LE STORIE, LE AVVENTURE, I RICORDI, LA CARRIERA, LA VITA (Nota autobiografica di Paolo D'Arpini)

 

Paolo D'Arpini a Verona, all'età di 15 anni

Dati "bruti" 

Sono nato a Roma, in Via Ariberto da Intimiano, il 23 giugno 1944, da Giustina Tirabosco, originaria di Bagnoli di Sopra,  e da Aldo D'Arpini (probilmente originario da Arpino), nella casa dei miei nonni paterni, dove vissi sino ai primissimi anni '50, poi la mia famiglia si trasferì a Grottaferrata (nei Castelli Romani) fino alla morte di mia madre avvenuta nel 1954. Dopodiche fui relegato nel collegio salesiano di Roma "Sacro Cuore". Dal 1957 seguii mio padre a Verona, dov'egli si risposò con Noemi. Dopo qualche anno mio padre tornò a Roma, ed io con lui, ma per poco, infatti all'età di 15 anni "scappai di casa" e tornai a Verona ove rimasi con alterne vicende sino all'età di 27 o 28 anni circa, poi...



Scrivevo nel Novembre 2007 sul blog del  Circolo Vegetariano VV.TT. di  Calcata:  

"Vivo in una casupola fatiscente sulla rupe esterna di Calcata, vicino al lavatoio ed alla fogna comunale. Non dispongo di alcun reddito se non il soccorrevole, saltuario, sostegno di amici compassionevoli e piccolissimi proventi da attività culturali. Sono soddisfatto della mia condizione, mi sento libero."

Reminiscenze

Volendo però raccontare come tutto ciò è avvenuto debbo fare alcuni passi indietro, sia nel tempo che nel luogo, ed ecco che mi ritrovo nel 1967 in cui nacque a Verona il mio primo figlio, avevo 23 anni. All’anagrafe, mia moglie Evelyne (francese) ed io, lo chiamammo Massimiliano ma in casa egli era Davide. Forse un altro dei miei tentativi inconsci di mascherare e nascondere qualcosa sulle mie origini. Infatti si sospetta che la mia famiglia fosse di origine ebraica, si convertì e cambiò cognome durante il periodo della promulgazione delle leggi razziali del fascismo. Nei miei tratti genetici c’è il vizio –forse- di voler creare confusione sulla mia ascendenza. Ovviamente non sono ebreo, sono stato battezzato con un nome cristiano: Paolo. Eppur ancora recentemente un’amica ascoltando il racconto delle mie origini ha commentato sarcasticamente: “Ah adesso capisco perché sei così… a me gli ebrei non son mai piaciuti”. Ed io -hai voglia a spiegare-: “…ma no, son cristiano, non sono ebreo… anzi sono totalmente laico”. Non mi è sembrato però che le giustificazioni sortissero qualche effetto,  ho così capito com’è profondo il pregiudizio in tanta parte dell’umanità. Ringrazio quindi Dio per questa ennesima lezione. Occorre essere sempre più modesti se si vuole sopravvivere.


Il karma è karma...

Purtroppo nella mia vita non ho mai avuto un dono spiccato per la modestia, ho sempre considerato me stesso e la mia opera come un degno percorso evolutivo. Abitando a Verona avevo già collaborato, nel 1967-68, ad una rivista locale che si chiamava Verona Beat, un cult tipico di quegli anni, ebbi la fortuna di intervistare personaggi tipo Adriana Asti, Gino Bramieri, L’Équipe 84 e compresi subito come fosse facile manipolare la pubblica opinione. Lo scoprii facendo decollare nelle classifiche dei primi dieci complessi beat, fra cui alcuni molto famosi e conosciuti nazionalmente, un fantomatico gruppo da me inventato chiamato “Les Fades” (che significa ‘gli stupidi’ in francese) facendolo quasi arrivare al top ten. Quando i miei amici di Verona Beat scoprirono l’amaro inganno persi il posto al giornale ma ciò mi giovò immensamente giacché potei così dedicarmi alla mia vera passione: la poesia.

Nel 1970 stampai con i tipi a piombo (e pressa manuale) di Gabriel Rummonds (un americano che editava libri d’arte a Verona) il mio primo libricino: “Ten poems and ten reflections”. Su carta gialla quasi filigranata e inchiostro rosso, la copertina, fatta a mano,  era rivestita  in cartoncino avana. Poi passai anche alle poesie visive che esposi in varie gallerie del Veneto, a Verona e Padova, ecc.  ed a Milano nell’atelier della poetessa Vittoria Palazzo.

Nel 1971 Fondai una delle prime associazioni culturali libere, si chiamava “Ex” che voleva dire ‘fuori’ (dagli schemi). La sua sede era in un locale storico in piazzetta San Marco in Foro a Verona, ove sino a poco prima c’era l’ultima vera osteria antica “Da Amelia” in cui si ritrovavano i poeti dialettali e l’intelligenza veronese. Anche in questo caso, con l’aiuto di Lina Boner e Maria Uyttendaele, mi divertii un mondo ad accompagnare il successo di gruppi emergenti come i Gatti di Vicolo Miracoli (ricordo Smaila che suonava per noi quasi tutte le sere) ma anche il santo bevitore Francesco Guccini, Jerry Calà, Massimo Altomare, Checco Loy e tanti artisti poi divenuti celebri che collaborarono con la nostra sala espositiva (in alleanza con la più famosa galleria moderna di Verona, la Ferrari) o che ci allietavano con le loro recite e performance. Tutto si svolgeva in un retro-cantina ben riscaldato su soffici cuscini in polistirolo espanso autoprodotti che spesso avevano buchi causati dalle numerose sigarette che tutti fumavamo. In questa bolgia infernale della cultura stavo attuando un mio desiderio sincretico che però meritava un ulteriore sviluppo.

Fu così che nel 1972, lasciando mia moglie Evelyne, con il mio primo figlio Maximilien, e la mia giovanissima  amante Michi,  incinta,  fuggii  in Africa con l’intento  dichiarato "di fare un servizio fotografico e scrivere un libro". (In realtà ero disperato...).  Il viaggio durò parecchi mesi e mi portò a vagare per tutta l’Africa equatoriale. A piedi o con mezzi di fortuna, con crisi di malaria, con situazioni estremamente imbarazzanti (passavo dal Katanga proprio durante il periodo delle sommosse o da Bangui quando c’era l’imperatore pazzo Bokassa) eppure sempre più pulito nel pensiero, sempre più consapevole del valore della sopravvivenza. Ringrazio -è doveroso farlo- tutte le ambasciate italiane dei vari paesi da me visitati che hanno contribuito con le loro prebende all’esperienza più vera e più sentita di un mio ritorno alle origini fisiche, nella Mamma Africa. Infine, stanco e non sapendo  cos'altro  fare (se non prendere il sole a Malindi e fumare il narghilè) decisi di imbarcarmi per l’India.


Sbarcavo a Bombay il 23 giugno del 1973

Me lo ricordo bene, perché era il mio 29° compleanno.  Da quel giorno non mangiai più carne, ma senza specificatamente deciderlo, e da quel giorno scoprii ciò che avevo sempre sospettato potesse esistere: essere se stessi. Accadde farfugliando parole senza senso dinanzi al mio Guru Muktananda che fui toccato dallo Spirito.

Nel frattempo (in Belgio) nasceva la mia prima figlia, si chiama Barbra, essa è nata per insegnarmi l’umiltà dell’incompletezza. L’arroganza non ha giustificazioni, oppure è l’ineluttabilità del destino, ma ero troppo preso dai miei ‘nuovi’ compiti e non potevo né volevo più occuparmi delle cose del mondo. Allorché tornai in Italia abbandonai Verona e la vecchia vita, lasciando la prima moglie ed il primo figlio, contemporaneamente abbandonando anche la mia seconda compagna  e la prima figlia.

Tornai a Roma dov’ero nato ma da cui ero fuggito orrificato, nel 1974 affrontai la madre matrigna, andai ad abitare in casa dello zio Giordano, che era morto e la casa vuota. Vissi così in Via Emanuele Filiberto, vicinissimo a Piazza Vittorio, -con il suo salutare mercato- meditando, cantando, astenendomi da ogni rapporto sessuale e producendo traduzioni di testi sacri e lavorando come addetto alle pulizie da Valentino (il couturier). Una bella esperienza che contribuì alla mia maturazione al punto di spingermi infine  sino a Calcata, su indicazione di Moreno Fiorenzato, per fondare un nuovo modello di Comunità.

Siamo ormai giunti al 1977 

A quel tempo avevo già avviato una ditta artigianale che distribuiva prodotti integrali, antesignana del settore, si chiamava Annapurna in omaggio alla Madre Terra (Anna/Cibo – Purna/Perfezione). Mi ero divertito anche a produrre simpatiche etichette e buste in carta (disegnate da Moreno) nonché libricini di ricette e buoni consigli.

Di lì a qualche anno, dopo un’esperienza forte con il teatro da strada nei Vecchi Tufi, fondai assieme ad alcuni amici (Sandra Forti, Rita Guerrieri, Pino Roveri, Gemma Uyttendaele) il Circolo Vegetariano VV.TT. di Calcata. Poco prima era già nata la mia seconda figlia Caterina (nel 1979 in Belgio) e con la fondazione del Circolo nasceva anche il mio secondo figlio Felix (1984), nella nostra casa di Calcata, che allora si trovava in Via di Porta Segreta. Con lui ebbi un rapporto da madre/padre-figlio. Oggi, che egli ha raggiunto l’età dei diritti civili ed è a sua volta padre sento che questa esperienza -l’essermi occupato di un figlio a tempo pieno- mi ha redento da tante fughe precedenti, riavvicinandomi anche alle due figlie Caterina e Barbara, purtroppo non al primo, Davide, che abita a Parigi e non vedo più da tantissimi anni, anche se di tanto in tanto ci siamo scritti.

Ascesa nel mondo dell'informazione

Verso il 1987 iniziai a collaborare con vari giornali, prima in forma incerta, poi pian piano avanzando all’interno del settore. Iniziai a scrivere per il Corriere di Viterbo e Gazzetta della Flaminia, proseguendo poi come pubblicista per Il Messaggero, Paese Sera, Momento Sera, Il Giornale d’Italia, Mondo Sabino, Avvenimenti, Cuore, Aam Terranova e altre testate. Contemporaneamente i comunicati stampa emessi dal Circolo (inviati all’AGI, ANSA e ADN-kronos) venivano pubblicati su diversi quotidiani (Corriere della Sera, La Repubblica, L’Unità, Il Manifesto, La Stampa, Il Giornale, Il Tempo, L’Indipendente, etc.) e su periodici nazionali (Bell’Italia, Airone, Oggi, Gente, Panorama, l’Espresso, etc.). Mentre le varie Tv mi invitavano in studio o venivano a filmarci a Calcata. Una volta per il Festival degli Uomini Casalinghi (con Antonio D’Andrea) vennero Fininvest e Rai al completo, tutte le reti.

Un momento di gloria durato circa 10 anni e fu proprio durante questo periodo, verso i primi anni ‘90, che conobbi Antonello Palieri, che allora lavorava all’Adnkronos, egli contribuì assai (assieme ad altri amici dell’Ansa e dell’Agi) a rilanciare messaggi di ecologia profonda e di spiritualità laica. Ricordo la campagna per il salvataggio delle trecentomila mucche da immolare alla CEE, la proposta del bioregionalismo, la petizione per la libertà di sepoltura nel proprio terreno, la battaglia per la salvaguardia di Calcata e delle falde acquifere della valle del Treja.

Le battaglie più sporche, contro l’inceneritore con discarica da installarsi a Civita Castellana ed il mega-lunapark  di Michael Jackson che si voleva realizzare a Campagnano, mi costarono invece la visibilità mediatica. Purtroppo essendomi messo contro le gerarchie del potere economico, politico, ne conseguì una mia messa in naftalina.

Scomparii quasi dai giornali e dalle televisioni e come personaggio  fui molto ridimensionato. Ciò mi ha giovato enormemente. Infatti adesso mi dedico solo allo scrivere necessario ed alla poesia (quasi come agli inizi). L’unico vezzo che mi resta è la pubblicazione saltuaria di qualche articolo su riviste amiche e su qualche blog ecologista, Avendo nel frattempo pubblicato diversi libri tra cui l'ultimo "Chi sei tu?", basato su I Ching e lo studio comparato degli archetipi zodiacali cinesi.

E fin qui andrebbe tutto bene, in fondo sono un uomo che ha vissuto, dando e prendendo molto dalla vita, già questa è una bella soddisfazione. Essendo nel corso degli anni  diventato nonno di 5 nipotini maschi … ed infine dal 13 giugno 2008 (h. 20,32) la discendenza è stata assicurata essendo nata Mila la mia prima nipotina femmina.
Ho parlato di  5 nipoti maschi e non posso esimermi dal menzionarli:  Sava e Teo, nati da mio figlio Felix; Matteo e Massimo, nati da Katrien, mia seconda figlia naturale;  e Diego,  nato dalla mia prima figlia naturale Barbra (di tutti  questi nipoti da diversi anni  ho purtroppo perso le tracce, alcuni abitano a Roma e uno addirittura in Nuova Zelanda).

A Calcata con alcuni nipotini

Intanto per me sono subentrati importanti cambiamenti 

A partire dal mio sessantacinquesimo anno di età ricevo una caritatevole pensioncina in qualità di nullatenente,  che non dispone di altre risorse finanziarie, il che mi ha consentito sinora di sopravvivere. E comunque  dal 3 luglio 2010 il mio domicilio abituale non è più la casupola sopra la fogna comunale di Calcata.
Seguendo le tracce di Caterina, mia nobile ed amorevole compagna di vita, che venne a rapirmi per amore,  sono diventato un “pendolare” fra  la sua casa di Treia (Marche) e quella di Spilamberto (Emilia), dove lei risiede,  in attesa di stabilirmi con lei in un luogo definitivo…

La leggenda continua

Ma sapete una cosa?  Dopo  qualche anno che avevo lasciato Calcata,  ho ricevuto da Carlo Maria Ponzi, un giornalista de Il Messaggero di Viterbo, una email in cui mi chiedeva se è vero che non abito più a Calcata o se è una semplice leggenda metropolitana… Ed ecco cosa gli ho risposto: “La verità non solo (come dicono i laici) non può essere posseduta, essa non può nemmeno venire perseguita.Infatti la verità é sempre presente e manifesta, altrimenti non sarebbe verità ma semplice descrizione. E la descrizione non é mai la sostanza…

Ciò é vero - nel mio caso – anche dal punto di vista empirico… proprio così… Non abito più a Calcata… in verità non intendo nemmeno tornarci… se non in forma di una apparizione ectoplasmica.
Per fortuna che la terra è tonda ed indivisa, l’aria che vi circola è la stessa, l’acqua pure… ed inoltre “nulla si crea e nulla si distrugge…” Per cui posso dire di essere ancora presente a Calcata… (come immagine iconica).

Però, chi volesse  incontrarmi in carne ed ossa, a Treia, può prendere un appuntamento con me scrivendo alla email: spiritolaico@gmail.com.     Vi consiglio di affrettarvi  poiché "il tempo passa e non aspetta...".

Au revoir ou adieu,  Paolo D'Arpini







All'ingresso del Circolo VV.TT. di Treia


Ultime modifiche all'autobiografia  apportate il 12 novembre 2022. Pubblicate sul blog Riciclaggio della Memoria.  

Come i giovani leoni...?

 


Come i giovani leoni che vengono scacciati dal branco quando hanno raggiunto l’età matura. Poi, dopo un periodo di girovagare solitario, si aggregano ad altri leoni nella loro stessa condizione fino a sentirsi abbastanza forti da attaccare un branco, usurpare il posto dei vecchi leoni ed appropriarsi delle femmine, generare una propria prole ed il ciclo si ripete. 

Un intermezzo, solo una soddisfazione fugace derivata dal senso di potere e dalle piacevolezze di vita: sesso, cibo e compagnia. Non c’è molto da fare se questo è il sistema dei leoni, se sei un leone, ma se sei un uomo? 

Ho sempre avuto ribrezzo per i metodi che comportano la prevaricazione e la conquista come forma di sopravvivenza. Spesso vedo però che il sistema, la natura dell’uomo, non è molto dissimile da quella dei leoni. 

Sembra, mi sembra, che molto specie di animali usino metodi più o meno simili. Ho visto che il rapporto fra maschi è sempre in qualche modo basato sulla dominanza. Se non fisica, intellettuale. Se non intellettuale, spirituale. Se non spirituale amorosa.

La dominanza dell’amore infatti è la più forte e quella che crea la dipendenza più forte. Crea senso di colpa e la sua controparte: la ribellione. Con ciò il ciclo ricomincia.

Poi un vago odore di ormoni che permane nell’aria.

Insomma pare una strada senza uscita ma -come dice Nisargadatta- può trovarsi una soluzione solo se si inizia e si termina in se stessi la ricerca, ignorando l’esterno, o meglio tenendo conto solo della radice interna. La ricerca all’inizio appare come una fuga (e questo mi ricorda  il circolo vizioso di cui alla storia dei leoni) ma la fine non è mai visibile… non è una risposta, non è comprensibile, non è perseguibile, insomma dal punto di vista della mente assomiglia moltissimo all’astrazione. Ramana dice che è la ‘morte’. Muktananda la chiama ‘libertà’.

Paolo D’Arpini




Battriana. Ultimo avamposto greco in Oriente

 



Pochi lo sanno, ma l’ultimo paese dominato dai greci a perdere la propria indipendenza non si affacciava sul Mediterraneo, bensì sull’Oceano Indiano. Fino al 30 a.C., infatti, il primato spettava per certo all’Egitto, retto dalla dinastia macedone dei Ptolemaioi, fondata da uno degli amici più stretti di Alexandros il Grande, Ptolemaios, ed estintosi con il suicidio (o forse omicidio) di Kleopatra VII Philopator dopo la sconfitta e la morte del suo ultimo amore, Marcus Antonius, nelle acque di Azio.

Scomparso l’Egitto dalla faccia della terra, l’ultimo Stato greco ancora indipendente, seppur per poco, fu proprio il Regno Greco-Indiano, nato per secessione da un altro paese ai margini dell’allora mondo conosciuto, il Regno Greco-Battriano. Quest’ultimo, che dominava un ricco territorio che comprendeva già grosse porzioni degli attuali Afghanistan, Kazakhstan, Uzbekistan, Tagikistan e Iran, iniziò l’invasione del Punjab e del Pakistan nel 180 a.C.


La storia dei greci in questi luoghi remoti era già di lunga data all’epoca, infatti quando Alexandros stesso giunse nell’area dopo aver sbaragliato eserciti su eserciti degli šāhanšāh persiani, annichilendo la loro potenza, trovò dozzine di comunità di lingua e tradizione ellenica in loco. Questo era dovuto alla pratica dei sovrani di Persia – poi ripresa anche dai romani – di trasferire ai confini opposti del loro dominio i sopravvissuti delle ribellioni mosse contro la loro autorità.
Nello specifico i sovrani quali Dārayavahuš (Dario) e Xšayaṛša (Serse), in seguito alle rivolte in Cirenaica o Asia Minore durante le guerre che li avevano contrapposti a Sparta e Atene, avevano deportato, ormai da oltre un secolo prima della venuta di Alexandros, migliaia di greci fino all’Afghanistan.

Questi fondò poi numerose città, tra cui Alessandria Eschate, o Alessandria Ultima – oltre ad un’altra dozzina sempre con il suo nome, dimostrando poca fantasia e molto ego – che furono popolate da coloni militari tratti dalla Grecia continentale, dalla Macedonia e dall’Asia Minore, aumentando il peso di questa élite di governo nella regione.

Dopo la morte del grande condottiero scoppiarono una serie di guerre tra i suoi successori, i diadochoi, e l’area finì nella sfera d’influenza di Seleukos, che fondò l’impero che prese il suo nome, il più grande tra tutti gli Stati nati in seguito alla frammentazione delle conquiste del grande Alexandros. Ad ogni modo Seleukos e i suoi successori – molti dei quali si chiameranno Antiokos, il primo tra i quali fondò la celebre Antiochia – passarono la maggior parte del loro tempo a guerreggiare contro i discendenti di Ptolemaios in quell’area strategica tra Libano, Palestina, Siria e Giordania che ha mantenuto il suo immenso valore fino ad oggi, e questo diede modo ad ambiziosi satrapi ad est di proclamare la loro indipendenza, il più fortunato tra i quali fu proprio il Regno Greco-Bactriano.
Nato da una secessione, inutile dire che ne fu a sua volta vittima nel 180 a.C., quando un generale del basileus Demetrios I si proclamò sovrano in India con il nome di Apollodotos Soter, ovvero il Salvatore.


Questi dominò una vasta area che andava dal Punjab fino ai moderni Sindh e forse persino il Gujarat. Il suo prospero Stato perdurò per quasi due secoli, generando una fusione sincretica tra la tradizione induista, buddista e greca nella monetazione, nella scrittura ma anche nella religione. Si dice che alcuni di questi sovrani di sangue greco-macedone venerassero e proteggessero tanto i templi dedicati alle divinità olimpiche quando quelli locali. Si trovano ancora oggi diverse decorazioni in cui, ad esempio, Buddha viene raffigurato con caratteristiche di Apollon, signore del Sole, oppure protetto dal semidio Herakles con tanto di criniera del leone Nemeos e clava.

Lo storico Strabon, citando altri autori dell’epoca, afferma che all’apogeo del regno il suo più grande sovrano, Menandros, i greci fossero diventati signori dell’India intera (probabilmente di tutta quella settentrionale, sia occidentale che orientale, fino a Pataliputra, la moderna Patna) sottomettendo un territorio perfino più esteso delle conquiste del grande Alexandros. Gli storici latini, ancora nel II e III secolo d.C. definirono questi basilei come “Rex Indorum”.

Ad ogni modo le parti più esterne di queste conquiste non furono mai stabili e vennero quasi subito abbandonate, anche perché i signori indiani della regione contesero ogni città e fortezza con determinazione. Le fonti locali dell’epoca parlano delle invasioni degli yavana, probabilmente ad indicare un’origine dalla parola “ioni”, che per gli abitanti del subcontinente andava a definire tutti i greci ellenistici.


Il celebre Mahābhārata, testo epico-storico di guerra, afferma che il paese di Mathura, nel cuore dell'India, era sotto il controllo degli yavana, che lo governarono per quasi un secolo con continue battaglie e paci tra sovrani ellenistici e indiani.

Ad ogni modo le guerre civili e separatiste rimasero un flagello per i dinasti di lingua greca, con la Bactria e il Regno Greco-Indiano che iniziarono a combattersi tra loro. Qui salì alla ribalta il più grande basileus di questa Nazione, Menandros, che venne ricordato nella letteratura buddista con il nome di Milinda, che si dice si fosse convertito alla loro religione. Dopo di lui altri venti sovrani ressero il potere in quella regione così lontana dall’antica patria, mentre il loro vicino (e spesso nemico) Regno Greco-Bactriano crollava sotto la pressione di sciti, parti e yuezhi, forse antenati degli unni, tra il 130 e il 125 a.C.

Stretti tra questi ultimi ad ovest e gli indiani a sud e ad est, il Regno Greco-Indiano perdette via via territori, potere e prestigio. L’ultimo ridotto di questo Stato fu il Punjab orientale, retto da Straton II, che venne conquistato dal sovrano indo-scita Rajuvula intorno all'anno 10 a.C., vent’anni dopo la caduta dell’Egitto tolemaico.
Ad ogni modo la memoria di quel periodo turbolento ma dinamicissimo permase anche nei secoli successivi. In un documento di rotte commerciali marittime in estremo oriente, redatto in greco con il nome di “Periplous tes Erythras Thalasses”, ancora tra I e II secolo d.C. si scriveva: «Fino al giorno d'oggi antiche dracme sono moneta corrente in Barygaza, provenendo da questo paese, recando iscrizioni in lettere greche, e le insegne di coloro che regnarono dopo Alexandros, Apollodotos e Menandros».
(AM)








Terremoti e la scomparsa di Atlantide – Quando l’analisi karmica vale più dell’analisi logica…


Raffaele Bendandi

Nel 1908 ci fu il disastroso terremoto di Messina in seguito al quale il destino di molti paesi e città d’Italia subì un turbolento cambiamento. Avvenne proprio in seguito a quel tragico sisma che molti piccoli centri, che nel periodo medievale erano stati edificati su rocche e strapiombi per autodifesa, furono dichiarati "inabitabili" e fu sancito il loro spostamento in pianura.

Ma non volevo parlarvi di questi fatti storico-amministrativi bensì evidenziare come la forte apprensione sollevata dalle scosse sismiche in varie parti della penisola suscitasse un interesse scientifico (o pseudo scientifico) sull’origine dei terremoti. Durante il periodo prebellico e sino agli anni ’70 dell’ultimo secolo non essendosi ancora sviluppata la teoria della tettonica a zolle sembrava quasi operazione magica riuscire a prevedere dove sarebbe avvenuta e la magnitudine della potenza di una prossima scossa…

Il 17 ottobre del 1883 nacque a Faenza    Raffaele Bendandi, un ricercatore autodidatta "sensitivo" (diremmo oggi) che sino alla sua dipartita, avvenuta il 3 novembre 1979 a Faenza, studiò e scoprì diversi misteri sull’attrazione degli astri e loro cause nelle manifestazioni telluriche. Bendandi partì dal concetto che se l’attrazione lunare causa maree e spostamenti sulla Terra ben più forte poteva essere l’influsso del Sole, congiunto alle posizioni particolari di alcuni pianeti, sulle masse semiliquide od infuocate delle viscere terrestri. Da qui l’idea che il terremoto potesse essere previsto in base all’analisi delle varie eruzioni solari ed al posizionamento dei diversi pianeti che esercitavano una particolare attrazione sul nostro globo terracqueo.

Gli studi di Bendandi non furono universalmente accettati e talvolta furono avversati anche dalla "politica" –soprattutto nel periodo fascista- che non vedeva di buon occhio l’allarmismo conseguente alle "previsioni" del sismologo. Egli ottenne però parecchi riconoscimenti anche in ambito scientifico, ecco cosa disse di lui il geofisico Marco Mattina: "Aldilà del successo e di brillanti carriere che il sapere elargisce, oggi come sempre, la scienza ha bisogno di uomini che credano, vivano, si sacrifichino per essa: uomini come Raffaele Bendandi".

Ed ora vorrei qui inserire una "previsione" del faentino riguardo un terremoto ipotetico o reale che avvenne migliaia di anni fa e che causò lo sprofondamento del mitico continente atlantideo. Infatti Bendandi si occupò con curiosità e passione della scomparsa di Atlantide cercando di dare una risposta alla sua ubicazione e scomparsa. Chiaramente egli iniziò la sua ricerca partendo dai testi epici cosmogonici: il Timeo di Solone, i misteri del regno di Amasis, il dialogo sul Crizia di Platone ed i riferimenti nell’Odissea di Omero, nella Teogonia di Euripide, etc. Egli attinse anche agli studi del Filippoff, che fu direttore dell’osservatorio astronomico di Algeri, secondo il quale l’epoca dello sprofondamento avvenne in coincidenza del primo Toth, ovvero il passaggio dal punto vernale nello zodiaco del Cancro, ed egli stabilì la data del 7.256 a.C. Inoltre Filippoff riscontrò un certo parallelismo con le tradizioni del Popol Vuh ma prendendo in un certo senso le distanze dai miti pre-incaici che ponevano il cataclisma in un periodo molto più arcaico.

Ma a prescindere dalla data esatta della sua scomparsa molti reperti geologici e archeologici darebbero conferma dell’esistenza, nel lontano passato, di questo leggendario continente. L’ipotesi di un profondo sconvolgimento sismico come causa dello sprofondamento atlantideo resta la più attendibile ed su questo tema si espresse anche Raffaele Bendandi il quale, seguendo la sua metodologia, avrebbe stabilito data e località dell’immane catastrofe. Secondo lo studioso faentino Atlantide sarebbe scomparsa nel 10.431 a.C. (avvicinandosi in questo ai miti originari amerindi) in una zona della superficie terrestre compresa fra la costa del Portogallo e le isole Azzorre.

Il fatto che Raffaele Bendandi fosse affascinato dai fenomeni sismici sin dalla sua più tenera infanzia e che inoltre prediligesse il metodo analogico e lo studio del movimento dei pianeti nell’ottica copernicana (ovvero la stessa che era in auge molto prima che sopraggiungesse l’ordinamento tolemaico accettato dalla chiesa cattolica) in cui si considera la Terra un semplice pianeta che gira attorno al Sole (e soggetto alle leggi di un sistema molto più ampio di universi multipli come pensava Giordano Bruno) fa sospettare, ai fautori della teoria karmica, che il faentino avesse assistito allo sprofondamento atlantideo in prima persona, in un altro corpo… chissà?

Paolo D’Arpini







(Bibliografia: Tiziano Cantalupi – Il terremoto si può prevedere - Ed. Atanor; Il mito di Atlantide - Ed. Ananke; Atlantide tra mito ed archeologia, Truppi Fabio, Ed. IBS, ed altri...)

 

Gli "eletti" di una nuova era (che forse verrà, quando verrà...)


Pochi sono consapevoli dei tempi eccezionali che stiamo vivendo ... pochi ma sufficienti per aiutare se stessi e l’intera umanità.

Sono quelli che i Vangeli e film come “Matrix” chiamano gli Eletti, ovvero quelli che cercano la verità.
Gli eletti non si adeguano alla “realtà” di questo mondo, vorrebbero cambiarlo ma non sanno come fare.
Imboccare la via dell’evoluzione è per costoro un “cambiare”, che è in realtà diventare se stessi. È Essere, ovvero: riflettere nel mondo il proprio messaggio evolutivo in tutta la sua integrità.
Tuttavia “per imboccare la via sapere non basta”. Bisogna aprire la porta interna, sciogliere quella barriera che è la paura di sentirsi diversi e quindi non accettati dagli altri.
Gli Eletti sono pochi, ma non pochissimi.
Forse alcuni milioni o decine di milioni.
Sparsi come il sale ovunque nel pianeta, immersi in “realtà” familiari e sociali che spesso negano tutto ciò che gli Eletti sentono.
La sfida è credere in se stessi, osare, rispettare le proprie abilità, sviluppare i propri talenti, non adattarsi al sistema che organizza ogni attimo della così detta “vita”.
Gli Eletti sono “enzimi” di una trasformazione planetaria che consentirà a tutti libertà, prosperità, unità e comunione con la Natura.
Giuliana Conforto - Astrofisica



Lo stato mentale connesso ai chakra...



Se con la morte accade l’illuminazione, è un’esperienza straordinaria. Da un lato l’uomo muore e dall’altro lato raggiunge la totale pienezza della vita.

Quando toccai il settimo chakra di mio padre, alla sommità del capo, coloro tra voi che sono intuitivi, silenziosi e meditativi, hanno sentito che stava accadendo qualcosa di strano. Secondo la scienza atavica della realtà interiore dell’essere umano, al momento della morte l’energia vitale di un uomo esce dal chakra in cui viveva. La maggioranza degli uomini muore nel primo chakra, il centro della sessualità. 

Nel corpo umano ci sono sette chakra dai quali l’energia vitale può uscire al momento della morte. L’ultimo è alla sommità del capo e l’energia vitale può uscire da lì solo se sei illuminato.

Quando lo toccai, il settimo chakra di mio padre era ancora tiepido. La vita l’aveva abbandonato, ma era come se la parte fisica del chakra pulsasse ancora a causa di quell’evento straordinario.

È un evento raro. In quel momento a molti può essere sembrato che quella piccola parte del podio – in cui stavamo io e il corpo di mio padre – appartenesse a un altro mondo. In un certo senso era così, poiché era a un livello diverso. Proprio ai piedi del corpo di mio padre, c’erano mia madre e diecimila sannyasin in Buddha Hall: quello era il mondo normale.

Ma è accaduto qualcosa di anormale. Il chakra era ancora tiepido e il corpo sembrava gioisse ancora per quell’evento. Chi aveva occhi per vedere, inevitabilmente ha visto quella differenza.

Che tu abbia visto la differenza è un fatto positivo. Era una differenza di livelli. Quello inferiore è il livello nel quale vive la maggioranza della gente e il nostro sforzo, in questa nostra scuola dei misteri, tende a portare tutti al livello più elevato.

Mentre il tuo essere interiore si muove da un centro all’altro, passo dopo passo, anche tu puoi vedere che nel tuo corpo accadono alcune cose. Per esempio, se vivi nel centro sessuale senti una sottile divisione: al di sotto del primo centro e al di sopra del primo centro. Puoi sentire una sottile divisione, perché nella parte inferiore del corpo non ci sono chakra, non ci sono centri. È così per ogni essere umano. A qualsiasi livello si trovi l’essere umano, il corpo al di sotto del centro sessuale rimane sempre lo stesso: quelle sono le nostre radici nella terra.

Ma se cambia il centro in cui vivi, se vivi a un livello più elevato – per esempio, se il cuore è diventato il centro della tua vita – senti di nuovo una linea che divide in due il tuo corpo: al di sotto del cuore e al di sopra del cuore. Ogni volta che la tua energia è nel cuore, senti una linea divisoria.

Quando avrai raggiunto il settimo chakra, tutto il tuo corpo sarà al di sotto e non ci sarà più alcuna divisione. Il settimo chakra si trova nel corpo solo in un certo senso. In realtà sta al di sopra del corpo, come se una linea vibrante toccasse la sommità della testa. Quando avrai raggiunto il settimo chakra, il tuo corpo sarà integro, per la prima volta non sentirai alcuna divisione e tu ne sarai consapevole.

A seconda di quale dei tuoi sette chakra entri in funzione, le tue azioni cambiano, cambiano le tue risposte alle situazioni e cambiano i tuoi sogni e le tue aspirazioni; tutta la tua personalità subisce un cambiamento. Più ti elevi e più si aprono davanti a te dimensioni nuove, che fino a quel momento non erano raggiungibili per te.

Per esempio, il chakra del cuore è in posizione centrale: al di sotto ci sono tre chakra e al di sopra ce ne sono altri tre. L’uomo che vive nel cuore è l’uomo più equilibrato: in ogni sua azione, nei suoi sentimenti e in tutte le situazioni, percepisce un senso sottile di bilanciamento, di equilibrio. Non è mai agitato: i suoi comportamenti hanno sempre una certa compostezza.

In altre parole, l’uomo che vive nel cuore ha trovato il centro in cui vivere, la via del giusto mezzo. In lui non vedrai mai un comportamento estremo e, poiché tutti gli estremi sono scomparsi dalla sua vita, ha una visione equilibrata di ogni cosa. Non sarà mai di destra né di sinistra: sarà sempre e solo giusto, onesto.

Se il mondo assecondasse la mia visione, per le cariche di magistrato e di giudice sceglierei solo persone che vivono nel cuore, perché solo persone così possono essere giuste e oneste. Non conterebbero più i meriti intellettuali o l’esperienza: conterebbe soltanto l’equilibrio interiore della persona.

 

C’è un aneddoto sufi…

Mulla Nasrudin ricevette la carica di magistrato onorario e dovette gestire la sua prima causa. Ascoltò una delle due parti e dichiarò alla corte: “Fra cinque minuti sarò di ritorno con la sentenza”.

Il cancelliere non poteva credere alle proprie orecchie: il Mulla non aveva neppure ascoltato la parte avversa! Gli bisbigliò nell’orecchio: “Cosa sta facendo? Non si rende conto? Ha ascoltato solo una delle due parti. La parte avversa sta aspettando e senza averla ascoltata non può emettere alcuna sentenza”.

Il Mulla gli rispose: “Non tentare di confondermi. La mia visione dell’accaduto ora è assolutamente chiara, ma se ascolterò anche la parte avversa le mie idee diventeranno certamente confuse”.

 

Le storie sufi non sono solo semplici aneddoti, sono straordinarie. Si dice che ciascun giudice ascolti solo una delle due parti, perché la sua mente è costruita secondo dei pregiudizi ed è incapace di ascoltare veramente entrambe le parti. Questa carica dovrebbe essere occupata da un genere diverso di persone, persone che non abbiano ricevuto una formazione legale fondata sulla giurisprudenza e che non abbiano mai neppure pensato di studiare la materia.

Nessuno ci pensa… Chiediamo al giudice di essere giusto, ma la sua mente è piena di pregiudizi. Non riesce neppure ad ascoltare le due parti contendenti con la medesima chiarezza, è impossibile. Finge di farlo. In tutti i tribunali del mondo i giudici fingono di essere imparziali.

E dopo essere stato io stesso davanti a un tribunale, lo vedo e posso dichiarare con autorità assoluta che i giudici non ascoltano entrambe le parti. Non possono! Il mio non è un reclamo! Constato solo dei fatti. L’istruzione che hanno ricevuto è sbagliata.

Quando ti innalzi al di sopra del centro del cuore, cominciano ad accaderti cose nuove che non avevano mai fatto parte della tua vita. Il chakra al di sopra del cuore è la gola. Se la tua energia vitale è concentrata nel chakra della gola, tutto ciò che dici contiene un’autorità profonda. Senza fare alcuno sforzo per convertire le persone, le converti, perché le convinci.

Al di sopra del chakra della gola c’è il chakra più famoso e conosciuto da tutti, situato al centro della fronte tra le due sopracciglia. L’energia che vibra nell’agnya chakra, il sesto, ha una influenza ipnotica profonda. È una realizzazione… la persona non fa niente… accade semplicemente… i suoi occhi sono pieni di un magnetismo sconosciuto.

Chi ha il settimo chakra aperto acquista una capacità e una fioritura intrinseche, che rendono la sua presenza coinvolgente. Al di sotto del settimo chakra, la presenza non è coinvolgente, ma con l’apertura del settimo chakra è come se la consapevolezza fiorisse emanando una fragranza speciale, un’aura.

Chiunque sia ricettivo a questa presenza, a quest’aura, si sente avvolto dalla freschezza di una brezza, dalla freschezza di un’acqua limpida che scorre su di lui. Tutte le cose negative e tutto il ciarpame che hanno ostruito la sua vita e contro cui ha lottato scompaiono d’incanto dalla sua vita. Un semplice contatto con l’illuminato genera in lui una trasformazione.

Quella sera, qualcosa è trapelato e ciò che tu hai visto era un fenomeno energetico: molti altri devono aver visto la stessa cosa.

Ho risposto a questa domanda, proprio per aiutarvi a diventare consapevoli del chakra nel quale state vivendo, in modo che possiate cominciare a elevarvi.

Osho - Tratto da: Beyond Psychology