie a fare esperimenti presso il suo istituto di ricerca, ma lei per paura di dover abbandonare i propri malati, rifiutò. Era il 1936.

Nel 1937 accadde un incidente. Una donna in fin di vita fu trasportata  all’ospedale di René, sofferente per frequenti embolie, subito dopo l’iniezione, morì. Fu un’occasione d’oro per i detrattori di René, fu
fatto un processo ed i risultati dell’autopsia dimostrarono che la donna era morta per un embolo.

La pubblicità che il caso scatenò portò ancora più malati in cerca di speranza all’ospedale di Bracebridge. Lo stesso anno furono raccolte 17.000 firme che invitavano il governo a riconoscere il the come farmaco per il cancro.

Una ditta farmaceutica Americana offrì un milione di dollari (del 1937!) per la formula ennesimo rifiuto di René. Nel frattempo un medico americano, il dott. Wolfer, offrì a René di effettuare esperimenti con la bevanda su trenta pazienti del suo ospedale. René fece la spola fra il Canada e gli USA per molti mesi, i risultati che ella ottenne spinsero il dott. Wolfer ad offrirle uno spazio di ricerca permanente nei suoi laboratori. Ancora una volta René rinunciò ad una vantaggiosa offerta che l’avrebbe però costretta ad abbandonare i suoi malati in Canada.

Di quel periodo abbiamo la testimonianza del dott. Benjamin Leslie Guyatt responsabile del dipartimento di anatomia dell’Università di Toronto che aveva ripetutamente visitato la clinica: “Ho potuto constatare che nella maggior parte dei casi le deformazioni scomparivano, i pazienti denunciavano una forte diminuzione dei dolori. In casi serissimi di cancro ho visto interrompersi le emorragie più gravi. Ulcere aperte alle labbra ed al seno rispondevano alle cure. Ho visto scomparire cancri alla vescica ,al retto, al collo dell’utero allo stomaco. Posso testimoniare che la bevanda riporta la salute nel malato, distruggendo il tumore e restituendo la voglia di
vivere e le funzioni normali degli organi.”

La dottoressa Emma Carlson era arrivata dalla California per visitare la clinica, questa la sua testimonianza: “Ero venuta, abbastanza scettica, ed ero risoluta a rimanere solo 24 ore. Sono rimasta 24 giorni ed ho potuto assistere a miglioramenti incredibili su malati terminali senza più speranza e malati diagnosticati terminali, guarire. Ho esaminato i risultati ottenuti su
400 pazienti.” 

Nel 1938 un’altra petizione a favore di René raccolse 55.000 firme. Un politico canadese fece la sua campagna elettorale promettendo che
avrebbe permesso che la signora Caisse potesse esercitare la professione medica senza laurea e “Praticare la medicina e curare il cancro in tutte le sue forme e le relative indisposizioni e difficoltàche questa malattia comporta.”

La risposta della classe medica fu immediata, il nuovo ministro della sanità, il dott. Kirby istituì la “Royal cancer Commission” il cui scopo era quello di appurare la efficacia di discusse terapie per il cancro. Una delle condizioni inderogabili perché una medicina potesse essere legalizzata come cura per il cancro era che la sua formula venisse consegnata a priori nelle mani della commissione. La pena per la mancata consegna era una multa la prima volta per pratica abusiva della professione medica e l’arresto in caso di recidiva.

René Cassie non aveva mai voluto svelare la formula e la commissione
oltretutto non aveva obbligo di riservatezza riguardo alle formule presentate.

Le due proposte di legge, quella a favore di René e quella che istituiva la commissione per il cancro, furono discusse lo stesso giorno al parlamento Canadese.

La legge Kirby fu approvata e quella pro-René respinta per soli tre voti. La clinica di René era in pericolo, i medici cominciarono a rifiutarsi di consegnare ai propri pazienti i certificati attestanti il cancro.

Una valanga di lettere di protesta raggiunsero il ministero della sanità, gli ex malati curati da René e quelli che volevano farsi curare si ribellarono. Il ministro ritenne saggio che la clinica continuasse ad esistere fino al momento in cui la signora Caisse si sarebbe presentata di fronte alla commissione per il cancro.

Nel marzo 1939 iniziarono le udienze della commissione per il cancro
istituita dalla legge Kirby. René fu costretta ad affittare la sala da ballo di un Hotel di Toronto per accogliere i 387 ex pazienti che avevano accettato di testimoniare in suo favore. Tutte queste persone si dichiaravano convinti che René li aveva guariti o che la bevanda aveva arrestato il cammino devastante del cancro. Tutti erano stati definiti “senza speranza” dai loro medici prima di sottoporsi alle cure dell’ospedale di Bracebridge. Solo 49 dei 387 ex malati furono ammessi a testimoniare. Medici illustri testimoniarono a favore di René.

Molti casi furono stralciati perché le diagnosi furono giudicate sbagliate e vi furono anche dottori che firmarono dichiarazioni in cui riconoscevano l’errore. Alla fine il rapporto della commissione fu che: 
* Nei casi diagnosticati con biopsia si contava una guarigione e due miglioramenti
* Nei casi diagnosticati con raggi x, una guarigione e due miglioramenti
* Nei casi diagnosticati clinicamente due guarigioni e quattro miglioramenti
* Su dieci diagnosi “incerte”, tre erano sicuramente sbagliate e quattro non definitive.
* Undici diagnosi erano definite “corrette”, ma la guarigione veniva attribuita a precedente radioterapia.

Insomma la conclusione era che la bevanda non era una cura per il cancro e che se la signora Cassie non avesse svelato la formula, la legge Kirby sarebbe stata applicata e la clinica chiusa.

René, sfidando la legge, tenne aperta la clinica ancora per tre anni in una situazione di semi-clandestinità.

Nel 1942, la clinica venne chiusa René era sull’orlo di una crisi di nervi. Si trasferì a North Bay ,e là rimase fino al 1948 anno in cui suo marito morì. Si presume che continuasse ad aiutare qualche malato che riusciva a raggiungerla, ma non nella misura che la clinica le aveva permesso.


Il Grande Ritorno

Nel 1959 la grande rivista americana “True” pubblicò un articolo su René Caisse e il suo rimedio per il cancro. L’articolo era frutto di mesi e mesi di indagini, interviste e raccolta di materiali.

L’articolo fu letto da un eminente medico americano il dott. Charles Brush, titolare del Brush Medical Center di Cambridge. Il dott. Brush, dopo averla incontrata le propose di andare a lavorare presso il suo istituto. Quello che le chiedeva era di applicare la medicina su malati di cancro, testare la formula in laboratorio per eventuali modifiche e migliorie e, quando si fosse assolutamente sicuri dell’efficienza, fondare un associazione il cui scopo sarebbe stato quello di diffonderla nel mondo intero ad un prezzo accessibile.

Non le si chiedeva di svelare la formula ma di usarla su persone malate di cancro. Per René era il massimo dei suoi desideri, accettò.

René aveva settant’anni.

Prima di continuare il racconto cerchiamo di capire chi era il dott. Brush. Il dott. Brush era ed è tuttora uno dei medici più rispettati degli Stati Uniti.

E’ stato il medico personale del presidente J.F. Kennedy e suo amico fidato. Il suo interesse per la medicina naturale ed i rimedi delle scuole di
medicina asiatiche risale a molti anni prima il suo incontro con René. Il Brush Medical Center è uno degli ospedali più grandi degli USA ed è stato il primo ad usare l’agopuntura come metodo di cura, il primo a dare importanza al fattore alimentare nella cura del paziente ed il primo istituto medico americano a istituire un programma di assistenza gratuita per malati indigenti.

René cominciò a lavorare nella clinica del dottor Brush nel Maggio del 1959.

Dopo tre mesi il dott. Brush ed il suo assistente dott. Mc Clure redassero il primo rapporto: “Tutti i pazienti sottoposti alla cura accusano una riduzione dei dolori e della massa cancerosa con un evidente incremento del peso e delle condizioni cliniche generali. Non possiamo ancora dire che sia una cura per il cancro ma possiamo tranquillamente affermare che è salutare e assolutamente atossica”

Il dottor Brush, in collaborazione col suo amico Elmer Grove, un espertissimo erborista, arrivò a perfezionare la formula fino al punto
che essa non dovette mai più essere iniettata. Aggiungendo altre erbe alla formula originale, erbe che definirono “potenziatori”, la medicina poteva essere assunta per via orale solamente.

Finalmente si apriva la possibilità che ognuno potesse assumere la medicina comodamente a casa propria, evitando viaggi e fatiche spesso
insopportabili per malati gravi.

Il dott. Mc Clure inviò dei questionari agli ex pazienti di René per verificare la durata di vita dopo la guarigione, le risposte che ricevette confermavano le parole di René: “La bevanda degli indiani CURA IL CANCRO”.

Accadde però che nuove difficoltà impedissero a René di continuare a lavorare col dott. Brush. I laboratori che fornivano le cavie per gli esperimenti interruppero la fornitura e il dott. Brush fu invitato dalla “American Medical Association” a non usare metodi che uscissero dai binari dell’ortodossia.

René tornò così a Bracebridge per evitare altre battaglie legali. Il dott. Brush continuò i suoi esperimenti su uomini ed animali e nel 1984 dette la massima fiducia alla bevanda.

Ammalatosi di cancro all’intestino, si curò solo con essa e guarì.

René rimase a Bracebridge dal 1962 al 1978 continuando a rifornire il Dott. Brush con la medicina di erbe, lui la teneva informata dei progressi delle sue ricerche e dell’efficacia che riscontrava su altre malattie degenerative.

René, alla veneranda età di 89 anni tornò alla ribalta.

Nel 1977 il periodico” Homemakers” pubblicò la storia della bevanda e di René. L’articolo ebbe l’effetto di una bomba atomica sull’opinione pubblica canadese. Presto la sua casa fu assalita dalle persone che chiedevano la bevanda ed essa fu costretta a richiedere l’aiuto della polizia per poter uscire di casa.

Fra i molti che lessero l’articolo vi era anche David Fingard, un chimico in pensione titolare di una azienda farmaceutica la “Resperin”.

Fingard si domandò come fosse possibile che la formula di una sostanza così efficace avesse potuto rimanere nelle mani di una vecchietta per tutti questi anni. Decise che lui si sarebbe inpossessato della formula.
Non si scoraggiò ai primi rifiuti e finalmente trovò la chiave per aprire il forziere nel cuore di René. Promise che avrebbe aperto cinque cliniche in Canada, aperte a tutti, poveri compresi, e che per queste aveva già trovato i finanziamenti da una grande aziendamineraria canadese. Il 26 Ottobre 1977 René consegnò la formula della bevanda nelle mani del signor Fingard. Il dott. Brush era presente solo nella veste di testimone. Il contratto prevedeva, in caso di commercializzazione, un ricavo del 2% a favore di René.

Nei giorni seguenti la Resperin chiese ed ottenne dal ministero per la salute ed il benessere, pressato dall’opinione pubblica, il permesso di testare la bevanda in un programma pilota su malati terminali di cancro.

Due ospedali e molte decine di medici avrebbero partecipato al programma di sperimentazione clinica, usando la bevanda fornita dalla Resperin che si impegnava a seguire tutte le norme sanitarie vigenti.

L’opinione pubblica Canadese era entusiasta. René percepiva pochi dollari con i quali doveva anche fornire le erbe alla Resperin. Presto i due ospedali dissero che desideravano cambiare gli accordi e che avrebbero abbinato alla bevanda le terapie tradizionali (chemio e radio-terapia).

Fu deciso di continuare il programma solo con i medici di base. Nel frattempo René Caisse moriva .

Ai suoi funerali erano presenti centinaia di persone provenienti da ogni dove. Il governo Canadese interruppe gli esperimenti della Resperin
giudicandoli inutili perché mal eseguiti. La Resperin infatti non era quella grande azienda che il suo titolare aveva fatto credere a René.

Il dott. Brush. insospettito dalla mancanza di informazioni, aveva svolto delle indagini sull’azienda. Quello che ne risultò era che la Resperin era formata da due settantenni di cui uno era Fingard e l’altro un ex ministro di un precedente governo, il dott. Mattew Dyamond.

Dyamond con l’aiuto della moglie preparava l’infuso nella cucina di casa. Le forniture ai medici di base erano spesso in ritardo o insufficienti o malfatte. Inoltre la totale mancanza di coordinazione del programma aveva, reso impossibile un accurato controllo sui medici coinvolti.

In una circolare interna, il ministero giudicava così gli esperimenti clinici con la bevanda: “Non sono valutabili i casi clinici raccolti”.

Nei documenti ufficiali la bevanda, fu dichiarata però: “non efficace nella cura del cancro”. Fu anche riconosciuta la sua assoluta atossicità. Sotto la pressione delle proteste da parte dei malati, fu immessa in un programma di distribuzione di medicine speciali, a malati terminali, per motivi compassionevoli. (Nello stesso programma era anche 1′AZT farmaco per l’AIDS, che fu poi legalizzato nel 1989)

I malati avrebbero potuto d’ora innanzi ottenere la bevanda dietro presentazione di una serie di domande ufficiali di non facile compilazione.

La bevanda, col nome ufficiale con cui era conosciuta in Canada non avrebbe mai potuto essere venduta come medicina.

Il dott. Brush era disgustato dalla vicenda, unico possessore della formula migliorata, decise che avrebbe aspettato migliore occasione per diffondere questa conoscenza. Continuò nel suo ospedale ad usare la bevanda che nel 1984 lo guarì dal cancro all’intestino.

 

Elaine Alexander

Nel 1984 entra in scena, il personaggio che avrebbe dato una svolta alla nostra storia. Elaine Alexander una giornalista radiofonica che aveva dato vita ad interessanti e seguitissimi programmi alla radio riguardanti le medicine naturali e approfondimenti sulla allora nuova malattia, l’AIDS.

Elaine telefono al dott. Brush, gli dimostrò che era informatissima sulla storia di René e della bevanda e gli chiese se fosse disposto a farsi intervistare nel corso di un programma che si sarebbe chiamato “STAYN’ ALIVE”.

Il dott. Brush per la prima volta rilasciò una dichiarazione pubblica sulla medicina:

Elaine: “Dott. Brush e vero che lei ha studiato gli effetti della bevanda su malati di cancro ricoverati presso la sua clinica?”

Brush: “E’ vero.”

E.: “I risultati che ha ottenuto si possono definire significativi o dei semplici” aneddoti”, come afferma qualche suo collega?”

B.: “Molto significativi.”

E.: “Ha riscontrato nella cura degli effetti collaterali?”

B.: “Nessuno.”

E.: “Dott. Brush la prego di arrivare al punto, lei afferma che la bevanda può aiutare le persone affette da cancro oppure che è una cura per il cancro?”

B.: “Posso affermare che è una cura per il cancro.”

E.: “Può ripeterlo per favore?”

B.: “Certo, con molto piacere, la bevanda è una cura per il cancro. Ho potuto constatare che può far regredire il cancro ad un punto tale che
nessuna conoscenza medica attuale è in grado di raggiungere.”

 
Le parole del dott. Brush scatenarono una ondata di telefonate, l’uscita della stazione radiofonica fu circondata dalle persone che non avevano potuto accedere alla linea telefonica. Elaine cominciava a capire quanto frustrante fosse non poter aiutarechi chiede aiuto.

Nei due anni che seguirono Elaine mise in onda sette programmi di due ore ciascuno solo sulla bevanda. Il dott. Brush vi partecipò per quattro volte ancora, numerosi medici, paramedici ed ex malati furono intervistati. Tutti confermarono quanto detto dal dott. Brush.

‘La bevanda è una cura, per il cancro”

Elaine era così pressata dalle richieste di aiuto che si adoperò perché alcuni dei malati fossero inseriti nel programma caritatevole del Governo. Ma la strada era tanto difficile e complicata che solo pochi vi potevano accedere.

Elaine passò tre anni terribili pressata da migliaia di richieste di aiuto, non poteva distribuire la tisana. Il programma del governo era così lento nel concedere i permessi che spesso le persone morivano prima di potervi accedere.

Finalmente le venne l’idea luminosa.

Pensò: “Perchè continuare a combattere con le istituzioni per far riconoscere la medicina come una “vera” cura per il cancro? Non era forse questa un semplice the di erbe? Una tisana innocua ed atossica?

Bene si sarebbe venduta come tale. Senza attribuirle nessun merito per la cura del cancro ne per altre malattie. Sarebbe stata venduta nelle erboristerie (che in America e Canada si chiamano “negozi della salute”). La voce si sarebbe presto diffusa tra i malati di cancro.

Illustrò il suo progetto al dott. Brush che ne rimase entusiasta. Egli capì che questa era la chiave per rendere la tisana accessibile a tutti. Decisero insieme di cercare la ditta giusta che potesse garantire un prezzo onesto, una meticolosa, preparazione della formula, un controllo sulla qualità delle erbe utilizzate e la capacità di far fronte alle richieste enormi che sarebbero seguite di lì a qualche anno.

Ci misero sei anni, scartando e selezionando decine di aziende.

Finalmente nel 1992 la bevanda era in vendita prima in Canada, poi negli USA. Nel 1995 Ha fatto la sua prima comparsa in Europa.

Dal Luglio 1996 si trova anche in Italia.

Elaine Alexander è morta nel maggio 1996.

Questa avvincente storia continua.

Forse queste poche pagine potranno salvare la vostra vita o quella di qualcuno che vi sta molto a cuore, fotocopiatele e diffondetele, è
l’unico mezzo pubblicitario che la bevanda dispone. Date il nome della
bevanda ma scrivetelo su altra pagina.


Settembre 1996 

MALATTIE E DISORDINI IN CUI LA TISANA HA DIMOSTRATO DI ESSERE EFFICACE

IPOGLICEMIA

SCLEROSI MULTIPLA

MORBO DI PARKINSON

ARTRITI

SINDROME DA AFFATICAMENTO CRONICO

ULCERA

PROBLEMI ALLA TIROIDE

FIBROMATOSI

EMORROIDI

PROBLEMI URINARI E ALLA PROSTATA

PROBLEMI DI CIRCOLAZIONE

DIABETE, (RISTABILISCE LE NORMALI FUNZIONI DEL PANCREAS)

TUMORI

INSONNIA

PSORIASI

IMPOTENZA SESSUALE

MORBO DI ALZHEIMER

ASMA E ALLERGIE

 

INOLTRE:

1. E un sedativo naturale quindi agisce sul sistema nervoso calmando la persona.

2. Attenua i dolori o addirittura li elimina anche nei casi più gravi.

3. Arresta le emorragie agendo come ricostituente del sangue.

4. Previene e corregge la costipazione.

5. Fa ritornare il senso del gusto.

6. Aiuta la digestione.

7. E’ efficace per l’insonnia.

8. Rinforza il sistema immunitario.

9. E’ un ottimo tonico profilattico.

10. Aiuta a guarire dalle ustioni intestinali provocate dalla radioterapia.

11. Lenisce e previene gli effetti da avvelenamento causato da

alluminio, piombo e mercurio.

12. Riduce i depositi di metallo pesante nei tessuti, in particolare quelli che circondano le giunture.

13. Protegge il cervello dalle tossine che lo attaccano.

14. Dà un senso diffuso di benessere al corpo.

15. Riduce il volume delle masse nodulari


Autore anonimo, tratto probabilmente dal libro “Essiac Project”.

Testo inviato dal dr. Ciro Aurigemma

Immaginazione ed oltretomba - Se l'Aldilà esiste ha il colore di tutte le religioni



Malgrado una serie di evidenti differenze dottrinali, tutte le religioni condividono un principio fondamentale: gli esseri umani sono immortali ed il loro spirito proviene da una dimensione divina dove è dato loro di fare ritorno.

Fin dalle prime forme di espressione "spirituale", fu questa la grande
promessa e speranza offerta dalle grandi religioni ai rispettivi
fedeli. La risposta eterna del credente al "cinismo" dei materialisti
che affermano che la morte sia la fine.

Gli antropologi possono solo teorizzare che i primi homo sapiens
(30.000 a.C.) praticassero sepolture rituali di tipo religioso. La
cosa certa è che seppellissero i loro defunti con cura, corredando le
tombe con alimenti, armi e manufatti di vario genere. Anche i
neanderthal (100'000 a.C.) includevano cibo, utensili in pietra,
conchiglie e decorazioni nelle tombe dei loro defunti, spesso
ricoprendoli con un pigmento rosso. Poiché non esistono testimonianze
scritte circa lo scopo di simili usanze funerarie (la scrittura si
sviluppò intorno al quarto millennio a.C.), possiamo presumere che il
corredo funerario fosse motivato dalla credenza che la morte non fosse
la fine. Il membro defunto della tribù o del clan aveva bisogno di
cibo e protezione affinché il suo viaggio nell'oltretomba fosse il più
comodo e sicuro possibile. In qualche modo era dato per scontato che
qualcosa della persona sopravvivesse alla morte.

Tale componente umana in grado di sopravvivere alla morte è nota nel
Cristianesimo, nell'Islam e nell'Ebraismo con il nome di anima,
ovverosia l'essenza della singola persona chiamata a rispondere delle
proprie azioni terrene. L'Induismo percepisce questa essenza
spirituale come la porzione divina di ogni essere vivente, l'Atman,
che è eterno e persegue il ricongiungimento con l'Anima Universale, o
Brahman. Il Buddismo insegna che un individuo non è che una
combinazione transitoria di cinque aggregati (skandha): materia,
sensazione, percezione, predisposizione, e coscienza, e che dunque non
sia in possesso di un'anima eterna. Tra i principali credo, solo il
Buddismo non concepisce una componente metafisica eterna che
sopravviva alla morte. Ad ogni modo tutti i credo sono concordi nel
ritenere che dopo l'abbandono del corpo fisico lo spirito passi ad
un'altro stato di esistenza. Alcuni sostengono che ascenda in un
paradiso o discenda in un inferno. Altri che possa rinascere in un
nuovo corpo oppure confluire nell'eterna unità divina. Il
Cristianesimo originario, l'Islam e l'Ebraismo concordano nel
prevedere la resurrezione del corpo fisico, che avrà luogo nel giorno
del Giudizio Universale. In linea generale comunque l'anima è
considerata di maggior rilevanza rispetto al corpo da essa 'occupato'
durante l'esistenza terrena. Il gusciomateriale in cui l'anima dimora
non è che l'argilla o cenere in cui Dio ha infuso il soffio della
vita. Il corpo fisico è qualcosa che l'essere umano ha, non ciò che è.

Tutte le principali religioni sostengono che le azioni commesse
durante l'esistenza terrena influiscano sul destino dell'anima dopo la
morte fisica. Molti insegnamenti affermano che l'unica ragione della
nascita nel mondo materiale sia la preparazione dell'anima all'accesso
ai mondi immateriali. Il modo in cui l'anima risponde alle sfide
presentate dalla vita sulla Terra determina come sarà trattata dopo la
morte del corpo. Ogni seme piantato nella vita terrena, sia buono che
cattivo, produce i suoi frutti nella vita ultraterrena.

Dopo la morte fisica - secondo molti credo - l'anima sarebbe
giudicata, e poi condotta in un 'luogo' percepito come una dimensione
di eterno benessere o di eterna sofferenza. Gli induisti ed i
buddhisti prevedono di incontrare Yama, il dio dei morti. Nelle
scritture induiste Yama controlla l'accesso ai regni luminosi, e la
sua decisione può essere influenzata mediante le offerte votive di
parenti e amici del defunto. Nella tradizione buddista Yama è il
signore dell'inferno che valuta la punizione secondo il karma di ogni
individuo, la causa e l'effetto delle sue azioni sulla Terra. In
entrambe i miti Yama non è paragonabile al Satana della fede
cristiana, in quanto quest'ultimo è il creatore del male e
l'istigatore delle debolezze umane.

Cristianesimo, Islam ed Ebraismo sembrano fare confusione circa il
concetto di paradiso e inferno, dato che al contempo profetizzano un
'giorno del giudizio' in cui i morti risorgeranno fisicamente. E
quando la Chiesa cattolica aggiunse la dottrina del purgatorio, nel
XVI secolo, la questione si fece ancora più complessa perché da quel
momento alcune anime avrebbero avuto la possibilità di espiare i loro
peccati soggiornando in una sorta di zona intermedia tra il paradiso e
l'inferno. Mentre molti cristiani, ebrei e musulmani ritengono che i
morti attendano il Giorno del Giudizio nelle loro tombe fisiche, altre
correnti di pensiero delle stesse fedi sostengono che il giudizio sia
pronunciato subito dopo la morte. Allo stesso modo, il concetto di
Mondo a Venirenegli scritti ebraici può riferirsi ad un futuro di
riscatto edenico che avrà luogo sulla Terra.

BUDDHISMO

Mentre i testi scritti buddhisti contemplano l'esistenza di un se
individuale che distingue una persona da un'altra, la tradizione orale
sostiene che il concetto di anima eterna metafisica delle dottrine
cristiana, induista, ebraica e mussulmana, sia impreciso.Secondo i
buddhisti la persona umana non è che un temporaneo assemblaggio di
diversi elementi fisici e psichici, e nessuno di essi può essere
isolato e associato al se essenziale; nemmeno la somma delle parti.
Tutta la realtà è in uno stato costante di cambiamento e decadimento.
Poiché un essere umano è composto da vari elementi che si trovano in
un continuo stato di flusso che li dissolve e ricompone in nuove
forme, è impossibile pensare che un individuo conservi la stessa
anima-se per l'eternità. Anziché insegnare il concetto di Atman
riscontrabile nei loro scritti, gli insegnamenti orali buddisti
insegnano il concetto di anatman, cioè 'non-se.'

Benché il Buddha (567-487 a.C.) negasse il concetto induista di un se
immortale, accettò le dottrine del karma (la legge del rapporto tra
causa ed effetto che permea l'esistenza materiale) e del samsara
(rinascita). Ma se aveva riconosciuto il concetto di rinascita, come
faceva a negare l'esistenza di un se essenziale o un'anima? In che
senso intendeva il concetto di rinascita? La risposta buddista è
difficile da comprendere; il riassemblaggio delle parti in questo
processo di continuo cambiamento - infatti - non avverrebbe per caso.
Le leggi karmiche determinano la natura della rinascita di una
persona. Numerosi aspetti che compongono un essere umano funzionante
durante il suo ciclo di vita entrano a far parte del santana, la
'catena dell'essere,' i cui anelli sono collegati dalla legge di causa
ed effetto. Mentre non esiste alcun Atman o se individuale che possa
reincarnarsi, il 'se contingente' che esiste di momento in momento,
costituito da aggregati impregnati degli effetti del karma, ha il
potenziale per rinascere ancora e ancora. Poiché gli aggregati di ogni
persona sono il frutto delle sue azioni e dei suoi desideri, l'evento
della morte innesca una 'conseguenza' collegata a tali aggregati, che
li costringe a manifestarsi ancora nel ciclo infinito del karma. Il
dharma, cioè il complesso di leggi fisiche e morali che governa
l'universo, fluttua e modifica in continuazione ogni aspetto umano.
Istruito dal karma, il dharma riorganizza il processo di rinascita per
formare un nuovo individuo.

Nel suo primo sermone: La Nobile Verità della Sofferenza (Dukha) il
Buddha espone le sue opinioni sugli aggregati che costituiscono la
condizione umana:
"La Nobile Verità della Sofferenza è questa:
nascere è sofferenza; invecchiare è sofferenza; la malattia è
sofferenza; la morte è sofferenza; il dolore, il lamento, la
disperazione sono sofferenza; l'associazione allo spiacevole è
sofferenza, la dissociazione dal piacevole è sofferenza; non ottenere
ciò che si vuole è sofferenza. In breve, i cinque aggregati
dell'attaccamento sono sofferenza."
Il consiglio dato dal Buddha a coloro che intendano superare le leggi
karmiche della morte e della rinascita è quello di vivere una vita
religiosa contemplativa:
Gli uomini che non hanno condotto un'esistenza religiosa e che non
hanno accumulato molti tesori in gioventù, periscono come vecchi
aironi in un lago senza pesci.
Dhammapada 155: 56
Tale consiglio ricorda le parole di Gesù in Matteo 6: 19-21 quando
ammonisce coloro che spendono energie per accumulare tesori sulla
terra, dove tignola e ruggine consumano e dove i ladri scassinano e
rubano, piuttosto che accumulare tesori in cielo, dove né tignola né
ruggine possono consumare e dove i ladri non scassinano e non rubano.
'Perché dov'è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.'

Il Dharma è il percorso che conduce verso il fine ultimo del Nirvana,
che gli insegnamenti buddhisti descrivono come la definitiva
estinzione del desiderio di esistere, o un elevato livello di
esperienza mistica raggiunto tramite meditazione o trance. Esso non
significa mai il completo annientamento del se, ma solo
l'annientamento del desiderio di rinascere. Il più delle volte il
Nirvana vuole indicare uno stato mutato di coscienza capace di
concepire una realtà che sia indipendente del mondo materiale.

Quando il desiderio di continuare l'esistenza in forma carnale è stato
spento, e "quando un figlio del Buddha compie il suo percorso, nel
mondo a venire, viene Buddha." Raggiungere lo stato di 'buddhità'
equivale a realizzare il Brahma induista, l'Assoluto, il Definitivo.
Una volta raggiunti tali livelli di coscienza si ritiene che
l'individuo si liberi per sempre dalla realtà fisica e torni a
fondersi con la realtà eterna.

Esistono molte scuole di Buddhismo, ed è difficile trovare uniformità
circa il concetto di vita dopo la morte. Il Libro dei Morti del
Buddismo tibetano ci fornisce una fonte importante per la comprensione
del loro concetto di viaggio dell'anima nell'aldilà. Unlama
(sacerdote) siede al lato del defunto e recita le parole del libro.
Tale rituale è pensato per semplificare il rilascio del Bla, la forza
vitale all'interno del corpo, e infonderle il potere di intraprendere
un viaggio di 49 giorni attraverso la fase intermedia tra la morte e
la successiva rinascita. Tale lettura effettuata dal sacerdote al
capezzale del defunto potrebbe includere le seguenti parole del Libro
Tibetano dei Morti:
"Dal momento che [non] possiedi un corpo materiale di carne e di
sangue, tutto ciò che potrai incontrare sotto forma di suoni, luci o
raggi è - in tutti e tre i casi - incapace di farti del male; sei
incapace di morire. Ti basti sapere che queste apparizioni sono le tue
forme-pensiero. Prendi atto che questo sia il bardo [lo stato
intermedio dopo la morte]."
Se non è prevista alcuna rinascita per l'anima, appare Yama, dio dei
morti che la dovrà giudicare. Sia il buddismo che l'induismo collocano
Yama, dio dei morti, nel ruolo di giudice nell'aldilà, e questi passi
del Rig-Veda raffigurano la speciale venerazione dedicata a Yama:
"Yama fu il primo a trovarci una dimora, un luogo che non può essere
portato via, un luogo da cui i nostri antichi padri si sono
allontanati; coloro che nascono sono destinati a farvi ritorno,
percorrendo il cammino a ritroso. Ad incontrare i Padri, a incontrare
Yama, ad incontrare la realizzazione del più elevato dei desideri;
mollare gli ormeggi delle imperfezioni, ritrovare la dimora e riunirsi
ad essa come un unico corpo brillante."
CRISTIANESIMO

Il nucleo del credo cristiano è la fede nella risurrezione di Gesù
avvenuta dopo la sua morte in croce e la promessa della vita eterna a
coloro i quali accettino la sua Divinità e credano in lui. Dato che il
Cristianesimo deriva dal giudaismo, gli insegnamenti di Gesù
tramandati dai Vangeli riflettono molte delle credenze ebraiche in
merito all'anima e alla vita dopo la morte, prima tra tutte la
prospettiva di un ricongiungimento del corpo con l'anima in un
'prossimo mondo.'

La storia dell'apparizione di Gesù ai propri apostoli dopo la
risurrezione narra di come essi presero atto della sua reale
risurrezione fisica. Anche lo scettico Tommaso credette, dopo avere
toccato con mano le ferite ancora fresche della crocifissione. "Uno
spirito non ha carne e ossa, ma io le ho", dice loro Gesù. Poi, per
sottolineare la sua fisicità, domanda loro se hanno qualcosa da
mangiare.

Paolo (? - 68 d.C.), apostolo un tempo accanito persecutore dei
cristiani, ricevette la rivelazione dalla voce di Gesù emessa da una
luce accecante, mentre era in viaggio sulla via di Damasco. Quando
predicò ad Atene, la sua missione evangelica andò in conflitto con la
necessità di persuadere la gente a credere nella risurrezione fisica.
I cittadini ateniesi ascoltarono educatamente il suo annuncio di una
nuova fede, ma iniziarono a schernirlo e ad allontanarsi quando iniziò
a parlare di risurrezione fisica. Quella gente era cresciuta sotto
l'influenza culturale della filosofia platonica, secondo cui il corpo
sia in realtà una prigione da cui l'anima si libera con la morte, e
l'idea di risurrezione carnale risultava loro ripugnante. Paolo però
non si diede per vinto. La sua cultura ellenica lo condusse a compiere
un'opera di sincretismo mediante cui riuscì a conciliare la teologia
della risurrezione fisica tramandata dai compagni apostoli, e il punto
di vista platonico dell'anima diffuso nella società greca.

Paolo sapeva che Platone aveva descritto l'anima come composta da tre
elementi: ilnous, (l'anima razionale, immortale e temporaneamente
incarnata in un corpo fisico); ilthumos (passione, cuore, spirito); e
l'epithumetikos (desiderio). Dopo mille difficoltà Paolo elaborò una
dottrina che prevedeva che la natura umana fosse composta da tre
elementi essenziali: il corpo fisico; la psiche (il principio vitale,
equivalente al concetto ebraico del nefesh), e lo pneuma, spirito, o
se interiore. Sviluppando ulteriormente il suo pensiero distinse poi
tra il 'corpo naturale' di una persona vivente che muore e viene
sepolta, e il 'corpo spirituale', destinato a risorgere.

Nei Corinzi 15: 35-44, Paolo scrive:
"Qualcuno chiede: 'Come risuscitano i morti? Con quale corpo
verranno?' Stolto! Ciò che tu semini non prende vita se prima non
muore. E ciò che è seminato non è il corpo, ma un semplice chicco. ...
E' Dio che gli dona un corpo come Egli ha scelto, e ad ogni tipo di
seme, il proprio corpo. Esistono corpi celesti e corpi terrestri; ma
la gloria dei corpi celesti è una cosa, e la gloria dei corpi
terrestri è un'altra cosa. ... Così è con la risurrezione dai morti.
Ciò che è seminato e corruttibile, risorge incorruttibile. Ciò che è
seminato ignobile, risorge nella gloria. Ciò che è seminato debole,
risorge potente. Si semina un corpo fisico, si raccoglie un corpo
spirituale. Se c'è un corpo fisico, c'è anche un corpo spirituale."
L'opera di conciliazione della dottrina platonica con quella ebraica
gli consentì di convertire migliaia di persone, tuttavia Paolo non
abbandonò mai completamente il concetto ebraico di una qualche forma
di aldilà vissuta in forma fisica. Paolo ed i suoi compagni missionari
del I secolo insegnarono che mentre l'anima immortale era l'aspetto
essenziale dell'esistenza di una persona al fine di una corretta vita
ultraterrena, sarebbe giunto il giorno del giudizio, in cui i giusti
sarebbero stati ricompensati con la risurrezione del corpo.

I primi reggenti della Chiesa cattolica plasmarono sempre più spesso
la dottrina cristiana sui concetti della filosofia metafisica di
Platone, ma tra le due dottrine vi fu sempre divisione circa la
particolare natura dell'anima immortale. Per i platonici l'anima è
qualcosa di sovra-individuale, facente parte di un'anima cosmica
universale diretta verso l'Unità con il Divino. I filosofi cristiani
non transigono dalla posizione per cui ogni anima è creata da Dio per
essere immortale e individuale. Tra di essi Tertulliano (160 d.C - 220
d.C.) definì l'anima come qualcosa nata direttamente dal soffio di
Dio, dunque immortale. Dal punto di vista platonico il corpo non è che
uno strumento usato dall'anima. Lo studioso alessandrino Origene (185
d.C. - 254 d.C.) teorizzò che in principio Dio abbia creato un certo
numero di entità spirituali a cui abbia donato organi fisici o corpi
spirituali commisurati ai rispettivi meriti. Alcuni potrebbero
definirsi umani mentre altri - in base al loro comportamento - furono
elevati allo stato angelico, e altri relegati al ruolo di demoni.

Tale concetto di preesistenza delle anime era troppo adiacente a
quello direincarnazione per i dotti studiosi cristiani riuniti presso
il primo Concilio di Costantinopoli nel 543. Da allora, la dottrina
della Chiesa aveva decretato che ad ogni anima fosse dato di vivere
una sola vita per poi attendere il giorno del giudizio, quando Gesù
Cristo sarebbe ritornato sulla Terra. Nonostante il suo prestigio come
padre della chiesa, Origene e la sua dottrina furono giudicati
eretici. L'opinione prevalente della chiesa paleocristiana era quella
formulata da Girolamo (342 d.C. - 420 d.C.), che prevedeva la
creazione di una nuova anima da parte di Dio a ogni nuova
nascita.Concetto rimasto sostanzialmente invariato nel Cristianesimo
contemporaneo. Nella dottrina cristiana l'anima è superiore al corpo
data la sua origine divina ed essenza immortale, ma la fede nella
risurrezione del corpo fisico resta un aspetto essenziale.

Nel capitolo 25 di Matteo, Gesù narra la parabola del Figlio dell'uomo
che giungerà a sedersi sul suo trono, circondato dalle genti di tutte
le nazioni per separarle come il pastore separa le pecore dai capri.
Le persone che avranno amato il loro prossimo come se stessi saranno
ricompensate con la vita eterna, ma chi avrà scelto l'avidità e
l'interesse personale subirà un eterno supplizio. In Atti 17:31, si
afferma che Dio abbia nominato Gesù per giudicare il mondo.

Per la tradizione cristiana il cielo è l'eterna dimora di Dio e degli
esseri angelici che lo hanno servito fedelmente fin dall'inizio. Lì, i
cristiani che sono stati redenti mediante la fede in Gesù come il
Cristo saranno al suo fianco nella gloria eterna. I cristiani liberali
riconoscono che, come Gesù ha affermato, ci sono molte dimore nel
regno del Padre; dimore dove possono abitare i credenti di altre fedi.

L'Inferno, nel pensiero cattolico tradizionale, è un luogo di tormento
eterno per coloro i quali saranno condannati alla dannazione dopo il
Giudizio. E' generalmente raffigurato come un pozzo di fiamme, simile
allo Sheol ebraico e all'Ade ellenico. La Chiesa di Roma continua a
descrivere l'inferno come uno stato di infinita pena riservato
all'impenitente, ma più di cinque secoli fa, i Consigli di Firenze
(1439) e di Trento (1545-63) introdussero il concetto di Purgatorio,
uno stato intermedio durante il quale le anime possono espiare alcuni
peccati. I famigliari devoti possono offrire preghiere e oblazioni
attraverso cui aiutare le anime del purgatorio a espiare i peccati
terreni e restaurare la loro unione con Dio.

Il cristianesimo protestante non offre ai propri fedeli le opportunità
di riscatto del purgatorio, ma ha rimosso gran parte della paura
dell'inferno per concentrarsi soprattutto sulla grazia e la fede.
Mentre i protestanti ortodossi conservano il punto di vista
tradizionale del paradiso e dell'inferno, molti pastori protestanti
moderni ritengono che l'idea di un luogo di tormento eterno riservato
ad anime dannate sia incompatibile con il concetto di un Dio amorevole
e compassionevole. L'inferno è stato trasformato in una dolorosa
condizione di lontananza da Dio. Per i teologi cristiani liberali
l'intero concetto di un luogo di dannazione eterno è stato sconfessato
dall'amore di Gesù verso l'umanità.

INDUISMO

Nel testo religioso indiano: Bhagavad Gita (Canto del Signore), la
natura dell'anima è definita come segue: "Mai è nata, e mai muore, e
dopo essere stata portata in essere, tornerà in essere. Il mai nato,
il permanente, l'eterno, l'antico, non muore quando il corpo muore."

La collezione più antica di inni in sanscrito è il Rig-Veda, risalente
a circa il 1.400 a.C. Fu composto dai popoli che invasero la valle
dell'Indo nel 1.500 a.C. I primi inni vedici sono associati  in
particolare ai rituali funebri e descrivono l'individuo come composto
da tre entità separate: il corpo, l'asu (principio di vita), e il
manas (sede della mente, della volontà, delle emozioni). L'asu e il
manas non possono però considerarsi come qualcosa di equivalente al se
essenziale, all'anima. L'elemento che sopravvive alla morte fisica è
qualcos'altro: una sorta di miniatura della persona defunta, che
risiede all'interno del corpo, vicino al cuore.

Tra il 600 a.C. ed il 480 a.C, una serie di scritti conosciuti come
Upanishad introdusserole dottrine complementari del samsara (la
reincarnazione) e del karma (la legge di causa ed effetto che governa
il corso della vita di ogni individuo). Un individuo può influire
direttamente sul proprio karma nel mondo della materia. Attraverso il
modo in cui affronta le difficoltà insite in un'esistenza vincolata
dal tempo e dallo spazio esso determina la forma della sua prossima
incarnazione terrena. Oggetto delle due dottrine è l'Atman, o se, cioè
l'essenza della persona che contiene il soffio divino della vita. Pur
essendo "più piccolo di un chicco di riso" l'Atman è collegato alla
grande anima cosmica, principio divino detto Brahma. Quando occupa un
corpo fisico l'Atman è vittimadell'avidya, un velo di profonda
ignoranza che impedisce all'Atman di ricordare la sua vera natura di
porzione del Brahma e lo imprigiona nei processi del karma e del
samsara. L'avidya produce l'illusione di maya che induce ogni Atman a
confondere il mondo materiale con il mondo reale. Vivendo imprigionato
in questa illusionel'individuo accumula karma e per lui diventa sempre
più arduo riuscire a districarsi dal processo interminabile del
samsara, la ruota dell'esistenza fisica con il suo susseguirsi di
nuove vite e morti.

Il passaggio dell'anima da questo mondo al prossimo è descritto nel
Brihadarankyaka Upanishad:
"Il Se sognando gode dei piaceri dei sensi, va di qua e di là, vive il
bene e il male, e poi ritorna allo stato di veglia. Proprio come un
essere umano passa dal sogno alla veglia, così il Se passa da questa
vita all'altra... Poi il punto nel suo cuore dove i nervi si uniscono
è illuminato dalla luce del Se, e attraverso quella luce il Se lascia
il corpo fisico attraverso l'occhio, o l'apertura del cranio, o altre
aperture del corpo... Il Se resta cosciente e il moribondo torna alla
sua dimora consapevolmente. Le azioni compiute in questa vita e la
impressioni che hanno lasciato dietro di loro, lo seguono. Come un
bruco che dopo avere raggiunto la punta di uno stelo d'erba, afferra
un'altro stelo e si porta su di esso, così il Se, dopo aver lasciato
il corpo afferra un altro corpo e si porta in esso."
Entro il terzo secolo a.C. l'Induismo adottò diffusamente una visione
del mondo ciclica fatta di perpetue rinascite in cui i precedenti
concetti di paradiso e inferno, di un aldilà strutturato come un
sistema di premi e punizioni, furono sostituiti da soggiorni
temporanei sperimentati negli intervalli tra le esistenze fisiche.
La cosmologia induista raffigura tre lokas: i regni celesti, la terra
e gli inferi, a loro volta composti da 14 sottolivelli rappresentanti
diverse gradazioni di sofferenza o felicità, i quali attendono l'anima
negli intervalli tra le esistenze fisiche. Sette di questi lokas
sorgono sopra la Terra e sette sotto di essa. Secondo il grande
maestro induista Sankara, vissuto nell'IX secolo, e la scuola Advaita
Vedanata, l'obiettivo finale dell'odissea dell'anima è la moksa, cioè
la completa liberazione dal samsara, il ciclo delle rinascite, così da
poter raggiungere il Nirvana, l'unione finale dell'Atman con il divino
Brahma. Nell'XI secolo Ramanjua e la scuola Visitadvaita descrissero
il Nirvana come la completa unità dell'anima individuale con Dio.

Negli ultimi secoli prima dell'era volgare ebbe molta diffusione in
India una forma di induismo nota come Bhakti, la quale prevede
l'instaurazione di un rapporto amorevole basato sulla grazia tra Dio e
il devoto. I credenti che si sono preparati coltivando un
atteggiamento di amore, hanno studiato le Scritture e hanno onorato il
Signore Krishna possono liberarsi dal samsara. La vita eterna è
concessa ai devoti che al momento della morte dedicano ogni pensiero
al Signore Krishna.

ISLAM

L'islam descrive l'essere umano come una creatura composta di spirito e corpo.
La creazione di Adamo descritta nel Corano ricalca quella della Genesi
giudaico-cristiana, per cui il Signore annuncia agli angeli di creare
un essere di argilla in cui infondere il suo spirito vitale.
"Egli creò l'uomo dall'argilla, (...) e infuse il suo spirito in lui."
Corano 32: 8-9
Maometto (570 d.C. - 632 d.C.) pur considerando l'anima come il se
essenziale di un essere umano, aderiva alla tradizione
giudaico-cristiana, che ritiene il corpo fisico elemento della vita
ultraterrena. Il nome dell'anima indipendente nell'Islam è nafs; essa
è simile alla psiche ellenica, mentre il nome dell'elemento animico
che conferisce agli esseri umani la loro dignità e li eleva al di
sopra degli animali è ruh, equivalente al nous platonico. Tali due
aspetti dell'anima comprendono sia l'elevato che l'infimo, sia l'umano
che il divino.

Come nelle altre grandi religioni, anche secondo l'Islam il tipo di
vita condotto sulla Terra influisce sul destino ultraterreno
dell'anima, e ci sono promesse di un paradiso e moniti circa un luogo
di tormento. Il Corano 57:20 contiene un avvertimento circa la natura
transitoria della vita sulla Terra e un promemoria delle due possibili
destinazioni che attendono l'anima dopo la morte:
"Sappiate che la vita terrena non è che uno sport, un diversivo, un
orpello (...) E' come una pioggia che crea una vegetazione che piace
ai miscredenti, ma poi appassisce. (...) Amare la vita presente è come
gioire del delirio."
Maometto parla del Giudizio, dopo cui avrà luogo la risurrezione dei
defunti che comporterà beatitudine eterna ai giusti e tormenti ai
malvagi. Il giudizio sarà individuale. Nessuna anima sarà in grado di
aiutare un amico o un familiare; nessuna anima potrà intercedere in
favore di un'altra anima.

La dottrina della risurrezione del corpo non è mai stata abbandonata
dal credo mussulmano, sebbene successivamente alcuni studiosi del
Corano cercarono di definire l'anima in termini più metafisici, e
prese forma la convinzione della preesistenza delle anime. In questa
visione, Allah conserva un tesoro di anime in paradiso, e le invia ad
incarnarsi sulla Terra.

Il paradiso islamico è per molti versi un'estensione del mitico
Giardino dell'Eden biblico.E' un posto meraviglioso pieno di alberi,
fiori e frutti, ma in realtà questa è solo un'immagine semplificata in
quanto esso non può essere descritto in termini umani.
"Tutti coloro che obbediscono a Dio e all'Apostolo sono in compagnia
di coloro sui quali è la grazia di Dio, profeti che insegnano, sinceri
amanti della Verità, testimoni [martiri] che testimoniano, e giusti
che fanno del bene: Ah! Che splendida compagnia!"
Corano 4:69
L'inferno è un luogo di tormento iconograficamente simile a quello
descritto da molti cristiani, cioè fiamme e schiavitù. Negli
insegnamenti islamici né il paradiso né l'inferno sono eterni.
L'infinito appartiene solo ad Allah, e probabilmente esistono vari
livelli paradisiaci e infernali.

GIUDAISMO
"Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò
nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente"
Genesi 2 : 7
Nel secondo capitolo della Genesi, il Signore, Dio di Israele, plasma
Adamo dall'argilla, poi infonde in lui il 'respiro della vita', in
modo che diventi Adam nephesh, o 'anima vivente.'

Interessante notare come il Signore doni il soffio della vita anche
agli animali che popolarono il Giardino dell'Eden. Il nephesh è come
il sangue, una sostanza vitale scaricata dal corpo dopo la morte, che
nella tradizione ebraica alimenta la dottrina secondo cui una persona
vivente sia un'entità composita fatta di carne e nephesh, cioè
'anima.' "Il corpo è l'involucro dell'anima", afferma il Talmud,
Sinedrio 108a.

I primi Ebrei ritenevano che dopo la morte l'anima discendesse negli
inferi, un luogo nelle profondità della Terra dove gli spiriti dei
morti erano consegnati alla polvere e all'oscurità.
"Tutti vanno in un luogo, tutti vengono dalla polvere, e ritornano alla polvere"
Ecclesiaste 3:20
Con la scrittura del libro di Daniele circa nel 165 a.C., si diffuse
la convinzione che i morti sarebbero risorti per essere giudicati:
"Molti di coloro che giacciono morti nel terreno risorgeranno dalla
morte. Ad alcuni sarà data vita eterna, e altri riceveranno eterna
vergogna e disonore. Ogni persona saggia brillerà luminosa come il
cielo, e coloro che avranno condotto altri a piacere a Dio brilleranno
come le stelle."
Daniele 12: 2-4
Mentre i versetti di Daniele sono i soli nell'intero complesso delle
sacre scritture ebraiche che menzionano specificamente la vita
ultraterrena dell'anima, il tema è molto discusso nella letteratura
rabbinica, nella Kabbalah e nel folklore ebraico. In generale, si
ritiene che l'anima abbia le proprie radici nel mondo del divino, e
che dopo la morte fisica del corpo essa ritorni al luogo della sua
origine spirituale. Alcuni pensatori ebrei si riferiscono alla
permanenza dell'anima sulla Terra come a una sorta di esilio fino alla
riunione con Dio.

Dal secondo secolo d.C. molti insegnanti ebrei entrarono in contatto
con la filosofia ellenica ed il concetto di anima come se essenziale
che esiste prima del corpo terreno e sopravvive alla morte fisica. Le
antiche tradizioni secondo cui l'esistenza nell'aldilà contempli anche
un elemento fisico, furono preservate.

Con l'evoluzione del pensiero ebraico circa la vita dopo la morte, si
sviluppò una scuola di pensiero che sosteneva che durante la venuta
del messia Dio avrebbe risuscitato i morti e li avrebbe giudicati,
premiando i giusti e punendo i malvagi. Tale risurrezione avrebbe
avuto luogo per le persone che avessero voluto possedere sia il corpo
fisico che quello spirituale. Il concetto quindi supportò la
tradizionale filosofia secondo cui corpo ed anima siano unici ed
inscindibili, contrario all'idea che un'anima eterna abiti
temporaneamente un corpo mortale. Più spesso, però, i riferimenti ad
un giudizio dei morti nel giudaismo si rispecchiano nella scena
descritta nel settimo capitolo del libro di Daniele, in cui l'Antico
dei Giorni apre i libri della vita e giudica i regni della terra, non
i singoli individui.

Secondo alcuni circoli di pensiero ebraico la risurrezione dei morti
avrà luogo durante il Giorno del Giudizio, con la venuta del Messia.
In quel fatidico giorno, Israele e le nazioni gentili saranno
convocate nel Luogo del Giudizio dal suono del grande shofar (corno di
montone, trombe del giudizio) il quale risveglierà il popolo dal suo
sonno spirituale. Tornerà il profeta Elia il quale farà in modo di
riconciliare le famiglie che si sono allontanate. Il giorno in cui il
Signore giudicherà sarà "buio, molto buio, senza un raggio di luce"
(Amos 5,20). Coloro che avranno vissuto esistenze rette in alleanza
con Dio saranno accolti nel paradiso celeste. Coloro che saranno
giudicati meritevoli di punizione per i loro misfatti saranno condotti
al Gehenna, ove resteranno per un periodo di tempo commisurato con la
gravità delle loro trasgressioni.




Sintesi di un saggio pubblicato sul sito: Unexplained Stuff


http://www.unexplainedstuff.com/Afterlife-Mysteries/How-the-Major-Religions-View-the-Afterlife.html

Traduzione a cura di Anticorpi.info
http://www.anticorpi.info/2015/02/laldila-secondo-le-grandi-religioni.html
http://informazioneconsapevole.blogspot.de/2015/02/laldila-secondo-le-grandi-religioni.html

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Integrazione commento pervenuto via email da Giorgio Vitali


Considerazioni molto interessanti che, a mio avviso, VANNO INTEGRATE CON ALCUNI ASPETTI ATTUALI, legati alle nuove acquisizioni in merito.
Intanto occorre chiedersi come possa essere nato e poi diffuso, sempre in una prospettiva evoluzionistica, l'idea di SPIRITO VITALE, Anima o altro (ma tutte parole con lo stesso significato). In una prospettiva anti-evoluzionistica si dovrebbe giungere ad altre conclusioni che al momento NON prendiamo in considerazione.
Si tratta quindi della banale e costante osservazione che, all'atto del MORIRE, il moriente emette il cosiddetto ULTIMO RESPIRO. Emette, cioè un lungo atto espirativo che noi sappiamo oggi consistere nello svuotamento dei polmoni, come una sacca di ZAMPOGNA che venga svuotata del residuo di aria per essere riposta nello zaino dello zampognaro. QUESTA è L'ANIMA PERCHé L'ATTO DEL MORIRE CORRISPONDE ALLA PERDITA-ALLONTANAMENTO DELL'ANIMA CHE SE NE VA PASSEGGIANDO...DOVE?...nei Cieli, ovviamente. 
L'altro aspetto che qui occorre prendere in considerazione è il CONCETTO DELL'ESISTENZA DOPO LA MORTE. E per questo possiamo riferirci intanto al LIBRO TIBETANO DEI MORTI, già ampiamente illustrato dal nostro grande Giuseppe Tucci. Si tratta di un complesso di pensieri, atti e riti che testimoniano una diffusa, in certe culture, modalità di riferimento alla MORIENZA ed al POST-MORTEM. E qui intervengono i dati esperienziali di recente acquisizione scientifica relativi a tutte le forme di pre-morienza, di morte apparente e quant'altro, con forme percettive MOLTO CHIARE che vengono descritte dalle persone RINATE o tornate in vita DOPO periodi più o meno lunghi di ASSENZA DI MANIFESTAZIONI TANGIBILI DI VITA. Di grande successo sono stati i libri di alcuni medici anestesisti che hanno riportato centinaia di testimonianze di loro assistiti che hanno vissuto questa esperienza. Io stesso ho conosciuto una persona che ha vissuto questo STATO-MODALITA' di esistenza e che mi disse di NON aver più paura di morire. Ho anche assistito a prove di regressione attraverso l'ipnosi, prove che, ancorché non spiegate nel loro generarsi, dimostrano tuttavia un quid di indubbia verità. Queste conoscenze, relativamente nuove, si possono considerare frutto di verifica scientifica, che però conferma quanto la cultura indiana conosceva da tempo immemorabile. Infatti il noto scrittore di cultura INDI, Yogi Ramacharacha, aveva pubblicato un libro intitolato LA VITA DOPO LA MORTE, che fu tradotto in Italia ai primi del novecento dalle edizioni Bocca. ( Libro che lessi in giovane età, mi impressionò notevolmente, e mi è servito per confermare le esperienze narrate dagli anestesisti che hanno avuto un grande successo letterario con l'esposizione delle loro esperienze).
pertanto, l'idea della esistenza dopo la morte può essersi generata e diffusa dai racconti di persone che fin dalla preistoria, hanno narrato le loro esperienze. Naturalmente, questi racconti sono stati filtrati, nei millenni, dalle culture specifiche fino a diventare mitologie. Le mitologie che conosciamo. In questo ambito va preso in considerazione l'interessante libro di Giovanni Luigi Manco, ERCOLE, IL BUDDAH MITOLOGICO, edito dalle Edizioni RENUDO. che è stato presentato recentemente per l'interessamento della instancabile Giovanna Canzano. Di nostro aggiungiamo che Ercole è prefigurazione del mito di Cristo, per tutta una serie di eventi ( soprattutto le 12 fatiche, culminate con la discesa agli inferi). Diciamo prefigurazione nel senso che lo SCHEMA del MITO è sempre più o meno lo stesso e viene applicato SISTEMATICAMENTE a tutti i personaggi che, essendo vissuti REALMENTE, o essendo pure creazioni del pensiero ( Il pensiero che, platonicamente, si fa carne) necessariamente vivono alcune vicissitudini comuni. In conclusione, e proprio per confermare quanto il cattolicesimo abbia sempre avuto la precisa percezione della eterna continuità dei PROPRI MITI, è necessario citare un gesuita del seicento il quale, protervamente, dichiarò più meno così: pereant qui, ante nos, dixerunt quod nos dicimus. 
Cioé: muoiano coloro che prima di noi hanno detto ciò che noi oggi diciamo. Un altro gesuita si trovò, più o meno nello stesso periodo, a prendersela proprio con Ercole ( Eracle), per aver compiuto, prima di Cristo, gli atti che poi Cristo avrebbe compiuto. 


Georgius Vitalicus nel giorno del compimento del suo settantanovesimo anno di vita.     


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Articolo collegato di diversa visione: 
http://riciclaggiodellamemoria.blogspot.it/2012/12/ashtavakra-samhita-si-diventa-cio-che.html