Nessuno è escluso dalla buddhità, la storia di Cudapanthaka, lo spazzino




... nel caso di Cudapanthaka (Pali, Culapanthaka), egli aveva un'intelligenza assai bassa e non riusciva a ricordare nulla. Egli seguì il suo fratello maggiore Mahāpanthaka all’interno del Sangha perché voleva diventare monaco. Suo fratello era luminoso, e ben presto ottenne l'ingresso nel Buddhadharma e più tardi divenne un arhat. 


Il fratello più giovane, al contrario, viveva un momento molto difficile. Cudapanthaka era così ritardato che non riusciva a memorizzare nemmeno gli insegnamenti più elementari. 
Suo fratello aveva cercato di insegnargli che "Tutte le cose sono impermanenti, - quindi non vi è alcun sé". Ma lui ricordava la prima riga, e però dimenticava la seconda. Ci sono un paio di versioni di questa storia. 

Io faccio riferimento a questa:
“Una volta, Mahāpanthaka stava cercando di istruire Cudapanthaka stando all’esterno del Vihara (monastero), perché era semplicemente troppo imbarazzante per lui dover dare gli insegnamenti di fronte agli altri. Essi dunque erano fuori, nel prato.


Mahāpanthaka: Tutte le cose sono impermanenti,- quindi non vi è alcun sé. Okay, ora ripetilo..."
Cudapanthaka: "Tutte le cose sono impermanenti. Quindi... quindi.... "
Mahāpanthaka: "Perciò non c’è un sé! Non-sé!"
Cudapanthaka: "Ah, sì, non-sé. Non-sé, perché... perché... "
Mahāpanthaka: "A causa dell’impermanenza! Prova ancora!"
Cudapanthaka: "Tutte le cose sono impermanenti. Quindi... quindi...."
Perfino il monaco-contadino, curvo sul campo, si voltò e disse: "Quindi non c'è un sé" .
Davvero frustrato, Mahapanthaka rinunciò ad istruire Cudapanthaka, e lo lasciò solo. Cudapanthaka era così triste; tutto quello che riusciva a fare era di piangere, e voleva lasciare il Sangha. Il Buddha, essendo venuto a sapere ciò che era successo, andò da Cudapanthaka e gli disse: "Ti istruirò io stesso…". Il Buddha non si preoccupò di dare a lui i concetti, ma semplicemente gli chiese di pulire il Vihara, dicendogli:
Cudapanthaka spazza il terreno. Mentre lo fai, recita: "Io spazzo via le impurità".
Ora, rammenta che è inutile spazzare la polvere dal suolo del Vihara, che è un tempio nella foresta, dal momento che è costruito proprio nella foresta! Non è che al tempo del Buddha un Vihara avesse pavimenti di cemento, così da poter esser ripulito, esso era sporco! Quindi sostanzialmente il Buddha gli chiese di spazzare via lo sporco da un'estremità all'altra del Vihara. E così Cudapanthaka fece. Egli spazzò via la sporcizia avanti e indietro. Egli spazzò tutto il giorno, dicendo: "Io spazzo via l'impurità... io la spazzo via".


In un certo senso, la pratica è come spostare mobili da un capo all'altro della stanza. Non importa come si risistemano i pezzi, non si provoca assolutamente alcun effetto sulla stanza stessa! Tuttavia, spostare i mobili , renderla ordinata e pulita, ci aiuta a riconoscere la spaziosità della stanza.
Un giorno, a Cudapanthaka venne in mente che il suolo era ancora polveroso e sporco, non importa quanto aveva spazzato. 


Tutto quello che stava facendo era di spostare lo sporco da un luogo ad un altro. Il Buddha lo sapeva, e subito apparve a lui e gli disse: "Non è che il suolo in se stesso sia impuro, sembra così solo a causa della polvere. La stessa cosa avviene con l'impurità del desiderio, dell'avversione e dell'illusione che ora inquina la tua mente". 

All’improvviso, Cudapanthaka ebbe un'intuizione. Egli realizzò che, proprio come il suolo nel Vihara, e la polvere che aveva spazzato spostandola da qui a lì, la sua mente era originariamente pulita, nonostante le afflizioni. Egli insistette a meditare su questo, e molto presto realizzò lo stato di arhat. Questo è l’esempio che mostra la quarta categoria di praticanti descritti nel Yuganaddha-Sutta.

Aliberth Mengoni

(Stralcio da: La Pratica dell'Illuminazione Silenziosa - www.centronirvana.it)

"Il caro estinto...." - La morte è il più grosso affare della storia umana.

"...che resti una traccia del nostro percorso è certo. Sia nella psiche collettiva che nella materia. Ma siccome il messaggio è di carattere "energetico" non c'è necessità che la Terra lo conservi per mezzo del cadavere. Il messaggio è già presente, E' presente prima come dopo..."  
(Saul Arpino)
Rende più un cadavere che un vivente, questa è la realtà che si è andata formando in millenni di ipotesi sulla morte. Certo non si spendono più cifre “faraoniche” per la costruzione di piramidi e mausolei… ma in compenso la spesa funeraria è andata “democraticamente” uniformandosi alla massa. 
E gli affari non si fanno solo sul cadavere ma anche sull’anima del cadavere, che viene allettata da varie religioni a compartecipare ai variegati paradisi ed inferni. Per i “credenti” ci sono le messe di suffragio, le preghiere pro defunti, le cerimonie per gli avi…. magari pure il martirio-assicurazione di salvezza. Sapete che furono i cinesi ad inventarsi la prima cartamoneta? Ma non serviva per le transizioni commerciali fra esseri viventi, no, era utilizzabile solo nel post mortem, dove c’erano apposite banche di scambio che finanziavano i piaceri dei cari estinti nei vari paradisi buddisti, taoisti, confuciani od animisti… Roba da mettersi le mani nei capelli… (se ancora resistessero nelle tombe) oppure da sganasciarsi dalle risate (dipende dalle propensioni filosofiche). Suvvia, oggi viviamo nel secolo della tecnologia e della scienza, per cui certi progetti sull’oltretomba (paradisi, inferni, limbi, purgatori, etc.) hanno meno appeal e trattandosi di un secolo “materialista” ecco quindi che molti degli affari si fanno sul cadavere… imbellettato, profumato, con esequie first class, bare e sarcofagi sontuosi, forni e fornetti, per non parlare di depositi crioenergetici in standby, ipotesi di sepoltura nello spazio, cremazioni con fiori di gelsomino, mourning e processioni a pagamento e vai col vento!
La morte è il più grosso affare della storia umana.
Dai tempi più remoti, da quando cioè ci si illuse che è possibile “ingannarsi” sulla scomparsa dell’io individuale o sulla procrastinazione della vita corporale, l’uomo ha continuato a seguire il mito della lunga vita o della vita oltre la vita. Pian piano offuscato il miraggio della immortalità fisica (ma ancora ci si prova con i trapianti, etc.) ecco che l’uomo si è adattato a credere nella continuazione dell’io in un aldilà. Le varie leggende narrano di come gli eroi della specie abbiano tentato il tutto per tutto per sopravvivere a se stessi… ed ove non bastava il medico, lo stregone od il dio miracolante, ci pensava l’imbalsamatore a preservare quel simulacro corporale buono almeno ad illudere i superstiti, i sopravvissuti in attesa di… Ogni civiltà ha avuto il suo stile nell’affrontare la morte ma la fede verso un oltretomba ha continuato e continua a consolare frotte di morienti.
Vediamo ora come mai è così importante per l’uomo voler allungare la propria vita od al meglio illudersi che non sia finita con il decesso. La paura della morte è della scomparsa di sé, la perdita dell’auto-consapevolezza riferita ad una specifica forma e nome. Chiaramente la brama esistenziale è alla base di questo processo, ciò è riscontrabile non solo nel caso di desiderio di prolungamento della vita fisica ma anche nella speranza della continuazione in altra dimensione. Paradossalmente questo è il caso anche dei suicidi che apparentemente rifiutano la vita ma sostanzialmente sperano in un prosieguo più sopportabile (non solo i kamikaze ma pure i disperati che si buttano dal ponte). In effetti nel momento in cui la morte si avvicina l’attenzione si fa più vivida e non si percepiscono gli stati di sofferenza ma si sperimenta una forte pulsione adrenalinica in cui non c’è percezione di angoscia o sgomento (questa è l’esperienza raccontata dai sopravvissuti ad incidenti, etc.). Il vero dramma della morte è invece vissuto nei momenti in cui più forte è la bramosia per la vita. Più l’esistenza ci appare desiderabile, e la paura di perderla è più forte, maggiore è l’amaro sapore della morte in bocca.
La morte a volte appare nel bacio appassionato dell’amante che ci fa temere la sua improvvisa fuga, nel sorriso di un bimbo che mette malinconia per la sua impermanenza.. o nel profumo d’un fiore, nello sguardo perso del guerriero, nella poesia estatica che ci solleva dal mondo, nel frutto che stiamo addentando… La morte in realtà è dietro ad ogni azione della nostra vita, essa non è altro che la sete di vita, mai soddisfatta, e di cui sempre angosciosamente si teme la perdita. La morte è nel nostro desiderio di prolungare il piacere o di scansare il dolore.
Eh sì, cara morte, tu sei la compagna più fedele dell’uomo!
Ma torniamo all’analisi iniziale e vediamo come è stato possibile, ed è ancora possibile, che alcuni uomini possano superare questo timore ancestrale e scansare la speculazione sulla dipartita. Questi uomini, chiamiamoli saggi, rappresentano il picco evolutivo dell’umanità, la meta che è il fiore della natura umana. Essi ci insegnano a guardare oltre le apparenze, ad osservare quel processo “automatico” che ci porta ad identificarci con quel “corpo” o quella “mente” –ed infatti anche la mente è una gabbia egoica- ed i saggi non riconoscono alcuna entità mentale o fisica separata dal tutto che possa andare o venire e sopravvivere a se stessa. Ed allora cosa resta? Il nulla il vuoto? Niente affatto… è un “pieno” perfetto che resta, che era è sarà, in quanto non condizionato dal concetto spazio-temporale. Il messaggio dei saggi è univoco ed assoluto ed è presente nella coscienza di ognuno ed è sufficiente riconoscerlo in noi stessi per scoprirne la verità e la perenne presenza. E poi, dove sono e chi sono questi “saggi” ove esiste quella unica coscienza indivisa?
A volte si usa il paragone della trasmutazione dell’acqua in ghiaccio e del ghiaccio in acqua per significare l’apparente trasformazione della stessa sostanza. L’ipotetica differenza è solo nella densità mentale dell’osservatore, basta poco calore (od “intelligenza”) per sciogliere quel ghiaccio… e riconoscerlo per quel che sempre è stato: acqua nell’acqua. Il solo problema è l’illusione mentale che spinge l’uomo a riconoscersi in ciò che non è ed a continuare ad illudersi di poter perpetuare la sua condizione di ghiaccio ed a soffrirne conseguentemente ed inutilmente.
Ma cosa sarà di questo “mondo” allorché la “conoscenza” avrà raggiunto tutte le cellule dell’organismo universale? Come faremo a divertirci nel tramandare la storia vissuta dalle genti? Niente paura, il bagaglio genetico è sufficiente memoria… inoltre esiste una branca di ricerca (e se non esistesse me la invento in questo momento) che viene definita “genetica psichica”, una catalogazione del processo mentale cristallizzato nella materia. Questa trasmissione avviene un po’ come per la memoria dell’acqua, ogni pensiero, azione, propensione, etc. resta stipato in una sorta di inconscio collettivo, od aura, in cui tutta la memoria passata presente e futura risiede e da lì viene continuamente ritrasmessa e resa viva attraverso ogni essere vivente.

Una storiella nella storia.. vi ricordate di Gargantua e Pantagruel che in visita al polo osservarono delle sfere fluttuanti? Esse erano le parole ghiacciate pronunciate da tutti gli esseri viventi ed infatti rompendone l’involucro immediatamente la parola risuonava nell’aria, per –subito dopo- rapprendersi in un nuovo guscio. Nulla va perduto nell’universo, neanche i pensieri. Perciò non occorre preoccuparsi per preservare la nostra memoria ai posteri, anche loro riceveranno qualcosa di noi e trasmetteranno qualcosa di sé. Magari cambierà la forma delle “vestigia” esaminate o tramandate, che si manifesteranno sostanzialmente in chiave psicosomatica conscia ed inconscia… ma sarà sufficiente cambiar metodo di lettura, dallo studio dei “reperti” si passerà all’esame dei “rapporti”….
Paolo D'Arpini

Una bizzarra intervista di Radio Alma Brussellando con Paolo D'Arpini


  "io allo specchio"
Quello che segue è lo stralcio  di una mia intervista radiofonica con Radio Alma Brussellando. L'intervista venne rilasciata il 7 ottobre 2008, in forma scritta, e fu trasmessa in orale il 14 ottobre. In parte si trattò di una "finzione" poiché non avevo voglia di parlare in diretta e chiesi così agli amici della Radio di farmi impersonare da un attore. Perciò l'amico di MariD, la mia anfitriona, Massimo, un poeta e fine dicitore, si prestò a fare la mia parte...
Cosa davvero strana se considerate che io stesso ho fatto l'attore in diverse commedie e in varie occasioni... Così Massimo da Bruxelles  mi sostituì nel rispondere alle domande di MariD... con sommo mio divertimento.... Beh, in effetti, a me piace la presa in giro e lo scherzo e non mi va tanto di impersonare il ruolo di "guretto"...
  
Ma bando alle ciance, ecco il testo:


Domanda 1. Raccontaci di te

Giusto oggi scrivevo ad un’amica spiegandole “..lavoro per un mezzo sderenato che si chiama Paolo D’Arpini, lo conosci?”. In verità identificarsi con uno specifico nome forma non corrisponde assolutamente al vero ed inoltre se ci si identifica con la “persona” non si può fare a meno di assumerne i pregi ed i difetti, di accogliere le sue sfumature e macchie, ma siamo noi Arlecchino e Pulcinella? Per questo dicevo che “io” (in quanto coscienza) lavoro per quel personaggio “Paolo D’Arpini” il quale solo attraverso la mia osservazione consapevole  può manifestarsi e compiere le nefandezze a cui è avvezzo. Allo stesso tempo gli voglio bene come voglio bene a chiunque mi si presenti davanti, che entra nella mia sfera cosciente.

2.Questa è realizzazione?  

L’esperienza dello stato ultimo, della coscienza libera da identificazione, è esposta in varie scuole spirituali come: Satori, Spirito Santo, Samadhi, Shaktipat, etc. Di solito si intende che questa “esperienza” del Sé sia conseguente ad una particolare condizione di apertura in cui la “grazia” può manifestarsi ed impartire la conoscenza di quel che sempre siamo stati e sempre saremo. Purtroppo dovuto all’accumulo di tendenze mentali  “vasana” non sempre l’esperienza vissuta si stabilizza in permanente realizzazione. Il risveglio quindi non corrisponde alla realizzazione (oppure solo in rari casi di piena maturità spirituale).  E qui ci troviamo di fronte ad un paradosso, da un lato c’è la consapevolezza inequivocabile dello stato ultimo che non può mai più essere cancellata, dall’altro un oscuramento parziale di tale verità in seguito all’attività residua delle vasana che continuano ad operare nella mente del cercatore…

3.”Può la conoscenza essere persa una volta che è stata ottenuta?”

“La conoscenza una volta rivelata prende tempo per  stabilizzarsi. Il Sé è certamente  all’interno dell’esperienza diretta  di ognuno, ma non come uno può immaginare, è semplicemente quello che è. Questa “esperienza” è chiamata samadhi. Ma dovuto alla fluttuazione delle vasana, la conoscenza richiede pratica per stabilirsi perpetuamente. La conoscenza impermanente non può impedire la rinascita. Quindi il lavoro del cercatore consiste nell’annichilazione delle vasana.  E’ vero che in prossimità di un santo realizzato le vasana cessano di essere attive, la mente diventa quieta e sopravviene il samadhi. In questo modo il cercatore ottiene una corretta esperienza alla presenza del maestro.  Per  mantenere stabilmente questa esperienza un ulteriore sforzo è necessario. Infine egli conoscerà la sua vera natura anche nel mezzo della vita di tutti i giorni. C’è uno stato che sta oltre il nostro sforzo o la mancanza di sforzo ma finché esso non viene realizzato lo sforzo è necessario.  Ma una volta assaggiata la “gioia del Sé”  il cercatore non potrà fare a meno di rivolgersi a questa ripetutamente cercando di riconquistarla. Una volta sperimentata la gioia della pace nessuno vorrà indirizzarsi verso qualche altra ricerca”

I belong to everyone
No one can own me
The whole world is my home
All are my family
(Neem Karoli Baba)




7. Paolo e le sue donne

Ho sempre amato le donne da quando son nato, cominciando ovviamente da mia madre, poi le ho amate come sorelle (ne ho due) poi le ho amate come amiche (a scuola e nella vita in generale) e finalmente le amate come amanti e da esse ho avuto anche due figlie, che senza dubbio amo. Insomma il mio amore per le donne è totale, infatti amo anche la Shakti, l’energia divina  o Madre Divina che tutti ci compenetra  (maschi e femmine), tant’è che una volta a Viterbo un amico ateo un po’ misogino,  mi definì “adoratore di Kali”, quando io gli parlavo di spiritualità laica, pensando così di offendermi in modo “bestiale”… io gli risposi con una bestemmia ma l’accusa di essere un seguace di Kali non la rinnegai, anzi mi fece piacere, anche perché è la verità!  

8. Libertà di amare e di essere amati

La coppia monogamica che noi conosciamo non è un riscontro dell’amore o perlomeno non lo è nel modo in cui essa viene oggi vissuta. E qui dobbiamo iniziare un  percorso per capire cos’è il libero amore ed in quali modi esso si manifesta.  Cominciamo ad esaminare la  propensione evolutiva che  dall’inizio della specie spinse le donne in età feconda spontaneamente e liberamente ad  unirsi con quei maschi che ritenevano più idonei alla sopravvivenza, tali maschi erano molto probabilmente i più intelligenti, cioè quelli che  mostravano di possedere un patrimonio di conoscenze ed una maggiore adattabilità all’ambiente ed alle condizioni sociali, in grado  di far progredire la specie. Mai un maschio sceglieva una donna se  non contemporaneamente all’accettazione di lei. La selezione, sino a circa cinquemila anni fa (siamo in pieno periodo matrista) veniva sempre sancita dalle femmine ed è per questo che l’umanità ha mantenuto una costante spinta evolutiva, lenta ma consona alla propagazione sul pianeta. Questa qualità “elettiva” è stata una risposta evolutiva nonché afflato emozionale endemico.
Forse con l’avvento dell’allevamento e dell’agricoltura (e del surplus produttivo conseguente)  pian piano questo approccio fra i sessi  fu corrotto dal modello utilitaristico e possessivo patriarcale in cui  alcuni maschi furono in grado di “acquistare” una femmina (matrimonio) per  fini riproduttivi. Questa tendenza divenne sempre più forte con l’affermazione delle religioni monoteiste che sancirono la sudditanza femminile in forma definitiva e la consuetudine del matrimonio divenne una regola sociale obbligatoria. Da quel  momento scomparve -o quasi- l’amore ed  apparve la prostituzione e la “infedeltà”. Ma cosa vuol dire prostituzione? Non è forse una forma di “matrimonio”  limitato ad un  breve lasso di tempo per la mera soddisfazione sessuale? 

E cos’è l’infedeltà se non la spontanea aggiustatura, lo sfogo,  per un rapporto  coniugale obbligato? Insomma  la conseguenza dello sposalizio sancito per legge. E ove si manifestano prostituzione ed infedeltà vuol dire che l’amore  non è più sincero e schietto ma solo una comoda formula sociale ed economica,  insomma un commercio… un gioco di potere. Il libero amore è la riscoperta della piena libertà espressiva è quindi la sola riposta alla condizione corrente in cui l’anormalità è diventata norma. Ma il libero amore presuppone il rapporto fra persone libere, un rapporto non preconfezionato, né legato ad interessi altri se non l’amore stesso quindi non può esser mercenario in alcuna forma, né -ovviamente-   il risultato di prevaricazione o plagio fisico o psichico. Libero amore  è l’incontro fra  esseri umani consenzienti che durante un percorso di vita scelgono spontaneamente di sostenersi reciprocamente e condividere esistenza intelligenza e sessualità. 



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*Ringrazio Danielita per avermi presentato   Mari D. che ovviamente ringrazio per  aver creduto in questa intervista non intervista.  Ringrazio Massimiliano per essersi prestato al gioco di interpretarmi.
Ciao a  tutti, Paolo D’Arpini

P.S. Leggete la prima parte della storia  su:http://www.circolovegetarianocalcata.it/2008/10/15/

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Per chi volesse ascoltare il parlato integrale della non intervista  è possibile collegandosi  sul podcast:
 
http://radioalma.blogspot.com/2008/10/brussellando-del-14-ottobre-2008.html

L’amore è la religione naturale....




Cosa hai da perdere? Niente. Come ben sai, questo corpo sarà preso dalla morte. Prima che sia preso dalla morte, fanne dono all’amore. Tutto ciò che hai ti verrà tolto. Prima che ti sia tolto, perché non condividerlo? Questo è l’unico modo di possederlo davvero.

Così, se hai capito ciò che ho detto, la lotta è tra l’amore e la morte. Certo, ti verrà tolto perchè non c'è nulla che può durare in eterno...ma se sai donare, non ci sarà la morte. Prima che qualcosa ti sia tolta, l’avrai già donata, ne avrai fatto dono. Non può esserci morte. Per chi ama non c’è morte.

Allora cos’è questa paura? Perché hai così tanta paura?

Anche se si venisse a sapere tutto di te e tu diventassi come un libro aperto, perché aver paura? In quale maniera questo può farti del male? Sono solo idee sbagliate, condizionamenti dati dalla società - che ti devi nascondere, che ti devi proteggere, che devi stare sempre in guardia, che tutti sono dei nemici, che tutti sono contro di te. Non c’è niente di cui avere paura. Questo deve essere compreso prima che possa accadere una vera relazione sentimentale. Non c’è niente di cui aver paura.

Meditaci su. E poi permetti all’altro di entrare in te, invitalo a entrare. Non creare barriere da nessuna parte, diventa un passaggio sempre aperto, senza porte, senza lucchetti. Allora l’amore è possibile.Quando due centri s’incontrano, nasce una cosa nuova. Questa cosa nuova è l’amore. Ed è proprio come l’acqua - la sete di tante e tante vite viene appagata. Improvvisamente ti senti soddisfatto.

Quello è il segno visibile dell’amore; ti senti contento, come se avessi raggiunto tutto ciò che desideri. Non c’è più nulla da conseguire ora; sei arrivato alla meta. Non c’è un’altra meta, il destino si è compiuto. Il seme è diventato fiore, è arrivato alla completa fioritura. Una profonda contentezza è il segno visibile dell’amore. Ogni qualvolta una persona è innamorata, si sente profondamente appagata. L’amore non si può vedere, ma la contentezza, la soddisfazione profonda tutt’intorno... ogni suo respiro, ogni suo atto, il suo essere stesso è contentezza.
Quando c’è l’amore e i due centri si sono incontrati, uniti e dissolti, ed è nata una nuova qualità alchemica... ti senti appagato. È come se l’intera esistenza si fosse fermata; non c’è più movimento.

Il momento presente è l’unico momento.
Sii coraggioso, liberati dalla paura, sii aperto. Lascia che il centro di un altro s’incontri con quello che è in te e attraverso questo rinascerai, si creerà una nuova qualità dell’essere.

Se c’è l’amore, sentirai veramente per la prima volta che l’esistenza è divina e tutto il creato è una benedizione. Ma c’è molto da distruggere prima che ciò sia possibile. Molto dev’essere distrutto prima che ciò sia possibile. Devi abbattere tutto ciò che crea delle barriere dentro te.
Fai dell’amore una disciplina interiore. Non permettere che sia soltanto una cosa frivola, non permettere che sia solo un’occupazione della mente. Non permettere che sia soltanto una soddisfazione del corpo. Fanne una ricerca interiore.

La chiave di base è questa: devi permettere all’altro di penetrarti sin nel recesso più profondo del tuo intimo, fino alle fondamenta del tuo essere. La distruzione dell’ego è la meta. Da qualunque porta si entri nel mondo interiore - dall’amore, dalla meditazione, dallo yoga, dalla preghiera - qualunque sentiero si scelga, la meta è la stessa: la distruzione dell’ego, buttare via l’ego. Attraverso l’amore può essere fatto molto facilmente...ed è cosí naturale!

L’amore è la religione naturale.

Osho

Passegiata spirituale - Chi va piano va sano e va lontano... anche nella via dello Spirito



"È necessario che tutti comprendano come funziona il loro corpo. Se cerchi di fare qualcosa che va al di là di ciò che il corpo può tollerare, prima o poi ti ammalerai. C'è un limite del corpo che puoi cercare di forzare, ma non puoi farlo per sempre. Magari lavori troppo; può non sembrare troppo agli altri, ma il punto non è quello. Il tuo corpo non può sopportare tanto; deve riposare....

Questo essere di continuo sovraccarichi di lavoro, esausti, esauriti, depressi, e poi rimanersene a letto e sentirsi in colpa per tutto quanto, è una cosa pericolosa che può danneggiare molte parti del corpo che sono fragili. Riduci la velocità, vai più piano, e agisci in modo completo. Ad esempio smetti di camminare come cammini adesso. Cammina piano, respira piano, parla piano. Mangia piano; se di solito ti ci vogliono venti minuti, usane quaranta. Fatti il bagno con calma; tutte le attività, di ogni genere, dovrebbero essere fatte a una velocità più lenta della metà.

Non è solo una questione del tuo lavoro. In tutte le ventiquattr'ore la velocità dovrebbe essere ridotta al minimo, alla metà. Deve essere una trasformazione di tutto il tuo stile di vita. Parla con lentezza; leggi persino con lentezza, perché la mente tende a fare tutto in modo affrettato.
La persona occidentale legge velocemente, parla velocemente, manga velocemente; è un'ossessione. Tutto ciò che fa, lo fa di corsa, anche quando non è necessario. Se va a fare una passeggiata alla mattina presto, va di fretta. Non sta andando da nessuna parte... è solo una passeggiata, e se percorrerà due oppure tre miglia non farà alcuna differenza. Ma l'uomo ossessionato dalla velocità va sempre di fretta. È un meccanismo automatico, un comportamento automatico, meccanico. Diventa quasi una cosa innata. Smetti.

A partire da oggi, riduci tutto della metà. Il T’ai Chi andrà benissimo per te. Ti piacerà moltissimo. Ti alzi, ti alzi lentamente; cammini lentamente, e questo ti darà anche una certa consapevolezza, perché quando fai qualcosa con molta lentezza - ad esempio muovi la mano lentamente - diventi profondamente consapevole. Muovila velocemente e lo farai in modo meccanico. “

Osho

Gutei: "Quando tu sei uno, ecco che raggiungi l’Uno..."

Il Maestro Zen Gutei era solito alzare un dito ogni volta che rispondeva alle domande dei suoi discepoli.


Prova a osservare la tua vita: se stai facendo qualcosa e tutto a un tratto smetti, chi se ne accorge?

Ti tieni occupato con cose banali dalla mattina alla sera, e come unico risultato alla sera sei stanco morto e te ne vai a dormire.
Al mattino poi sei pronto a ricominciare tutto da capo – ancora le stesse cose inutili. È un circolo vizioso: vivi una vita non-essenziale, ti incontri con altri esseri non-essenziali, ti ci attacchi…

Ma hai una tale paura a dare un’occhiata alla banalità di questa vita, che continui a volgere le spalle, è troppo deprimente rendersi conto della banalità della tua vita – «Ma che sto facendo?»

E se poi ti accorgi che tutto quello che stai facendo è assolutamente inutile, il tuo ego va a pezzi, perché l’ego si sente importante solo quando fai qualcosa che giudichi di capitale importanza.

E così ti inventi dei significati per le cose insulse che continui a fare. Devi credere che stai facendo il tuo dovere di cittadino, che stai servendo la patria, la famiglia, l’umanità – come se senza di te le cose non potessero andare avanti. In realtà niente di quello che stai facendo è importante, ma tu devi dargli un significato, come potrebbe altrimenti sopravvivere il tuo ego?

Vivi nell’ignoranza e continui a fare cose non-essenziali. E qualunque cosa tu faccia, persino le tue meditazioni, le tue preghiere, il tuo andare a messa… tutto è futile.
Anche se preghi non può essere una cosa più profonda che leggere il giornale, perché il problema non è quello che fai, il problema è come sei tu. Se tu hai profondità, allora dovunque tu vada, qualunque cosa tu faccia,  le tue azioni saranno essenziali, profonde.

Ma se tu sei superficiale, anche se vai a messa o preghi tutto il giorno, non fa nessuna differenza: entri in chiesa allo stesso modo in cui entreresti al cinema. Tu sei lo stesso, perciò che sia un cinema o una chiesa non può fare molta differenza.

Perché Gutei alzava un dito ogni volta che rispondeva alle domande dei suoi discepoli?

Tutti i tuoi problemi nascono perché non sei uno, sei frammentato, diviso, in conflitto. Tutti i tuoi problemi sorgono perché c’è il caso dentro di te, non c’è nessuna armonia.
Quando la tua mente è divisa non riesci a pregare, non sei in grado di meditare, perché c’è sempre un conflitto dentro di te.

E ricordati questo: la parte in cui ti stai impegnando di più perde energia ogni momento che passa, e la parte avversa, che è poi la parte critica, diventa sempre più forte e alla fine sarà quella che deciderà il tuo comportamento.

Pazienza significa che sei pronto ad aspettare all’infinito. E se sei veramente pronto ad attendere all’infinito, non ti sfiorerà più il pensiero che non è ancora successo niente.

Non ha più alcun senso chiedersi perché si sta sprecando tanto tempo… se sei pronto ad aspettare all’infinito non c’è più niente che vada sprecato, e se la tua attesa è eterna, infinita, l’altra parte non avrà più niente da dire, viene automaticamente resa impotente.

È necessario raggiungere l’unità, annullare la continua lotta interiore. Ecco perché Gutei era solito alzare un dito ogni volta che parlava dello Zen. Con questo gesto intendeva dire: «Sii uno! – e tutti i tuoi problemi saranno risolti».
Vi sono molte religioni, molti cammini spirituali, molti metodi, ma il punto essenziale è sempre lo stesso: devi diventare uno.

Qualunque cosa tu scelga di essere diventa uno, e se riesci ad essere infinitamente paziente, se puoi abbandonarti totalmente, diventerai uno.
Se entrerai in silenzio profondo, se non vi saranno più pensieri e sarai in stato di meditazione, raggiungerai l’unità. Se preghi Iddio e la tua preghiera diventa così intensa che tu non esisti più, ti sei completamente dissolto nella preghiera, questo basterà.

Potando il tuo giardino, se riesci a farti assorbire totalmente da quello che stai facendo, e non vi è più spazio o pensiero per nient’altro – allora sei in meditazione, allora colui che medita è diventato la meditazione – e improvvisamente tutte le onde del maya scompaiono, e tutte le illusioni cadono.

Sei pervenuto tutto a un tratto a un livello diverso, hai raggiunto un differente spazio dell’essere, sei arrivato all’Uno.

Quando tu sei uno, ecco che raggiungi l’Uno, il Supremo.

Quando sei molte persone, quando sei diviso, sei nel mondo. I mondi sono tanti e Dio è Uno.

Ma per conoscere quell’Uno devi prima diventare tu uno, prima d’allora non potrai mai conoscerlo”

(da Dieci storie zen, pp. 119-124).


Lo sputo in faccia... come insegnamento



Il Buddha era seduto sotto un albero a parlare ai suoi discepoli. 

Arrivò un uomo e gli sputò in faccia. Egli si asciugò, e chiese all’uomo, “E poi? Cosa vuoi dire dopo?” L’uomo era un po’ perplesso perché non si aspettava che, dopo aver sputato sul volto di qualcuno, gli si chiedesse: “E poi?” Non era mai successo in suo passato. Aveva insultato persone e loro si erano arrabbiati, avevano reagito. 

Ma Buddha non è come gli altri, non si è arrabbiato, né in alcun modo offeso. Ma ha detto semplicemente: “E poi?” 

Non c’è stata alcuna reazione da parte sua. I discepoli del Buddha si arrabbiarono, reagirono. Il suo discepolo più vicino, Ananda, disse, “Questo è troppo, e non lo possiamo tollerare. Deve essere punito per questo. 

In caso contrario tutti potranno iniziare a fare cose come questa. Buddha disse: “Tu taci. Non mi ha offeso, ma sei tu ad offendermi. Lui è nuovo, un estraneo. Deve aver sentito dalla gente qualcosa di me, che questo uomo è un ateo, un uomo pericoloso che sta gettando la gente fuori dal loro sentiero, un rivoluzionario, un corruttore. E in lui potrebbe essersi formata una qualche idea, un concetto di me. Egli non ha sputato su di me, lui ha sputato sulla sua nozione. Ha sputato sulla sua idea di me, perché lui non mi conosce affatto, così come può sputare su di me?“ Se ci pensi profondamente” 

Buddha disse “ha sputato sulla propria mente. Io non sono che parte di lui, e posso vedere che questo povero uomo deve avere qualcos’altro da dire perché questo è un modo di dire qualcosa. Sputare è un modo di dire qualcosa. Ci sono momenti in cui senti che il linguaggio è impotente: nell’amore profondo, nella rabbia intensa, nell’odio, in preghiera. Ci sono momenti intensi in cui il linguaggio è impotente. Poi si deve fare qualcosa. Quando si è arrabbiati, profondamente arrabbiati, si colpisce la persona, ti sputano addosso, lui sta dicendo qualcosa. Lo posso capire. Deve avere qualcosa di più da dire, è per questo che sto chiedendo, “E poi?”.

L’uomo era ancora più perplesso! E Buddha disse ai suoi discepoli: “Sono più offeso da voi perché voi mi conoscete, e avete vissuto per anni con me e ancora reagite. 

”Perplesso e confuso, l’uomo tornò a casa. Non riuscì a dormire per tutta la notte. Quando vedi un Buddha, è difficile, impossibile dormire nello stesso modo in cui dormivi prima. Più e più volte era ossessionato da questa esperienza. Non riusciva a spiegare a se stesso, quello che era successo. Egli era tutto tremante e sudato. Non aveva mai incontrato un uomo così, lui aveva mandato in frantumi la sua mente e il suo intero modello, tutto il suo passato.La mattina dopo era di nuovo lì. Si gettò ai piedi di Buddha. 

Buddha gli chiese ancora: “E poi? Anche questo è un modo per dire qualcosa che non si può dire con il linguaggio. Quando arrivi e tocchi i miei piedi, stai dicendo qualcosa che non si può dire, perchè tutte le parole diventano un po’strette.”

Poi aggiunse: ”Guarda, Ananda, questo uomo è di nuovo qui, sta dicendo qualcosa. 
Questo uomo è un uomo di profonde emozioni”.

L’uomo guardò il Buddha e disse: “Perdonami per quello che ho fatto ieri”.

Buddha disse: “Perdonarti? Ma io non sono lo stesso uomo a cui hai sputato ieri. Il Gange continua a scorrere ma non è mai il Gange di prima. Ogni uomo è un fiume. L’uomo che sputa non è più qui. Non vedo proprio nessuno come lui, ed io non sono la stessa cosa… tanto è successo in queste 24 ore! Il fiume ha scorso così tanto. Quindi non posso perdonarti perché non ho nessun rancore contro di te. 

“E anche tu sei nuovo. Vedo che non sei lo stesso uomo che è venuto ieri, perché quell’uomo era arrabbiato e lui ora, si sta chinando ai miei piedi, tocca i miei piedi. Come può essere lo stesso uomo? Tu non sei lo stesso uomo, quindi cerchiamo di non pensarci più. Queste due persone, l’uomo che ha sputato e l’uomo su cui sputare, entrambi non ci sono più. Vieni più vicino. Parliamo di qualcos’altro“.





OSHO discours from "The Book of Wisdom : Discourses on Atisha`s Seven Points of Mind "

Fonte: http://www.testesso.com/?s=l%27uomo+che+sput%C3%B2+in+faccia+al+buddha