La donna e la sua missione di risvegliatrice della coscienza selvaggia


Dipinto di Franco Farina

James Hillman, come del resto Jung, Neumann e altri autori a lui assimilabili per scuola di pensiero e professione di fede, ci hanno parlato della necessità di una terapia della cultura.
L’esasperazione del modello simbolico patricentrico – associato al logos, il pensiero ordinatore - e la sepoltura del paradigma simbolico matricentrico – animato dalla rivelazione, sostenuto dall’istinto - ci appaiono oggi come una grande follia della quale siamo tutti vittime e per la quale tutti, in misura più o meno sentita, ci sentiamo smarriti.

L’anima selvaggia è sepolta, la coscienza dorme un sonno ipnotico. 

La donna è fortemente chiamata oggi a una missione di risveglio.

Le donne hanno bisogno di favole. Ma non favole qualsiasi, non quelle favole alle quali è stato strappato il cuore, ma le potenti favole che vivono nell’istinto, i racconti che di primo mattino gli gnomi sussurrano intorno al letto delle ragazzine poco prima del loro risveglio, i canti che si apprendono dalle salamandre, dagli elfi, dalle ondine e soprattutto dalle streghe.

Vi è stato un tempo in cui le favole di potere vivevano tra la gente alla luce del sole e tutti ne potevano beneficiare. In quel tempo, quando una donna era incinta, si raccontavano favole al nascituro perché potesse divenire un grande uomo. Le favole di potere accompagnavano l’esistenza di ogni individuo dal momento del suo concepimento al suo trapasso e anche oltre. 
Le favole non conoscono separazione tra morte e vita. Così, quando lo sciamano, capo villaggio, suonava il suo tamburo per radunare la tribù ed evocare gli avi, morti e vivi si ritrovavano insieme ad ascoltare favole. La forza di ogni clan, di ogni tribù, di ogni gruppo e di ogni singolo uomo dipendeva dalla potenza delle storie che udiva. Certe storie ci pongono di fronte a vari archetipi che sono le matrici della nostra esperienza umana, ci parlano dell’origine delle cose, di quando un comportamento o un evento è venuto in essere per la prima volta, in illo tempore, dunque, ci consentono di avere potere sugli eventi, sui comportamenti e sulle cose.

Nonterapia, per una rivoluzione spirituale.


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Il rito di morte e rinascita della rogyapa

Oh nobile figlia, se ancora odi la mia voce, profonda come la notte stellata è la tua consapevolezza, ancora non sei precipitata nell’oblio, ancora aspiri alla tua libertà, ancora tieni viva la fiamma dell’amore nei nove cuori dei nove universi che ti appartengono. Tuo è il cammino, tua la vetta e il compimento della missione finale.

Nell’oceano del tempo ora ritroverai tutte le donne della tua stirpe: la madre, le nonne, le bisnonne, le trisavole e così via: volti cari, volti noti e sconosciuti. 
In questa speciale occasione dovresti pensare in questo modo: voi siete immagini della mia anima e, come tali, avete forgiato il mio corpo e le mie attitudini, il ritrovarvi mi è enormemente caro, resto in ascolto dei vostri sussurri. Ora io so di essere vostra madre, per avervi ad una ad una immaginate e per aver voluto, nel mio sogno, esservi figlia. È giunto il risveglio, è l’ora di riassorbirvi nel mio cuore, adesso la verità è visibile: lasciate che vi riporti all’amore da cui ogni cosa ha avuto inizio.

Così pensando, siedi al centro dell’oceano del tempo, come una regina sul suo trono. Una presenza ti si avvicinerà, forse si tratta di tua madre, di sua sorella o della tua bisnonna. Ascolta attentamente ciò che questa presenza ha da dirti, accetta il regalo che ti porge e portalo con te. Tutto ciò che riceverai ora ti sarà di grande aiuto nelle fasi successive del tuo cammino.
È anche possibile che un’ava molto lontana da te nel tempo ti si avvicini per chiederti chi sei. Rispondile in questo modo: “Io sono colei che ha tante cicatrici ciascuna delle quali rende il mio tessuto più forte.” Poi, senza esitazione alcuna, confida alla tua ava il contenuto delle tue cicatrici maggiori. Forse c’è qualcosa che non hai mai confessato a nessuno, un amore perduto, un bambino rifiutato, una violenza subita o arrecata, adesso è il momento di liberarti di questo peso.

Ascoltami attentamente: i nostri segreti sono i veri cadaveri che ci trasciniamo appresso nascondendoli agli occhi di tutti e principalmente ai nostri per non soffrire. Ora metti i tuoi cadaveri nelle mani della tua amorevole ava, piangendoli fino in fondo, se necessario, ma liberandoli per sempre dal loro stato di mummificazione che impedisce lo scorrere della linfa vitale nel tuo essere.

Nessuna donna è qualcuno, ma una sola dona libera è tutte le donne, perciò col mantra Hig nel cuore, continua a danzare nel cielo …

Tratto da La favola del nagpa e della rogyapa di Selene Calloni Williams

Antico Testamento - “Falsum in unum falsum in omnibus”




Le civiltà che per uno strano caso nascono pressoché contemporaneamente in Egitto e in Sumer, dando luogo ad un’organizzazione sociale e ad un’architettura irripetibile, sono la matrice da cui prenderanno spunto tutte le altre popolazioni che sapranno legarsi, con relazioni spesso non propriamente amichevoli, in un groviglio storico che solo oggi va lentamente dipanandosi.


E se le magre citazioni di popoli sconosciuti che una volta erano affidate alla sola letteratura biblica sono state confermate dallarcheologia, al contempo sono emersi i legami che intercorrevano tra queste nazioni, ed una storia attendibile si può ormai ricostruire dalle testimonianze incrociate. Stranamente però la sabbia da cui esse venivano liberate e che per un verso avvalorava lAntico Testamentoper un altro seppelliva Israele.

All’apparenza, al di là della sporadica comparsa di alcuni suoi re all’atto del pagamento di tributi ai propri dominatori o delle citazioni fatte dagli Annali Assiri o dalla Cronaca Babilonese concernenti le prese belliche di Samaria e Gerusalemme, nessuna notizia storica sugli Ebrei sembra uscire fuori dall’immensa annalistica mediorientale.
Perché mai non si hanno riscontri di David o di Salomone e dei loro splendidi regni? Perché Erodotoche pure attraversa il territorio di Israele nella seconda metà del sesto secolo a.C. nel suo viaggio dallEgitto a Babilonianon ne fa menzione?

Il retaggio che ci trasciniamo dietro in merito è tale da far apparire l’antico popolo ebraico, in fatto di primazia religiosa, simile a quello greco per quanto riguarda l’aspetto culturale. Il preteso primo approccio al monoteismo che gli viene attribuito, la superiorità della legge mosaica rispetto alle legislazioni dei popoli coevi, la sacralità di tutto ciò che è ebreo... tende ad elevare questa nazione che ha l’incommensurabile pregio di aver involontariamente partorito la religione cristiana, che per due millenni ha dominato in tutti i suoi aspettianche i più deteriori,lintero mondo.
Ma la ricomposizione laica della storia sta portando ad altre, inaspettate, conclusioni...



Questa breve analisi è parte della "Introduzione" all'interessante saggio "A SUA IMMAGINE" redatto dallo studioso Domi Belloni il quale, avvalendosi di una minuziosa indagine, analizza i passi biblici dell'Antico Testamento e la "storia" in essi contenuta, per poi, dopo averli comparati alle risultanze archeologiche moderne, accompagnare il lettore verso "inaspettate conclusioni".

Si tratta di un "reportage", i cui interlocutori sono i protagonisti della mitologia ebraica, degno di essere letto, diffuso e approfondito, anche in sede didattica, per il materiale storiologico di elevato valore; pertanto da noi raccomandato a tutti coloro che sentono il bisogno di accertare sino a qual punto siano attendibili gli "eroi", protagonisti e fondamento della religione monoteistica occidentale, ad iniziare dalla "Massima Entità", Yahweh... il Padre di Gesù Cristo.

Lo Spirito Santo, pur tutt'oggi presente, è un po' démodé da circa millecinquecento anni, declassato in quart'ordine dalla magnificenza e infinita bontà della Super Vergine S.S. Maria, "Madre di Dio Padre" dall'inizio dei tempi e, parallelamente, "Madre di Dio Figlio", consustanziale al Padre, riconosciuta come tale nel Concilio di Efeso del 436 d.C.

La stragrande maggioranza dei credenti in queste divinità, ad onor del vero, le conoscono solo attraverso prediche, sermoni o "parabole", ascoltate nelle Chiese, nelle Scuole durante l'insegnamento della religione cristiana, nonché grazie alla onnipresente Televisione.
In sostanza, quasi tutti i fedeli non hanno mai letto compiutamente la Bibbia, e tanto meno lo hanno fatto con metodo critico; eppure i "credenti" non sanno, né immaginano, che i "sacri brani", quelli oltremodo famosi quindi conosciuti da tutti, sia del Nuovo che dell'Antico Testamento, sono sempre gli stessi e appositamente "selezionati" per essere celebrati e propagandati dagli innumerevoli "Ministri di Dio", "Pastori" ecc., tutti riveriti e in ottima salute... soprattutto economica.

Ma, se dovesse diffondersi la pratica, saggia, di informarsi ed approfondire la conoscenza della propria religione anziché accettarla "tout court", piuttosto ricercando, autonomamente, la concordanza dell'insegnamento "verbale" ricevuto con l'insegnamento "scritto", allora, nessuna meraviglia se anche un "buon cristiano"... ci ripensi.

Emilio Salsi



Lettura critica dellAntico Testamento da parte di un ex credente


Dopo anni di studi dedicati alla conoscenza delle vicende narrate nell’Antico Testamento sono giunto alla determinazione che si tratta di favole talmente sciocche da non poter essere interpretate neanche attraverso la simbologia o linguaggio dei segni …
Per questo motivo sento il dovere di sottoporre la presente ricerca a quei credenti che, come nel mio caso, intendano approfondire i contenuti della propria Fede per verificare, attraverso la conoscenza diretta, la correttezza della informazione ricevuta dai pulpiti, nelle aule scolastiche e tramite i mezzi di informazione di massa.
Solo con l’arricchimento del proprio sapere ognuno sarà in grado di giudicare e quindi decidere, in piena autonomia di ragione e coscienza, se prostrarsi davanti una statua, oppure considerarla niente di più che il residuo di un paleofeticcio destinato al culto di persone influenzabili, quindi facilmente indottrinabili.

Parte I

Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnareconvincere, correggere e formare alla giustizia …”. 

Così è scritto nella Seconda Lettera a Timoteo (attribuita a san Paolo) al cap.3 v.16.

Questo fu uno dei primi versetti biblici che inculcarono nel mio cervello quando inziai a studiare per diventare un degno cristiano “Testimone di Geova”.

Se voi lettori, interessati ad approfondire la conoscenza sui fondamenti della dottrina cristiana, avrete la pazienza di seguire questa mia trattazione, potrete accertare che Dio si è ben guardato dall’ispirare Profeti e Scribi dell’Antico Testamento. Ed è questa prima parte della Bibbia, alla quale ho dedicato particolarmente i miei studi, che intendo sottoporvi.

La prima volta, quando esordii assieme ad un compagno nella predicazione come Testimone di Geova, il così detto “Sorvegliante viaggiante” cioè l’Ispettore della Sede Centrale, ci diede istruzione di spiegare, alle persone che avvicinavamo, la scrittura di Isaia cap.13 vv.19:
“… e Babilonia deve divenire come quando Dio rovesciò Sodoma e Gomorranon sarà mai abitata, né risiederà di generazione in generazione ...”.
 

Poi dovevamo specificare che questa, come le altre, era una profezia che si era avverata, incontestabilmente, per cui bisogna fidarsi della Bibbia. Anche Wikipedia la considera attuata, ma noi intendiamo verificarla.

Passarono ben otto anni prima che io cominciassi a pensare di nuovo con la mia testa e, di conseguenza, iniziai a leggere la “profezia” ora citata di Isaia qualche versetto prima; iniziando dal 17° :
“ Ecco, (Dio) destò contro di loro i Medi … e i loro archi sfracelleranno pure i giovani … e non avranno pietà del frutto del ventre ... e Babilonia …  ecc. ecc.”.
Di fatto, quindi, la profezia attestata dal Profeta Isaia, tramite la rivelazione divina, dichiarava che Babilonia sarebbe stata distrutta dai Medi-Persiani e cancellata dalla faccia della terra esattamente come Sodoma e Gomorra furono annientate dalla potenza di Dio. Ma, secondo la storia, questa “rivelazione celeste” non si è avverata.
Ciro il Grande entrò in Babilonia nel 539 a.C., la città gli piacque molto e vi si insediò; piacque anche ad Alessandro Magno che se la tenne; poi Antioco Epifane voleva farne la sua capitale se gli avvenimenti, quelli che lo riguardavano, non fossero precipitati; di seguito fu, quindi, abitata dai Parti.
Diversamente dalle bibliche fantasiose Sodoma e Gomorra, Babilonia si estinse decadendo, progressivamente, come capitò a tante altre antiche città ed imperi. La sua fine è da collocarsi all’inizio dell’Era cristiana, almeno cinque secoli dopo la catastrofica “profezia”.
Una distruzione totale che, viceversa, Gerusalemme “la Santa” subì realmente due volte in meno di settanta anni da parte degli imperatori romani Tito e Adriano senza che Dio lo rivelasse ai Profeti” del Suo popolo.

I capitoli 50 e 51, dettati dal Profeta Geremia, altra “Parola di Dio”, manifestano la goduria e il sadismo con cui lo scriba si dilunga nel raccontare la distruzione dell’odiata (dagli Ebrei) Babilonia da parte dei Persiani. Al contrario, nulla di tale descrizione avvenne. Infatti i sacerdoti del Dio Marduk (la divinità pagana antagonista a quella ebraica “Yahweh”) aprirono le porte della città a Ciro e questi entrò senza combattere.
Spiega infatti G. Pettinato nel suo libro “Babilonia” che il re babilonese di quell'epoca, Nabonedo, era un adoratore del dio Sin mentre la classe sacerdotale della città era tradizionalmente legata al dio Marduk di conseguenza, per contrasto religioso, quei sacerdoti si allearono con Ciro il persiano al fine di estromettere Nabonedo.
Essendo troppo lungo riportare due interi capitoli traboccanti dell’odio di Geova (Yahweh) espresso da Geremia (il 50 e il 51), mi limito a questo esempio:

“… Ecco viene un popolo dal nord … sono crudeli … e non mostrate compassione ai suoi giovani ... votate alla distruzione tutto il suo esercito…”
Eppure dobbiamo prendere atto che è stata tutta colpa degli Ebrei quando Nabucodonosor pose fine al regno di Giuda nel 587: se il re Sedechia non avesse fatto il "doppio gioco" sarebbero stati risparmiati.

E l’odio per Nabucodonosor da parte degli Ebrei perdura anche nel II° secolo a.C. quando l’autore del Libro di Danieleriprende uno Scritto esseno, ritrovato fra i Rotoli del Mar Morto (4Q "pregh. Di Nab." Qumran). Il Profeta narra di una malattia del re babilonese Nabonedo, durata sette anni, e la applica a Nabucodonosor nel famoso sogno del cap.4.
Infatti, sempre dal libro di G.Pettinato, l’illustre assirologo recentemente scomparso, apprendiamo che Nabonedo era stato dichiarato pazzo dai sacerdoti suoi antagonisti per motivi religiosi, e proprio il manoscritto rintracciato al Mar Morto narra, confermandola, di una sua fantasiosa malattia durata sette anni. Ne consegue che lo scriba di Daniele, dopo essersi ispirato a quell’evento, ne riprese il contenuto e lo trasferì rapportandolo all’odiato re Nabucodonosor il quale, ovviamente, venne raffigurato anche lui come un pazzo che per sette anni si comportò da animale. Questo è solo un piccolo esempio che ci aiuta a capire le modalità adottate dai Profeti per “costruire” la “Parola rivelata da Dio”.

Sono ancora più spassose le “rivelazioni” sull’Egitto manifestate da Dio ai suoi Profeti:

Zaccaria, 10/11: “… tutte le profondità del Nilo saranno seccate…”;
II Re, 19/24 : “… con le piante dei miei piedi prosciugherò il Nilo d’Egitto”;
Amos, 8/8: “… s’abbasserà come il Nilo d’Egitto…”;
Ezechia, 30/12: “... e io muterò il Nilo in luoghi aridi…”;
Isaia, 19/5: “… il Nilo diventerà secco e arido…”;
Isaia, 37/25: “ ... prosciugherò tutti i fiumi d’Egitto …” (compreso il Nilo);

Divertente anche Ezechiele, cap.29:

“Così parla l’Eterno: «eccomi contro di te Faraone, gran coccodrillo (!!), io metterò i ganci nelle tue mascelle, e farò sì che i pesci si attaccheranno alle tue scaglie e ti trarrò fuori di mezzo dei tuoi fiumi con tutti i pesci attaccati alle scaglie (!!)...e ti getterò nel deserto con tutti i pesci dei tuoi fiumi ... ti darò in pasto in un deserto, nè sarà più abitato per quarant’anni … disperderò gli Egiziani fra le nazioni»”;

Isaia non è da meno. Cap.19,2, gli rivela Geova: “... inciterò egiziani contro egiziani, e certamente diverrà una distesa desolata …”; Anche per Gioele 3,19 ci sarà : “... una distesa desolata …”;
Non poteva mancare “la rivelazione” a Daniele 11,42: “ … e riguardo al paese d’Egitto non scamperà …”;
Anche Geremia cap.43: “ ... verrà e colpirà il paese d'Egitto...ed appiccicherò il fuoco alle case d'Egitto e frantumerà le statue del tempio del sole...” … prospetta futuro di morte per l’Egitto.

In verità i fatti si svolsero così: nel 567/68 a.C. Nabucodonosor intraprese una campagna contro l’Egitto senza riuscire a conquistarlo né a distruggerlo; ci fu solamente una battaglia persa dall’Egitto ma priva di conseguenze.

Ora, secondo “la Parola di Dio” rivelata dai Profeti, è il turno di Damasco:

Isaia 17,1: “… Ecco Damasco è rimossa dall’essere città ed è divenuta un cumulo di rovine in decomposizione...”;
Amos 1,3 : “... manderò un fuoco che divorerà i palazzi … sterminerò ogni abitante e il popolo di Siria andrà in cattività...”
e, tramite Geremia cap. 49, Geova-Yahweh sempre con lo stesso tono: “... così i suoi giovani cadranno... ed Io appiccicherò il fuoco.”

In verità il re dAssiria Tiglat Pileser conquistò Damasco nel 732 a.C. ma lasciò la città intatta, non divenne un cumulo di rovine come profetizzato dai tre “Oracoli di Dio”.

Non potevano mancare le “profezie” verso gli altri Paesi confinanti con il regno di Giuda.

Edom per esempio in Ez. 25,12: “... certamente stenderò (Dio) la mia mano contro Edom e vi stroncherò uomo e animale domestico ... e ne farò un luogo devastato …”;
Gioele 3,19: “ … Edom diverrà un deserto …”;
Geremia non è da meno nel cap.49 : “ … diverrà oggetto di stupore...nessuno vi risiederà…”;
Magistrale in Isaia 34/5: “… la mia spada (di Dio) scenderà su Edom e sul popolo da me votato alla distruzioneGeova ha una spadadeve riempirsi di sangue...”.
Secondo Amos 1,11 arriverà un fuoco che divorerà tutto. Ma, sappiamo, Edom non è diventata un deserto e poi venne chiamata Idumea ... Nella mente degli Ebrei gli Idumei sono impressi come popolo tradizionalmente nemico e si combatteranno fra loro con alterne fortune sino alla morte di Erode il Grande avvenuta il 4 a.C. Da allora in poi, fino a tutta la guerra giudaica del 66/70 d.C., si schiereranno con gli Ebrei nelle rivolte contro Roma.

Anche il territorio di Moab, a nord di Edom, non poteva sottrarsi alle “profezie” degli “ispirati scrittori biblici” (tipica definizione usuale nelle riviste come “Torre di Guardia”).

Sofonia 2,9 (questo Profeta è veramente un grandissimo menagramo in quanto “Parola di Dio”):
“... Moab stessa diverrà, proprio come Sodoma, un luogo posseduto dalle ortiche … una distesa desolata...” 
Poi c’è Amos 2,1: “… e di sicuro manderò un fuoco su Moab e deve morire con rumore...” 
Rovina, ancor più grande per Moab profetata in Isaia cap.16, Geremia cap.48, ed Ezechiele 25,11. Non riporto le solite citazioni perché qualcuno potrebbe annoiarsi. Comunque, di tutte queste “disposizioni divine”, trasmesse da Dio ai comuni mortali tramite i Profeti scelti da Lui … non è successo niente.

La terra di Ammon, in Transgiordania, secondo Geremia, 49 : “... diventerà un cumulo di rovine... una distesa desolata...” 
Ezechiele, cap 25: “... ti stroncherò ... ti distruggerò … ti annienterò...”;
Stessa solfa in Amos 1,13 e Sofonia 2,8-9; gli appassionati di sadismo biblico possono prendere in mano il Libro e leggere le citazioni non riportate volutamente. La conclusione? Idem come sopra: alla terra di Moab, anch’essa in Transgiordania, non è successo niente.

E non potevano mancare i Filistei, ovviamente.
In 1° Samuele 9,15, Dio elegge Saul come Re e di lui dice: “… quest’uomo (Saul) libererà il mio popolo dai Filistei”. Gli ebrei riuscirono a liberarsi dai Filistei solamente ben sette secoli dopo per opera dei Maccabei, ma la "liberazione" durò poco perché giunsero i Romani.
C'è da annotare che, secondo la Bibbia, il piccolo regno di Giuda nacque grazie ad alcune terre che gli stessi Filistei cedettero a Davide per ricompensarlo dei servigi resi a loro.

In questo tipo di vaticini il Profeta Sofonia è imbattibile e, a proposito delle città filistee, scrive al cap.2 verso 4 :
“… Gaza sarà desolata e Ascalona ridotta ad un deserto, Asdod in pieno giorno sarà deportata ed Ekron distrutta dalle fondamenta… io ti distruggerò privandoti di ogni abitante...”
… dopodiché nacque il piccolo regno di Giuda sulla terra che i Filistei diedero a Davide in cambio dei servigi prestati.
Geremia 47,4: “… perché è arrivato il giorno un cui saranno distrutti tutti i Filistei … il Signore infatti distrugge i Filistei... è distrutta Ascalona…”
Anche Ezechiele 25,15 : “… stroncherò… distruggerò i Filistei…” 
Amos 1,8: “... i rimanenti dei Filistei dovranno perire…” 
Siamo nel VI° secolo a.C. quando Geremia dice che è arrivato il giorno in cui saranno distrutti i Filistei. Bisogna riconoscere, almeno in questo caso, che, finalmente, quattro secoli dopo la profezia, quei fondamentalisti che erano i Maccabei riuscirono a sconfiggere i Filistei ma, ovviamente, senza le distruzioni che i Profeti predissero.

Anche la profezia su Tiroriportata da Ezechiele, che abbraccia ben tre capitoli (il 2627 e 28fu un flop”:

“Orsù, figlio dell’uomo, intona un lamento su Tiro … Su di te, Tiro, comporranno elegie: «Chi era come Tiro ora distrutta in mezzo al mare? … Ora tu giaci travolta dai fluttinelle profondità del mare».

Andrebbe letta tutta (è in rete ma lunga) perché diverte. Infatti, prima, “l'Oracolo di Dio” descrive la ferocia che Nabucodonosor infligge ad una città che non “giace nelle profondità del mare”, ma, al contrario, la Storia riferisce che, dopo ben 13 anni di assedio, il Re non riuscì ad entrare nella città per cui al seguente cap. 29,18, il “nuovo Profeta Ezechiele” (non può essere lo stesso di prima: è cambiato lo scriba in possesso di nuovi dati ma non può smentire il precedente "Oracolo di Dio") pertanto si rimangia "l'innabissamento nelle acque del mare" della città di Tiro modificando il "vaticinio" come appresso:

“ ... Il re di Babilonia ha fatto fare al suo esercito un duro servizio contro Tiro: ogni testa è divenuta calva, ogni spalla scorticata ma non hanno ricavato da Tiro alcun salario del servizio che egli ha fatto contro di essa”.

Tiro sarà distrutta dai Musulmani nel 1292, ma dopo Cristo, 2000 anni dopo la profezia dell’Oracolo di Dio …  sulla terra fermasenza giacere nelle profondità del mare.

Ecco la “profezia” che riassume, accorpandole, tutte quelle esposte sopra ... ed altre ancora. Fu scritta da Zaccariaquando gli Ebrei avevano già perso lindipendenza:

“... Questa sarà la piaga con cui Geova (Yahweh) colpirà tutti i popoli che avranno mosso guerra a GerusalemmeImputridiranno le loro carni e mentre saranno ancora in piedi la lingua marcirà loro in bocca. (14.12).

Bene, ora, al termine di questa prima “tornata” di Annunzi Divini, valutiamo cosa si è realizzato dopo le innumerevoli “rivelazioni” dei Profeti ebrei.

Il loro sogno era quello di vedere al centro di un limitato territorio medio orientale il piccolo Regno di Giuda e, tutt’intorno, desolazione, deserto, morte. Questa era la loro aspirazione, attuata, naturalmente, grazie all’aiuto indispensabile e “infallibile” del loro Dio… per bocca dei Suoi Profeti

Sarebbe sciocco adesso, da parte mia, dire che quei Profeti, a dispetto delle rivelazioni divine, non ne hanno azzeccata una in quanto è fin troppo evidente che gli scribi che raffigurarono gli "Oracoli di Dio" erano consapevoli di non poter indovinare il futuro. Il loro è stato un esercizio di cattiveria pura, coperta, ipocritamenta, dalla volontà di una Entità superiore appositamente inventata. In preda a una sorta di "paranoia nazionalista" auguravano tutto il male possibile alle nazioni circonvicine in competizione fra esse: un inno all’odio. Uno sfogo di malvagia scelleratezza. Ma perché questo atteggiamento?


Parte II

Occore dare, seppur succinte, alcune informazioni storiche per spiegare l’odio degli scrittori biblici verso i Paesi confinanti. Tutti gli storici, da Liverani a Soggin a Garbini a Shlomo Sand (oltre ai noti Finkelstein e Silberman) sono concordi nell’affermare che il piccolo regno di Giuda, a parte un momento di espansione quando si è formato con Davide, è quasi sempre vissuto in una situazione di subalternità (vassallaggio); inizialmente sotto l’Egitto, poi sotto i Filistei e ad Israele, occasionalmente sotto Damasco e gli Assiri; di conseguenza obbligato a dilapidare le sue modeste ricchezze per pagare tributi ai suddetti Stati.
In quanto alle guerre, quindi, sono molte più quelle che ha perso rispetto a quelle che ha vinto.
Ecco spiegato l’odio contro tutti manifestato attraverso la “Rivelazione di Yahwè” e la Sua ira distruttiva e spietata nei confronti dell’umanità intera. Un odio che non ha eguali se paragonato a qualsiasi altra divinità pagana che l’uomo ha creato.

I “Profeti” baravano anche sulle dimensioni del loro Statolo allargavano a parole.

E questa strana “indipendenza” nazionale terminò, come sappiamo, con Nabucodonosor. Poi arrivarono i Persiani, poi Alessandro Magno, infine i Romani. Un popolo sempre sottomesso agli altri, un piccolo Stato scalcinato, una vita grama. Lo storico greco Erodoto transitò dalla Palestina per andare in Egitto ma non trovò degno di menzione il piccolo “Regno di Giuda”.

Il “Regno d’Israele”, in effetti, conobbe un breve periodo di espansione e di opulenza con la dinastia degli Omridi ma ben presto, nel 722 a.C., fu annesso dagli Assiri quando videro che c’era molta “polpa da mangiare” e questo evento indusse molti Ebrei, per affinità religiosa, a trasferirsi nel Regno di Giuda. Il Regno di Giuda, invece, sino allora costituito soprattutto da miseri villaggi di capanne e qualche piccola città, si alleò con l'Egitto avverso gli Assiri ma fu inutile : venne assalito e depredato dagli Assiri con imposizione di tributi pur senza essere annesso all'impero Assur.
Quando la realtà è brutta, non rimane che rifugiarsi nei sogni inventando una bella storia con un passato glorioso e potente, grazie anche all'intervento degli "Angeli", ovvero "entità spirituali" agli ordini di Dio... tanto astratte quanto fantasiose. Vediamo perché. 

Le schiere celesti di Dio

I Profeti ebrei falsificavano la propria storia interpretandola secondo una dottrina nazionalista che contemplava, nientemeno, l'intervento di angeli inviati direttamente da Yahweh per proteggere il popolo eletto e la città santa di Gerusalemme.
Nel 701 a.C. Sennacherib, Re degli Assiri, dopo aver conquistato 46 città fortificate del regno di Giuda, pose sotto assedio Gerusalemme.
In II Re 19,35-36 l'Oracolo di Dio scrive:

"Di notte l'Angelo del Signore scese e percosse nell'accampamento degli Assiri centoottantacinquemila uomini. Quando i superstiti si svegliarono al mattino, ecco, quelli erano tutti morti. Sennacherib, re d'Assiria, levò le tende e fece ritorno a Ninive".   

La "cronaca" biblica appena letta si conclude con uno spropositato sterminio di nemici Assiri e la fuga del loro re Sennacherib, il maggiore responsabile della guerra, il quale viene inspiegabilmente risparmiato dall'Arcangelo"Uriel(Luce di Dio), il vendicatore dalla spada fiammeggiante, ma... l'archeologia racconta una storia totalmente diversa e spiega perché Uriel non uccise il re invasore.
Nel British Museum di Londra è conservato il "Prisma di Taylor", una tavoletta d'argilla ritrovata fra le rovine del Palazzo Reale di Ninive. Nel reperto sono incise le operazioni militari condotte da re Sennacherib e le sue conquiste.
Fra queste viene descritta anche la guerra contro le forze giudaiche di re Ezechia e l'assedio di Gerusalemme:

"«Poiché Ezechia, re di Giuda, non volle sottomettersi al mio giogo, io lo affrontai, e con la forza delle armi e con il mio potere conquistai 46 delle sue città fortificate. Da quelle io feci 200.156 prigionieri, vecchi e giovani, uomini e donne, insieme a muli e cavalli, asini e cammelli, buoi e pecore. Costrinsi Ezechia a chiudersi dentro Gerusalemme, come un uccello in gabbia, costruendo torri intorno alla città per circondarlo e innalzando terrapieni sulle porte della città affinché non potesse fuggire. Preso allora dal terrore per la potenza del mio esercito, egli mi inviò i capi e gli anziani di Gerusalemme con 30 talenti d'oro e 800 talenti d'argento ed altri tesori per un immenso bottino. Tutto ciò fu portato da me a Ninive la capitale del mio regno»". 

Un talento babilonese o sumero pesava oltre 36 kg.... con buona pace del giustiziere della notte inviato da Dio, l'Arcangelo Uriel con la "spada fiammeggiante", nonché dei suoi Profeti inventori e di tutti coloro che credono negli "angeli custodi".                               

L’8 aprile 2001, in occasione della Pasqua ebraica, nel Sinai Temple (Sinagoga) di Los Angeles, davanti a 2200 persone, il Rabbino David Wolpe spiegò nel suo discorso che, molto probabilmente, il patriarca Abramo non è mai esistito. E neppure Mosè.
L’intera storia dell’Esodo quasi certamente non avvenne, pertanto sul Monte Sinai non fu consegnata nessuna legge a Mosè, così come non crollarono le mura di Gerico, né avvennero le sanguinose battaglie vinte da Giosuè per la conquista di Canaan. Il Rabbino, inoltre, ridimensionò lo “spessore” della grandezza di Davide e Salomone in base alle risultanze storiche.

La “prova regina”, a conferma che non c’è stato quel passato glorioso, è al Museo di Gerusalemme: nonostante gli annosi e prolungati scavi finanziati dalle autorità israeliane per ricercare e tentare di riportare alla luce qualche reperto, non esiste alcun resto, tanto meno vestigia, della vetusta civiltà descritta nell’Antico Testamento.
Mentre le testimonianze archeologiche delle civiltà sumero-accadica e assiro-babilonese hanno riempito i musei di questo mondo, dell’antico Regno di Israele/Giuda non si è trovato niente, nulla che possa confermarne la passata esistenza.

Spinoza Baruch, filosofo ebreo ed esperto di esegesi vetero testamentaria, dopo aver intuito e manifestato questa realtà almeno quattro secoli fa, venne bandito dall’ecumene ebraica e costretto a fuggire inseguito dalla famosa, rituale, maledizione biblica : “… che tu sia maledetto giorno e notte…”. Alla nostra epoca, invece, il Rabbino David Wolpe ha potuto esprimersi in una Sinagoga ricevendo, ovviamente, sia plauso che critiche composte.
La storia inventata

Davide non era un musico, non suonava l’arpa, non compose Salmi e nemmeno uccise il gigante Golia. Così leggiamo in 2 Samuele 21/19:

“ ... ed Elhanan figlio di Iarei di Betlemme colpì Golia di Gat, l’asta della cui lancia era come un subbio da telaio”.
Questo brano biblico, non è in contrasto con 1 Samuele 17,50:

“ Così David, prevalso sul filisteo con la fionda e una pietra, colpì il filisteo e lo uccise, ma non c'era la spada in mano di Davide”.

Infatti, contrariamente alla convinzione indotta al fine di magnificare un mito irreale, leggiamo che Davide uccise “un filisteo” con la fionda, viceversa “Elhanan figlio di Jairei” uccise Golia con la lancia. Sono due eventi diversi ma, mentre il primo fa il nome del nemico ucciso, vicevera il secondo no. A questo punto, i credenti che, con una forzatura, insistono nell’affermare che il gigante Golia fu ucciso da Davide, incappano in una assurda contraddizione perché è impossibile che Golia sia morto due volte.
Dalla Bibbia Davide risulta un ebreo della tribù di Giuda, nato a Betlemme e dunque suddito del regno filisteo di Gat. Entrò al servizio del re filisteo Akis come capo militare; dopo aver combattuto in difesa degli interessi filistei è probabile che ebbe un piccolo feudo a Hebron esteso poi a Gerusalemme; come scrive Liverani: “… sotto l’egemonia dei Filistei...”.
Il mitico "re Davide" era un capobanda, mercenario, che pretendeva anche il “pizzo” dai proprietari terrieri come potete leggere in 1 Samuele 25,5-8, in cambio di “protezione”:

“Davide avendo saputo nel deserto che Nabal tosava le sue pecore, gli mandò dieci giovani ai quali disse: salite a Carmel andate da Nabal salutatelo a nome mio e dite così: Salute! Pace a te, pace alla tua casa e pace a tutto quello che ti appartiene. Ho saputo che tu hai i tosatori;... trovino dunque questi giovani grazia agli occhi tuoi, giacché siamo venuti in giorno di gioia, e dà, ti prego, ai tuoi servi e al tuo figliuolo Davide ciò che avrai fra mano”. 

Ma Nabal si rifiuta di pagare il pizzo e rimanda indietro i giovani a mani vuote; per fortuna la moglie Abigail, donna avveduta, è informata della cosa da un servo e, prima che Davide arrivasse con  quattrocento guerrieri gli va incontro con tanta mercanzia che gli offre in cambio della pace. Il finale è bellissimo: Dio, che sta dalla parte dei mafiosi, fa morire quel Nabal che non voleva pagare il pizzo ed Abigail sposa Davide.
Sempre il “pio” Davide, in seguito, per poter andare a letto con la bella Betsabea fece in modo che il marito di lei [Uria] morisse in battaglia. C'è da sottolineare, soprattutto, che la maggior parte delle vittorie a lui attribuite sono le stesse che, prima di lui, furono accreditate a Saul. Dalla lettura della Bibbia, inoltre, riscontriamo gli stessi nemici combattuti ancora prima dei due grandi Re e descritti nel libro dei Giudici.
Sentite questa da 2 Samuele 24.9:

“... Ioab consegnò al re Davide la cifra del censimento del popolo ebreo: c’erano in Israele ottocentomila guerrieri che maneggiavano la spada; in Giuda cinquecentomila”.
Si calcola che a quell’epoca tutta la Palestina era abitata da 500.000 ebrei, donne bambini ed anziani compresi. Se Davide avesse avuto veramente a disposizione 1.300.000 guerrieri, avrebbe conquistato tutta la terra abitata fino alla Mongolia! Peraltro, all'epoca di Davide, secondo l'archeologo Finkelstein, Gerusalemme risultava essere: “Un tipico villaggio dell'altopiano”.
Identica solfa al “grande esodo dall’Egitto” (inventato), narrato in “Esodo” cap.12 v.37, del popolo ebraico; se davvero c’erano “seicentomila uomini robusti” avrebbero potuto conquistare l’Egitto stesso senza dover partire.

Anche Salomone divenne re di uno Stato “modesto e banale” come scrive Liverani. Non è stata trovata alcuna traccia del favoloso Tempio che lui avrebbe costruito (secondo la Bibbia fu realizzato da Davide prima di lui) né del suo bellissimo palazzo con tante scuderie. Nulla. Hiram di Tiro, il re che avrebbe aiutato Salomone a costruire quella magnificenza, non lo conosceva nemmeno. Non ci fu nessuna regina di Saba che arrivò a Gerusalemme per omaggiarlo (infatti Salomone regnava solo su Israele, quindi non risiedeva a Gerusalemme) e giammai un Faraone avrebbe dato una figlia in sposa ad un ebreo. Salomone non scrisse nulla di quanto attribuito a lui nella Bibbia. Dalla lettura del Profeta Amos, cap.1, nella versione non contraffatta della “Bibbia LXX”, sappiamo che Salomone fu deportato a Gerusalemme: anche lui era un “povero diavolo”.
Amos Cap. 1,6-11: “Così dice il Signore: «… per le tre colpe di Gaza e per le sue quattro non li perdonerò, perché essi hanno deportato Salomone per consegnarlo a Giuda » ... Così dice il Signore: «per le tre colpe di Tiro e per le sue quattro non le perdonerò, perché hanno consegnato la deportazione di Salomone a Giuda e non hanno ricordato il patto fraterno»”.
Di fatto ci fu un’alleanza tra i Filistei, la città di Tiro e il Regno di Giuda per combattere Israele, il cui re, Salomone, fu vinto, imprigionato e deportato a Gerusalemme. Il nome di Salomone non risulta scritto in alcun documento arcaico extra-biblico. Nessuno lo conosceva. Sarà esistito veramente? non sussiste alcuna prova … neanche una minima traccia.
In ogni caso, gli storici affermano che ci sono scarse probabilità sia esistito il regno unitario di Israele-Giuda, diversamente da quanto scritto nella Bibbia. Semmai combattevano fra loro come nemici perché si erano dimenticati del “patto fraterno”.
L’unica attestazione storica internazionale riguardante l’esistenza di un re ebreo dell’Antico Israele si trova in un basso-rilievo di un obelisco assiro ove si vede uno strisciante Re “Yehu”, sconfitto e prostrato al cospetto del vincitore Re assiro Salmanassar, seguito da tredici ebrei recanti i tributi.
Scrive Finkelstein nel suo libro “Tracce di Mosè” che è stata ritrovata una stele del IX secolo di Hazael, Re di Aram, nella quale si dice che lui sconfisse un re della “Casa di David”. Così sappiamo che almeno “un re della casa di Davide” è esistito.
Un piccolo accenno agli altri due grandi personaggi del Vecchio Testamento: Abramo e Mosè. Anche loro fanno parte della “Storia Mito” inventata e lo si evince osservando che questi personaggi appaiono nel libri scritti dall’Esilio Babilonese in poi. Ezechiele, per esempio, non conosce Mosè. E’ un Profeta presente a Babilonia per confortare gli Ebrei lì esiliati ma non ricorda di citare la narrazione epica:
“... come Dio, tramite Mosè, vi trasse fuori dall’Egitto per condurvi alla Terra Promessa, così ora… ecc.”.
E naturalmente lo conferma il Rabbino David Wolpe nel suo famoso discorso tenuto alla Sinagoga di Los Angeles aggiungendo: «Se un esponente, tuttora in servizio, del mondo ebraico ci informa che un pilastro del loro 'Credo' è crollato non possiamo fare altro che prenderne buona nota».
Ma non si poteva inventare quella Storia se, al medesimo tempo, non si inventava un Dio che doveva servire di aiuto fondamentale agli Ebrei in cammino.

Il Dio inventato si comportava così:
Giosuè 10,10-11: “... Geova lanciò dal cielo grosse pietre e molti morirono”Il versetto continua dicendo che gli uccisi da Geova con sassi dal cielo erano molto più numerosi di quelli uccisi con la spada dagli Israeliti;
Giosuè 10,40-42: “... non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni essere che respiracome aveva comandato Geovail Dio dIsraele”.E’ sconvolgente la disinvoltura con cui l’Antico Testamento descrive un Dio carico di odio contro tutta l’umanità.

Poi è la volta degli Amorrei e al cap.10,11 leggiamo che vengono sconfitti dagli Israeliti. Gli Amorrei erano un grande popolo che fondò Babilonia e annoverò un imperatore potente come Hammurapi il quale, fra l’altro, scrisse il famoso Codice Hammurabi (in accadico) con la Legge delle XII Tavole, scopiazzata dagli Ebrei mille anni dopo nella Legge Mosaica … ma l’ira di Yahweh non si placò:
1 Cronache 5.22: “... numerosi furono i feriti a morte dato che la guerra era voluta da Geova”;1 Samuele 15.2: “ non lasciarti prendere dalla compassione ma uccidi uomini e donnebambini e lattanti, buoi e pecore cammelli e asini”;Isaia 34.6: “… Geova ha una spada e deve riempirsi di sangue...”;Ezechiele cap. 21: “… la spada sguainata sarà contro ogni carne … stroncherò da te il giusto ed il malvagio … la spada dei massacri...”;Naum 1.2: “… Geova fa vendetta ed è disposto al furore: Geova fa vendetta contro i suoi avversari...”;Numeri 21.1: “ ... seguì quell’uomo di Israele nella tenda e li trafisse tutti e dueluomo e la donnanel basso ventre … «così (dice Geova) hai allontanato la mia Ira dagli Israeliti»...”.

Invece, perché ho ripreso le Scritture citate sopra dalla Bibbia dei “Testimoni” e ho volutamente sempre scritto “Geova” anziché il più comune “Yahweh” ?
E’ molto semplice: parlando con un TdG (Testimone di Geova) e dopo avergli mostrato “le Scritture” lui risponde che ci crede, e quelle battaglie sono realmente avvenute. Incalzandolo sul fatto che, per ordine di Dio, morirono un enorme numero di bambini e altre persone innocenti ha risposto: “… poi saranno tutti risorti…” Allora ho replicato che il loro Diomolto probabilmentenon sarà lo stesso Dio immaginato dalla massa dei credenti in buona fede che addirittura non ha letto la Bibbia. La reazione del devoto TdG, mio malgrado, mi ha lasciato di stucco con queste micidiali parole: “... del resto, nel Nuovo Testamento, lo stesso Dio manda suo figlio (Gesù) a farsi uccidere…”.
Ebbene, dopo questa funerea considerazione, penso proprio che i sinceri credenti debbano fare una riflessione su questo aspetto. Tanto più che, ancora sotto shock per la risposta, ho dimenticato di evidenziare che lo stesso Dio ha destinato Suo Figlio ad essere mangiato in particole, corpo e sangue, dai credenti che vogliono essere salvati nel Regno dei Cieli.

Nel famoso discorso tenuto da David Wolpe nel 2001, come riferito prima, dal momento che il Rabbino stesso dichiarò non esserci stato alcun Mosé e nessun Esodo, praticamente fa crollare i pilastri fondamentali della Fede ebraica riconducendola nei termini di una normale storia di un popolo mitizzata e gonfiata come una leggenda. 

Un’ultima osservazione in conclusione di questa seconda parte della lettura della Bibbia antica.
In Genesi, prima di iniziare il lungo racconto di storie inventate, troviamo inseriti due copia-incollaIl primo riguarda Adamo ed Eva.
Se andate al British Museum, salite al primo piano e nella sezione Sumerica, in una vetrina, è conservato un cilindro chiamato: La tentazione di Eva. In esso è raffigurato un uomo, una donna, un albero ed il serpente. Il cilindro è Accadico e risale al 2200 a.C.
Ma invitiamo i lettori a documentarsi sul link:


http://comeleggerelabibbia.blogspot.com/


Laltro copia-incolla riguarda il Diluvio

Ormai, sin dall’epoca di Orazio, è “lippis notum et tonsoribus” (cosa conosciuta dai miopi e barbieri = nota a tutti) che anche Noè ed il suo diluvio è una leggenda copiata da altri miti, precedenti quello ebraico, e appartenenti a civiltà ancor più antiche. Infatti la “creazione” ebraica è stata scritta nell’Antico Testamento circa seicento anni prima di Cristo, quando gli Ebrei erano esuli a Babilonia, nel cuore della Mesopotamia. Fu in quel ricco territorio, compreso tra i fiumi Tigri ed Eufrate, che cinquemila anni fa si radicò una grande civiltà con i suoi miti religiosi trasmessi da una generazione all’altra tramite poemi epici. Ne sono esempio l’Epopea di Gilgamesh, la Genesi di Eridu, o il poema di Atra-Hasis.
Una serie di miti che furono ripresi e adattati dal popolo ebraico durante lesilio a Babilonia in Mesopotamia …



Parte III

C’è da aggiungere che Geova era un Dio talmente imperfetto che si pentiva anche dei guai che combinava: Geova si pentì ricorre 16 volte nella Bibbia.

Ma veniamo al dunque. Nelle pagine precedenti ho, soprattutto, elencato scritti noti da secoli ma penso che molti non li conoscevano. Si sa che la Bibbia è il libro più venduto ma anche il meno letto al mondo, inoltre, se prendiamo gli “scritti sacri” e li raggruppiamo per tema fa molto più effetto leggerli. Non è vero?

Come scritto in precedenza, l’annuncio diramato da un influente Rabbino del Giudaismo Conservatore, il quale confermò che era crollato il pilastro portante dell’Ebraismo rappresentato da Abramo, Mosè, Esodo ecc., risale all’anno 2001; esattamente un anno dopo che il cristianesimo cattolico aveva celebrato a Roma il Grande Giubileo Mondiale del 2000 - quando era assiso sul Trono pontificio il Beato Papa Karol Wojtyla detto Giovanni Paolo II il Grande - strombazzato da tutti i mass media televisivi e cartacei. Diventa stridente il contrasto mediatico facendo il paragone dei due eventi opposti: nel mondo occidentale cristiano, le informazioni sulla credibilità storica dell’Antico Testamento sono state trattate e contenute in alcune riviste e libri riservati a pochi specialisti, senza alcun dibattito o inchieste, servizi televisivi… nulla. Tutto, stampa compresa, è stato azzittito da poteri forti e Governi filo confessionali.

Sul “New York Times” del 9 marzo 2002 apparve un lungo articolo di Michael Massing intitolato: “Quando i Rabbini affrontano i fattii racconti della Bibbia appassiscono” che riportava quanto affermato dal rabbino Dawid Wolpe. Eppure questo articolo, necessario alla corretta informazione pubblica, non è stato raccolto e ampliato dal resto dei media statunitensi pur essendo un utile supporto a dibattiti pubblici; al contrario, è stato calato il sipario e spenta la luce.
La Repubblica”, in Italia, riprese l’articolo del N.Y. Times e lo pubblicò il 10 marzo, un giorno dopo, ma senza alcuna risonanza anche qui da noi. Come mai? Dal momento che un dibattito scientifico, imperniato sulla credibilità dell’Antico Testamento e sulla raffigurazione di Dio e le Sue “gesta” in esso descritte, siamo certi, interessa sia i credenti che gli atei e gli agnostici.

Tutti gli italiani conoscono l’enorme potere del Vaticano in grado di condizionare i media, eppure negli Stati Uniti la cosa è ancora più evidente. Oltre la religione cattolica che, fra l'altro, è in minoranza in quel Paese, esistono anche ottanta milioni di Evangelici che annoverano anche l'ex presidente Bush come fedele, più una miriade di altre confessioni protestanti le quali, tutte insieme, ritengono la Bibbia il testo fondamentale del loro Credo. Valutato l’interesse politico, gli stessi mass-media, costituiti dagli organi di stampa e i network, si sentono a loro volta condizionati ed evitano di riferire i fatti come si sono svolti realmente. Ecco spiegato il motivo per cui, in buona parte del mondo occidentale, la Bibbia è protetta e celata al grande pubblico ancor più che dagli Ebrei.

Significativa la frase altisonante del domenicano Roland de Vaux, il cattolico che, tra i primi al mondo, ebbe il privilegio esclusivo di maneggiare i Rotoli di Qumram appena scoperti; frase che Vito Mancuso ha richiamato nel suo ultimo libro “Io e Dio” :

Se la fede storica di Israele non è fondata sulla storiatale fede è erroneae pertanto lo è anche la nostra fede”.

Un motto di grande effetto lasciato poi, gioco forza, cadere nell’oblio.
E’ trascorso più di mezzo secolo da quando i cristiani di tutto il mondo erano convinti che la propria Fede era supportata dalla Storia, ma, in questo lasso di tempo, storia, archeologia, logica e filologia hanno spinto la ricerca ad un punto tale che le tre grandi confessioni religiose monoteiste devono impedire ai rispettivi rappresentanti - “Santità”, “Ministri”, “Pastori”, “Don”, “Imam”, “Primati”, “Reverendi” o “Eccellenze” che dir si voglia -, tutti, nessuno escluso, di partecipare ad un confronto pubblico, con studiosi preparati, finalizzato a mettere in luce le gravi contraddizioni, vere e proprie sciocchezze, contenute sia nel Nuovo che nell’Antico Testamento.
   
Anche volendo considerare la religione solo sotto il contenuto escatologico, il punto fondamentale è il seguente: il credente cristiano, dopo aver appreso che nell’Antico Testamento ci sono tante favole, non può più illudersi che nel il Nuovo Testamento tutto è diverso. Gesù Cristo è Dio stesso sin dallinizio dei tempi.

Un antico proverbio latino così sentenzia: “Falsum in unum falsum in omnibus”.
Nell’Antico Testamento gli scribi non ci hanno raccontato un mondo reale ma, per usare un termine in voga oggi, un “mondo virtuale”. Gesù, ben schermato e protetto dal potere politico-religioso, è ancora stabile in questo mondo virtuale, "contenuto" nelle parabole appositamente scelte fra gli scritti evangelici e riferite dai pulpiti televisivi.

In Matteo 24,37 leggiamo che Cristo disse: “Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo (Gesù) ”, ma Noè, lo abbiamo visto, è favola;
inoltre Gesù dice “... siete figli di Abramo..”Abramo? favola;
Gesù viene chiamato Figlio di DavideDavide? niente più che un delinquente qualsiasi;
Gesù evoca la “Gloria di Salomone : un altro poveraccio;
Matteo 17,1-5 ci stupisce:

“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò…ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia che conversavano con lui … Signore se vuoi farò tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia”.

Mosè ed Elia? due personaggi leggendari della mitologia ebraica… e si potrebbe continuare a lungo.

Escludendo la storia che lo cancella impietosamente, a mio parere tutto potrebbe avere un senso se consideriamo anche Gesù un personaggio virtuale, basato su una fede astratta. Infatti, solo un personaggio virtuale può dialogare e interagire con l’immaginario mondo dell’Antico Testamento.

Diversamente, ha molto più senso logico una secolare evoluzione teologica iniziatasi da un ebreo realmente esistito: un autentico rivoluzionario giudeo che lottò contro il dominio romano. Giammai il personaggio Gesù, così come viene rappresentato nei Vangeli e poi giustiziato, può essere esistito veramente.

Abbiamo visto con quale abilità romanzesca gli scribi dell’Antico Testamento hanno inventato personaggi fiabeschi fatti passare come reali. Lo stesso metodo è stato adottato dagli scribi del Nuovo Testamento quando ci hanno propinato santi come Paolo o gli Apostoli sui quali non esiste nessun riscontro storico.
Di questi nuovi santi protagonisti miracolosi, seppur più vicini a noi rispetto a Mosè o Abramo, non sappiamo niente: dove e quando sono nati o morti. Nonostante siano stati dipinti come autori di gesta mirabolanti nelle città più grandi e famose dell’Impero Romano, nessuno storico loro contemporaneo ha mai saputo e quidi riferito dei loro prodigi. 

Nulla mi vieta di assimilare gli Evangelisti cristiani del Nuovo Testamento ai Profeti dell’Antico Testamento.

La religione è la branca del sapere umano dove troviamo più falsità rispetto a qualsiasi altra… basta semplicemente leggere i Sacri Testi”.
La citazione è mia, coniata adesso. 
Emilio Salsi

L'energia dell'entropia universale... come un respiro


Grafica Celeste di Manuela Magagnini


Per quanto ne sappiamo finora, l'universo conserva la sua energia totale. 

Tuttavia, non conserva l'ordine della medesima: la tendenza mostrata in natura è quella di passare continuamente da stati più ordinati ad altri più disordinati, salvo diversa impressione che si possa ottenere osservando solo un sistema parziale che, essendo aperto, interagisca con l'ambiente. 

Ciò che accade è che il disordine dell'intero universo è in aumento, benché una sua parte possa trovarsi momentaneamente in una condizione di aumento d'ordine locale.  La ricchezza dell'energia sta nel produrre lavoro mentre perde ordine: è a spese dell'ordine (dunque, con un aumento di entropia) che noi otteniamo lavoro utile.  

Consideriamo, ad esempio, il fenomeno della respirazione. Una molecola di glucosio contiene 6 atomi di carbonio C, 12 di idrogeno H, 6 di ossigeno O, e per la sua combustione devono essere respirate 6 molecole di ossigeno O2. quindi abbiamo 6+12+6+12 = 36 atomi raggruppati inizialmente in una molecola di glucosio e 6 di ossigeno (7 molecole in totale), mentre alla fine del processo di ossidazione polmonare ritroviamo gli stessi atoni redistribuiti in 6 molecole di biossido di carbonio CO2 e 6 di acqua H2O. 

L'universo è diventato più uniforme di prima, quando 2/3 degli atomi stavano concentrati nello spazio di una sola struttura, la molecola di glucosio.  Chiediamoci ora: da dove proveniva l'energia immagazzinata nel glucosio ? Dal sole: la sintesi del glucosio avviene nelle piante, e si tratta sostanzialmente del processo inverso a quello della respirazione animale (sicchè vegetali ed animali risultano complementari, a questo riguardo, mantenendo l'equilibrio della composizione atmosferica): acqua e biossido di carbonio vengono trasformati in glucosio, da una biomacchina vegetale la cui fonte energetica è la radiazione solare. La fotosintesi vegetale del glucosio assorbe la stessa energia che sarà successivamente liberata dal processo inverso della sua ossidazione respiratoria. 

Dunque, come tutti i fenomeni biologici, gli organismi umani ed animali compiono compiono lavoro attraverso la disponibilità di energia solare, che come noto è altamente ordinata, suscettibile quindi di varie trasformazioni verso il disordine che emettono lavoro e generando aumento di uniformità. Come ogni stella, il sole, emettendo lontano da sè la propria energia altamente ordinata contribuisce a rendere l'universo intero più uniforme. Qualora si consideri la trasformazione dall'ordine verso il disordine in modo deterministico si ottiene il modello di un universo il cui costante aumento entropico conduce verso la uniformità completa e la morte definitiva di ogni attività.  

Tuttavia, fin dalle prime formulazioni di Von Clausius e Lord Kelvin è evidente che il secondo principio della termodinamica ha una natura statistica, applicato a sistemi chiusi con un grande numero di particelle, e tale natura è stata successivamente ben evidenziata dalla meccanica statistica di Ludwig Boltzmann (e, del resto, si veda anche il teorema del ritorno di Henri Poincaré)

Considerando la quale statistica, anzitutto non vi è da stupirsi affatto dell'esistenza dei fenomeni biologici (localmente neghentropici, ovvero diretti dal disordine al ripristino dell' ordine) quali, appunto, fluttuazioni spaziali locali di un fenomeno globale in direzione opposta. ma le fluttuazioni dal comportamento statistico medio esistono anche temporalmente, oltre che spazialmente. Sicchè la direzione che va dall'ordine al disordine è solo quella statisticamente privilegiata quale più frequente, ma non l'unica. E le grandi fluttuazioni temporali dal comportamento medio del sistema possono giustificare persino la nascita di un nuovo universo a partire dallo stato di massima uniformità lasciato in eredità dal vecchio. Va detto che Richard Feynmann dichiarava di non "Credere" alla teoria delle grandi fluttuazioni come dinamica esplicativa della formazione dell'universo, ammettendo però di non avere alcuna toeria alternativa, sicchè onestamente riconoscendo la sua posizione per ciò che era, solo una opinione personale.  Secondo la fisica statistica, dunque, non solo la vita biologica, ma persino la generazione di un universo intero che prima o poi succede al precedente risulta inevitabile (e coerente con le recenti teorie di "Bouncing", rimbalzo, al riguardo del big bang, non più fenomeno unico, bensì parte di una successione potenzialmente infinita in entrambi i versi temporali di big crunch - big bang).  

Senza dimenticare, poi, che qualora identifichiamo il vuoto con l'assenza di differenze determinata dalla uniformità completa, in tal caso la teoria quantorelativistica di Dirac mostra che il vuoto quantomeccanico risulta strutturalmente instabile rispetto alle equazioni d'onda, determinando così la generazione spontanea di massenergia dal "nulla" (si ricordi che in fisica l'energia è definita fin dall'inizio a meno di una costante arbitraria, essendone osservabili solo le variazioni). E si tratta proprio, allora, di una generazione di universo dal nulla apparente.

Vincenzo Zamboni, fisico

L'essere spirituale che è in ognuno di noi e l'anelito alla auto-conoscenza...


Affresco di Carlo Monopoli


L'uomo è un essere spirituale oltre che di carne e ossa (e sterco) e il suo anelito a fuoriuscire dalla morta gora lo si ritrova espresso in tutti i tempi e a tutte le latitudini, sicché sono avvenute molte ibridazioni e si possono rintracciare, anche a prescindere da queste ultime, svariate similitudini. 

Ma questo non significa che l'albero del monoteismo semitico abbia radici, che so, in Norvegia, in Lapponia o in Tibet, o in qualche altra sede "artica"(1). I "prominenti" che sono all'origine, a partire da Esdra, di questa idea utile per fornire alle loro sparse tribù un cemento nazionale unitario l'hanno tratta dai Persiani (il primo zoroastrismo) e dagli Egizi (il culto del dio Sole). Con una particolarità sconosciuta al mondo antico, che se non fosse tragica per le sue conseguenze sarebbe semplicemente grottesca: il gelosissimo monodio in questione è radicalmente tribal-razziale... 

Ora la scienza, omaggiando Bruno, parla persino di multiverso, con un vertiginoso sconfinamento nella metafisica(2)... e invece, da quando sventura volle, con Costantino e poi Teodosio, che le frottole dei giudei divenissero il "mainstream" dell'ecumene, milioni di fanatici deliranti hanno continuato e continuano a scannare-scannarsi sulla base dell'"esistenza" di una sorta di Arconte (genocida(3)) all'origine di tutto - galassie e ogni specie di vita - ma interessato maniacalmente solo alle vicende e alle usanze di 'sti tizi micidiali... tipo l'alimentazione del "profeta" Ezechiele! 

E la pretaglia tirannica di tutte e tre le "religioni del Libro", beninteso, pretende che il suo fantamostro-Super Ego collettivo non abbia rivali al mondo. Ah, non ce n'è per nessuno!... "Non avrai altro Dio all'infuori di me", "Testimonio che non esiste divinità se non Dio ([Yahweh-]Allàh)" e così via. E se non ci credi, o anche solo dici: ma scusate, cosa volete che gliene importi all'eventuale unico Altissimo (al Motore immobile aristotelico), al "Misericordioso" di altri dei che la mente delle sue creature sul sassolino Terra può aver partorito?... Nisba!... ti rispondono, quando - SE possono  - con le manette, il rostro, il cappio, la fascina!... 

Gli uomini hanno immaginato altrove panorami ben diversi relativi al regno dello spirito. Si pensi solo al giainismo... Ma noi siamo qui, figli di questa bella "tradizione". A volte, infatti, mi do un pizzicotto, sperando di svegliarmi dall'incubo e di ritrovarmi in un altro continente, anzi: su un altro pianeta.

Joe Fallisi




NOTE

(1) Lo studioso danese Christian Lindtner ritiene, per esempio, che i proverbi e le parabole contenuti nei quattro Vangeli canonici del cristianesimo derivino dalla tradizione buddhista (cfr. http://www.jesusisbuddha.com/). E ha messo in luce, effettivamente, notevoli analogie. Senza tuttavia riuscire a dimostrare come, quando, perché e tramite chi questa eventuale trasmissione dall'Oriente all'Occidente sarebbe avvenuta.



Storia dell'inquisizione ecclesiastica... per non dimenticare le vittime della chiesa



La macchina inquisitoriale
Storia e funzionamento dell’istituzione responsabile della morte di migliaia di persone nel corso dei secoli e ancora oggi sinonimo di strumento di coercizione del pensiero in tutte le sue forme
Le origini
Le origini dell’Inquisizione come officium fidei, quella nota come monastico-papale, non più affidata ai vescovi, ha una duplice data di nascita. Gregorio IX nel 1231 incarica più volte in più luoghi della cristianità alcuni domenicani di compiere missioni d’indagine sugli eretici. Si tratta di interventi straordinari, giustificati da situazioni in larga parte eccezionali, e suscettibili di una delega non esclusivamente papale, visto che abbiamo notizia di nomina di inquisitori da parte legatizia, o perfino ancora vescovile, che tuttavia mostrano già chiaramente l’intenzione del papato di assumere pienamente la direzione ed il controllo dell’azione ortodossa nei confronti degli eretici. Ma il vero avvio della nuova istituzione è opera di Innocenzo IV, che nella decretale Ad extirpanda del 1252, all’indomani dell’assassinio dell’inquisitore Pietro da Verona, crea un corpo di polizia, nel numero largamente simbolico di 12, a disposizione dell’inquisitore, definisce competenza ed ambito d’azione, la liceità degli strumenti a disposizione, fra cui naturalmente la tortura – strumento normale della procedura giuridica-, prevede la certificazione notarile di ogni atto inquisitorio, regolamenta la ripartizione delle entrate: un terzo all’inquisitore e/o al vescovo, un terzo alla familia inquisitoriale, un terzo al comune. Direttamente responsabile solo nei confronti di Roma, totalmente svincolato dalla giurisdizione diocesana, l’inquisitore può dispiegare nella quasi assoluta libertà d’iniziativa la sua attività.
La ripartizione territoriale
Nel maggio 1254 Innocenzo IV ripartisce tra domenicani e francescani la giurisdizione inquisitoriale. Il che crea nuovi problemi di definizione delle competenze.
Il ruolo del vescovo è comunque salvaguardato: la sua giurisdizione è paritetica a quella dell’inquisitore, seppure non è mai definito il rispettivo ambito d’intervento; anche in seguito altri pontefici salvaguarderanno la liceità degli interventi dell’ordinario diocesano in materia di ortodossia, ed in qualche caso ai soli vescovi saranno riservate alcune questioni di carattere, diciamo così, internazionale, come nel caso dei Templari; imprescindibile rimane il gradimento vescovile circa i laici chiamati a collaborare con l’inquisitore; gli elenchi degli eretici, le bolle papali circa l’Eresia vanno consegnati al vescovo; il parere del vescovo è vincolante nei casi in cui la legislazione laica in proposito presenti problemi d’interpretazione. Ci furono poi oscillazioni in merito: ogni limitazione posta all’azione degli inquisitori dai vescovi era cancellata per la Lombardia da Alessandro IV nel 1257 e 1260, ma poi Urbano IV nel 1262, Clemente IV nel 1265 e Gregorio X nel 1273 ribadirono l’obbligo della consultazione con il vescovo o con un suo legato nel caso si fosse resa necessaria la consegna di un eretico al braccio secolare. Rimasero però dubbi e direttive contraddittorie: nel 1265 papa Clemente riproduceva la bolla Ad extirpanda sostituendo la parola inquisitore là dove nell’originale era la parola vescovo. E nella prassi il ruolo vescovile cade sempre più nell’ombra; nello stesso anno e nel successivo il papa riprendeva una disposizione di Urbano IV del 1262, che riservava alla scelta dell’inquisitore se occuparsi o no dei casi di Eresia in cui fosse incappato, senza tener alcun conto del fatto che eventualmente quei casi fossero già stati presi in considerazione dal vescovo, e nel 1273 Gregorio X lo ribadiva; tanto che poi quelle disposizioni entrarono nel diritto canonico. D’altra parte nel 1288 papa Nicolò IV stabiliva che le entrate dell’officium dovevano essere affidate a persone di fiducia scelte di comune accordo tra vescovo ed inquisitore, ed i registri di tutte le entrate ed uscite della gestione inquisitoriale dovevano essere presentati periodicamente al vescovo. Se, dunque, la competenza dei vescovi in tema era salvaguardata sul piano del diritto, pare di dover intendere che a loro fosse riservata una specie di supervisione e di legalizzazione eminente dell’azione che l’inquisitore produceva autonomamente dal vescovo, una specie di corte dei conti. Mariano d’Alatri ha pensato addirittura che i papi considerassero a lungo, perlomeno per tutto il Duecento, che l’Inquisizione monastica fosse un istituto d’emergenza. Un’emergenza che certamente si ripeté molto a lungo, ma che l’insistenza e la ripetitività dei pronunciamenti papali circa la conferma delle prerogative inquisitoriali e la validità della loro nomina dimostrano in maniera più che convincente. Se si fosse trattato di un’istituzione stabile, ben protetta giuridicamente, non sarebbe affatto stato necessario che Alessandro IV tornasse a ribadire nel 1255 quanto aveva concesso ai domenicani, nello stesso 1255 e poi nel 1258 ai francescani; che Urbano IV nel 1262 e Clemente IV a ripetizione – nel 1265, 1266 e 1267 – rinnovassero esplicitamente le prerogative degli inquisitori; che Nicolò IV nel 1290 tornasse ad affermare che la validità della nomina e le facoltà degli inquisitori non erano da considerare decadute con la morte del pontefice che le aveva concesse, ma rimanevano in vigore anche con i successori. La ripetitività d’una norma dimostra sempre la sua precarietà nella prassi.
E la prassi dimostra che contrasti vi furono sempre, anche se non continui e generalizzati, e non mancarono casi di vescovi sottoposti ad inchiesta da parte degli inquisitori.
Molto più numerosi, alle volte clamorosi, furono i contrasti con le autorità civili, ampiamente esemplificati dalle difficoltà incontrate da parte dell’inquisitore per vedere applicati i diversi statuti comunali antiereticali. Come sono testimoniati ampiamente, in qualche caso strepitosamente, le sollevazioni popolari in diverse città contro questo o quell’inquisitore. Ma in generale l’officium funzionò con sufficiente regolarità e continuità, e sempre più all’insegna dell’assoluto arbitrio dell’inquisitore. Anche la scelta dei collaboratori laici, nei fatti – e poi anche nella giurisprudenza -, è di sua esclusiva pertinenza.
Finalmente, dopo un clamoroso caso di generalizzata malversazione da parte di un gran numero di inquisitori, con tanto di amplissima inchiesta papale che la lacunosa documentazione rimasta non ci consente di conoscere pienamente nei suoi esiti, Bonifacio VIII agli inizi del Trecento ingiunse di nuovo la necessità di un accordo procedurale tra l’azione inquisitoriale e quella vescovile, che poteva avvenire contemporaneamente ed indipendentemente, ma con l’obbligo della conoscenza reciproca dei risultati raggiunti, e proibì che i vescovi venissero sottoposti a procedimento per Eresia da parte dell’inquisitore senza un mandato speciale della Santa Sede. Clemente V in seguito disegnò un’ampia casistica che prevedeva un’azione congiunta di vescovo ed inquisitore. Con il conforto dell’inserimento di queste norme nel Corpus iuris, l’Inquisizione episcopale conobbe, dal primo quarto del Trecento, una nuova vitalità e dignità.
L’8 giugno 1254 Innocenzo IV con la bolla Cum super inquisitione, divideva l’Italia in 8 province inquisitoriali; Lombardia e regno di Sicilia affidate ai domenicani, le altre sei – Marca Trevigiana, Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio – ai frati minori.
In Lombardia – una vasta zona che comprendeva le regioni da Bologna e Ferrara fino a Genova ed al Piemonte, oltre naturalmente l’odierna Lombardia – il numero degli inquisitori venne fissato inizialmente a 4, poi, nel 1256, salì ad 8.
Nel Veneto troviamo attivi a Venezia nel 1251 due inquisitori domenicani, ma l’Inquisizione papale pare efficace a Venezia solamente a partire dal 1289, e con non poche difficoltà, stante la pervicace opposizione del governo della Serenissima. Per il resto del Veneto, nella provincia francescana veneta o del Santo, solo dal 1262 vediamo attivi gli inquisitori. Una provincia francescana vastissima, che comprendeva Venezia e la Marca Trevigiana, la diocesi di Aquileia (e quindi Udine e tutto il Friuli, nonché l’Istria), Feltre e Belluno, Concordia, Ceneda, Asolo, Torcello, Càorle, Chioggia, Adria e Trento, articolata nelle quattro custodie di Padova, Venezia, Verona e del Friuli. Degli inquisitori attivi nella seconda metà del Duecento conosciamo una ventina di nomi, ma nel quarantennio 1262-1302, di fatto l’officio fu nella mani di 6-7 frati, “potenti e prepotenti”, dice Mariano d’Alatri. Un’altra anomalia è rappresentata dal fatto che pochi inquisitori veneti esercitarono il mandato per più lustri ed in qualche caso per decenni. Un clan piccolo e talmente interessato a rimanere in carica da giustificare ampiamente il sospetto, poi inequivocabilmente confermato, che non lo zelo religioso, ma il tornaconto personale guidasse il loro comportamento.
In Romagna troviamo un solo inquisitore fino al 1259, quindi 2. Situazione analoga nelle Marche, dove, evidentemente il pericolo ereticale era meno avvertito.
In Toscana si deve attendere il 1258 per incontrare la prima volta il nome di un inquisitore. Il funzionamento dell’officio fu dovunque molto contrastato, a Siena, Pisa e Firenze in particolare. Anche in questa regione la consistenza ereticale sembra saltuaria e tutto sommato modesta.
In Umbria, Lazio ed alto Abruzzo la presenza inquisitoriale è documentata con un certa continuità, ma anche qui la resistenza all’azione dell’officio fu continua e marcata. Orvieto rimase a lungo una cittadella intoccabile, e neppure quando, fra 1268 e 69, si giunse a condannare ben 87 persone, variamente accusate di Eresia, nessuno di loro fu abbandonato al braccio secolare.
Nel regno di Sicilia l’attività antiereticale inizia all’indomani della battaglia di Benevento (23 aprile 1268) e si configura come parallela all’Inquisizione di Provenza, dove Carlo d’Angiò aveva combattuto gli eretici, ed a quella tolosana, dove il fratello di Carlo d’Angiò, Alfonso, conte di Poitiers e di Tolosa, era il vero promotore di quella lotta. Significativo che le entrate derivanti dalle confische, il provvedimento di gran lunga più frequentemente adottato, fossero riservate alla corte regia.
Non bisogna poi dimenticare il fiorire di tutta una serie di confraternite laiche a carattere parainquisitoriale, dalla “Milizia di Gesù Cristo”, alla “Milizia della beata vergine Maria”, popolarmente denominata dei “Frati gaudenti”, alla “Societas fidelium”, o di san Pietro Martire, alla “Societas Crucis”, ad una miriade di più o meno stabili altre.
Le caratteristiche italiane
Il vuoto quasi completo dell’episcopato concede la più ampia iniziativa al papato. E gli strumenti adoperati sono, almeno sul piano della normativa, durissimi: tortura per ottenere la confessione degli imputati, pena di morte mediante il rogo, un corpo di polizia e di spie al servizio dell’officio, predicazione di Crociate contro gli eretici con i medesimi privilegi previsti per quelle in Terra Santa, coazione del potere laico, confisca dei beni ed inabilitazione dei diritti degli eretici condannati estesa anche agli eredi. I provvedimenti previsti dalle costituzioni di Federico II vengono canonizzati nella Ad extirpanda di Innocenzo IV nel 1252, e ripetuti nel 1254. Fu così avviata una procedura corroborata da Alessandro IV, Urbano IV, Clemente IV, e quindi codificata nel Liber sextus di Bonifacio VIII, e quindi nei manuali inquisitoriali che si moltiplicano proprio nei primi anni del Trecento. La prassi che si instaura durò per secoli. Ma non va assolutamente sottaciuto che, a dispetto del quadro fosco immaginato sul piano normativo, la realtà fu poi molto diversa: i roghi furono molto rari, e l’attività persecutoria si esaurì generalmente in confisca di beni e multe pecuniarie.
Centro e periferia
La nomina degli inquisitori, formalmente di competenza romana, in realtà veniva fatta dai provinciali, e mai contestata. Ripetendo la bolla Licet ex omnibus, i provinciali eleggevano i nuovi inquisitori, quindi veniva la conferma da Roma.
Urbano IV il 19 marzo ed il 14 novembre 1262 prescrive agli inquisitori di tener informato il cardinale Giovanni Gaetano Orsini, titolare di S. Nicolò in Carcere Tulliano, delle difficoltà che l’esercizio delle attività inquisitoriali dovesse incontrare, visto che a lui spettava l’alto controllo dell’officio. Parrebbe di dover intendere che il cardinale Orsini si configurasse come inquisitore generale, anche se in maniera totalmente difforme da quella degli inquisitori generali dei secoli successivi. Ma non conosco alcun ripetersi della raccomandazione, ed in realtà – nel caso dell’Orsini – il ricorso a Roma, per quel che ne so, si concretò una sola volta, a proposito del caso complicato dell’indagine sul ferrarese Armanno Pungilupo, che si protraeva in maniera anomala da trent’anni ed aveva coinvolto vescovo e clero secolare locale.
La formazione culturale degli inquisitori
Quella dell’inquisitore è una carriera esemplare: non è raro il reclutamento tra i provinciali, e non è affatto raro l’esito come vescovo e come legato papale. Ne è un buon esempio la figura di frate Florio da Vicenza, ricordato per la prima volta come inquisitore nel 1278 a Ferrara. L’anno successivo ricevette l’invito dal cardinal legato di Romagna e Tuscia Latino Orsini ad intervenire sia contro gli ebrei ferraresi, che perseguitavano un ebreo convertito al cristianesimo, sia contro ebrei di Aquileia, Venezia, Mantova e Ferrara, che, abbracciata la fede cattolica, erano poi tornati alla loro antica religione: il cardinale disponeva che si procedesse nei loro confronti adottando le medesime misure con cui si procedeva contro gli eretici. Nel 1279 è attivo a Bologna e Modena. In quest’ultima città scoppiò contro di lui un tumulto popolare, in seguito al quale i domenicani dovettero addirittura abbandonare la città, per farvi ritorno solo otto anni più tardi. Fino alla fine del secolo è inquisitore attivo a Bologna. Qui tra 1285 e 1287 fu per certo impegnato anche nell’insegnamento e nello studio: professò sacra teologia e compose un commento alle Sentenze di Pietro Lombardo. Si preoccupò anche di ampliare la sede dell’officio. A Ferrara si occupò soprattutto dei relapsi ebrei e del caso Pungilupo. Tra 1290 e 1300 si presenta come amministratore dei beni di cinque suore di origine israelitica.; nel 1298 provvede all’incorporazione del locale monastero di S. Caterina nell’ordine domenicano. Non è certo, ma io credo che questo Florio sia lo stesso Florio da Verona che troviamo poi coinquisitore a Padova e Vicenza nel 1304, e con un altro frate Florio inquisitore domenicano attivo tra Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Montagnana, Castelfranco Veneto, San Pietro in Gu, fino a Trento, che presenta il rendiconto della gestione economica del suo ufficio al capitolo provinciale di Vicenza e Verona nel 1307. Io credo sia anche lo stesso con il domenicano Florio, priore del convento dei domenicani a Venezia, penitenziere apostolico e cappellano di S. Pietro, che, dopo la morte del patriarca Lorenzo di Grado, nel 1295 venne candidato a succedergli, ma preferì rinunziare. Uomo colto ed influente, maestro e studioso, incaricato di compiti prestigiosi ed a largo raggio d’azione, Florio è immagine eloquente di inquisitore tipo.
Di solito un teologo, dunque, che non può non avere una qualche dimestichezza con l’ambiente giuridico. Soprattutto nei manuali, ma anche nelle sentenze, la citazione continua delle bolle pontificie, atti di concili, consilia di vescovi e cardinali ha di gran lunga la meglio sui richiami al Corpus iuris ed alla giurisprudenza. Nelle sentenze poi citazioni scritturistiche, ed anche della Scolastica, s’infittiscono. L’officio, pur cercando appoggio dovunque, ben presto si avvita su se stesso, tende a trovare in sé ogni giustificazione ed ogni legittimità: “non secundum communes leges, sed secundum leges privatas ipsius officii, idest secundum privilegia eius, quia privilegium idem est quod lex privata”, si legge in un manuale. Accadrà addirittura il contrario: la “lex privata” inquisitoriale verrà recepita attraverso una lunga riflessione dei giuristi quattro e cinquecenteschi come “lex communis”, e quindi assolutamente legittimata.
Tuttavia l’armadio dei libri di una sede importante dell’officio comprendeva un’ampia, variata documentazione: Corpus iuris, tanto la sezione civile quanto quella canonica, con le glosse relative; tavole incipitarie e concordanze del Decretum e delle decretali; canoni dei concili, soprattutto di quello Tolosano, di quello Narbonense e del Biterrense, divenuti quasi subito auctoritates correnti nella procedura contro gli eretici; i consilia sul tema di famosi giuristi, teologi, vescovi e frati; collezioni di documenti diversi, e formulari relativi all’Eresia ed all’Inquisizione; manuali, trattati di varia natura ed impegno; una raccolta dei privilegi inviati dai papi agli inquisitori ed ai provinciali dei due ordini mendicanti che monopolizzavano l’officio. Ogni sede rilevante, poi, conservava, i documenti di riconoscimento ufficiale dei poteri e delle competenze territoriali, i mandati speciali al singolo inquisitore, la serie delle nomine di inquisitori, scritti eterogenei più o meno riguardanti l’officio.
La procedura
Con tutto questo è assolutamente da rilevare come nei fatti la procedura, pur muovendo da principi teorici e di indirizzo riversati e divulgati nei manuali, tiene in maggior conto il caso specifico e, semmai, tende a disegnare il caso specifico entro la cornice manualistica. Senza che ciò significhi una banalizzazione dei pensieri, inclinazioni, della collocazione personale e sociale degli inquisiti, che anzi rimangono centrali. Al punto che, addirittura, diviene più rilevante agli occhi degli inquisitori stabilire il numero delle persone coinvolte, i luoghi precisi dove si sono svolti i fatti sospetti, le modalità dei rapporti interpersonali e la loro frequenza. Al punto che la collocazione dottrinale dell’eretico passa in secondo piano. Non appaia paradossale una simile constatazione, quando si consideri che più volte i manuali mettono in guardia l’inquisitore dall’entrare in discussione con gli inquisiti circa le loro opinioni eterodosse, per evitare il rischio che il male, invece che sanato, si aggravi, e che soprattutto idee eterodosse si diffondano presso coloro che fino ad allora non ne avevano avuto neppure sentore. L’Eresia, “tecnicamente” è già stata identificata e classificata; è stato compito di altri; all’inquisitore si richiede solo l’accertamento del verificarsi di un errore ed eventualmente la sua punizione con i mezzi a disposizione.
Pilastro dell’intero edificio è la consapevolezza dell’inquisitore della sua autorità, costituita da atti formali di nomina e giustificata dalla sua collocazione tra i difensori della retta fede e, fatto sicuramente non secondario, dalla sua militanza in un ordine che della difesa, propagazione, indirizzo della pratica laica entro un quadro ideologico preciso ha fatto la sua ragione d’essere, garantito dalla santità del fondatore, dal numero delle case, dalle figure prestigiose che fanno parte della storia dell’ordine stesso. L’autorità dell’inquisitore può essere – e lo fu sovente – corroborata dal parere di laici notoriamente sapientes, eminentemente giuristi, ma ne può prescindere, ed anche porsi in antitesi al sapere laico, perché primario è il suo dovere di indirizzo di quella società.
Per quanto i manuali sembrino rigidi nello stabilire i tempi e i modi dell’inchiesta, l’attenzione precipua per la questione specifica lascia in realtà ampia libertà di movimento all’inquisitore. Le domande poste non sono sempre quelle previste dai manuali, e tanto meno l’ordine seguito nel porle. Si può dire che solo la sentenza finale rispecchia il manuale, mentre le varie tappe dell’inchiesta, pur meticolosamente registrate dai notai, formano via via solo la base su cui imbastire il dispositivo finale. La schedatura delle testimonianze viene adoperata come materiale grezzo, da elaborare e distribuire ordinatamente in un dossier accusatorio che appaia alla fine ineccepibile. Ne è un esempio chiarissimo il processo ad Armanno Pungilupo. L’incastro della testimonianza alfa del testimone beta (e bisogna notare che i diversi testimoni sono ricordati con un numero: 1, 2, 3 ecc.!) con la testimonianza gamma del testimone delta costituisce l’esemplificazione del capo d’accusa. E la testimonianza alfa non è tutta la testimonianza di beta, ma solo una sua parte, magari piccola o piccolissima. Altra volta si adopererà un’altra parte di quella deposizione per dare corpo ad un altro capitolo. Così pazientemente le tessere si compongono, variamente utilizzate, ad illustrare capo d’accusa dietro capo d’accusa, e, complessivamente, il ritratto dell’eretico e dei suoi errori comprovati. Chi si fermi alla sentenza non immagina il lavoro preparatorio, lo scrupolo documentario, la meticolosità dell’inquisitore nel costruire la paginetta conclusiva dell’inchiesta. Il ritratto finale dell’eretico è frutto pieno dell’inquisitore, della sua cultura, dei suoi orientamenti, anche particolari, delle sue simpatie o idiosincrasie, religiose, ma anche culturali, politiche, sociali. Per quanto il quadro complessivo sembri tediosamente uniforme – le sentenze, si dice, sono tutte uguali o quasi, perché rispondono ad un formulario standardizzato in uso da sempre -, nulla invece c’è di uniforme nello svolgersi dei processi. Certo alle volte l’inquisitore è preso dalla routine del suo ruolo, o molto più semplicemente può essere affaticato, stanco, svogliato, com’è naturale; ma la caratteristica “unica” di ogni caso lo costringe a “reinventare” ogni volta la metodologia da seguire. A meno che non si tratti di un blocco numeroso di eretici, come accade a Verona o a Milano, quando centinaia di persone sono coinvolte in un’unica condanna; ma in questi casi che si tratti di ragioni politiche piuttosto che religiose è più che un sospetto. Oppure nel caso clamoroso, ma unico, della difesa armata, di gruppo, dei dolciniani. Ma perfino in questo frangente, quando dopo la sconfitta militare e la cattura i singoli vengono incriminati – lo stesso Dolcino -, i processi intentati ricadono nella casistica illustrata.
Bisogna tener conto ancora che una certa discrezionalità è consentita e qualche volta addirittura consigliata dalle stesse lettere papali, e che le auctoritates da tenere presenti – e naturalmente non tutte le auctorites sono sullo stesso piano – non sono ugualmente uniformi circa la gravità da attribuire a certe colpe, sui relapsi in particolare e gli usurai, non di rado assimilati agli eretici, e sulle modalità della punizione, così da obbligare l’inquisitore ad una scelta tra opinioni differenziate, ad evitare le contraddizioni rilevabili ed evidenti nella giurisprudenza, a tener conto di orientamenti diversi accumulatesi nel tempo o suggeriti dai pareri di figure prestigiose nell’ordine al quale l’inquisitore appartiene. Anche nel caso in cui l’inquisitore non abbia alcun senso critico sarà costretto a scegliere tra questo e quel parere, questa o quella pena, se dare fiducia ad un atteggiamento di pentimento o no, o solo in una certa misura e sotto certe condizioni. Perfino i manuali lasciano certe decisioni “in arbitrio inquisitoris”. E non bisogna dimenticare, infine, che anche parafrasando le sue autorità l’inquisitore accentua questo o quell’aspetto, alle volte fraintende, ed anche fa di testa sua. Non sono rarissime le volte che l’inquisitore cita a memoria, non si ricorda ad esempio se il provvedimento che adotta è stabilito da questo o quell’altro concilio, confessa di non aver ben capito, “non bene plene intelligo”, se non ha trovato pezze d’appoggio conclude che non c’è bisogno di altre prove, visto che basta il senso comune. Oppure fa uso di ricordi personali non previsti dal suo manuale: “come dice una glossa che ho visto una volta in una copia del Decretum dei frati predicatori di Padova”. Alle volte usa il manuale come fonte, cita cioè dal manuale passi di atti conciliari o di bolle papali, con ovvie cadute dovute agli errori materiali o di fraintendimento dei copisti.
Tutto ciò per dire, insomma, che se la normativa ci si presenta nel suo complesso rigorosa, l’agire dell’inquisitore è tutt’altro che rigoroso, e che mi sembra a tutt’oggi metodologicamente pericoloso ambire ad una storia dell’Inquisizione che non consideri la quantità e qualità delle varianti nella prassi inquisitoriale come sostanziale caratteristica di quell’istituto.
Mi preme ricordare infine che il ripetersi inerziale nella citazione delle auctoritates ebbe come conseguenza naturale un handicap di comunicazione tra inquisitore ed inquisito. Se si continuava a giudicare gli eretici, voglio dire, ancora nel 1380 ed oltre secondo i canoni dei concili degli anni fra 1230 e 1260 – ricorderò che l’idea base che non ci sono nuove eresie, ma solo periodico riproporsi delle antiche, rimane fino agli inizi del Cinquecento -, se cioè si cercano sempre catari quando i catari sono scomparsi ormai da lungo tempo, la procedura ne risentirà inevitabilmente, primariamente nello stabilire un dialogo tra inquirente ed accusato. I due parleranno lingue diverse, e potrà accadere – come accadde – che la sentenza risulti del tutto anacronistica; in linea solo con manuali mai aggiornati. Non è sicuramente sempre così: un seguace di Angelo Clareno non sarà mai condannato come cataro; ma là dove le affermazioni eterodosse non risultino chiare l’incomprensione sarà normale. La macchina repressiva procede sempre più negli ultimi secoli del Medioevo per conto suo, non si rimodella in conformità con i nuovi fermenti ereticali, risulta singolarmente sorda al mutare della sensibilità religiosa. L’istituto è impermeabile alla vita. Ma non è meraviglia: ancora oggi la nostra legislazione prevede benefici fiscali, o accorda pensioni ai reduci garibaldini.
La familia dell’inquisitore comprende notai e collaboratori diversi. I notai, da due a sette, seguivano l’inquisitore nel suo incessante muoversi alla ricerca degli eretici – ricordo che non è previsto un luogo di residenza per l’inquisitore. La loro presenza è indispensabile nel momento dell’interrogatorio, su cui prendevano appunti, per poi stendere ordinatamente il verbale, traducendo in latino deposizioni e confessioni, abiure, tanto più che la loro presenza spesso assume il valore di testimonianza nel merito stesso del processo. I verbali erano redatti in publicam formam secondo formulari precisi forniti dall’inquisitore stesso. Loro compito era anche la registrazione delle sentenze e degli atti esecutivi, i mandati di comparizione; spesso scrivono le lettere dell’inquisitore e le muniscono di sigillo; in qualche caso fanno estratti di documenti processuali su richiesta di altri inquisitori o di autorità civili; redigono e consegnano agli indagati citati in giudizio i termini di comparizione e la materia dell’accusa, così che egli possa provvedere alla sua difesa. Il compito più delicato – e spesso disatteso – è la conservazione dei registri inquisitoriali.
Alla comunicazione dei mandati di comparizione o di qualsiasi altro provvedimento assunto dall’inquisitore è compito dei nunzi, che devono rintracciare gli indagati e riferire la volontà dell’inquisitore. Qualche volta la cosa si svolgeva senza intoppi, più spesso l’indagato non veniva rintracciato o riservava loro un’accoglienza tutt’altro che benevola. Di tutto ciò i nunzi davano comunicazione al notaio, che a sua volta ne scriveva sul registro dell’officio. Anch’essi possono essere citati come testimoni.
Se l’inquisitore non può recarsi in un certo luogo per un qualche impedimento nomina un vicario, regolarmente un confratello.
Non mancano i coinquisitori, attivi autonomamente ma mai in contrasto con il titolare dell’officio; i socii, assistenti cui viene richiesto un parere, ed infine i servi, che provvedono alle varie necessità della familia inquisitoriale, soprattutto per il vitto ed il vestiario e tutto quel che concerne gli animali ed i mezzi di trasporto.
Una difesa formale dell’accusato per mezzo di un suo rappresentante non è prevista, né alcuna possibilità di ricorrere in appello; ma una qualche forma di difesa non è del tutto negata. L’attività dell’officio non è quella di un tribunale segreto. Per quanto, come è stato detto, la stessa figura istituzionale dell’inquisitore e l’apparato giuridico e pratico di cui egli si serve sia tutto all’insegna dell’eccezione, la migliore garanzia offerta all’inquisito sta proprio nella preoccupazione formale, per cui i notai certificano pubblicamente ciò che avviene, registrano i pareri di personaggi esterni all’officio, sigillano i mandati inquisitoriali. Non mi risulta che mai un qualche inquisitore, neppure quello di più assodata scarsa virtù, sia accusato nemmeno velatamente di aver adulterato gli atti di un processo. Ancora migliori sono le garanzie fornite dai consilia sapientum, quelle commissioni di giuristi per lo più laici che forniscono la consulenza normale all’inquisitore. Non sono rari, infatti, i casi in cui questi consiglieri esprimono pareri diversi o chiaramente opposti a quello dell’inquisitore, e quest’ultimo, per quanto non sia obbligato a seguirli, raramente se ne discosta, visto che la loro menzione è parte integrante della sentenza. Ed infine, ma del tutto aleatori, aiuti possono venire all’inquisito da attestazioni di solidarietà nei suoi confronti da parte di persone degne di rispetto e non sospettabili di collusione con l’Eresia, come avviene per i sacerdoti secolari ferraresi che per circa trent’anni cercano di veder affermata pubblicamente la santità di quell’Armanno che l’inquisitore vuole dannato come eretico e fanno ritardare in maniera così anomala la sentenza. Oppure sono le numerose sollevazioni popolari che intralciano il processo e mettono in dubbio la buona fede dell’inquisitore, accusato di mirare ai denari dell’accusato o di perseguitare un avversario politico piuttosto che alla difesa dell’ortodossia.
Gli elenchi di coloro che erano stati ufficialmente inquisiti per Eresia venivano letti pubblicamente e ciclicamente; così come ciclici sono i periodi di predicazione dell’inquisitore; continuo invece è il ricorso al contributo delle confraternite nate proprio come strumenti antiereticali. Sono gli aspetti propagandistici e “terroristici” dell’officio, insieme alla lettura pubblica delle sentenze; ma non uno “scadimento” dell’istituto, come si è interpretato anche recentemente, anzi è un compimento di un’azione che mira a distruggere nel profondo l’Eresia, e che quindi non si limita alla sola repressione, in negativo, ma che – soprattutto a mio parere – toglie ogni spazio ad eventuali tentazioni ereticali prefigurando, in positivo, gli ambienti in cui manifestare il proprio bisogno di fede piena. Gli eretici non scomparvero perché annientati con la violenza, ma perché non trovarono più motivi ed ambiti di contestazione religiosa. Le forme di pietà furono incanalate e disciplinate nelle confraternite dirette dai mendicanti; il bisogno di santità nella chiesa venne esaudito con la novità dei santi laici, che si moltiplicarono giusto a partire dalla seconda metà del Duecento; la fluidità comunale si sciolse nella rigidità ed uniformità del reggimento signorile delle città; la questione della povertà divenne la questione delle forme lecite di ricchezza; papato e impero seguirono strade diverse e largamente autonome.
Tre e Quattrocento
Di fatto l’Eresia scompare. Ne è il segno più inequivocabile non il cessare dell’attività inquisitoriale, che anzi continua anche se stancamente e di routine, là dove si mantiene – perché in molti luoghi non si mantiene neppure -, ma la scomparsa dei trattati dei polemisti antiereticali. Ed il capo d’accusa si fa sempre più vago. Nel Duecento eretico significa cataro, o valdese, o apostolico; nel Trecento e nel Quattrocento non si sa che cosa sia: fraticello, libero spirito, sodomita, mago, brigante, bestemmiatore, anticlericale, antisociale, stravagante, usuraio, ebreo, ateo, pubblico peccatore, ladro.
Non più riflessioni teoriche, non più bolle papali e imperiali contro gli eretici, cristallizzazione della prassi. Il miglior manuale inquisitoriale, per chiarezza ed ordine, il cosiddetto “De officio inquisitionis”, redatto in ambiente domenicano bolognese tra 1320 e 1325, rimase un testo capitale per tutto il secolo, per il successivo ed anche oltre, come dimostrano a dismisura le numerosissime annotazioni e glosse marginali apportatevi da generazioni di inquisitori, ed il suo utilizzo perfino nei manuali “moderni” di Eimeric e del Peña.
Parallelamente il numero degli inquisitori tracolla. In molte città per due secoli non c’è neppure una sentenza, a Rimini, Asti, Ceneda, Modena, Pavia, e tante altre. Il controllo e la direzione della religiosità laica – perché di questo si tratta, non di un’attività puramente repressiva e terroristica – segue mille rivoli – di cui ovviamente in questa sede non è possibile neppure accennare -, ma l’Inquisizione vi gioca un ruolo marginale.
Bisognerà attendere la Riforma perché l’Inquisizione rinasca, in forme diverse, con una nuova vitalità, per svolgere un ruolo di nuovo centrale.
Approfondimenti
Eretici e città italiane nel Due-Trecento (http://www.medievale.it/getContent.asp?DocFN=eretici-e-citta-italiane-nel-due-trecento) (Attinenza: 55%): Un’analisi del movimento ereticale nella società italiana del Due e Trecento
L’inquisizione medievale, tra ideologia e metodologia (http://www.medievale.it/getContent.asp?DocFN=inquisizione-medievale-tra-ideologia-metodologia) (Attinenza: 15%): Approfondimento su ideologia e metodologia dell’inquisizione romana medievale, dagli atti del seminario internazionale Montereale Valcellina: L’Inquisizione romana: metodologia delle fonti e storia istituzionale. Università di Trieste
I conti di fra Lafranco, una fonte insospettabile (http://www.medievale.it/getContent.asp?DocFN=i-conti-di-fra-lafranco-una-fonte-insospettabile) (Attinenza: 10%): Approfondimento sulla storiografia dell’inquisizione. Relazione relativa al seminario di studi su “Storiografia e inquisizione. Metodologia, fonti, interpretazione”, Viterbo, 2001
Sviluppo e vita dell’Ordine del Tempio (http://www.medievale.it/getContent.asp?DocFN=sviluppo-e-vita-dell-ordine-del-tempio) (Attinenza: 5%): Dopo la legittimazione da parte del Papa e l’appoggio concreto di Bernardo di Chiaravalle, i Templari ottengono importanti privilegi e donazioni. Parte così una fase di grande sviluppo ed espansione, anche in Occidente.

Il documento è tratto da: Sito web personale del Prof. Gabriele Zanella (http://www.gabrielezanella.it/MieiLavori.htm)