La parola è Brahmâ
Ogni parola proferita dall’uomo è la forma di Brahmâ. Perciò nessuna vostraparola dev’essere usata male. È per questo che tutti i rishi dell’antichità
praticarono la disciplina del silenzio, per evitare di parlar troppo o di
dire cose non vere. Chi parla troppo finisce per procurare dolore ad altri.
Quando si parla troppo, è facile che ci si agiti. E, con l’agitazione, si
compiono azioni sbagliate. Così i saggi antichi decisero di osservare il
mouna, il voto del silenzio.
Che significato ha tacere? Osservare il voto di silenzio non vuol dire
semplicemente tenere la bocca chiusa, ma significa tenere sotto controllo i
propri impulsi, pensieri e decisioni. Si dovrebbe essere liberi da
qualsiasi scelta. I saggi antichi tenevano sotto controllo la mente in
tante maniere. In che cosa consiste oggi la mente? La mente è l’espressione
delle proprie scelte.
Che cos’è questa? Una stoffa? No. È un insieme di fili, ma non si dice che
siano fili. È cotone. Dunque, questo oggetto è fatto di fili; ma, se
vogliamo disfarlo, dobbiamo togliere un filo alla volta. Allo stesso modo,
anche i sentimenti che ci sono in noi nella forma di parole devono essere
sciolti e ridotti fino ad un certo punto. Meno bagaglio, viaggio più comodo
e più piacevole. Parlate di meno. Riducendo il parlare, si sperimenterà la
forma del Divino.
Incarnazioni del Divino Amore, Brahmâ significa parola, Vishnu significa
mente, Îshvara significa cuore. Ogni singolo essere umano, – parola, mente
e cuore – è l’incarnazione della Trinità: le tutti hanno queste tre qualità.
L’uomo è l’incarnazione dei tre attributi, è l’incarnazione della sapienza,
ha tre occhi e brandisce il tridente di Shiva, simbolo delle tre dimensioni
del tempo. I peccati di tre nascite saranno distrutti quando offro la
foglia di bilva a Shiva. Così insegnano le Scritture.
I tre occhi di Shiva
Shiva ha tre occhi. Anche ogni uomo ne ha tre, ma quando cerca di
verificare se ciò sia vero, dice che non è così. Voi conoscete il passato,
siete in grado di sapere ciò che è accaduto. Siete anche in grado di sapere
ciò che sta accadendo in questo momento. Però, non sapete vedere ciò che
accadrà in futuro. Il fatto di avere tre occhi implica la capacità di
vedere anche il futuro, ciò che accadrà.
Se farete buon uso del passato e del presente, il futuro sarà nelle vostre
mani. Invece, chiunque voi incontriate non fa altro che pensare al suo
avvenire o al suo passato, a quel che sarà e a quel che è stato. La gente
pensa sempre alle cose del passato, oppure si preoccupa chiedendosi che
cosa sarà mai del suo futuro. Così, fra la preoccupazione per il futuro e
l’angoscia del passato, dimentica il presente.
Eppure, il presente proviene dal passato e ciò che risulterà da questo
momento presente farà il futuro della persona. Quindi, futuro e passato
sono entrambi inclusi nel presente. Il nostro avvenire sarà esattamente
come organizziamo il nostro presente. Se lo viviamo rettamente, avremo un
avvenire felice.
I semi dell’albero del passato sono nel presente, ed è da questi stessi
semi del presente che nascerà l’albero dell’avvenire. Dunque, l’albero
dell’avvenire e l’albero del passato sono nei semi del presente. Come sono
i semi di quest’albero? Sono piccoli, ma daranno origine prima a una
pianticella, poi a un grande albero. Tutto il futuro è contenuto nei semi
del presente. Gli uomini non prestano la dovuta attenzione a questa verità.
Come mai? Fate buon uso del presente. Se vivete in piena gioia il presente,
coglierete buoni frutti nel futuro.
Incarnazioni del Divino Amore, voi siete incarnazioni della Trinità,
espressione delle tre qualità, la forma dei tre occhi.
La casa di Parvatî
Eccovi una piccola storia. Una volta Parvatî si avvicinò a Shiva e gli
disse: “Îshvara, ogni giorno vai da un luogo all’altro; non sei mai a casa!
Non hai residenze. Come faccio a vivere accanto a te, senza una casa, senza
nemmeno un lenzuolo per proteggermi dalla pioggia. E, come se non bastasse,
ci sono migliaia di saggi che vengono da te per avere il tuo darshan.
Sarebbe conveniente, sia per loro che per noi, costruire un capannone
oppure una casa”.
La Gruha Lakshmî, ossia la donna di casa, desiderò avere una casa. Per ogni
donna ciò è normale. “Occorre costruire una casa”. Îshvara disse: “Parvatî,
a che serve costruire una casa? Ancor prima d’abitarvi, ci vanno i topi.
Per eliminare i topi bisogna avere dei gatti e per mantenere i gatti ci
vuole del latte. Ci vuole poi un domestico che provveda a dare il latte ai
gatti. Perché mai dipendere da tutte queste cose? Non ci serve una casa!”
Lei diceva di volerla, e lui invece no. E così si misero a discutere, come
accade in tutte le famiglie: sì-no, sì-no, sì-no. Alla fine, Parvatî chiese
con molta tranquillità: “Îshvara, perché sei così testardo? Non è per me
che te lo chiedo. Qui vengono anche dei rishi; bisognerebbe offrir loro un
riparo. Un riparo serve a tutti: a me, a te, a chiunque”.
Allora Îshvara rispose: “Quand’anche volessi dare inizio alla costruzione,
questo non è il momento più propizio. Potresti costruire anche un grande
palazzo, ma il dio Fuoco lo consumerà. A differenza di te, io lo so perché
vedo il futuro. Perciò, stai zitta; chiudi la bocca e mettiti a sedere”.
Ma lei replicò: “Îshvara, tu possiedi ogni potere e tutti gli dei ti sono
sottomessi; lo stesso dio Fuoco dipende da te, come del resto tutti e
cinque gli elementi. Se tu lo ordini, neanche il fuoco potrà far qualcosa,
non è così? Non potrà fare alcun danno all’edificio. E allora, emetti
quest’ordine al Fuoco”.
E Îshvara: “Va bene. Che altro resta da fare se non soddisfare il desiderio
della donna?” E così dicendo, si apprestò ad adempiere alla promessa,
dicendo prima alla sposa: “Aspettami qui. Vado dal dio Fuoco per
assicurarmi che esegua il mio ordine, poi ritornerò”. La parola di Îshvara
è Verità. E così Parvatî diede inizio ai lavori.
Comunque, gli disse una cosa prima che se ne andasse: “Îshvara, se Agni, il
dio del Fuoco incendiasse la casa che costruisco, sarebbe un grave insulto
nei miei confronti; se quindi Agni non accettasse il tuo ordine, suona il
dhamaruka, il tuo tamburello: a quel suono io stessa appiccherò il fuoco
alla casa che ho costruito. Non voglio lasciargli questa soddisfazione”.
Îshvara glielo promise.
Si recò da Agni, il quale, dopo avergli fatto namaskar, gli chiese:
“Signore, qual buon vento ti ha portato sin qui?” Ed Îshvara: “Oh,
assolutamente nulla. Parvatî sta costruendo una casa come questa e il tuo
fuoco potrebbe essere pericoloso. Dammi la tua parola che le starai
lontano, che non ti avvicinerai”. Agni diede la sua parola; con l’occasione
pregò Shiva: “Swami, da molti giorni sto covando il desiderio di vedere la
tua Danza Cosmica (Tandava). Per quanto tempo ancora dovrò aspettare per
vederla?”
Allora, per accontentarlo, Shiva iniziò la Sua Danza. Durante questa danza,
Shiva percuote il Suo dhamaruka. Parvatî, che da lontano udì il suono del
tamburello, appiccò fuoco alla casa.
(Swami canta Gayatri Mantra: https://www.youtube.com/watch?v=iFy6NN2o8MA)
Shiva danzò; il Signore Shrî Samba Shiva
eseguì la Danza Cosmica, Colui che
indossava gioielli e bracciali danzò la Tandava.
Mise mano sul Suo dhamaruka, che emise il suono
“dhanam, janam, jana, jana, taka,…”
La giovane vergine (il fiume Gange) sul Suo capo,
il terzo occhio sulla Sua fronte,
il rosario di cristallo (spatikamala)
portato con grazia e splendore,
Egli danzò la Tandava, una danza celestiale.
(Anil Kumar, il traduttore, si blocca incapace di rendere il poema di Baba,
giustificandosi: “È un canto bellissimo che non voglio rovinare
traducendo”).
Così, Parvatî finì per incendiare la sua casa! Îshvara, giunto sul luogo,
al vedere tutte quelle fiamme, gridò: “Parvatî (Swami usa un tono di
sospresa), che è mai tutto questo? Agni mi ha promesso che non avrebbe dato
fuoco alla casa!” Ed ella chiese: “Allora, perché hai suonato il
tamburello?” “La mia volontà iniziale era quella di non avere una casa; poi
te l’ho promessa e tu l’hai avuta. Poi, mi è stato chiesto di eseguire la
Mia Danza Cosmica e, per soddisfare anche quel desiderio, dimenticando la
casa, l’ho fatto, accompagnandola col suono del dhamaruka”.
Perciò, la morale è che nessun volere di Dio può rimanere inadempiuto,
quali che siano gli ostacoli che possono presentarsi. Le qualità del cuore
troveranno sempre soddisfazione e, se il cuore è buono, puro, anche ciò che
otterrà sarà buono e puro. Ecco perché dovremmo avere sempre un cuore puro;
quella è l’unica qualità di Shiva e il Suo mistero. Dobbiamo formarci un
cuore che abbia la natura di Shiva, una natura piena di buoni auspici.
SRI SATHYA SAI BABA