La magia del contingente... ed il buon senso ritorna!




... riconosco che le idee, nell'accezione del "comune buon
senso" hanno un valore ed una profondità che nessuna ideologia o
religione può sognare di raggiungere. L'arrampicarsi del Machiavelli
ebbe ed ha avuto un certo successo nello svolgimento del sistema
politico ed ancora oggi il suo "insegnamento" viene preso ad esempio
di pragmatismo (e di "ragion di stato") che travalica le debolezze
dell'umano. Mentre i buoni propositi e le riflessioni del Guicciardini
vengono lasciate agli esami di coscienza serali  dei saggi che si
ritirano dal mondo.

Eppure  nelle idee di Guicciardini vi sono i semi di  un vero e
proprio cambiamento!

"Muoviti, incontra, apri la strada alle novità e sarai così capace di
sormontare qualsiasi ostacolo si frapponga sulla via, e di essere un
modello d’esempio positivo per gli amici e per tutti coloro che ti
seguiranno! Ma solamente individuando da subito gli errori ti sarà
possibile correggerli ed evitare il peggio. Basta sapersi guardare
dentro con saggezza per trovare la strada giusta per affrontare una
decisione importante. E così sarai capace di esprimere sensazioni
profonde su ciò che è giusto e vero..." (R. Wilhelm)

Queste qualità ed atteggiamenti mi  ricordano, per analogia, gli
eventi e gli episodi leggendari della vita del grande maestro Taoista
Zhuang Zi, vissuto realmente nel III secolo a. C., ed autore del
“Libro del fiore del sud”. Il suo fu un esempio di comportamento
nobile  e saggio di  chi ha già superato il mondo e che interiormente
non ha più alcun legame con l’esistenza mondana, che però talora può
trovarsi nella situazione di dover rientrare  nella società per
avvicinarsi agli altri ed impartire i suoi insegnamenti e fornire il
suo aiuto... senza pretesa alcuna.


Paolo D'Arpini

No all'ideologia politica o religiosa, sì alla risposta contingente



C'è un aspetto del marxismo, cui resterò sempre fedele, quello de “L'ideologia tedesca” in base al quale considererò sempre come male assoluto le ideologie, di destra o di sinistra che siano. 

L'ideologia è una mascherata della realtà, cui si aderisce per interesse o per ottusa irrazionalità in tutto simile all'integralismo religioso. 

Una scusa di... “sinistra” del fallimento del comunismo storico è che in realtà non è stato mai applicato realmente e coerentemente con i principi professati. Questa apparente verità non ha nulla a che fare con la realtà e con lo stesso marxismo in quanto chiude gli occhi e le orecchie innanzi ai motivi della mancata applicazione. 

Quel sistema militare-industriale americano demonizzato da sinistra per gli USA, è automaticamente prodotto dalla conquista violenta del potere, come prescritto dalla rivoluzione comunista nei paesi in cui si è sperimentata, per di più con l'aggravante che questa potentissima nuova burocrazia non ha il contraltare di regole costituzionali che la possano contenere, non foss'altro perché è la stessa “Armata Rossa” che scrive ex-post le nuove regole costituzionali e storicamente non si è mai vista una burocrazia che decreti di sua iniziativa il proprio ridimensionamento ed il declino del proprio potere. 

Il fenomeno meriterebbe analisi sociologiche ed economiche più approfondite, ma, senza bisogno di riaprire l'antica polemica sovietica sul “socialismo in un paese solo”, le superficiali considerazioni precedenti, su come possa essere difficile liberarsi delle “armate rosse”, può bastare a far capire come il fallimento del tentativo fosse prevedibile o almeno oggi comprensibile con un po' di “materialismo storico” correttamente inteso. 

Ecco quindi che il famoso argomento secondo il quale non si può parlare di fallimento del comunismo perché non è mai stato realizzato seriamente si rivela un ridicolo argomento ideologico che rifiuta di fare i conti col fatto quasi evidente che... non poteva realizzarsi. 

Questa lunga premessa riguardante il più noto e riconosciuto fenomeno ideologico negativo quello dei comunisti duri e puri, mi serve ad illuminare il campo delle “ideologie” e a riconoscerle come tali quando ci si imbatte in fenomeni del tutto assimilabili. Un'altra ideologia infatti, facilmente riconoscibile come tale, è quella che a lungo ha condizionato la pretesa scienza economica: il liberismo. 

Anche in questo campo la verifica è facile: se provate a polemizzare con un liberista puro circa i fallimenti del liberismo (oggi evidenti e sotto gli occhi di tutti) vedrete che paradossalmente utilizzerà gli stessi argomenti dei comunisti duri e puri: “il liberismo non ha mai fallito perché... non è mai stato correttamente applicato”, se lo fosse, come il comunismo per i comunisti, ci darebbe immancabilmente il benessere perché... “secondo natura”, come il “diritto naturale” per i giusnaturalisti. 

Non c'è modo di smontare questa... “fede”, come nessuno è mai riuscito a smontare la fede nella fine dello stato degli anarchici, comunisti o libertari iperliberisti alla Rothbard. Come gli ultimi eventi dimostrano le “fedi” e le religioni sono sempre molto pericolose per la tendenza a sviluppare nel proprio seno fanatici integralismi sempre possibili quando si gioca con l'irrazionale e come sosteneva Murphy: “Se qualcosa può andar male, andrà male!”

Gianfranco Pirrone

Magia - La mente ha il potere di modificare la realtà empirica


Collage di Vincenzo Toccaceli

Il mago non è un tizio vestito in modo strambo che fa uscire un coniglio dal cilindro. Il mago è colui che riesce a modificare la realtà attorno a sé, facendo prendere agli avvenimenti la piega che vuole lui.

È magia ad esempio cercare di attirare a sé la persona amata, cercare di attirare ricchezze, ma anche guarire un ammalato (in genere in questi casi si parla di magia bianca) o far ammalare una persona sana (e in genere qui si parla di magia nera).

Israel Regardie scrive che “la magia è l’arte di applicare cause naturali per produrre effetti sorprendenti”. Crowley diceva che “lo scopo generale della magia è influenzare il
mondo dietro le apparenze, per poter trasformare le apparenze stesse”. Robert Canters, nella sua prefazione a "Storia della magia" scrive che "per mezzo della magia le cose cessano di essere ciò che sono per divenire ciò che noi desideriamo che siano".

Primo punto fermo è quindi il seguente: la magia è l’arte di
modificare la realtà esterna attorno a noi.

Come si ottiene la modificazione della realtà?

Con l’evocazione di angeli, la recitazione di formule, con la forza di volontà, con procedimenti e riti particolari. In realtà il mago non fa né più né meno che quello che fanno quasi tutte le persone, ad eccezione degli atei e dei materialisti convinti: il cattolico si recherà a Lourdes o invocherà Padre Pio, l’induista praticherà forme di meditazione (sono strabilianti i “miracoli” compiuti dagli Yogi orientali), il buddhista reciterà dei mantra, altri ritengono di avere un contatto coi propri defunti, ecc.

La differenza è che il mago chiama la sua arte “magia”, appunto, mentre il buddhista parlerà di “legge mistica”, l’induista parlerà di poteri yogici, il cattolico dirà che ha ricevuto la grazia dalla Madonna, San Gennaro, Padre Pio, ecc. e spesso discorre di miracolo ritenendo ottusamente che i miracoli li possa fare solo la Madonna, e non sapendo che la produzione di eventi eccezionali è assolutamente normale presso la maggior parte delle comunità etniche nel mondo.

Ulteriore differenza è che il mago, oltre alle invocazioni di entità superiori, userà qualsiasi altro strumento, connesso alla forza di volontà e all’arte magica in generale.

In definitiva possiamo dire che la differenza di fondo tra magia e religione è che il mago studia questi fenomeni in modo scientifico, mentre i cattolici o simili  in linea di massima sono inconsapevoli di quello che fanno e se gli dici che l’invocazione della Madonna o la recitazione del Daimoku o dell’Om Mani Padme Hum, dell’Om Namah Shivaya, ecc. sono atti magici si offendono pure e pensano che tu stia bestemmiando.

Stralcio di un articolo di Paolo Franceschetti

La ricerca spirituale laica di Nisargadatta Maharaj



..On his return to Bombay after an absence of many months  Nisargadatta
Maharaj  (at the time simply Maruti Kampli)  took stock of his
business. It was completely upset. He could retain only his present
bidi shop. His old zest for business having waned he was content with
running only his present small shop. Since that was just enough for
the sustenance of his family he devoted minimum time to it and gave as
much time as possible for his spiritual pursuits.

Beyond the time that was absolutely necessary to keep his family and
business going, he was always engaged in meditation, singing
devotional songs contemplation and similar other spiritual matters. He
did not do any conscious efforts for these spiritual pursuits
[sadhana] because; whatever sadhana was going on was involuntary
taking place at the beckoning of the call within.

Without going out anywhere else he made use of the mezzanine floor of
his tenement itself for his spiritual practices. Having traversed long
distances over a protracted period, independently and without any
means his self- abnegating nature [vairagya] had come to stay. He
followed a strict and regulated daily regime. He spoke but a few
words. His devotion to his Satguru was so singular - that he never
thought of going out to temples or meeting any saints.

He regularly spent hours in meditation. While in meditation he
intuitively received replies to his spiritual doubts from within and,
felt reassured. He read spiritual books like "Dasbodh", "Sadachar" by
Sri Shankaracharya and in particular studied the "Yoga Vashistha" and
Eknatha's "Bhagwat". He was lost in getting at the root of their
meaning. He also carefully read works like "Srimat Bhagavad Gita",
"Upanishads", "Dnyaneshwari" and "Amruta-nubhava".

He loved singing devotional songs from the early days. While singing
these songs in front of a portrait he used to become oblivious of the
surroundings, turn his back to the portrait and was lost in himself
and lay still for a long time in the ecstasy of the luminous divine
light in front of his eyes. He literally experienced chewing a paan
[betel-nut] himself when he sang a line meaning a devotee offering a
paan to the Lord. He got all the spiritual experiences explained in
the traditional song of his Sampradaya [school of thought] sung
everyday in the afternoon. Owing to the rousing of serpent power
[kundalini] he gained very high spiritual experiences and was lost in
their ecstasy for long periods.

Ramana Hridayam

...alla ricerca di un Gesù, mai nato?


La storia si sa è solo convenzione ma quando una religione (come quella cattolica) pretende di essere detentrice di una verità salvifica incontrovertibile occorre una certa cautela ed un’analisi approfondita sulla veridicità di questo messaggio…
Personalmente sono  cresciuto  in seno ad uno spirito agnostico, la mia famiglia di origine essendo ebrea, ma "convertitosi" mio nonno  al cristianesimo (per ovvi motivi) durante il ventennio fascista, il risultato fu quello  di cancellare di fatto all’interno della mia famiglia ogni credenza religiosa. Formalmente cristiano e persino ex allievo dei Salesiani pian piano  portai avanti la mia ricerca sino a considerare la superiore validità di filosofie alquanto atee, come ad esempio il Buddhismo, l’Advaita Vedanta od il Taoismo. Infine smisi di interessarmi di qualsiasi religione abbracciando consapevolmente la via sincretica della Spiritualità Laica, di cui mi son fatto anche portatore.
Ciò avvenne in seguito alla diretta esperienza della veridicità e realtà del Sé interiore che supera, pur integrandolo, qualsiasi concetto di Dio o di separazione fra gli esseri.  Comunque per amore di “verità” speculativa e storica non ho mai tralasciato di occuparmi di “santi” (nell’accezione laica del termine) anticamente vissuti  come Gesù, Lao Tze, Buddha, o personalmente conosciuti  come Swami  Muktananda, Karmapa,  Nisargadatta Maharaj e numerosi altri…
Non ho mai voluto cancellare l’uomo, per me la capacità dell’uomo di manifestare il “divino”  e la saggezza é motivo di grande “orgoglio” per la comune appartenenza alla specie umana. Per questa ragione ho sempre cercato -o forse desiderato- l’esistenza di santi del calibro di Gesù, Maometto e Buddha… E qui ritorno al libro di Luigi Cascioli… Infatti Cascioli nega l’esistenza fisica di Gesù… o per lo meno la inquadra in un contesto ed in una manifestazione diversa da quella propugnata dal vaticano e dalle varie chiese cristiane.
Beh, non voglio negare libertà di espressione e ricerca.  Pertanto qui di seguito riporto uno  stralcio del  libro di Luigi  Cascioli seguito da uno stralcio degli Atti degli Apostoli (che ne conferma la sostanza) 

Paolo D'Arpini


°°°°°° 

GLI ESSENI DOPO LA GUERRA DEL 70. 

In un susseguirsi di attentati, azioni sovversive e rivoluzioni esseno-zelote e relative repressioni, da parte dei Romani, si giunse alla guerra del 66-70 che con la sconfitta dell'esercito rivoluzionario e la morte di Menahem, figlio di Giuda il Galileo, ultimo discendente della stirpe degli Asmonei, pose termine all'era cristologica.  La guerra, promossa dai giudei per controversie di culto, dopo un alternarsi di vicende favorevoli e sfavorevoli ora all'una e ora all'altra parte, sembrò risolversi definitivamente a favore dell'esercito rivoluzionario. 

I disordini che seguirono la morte di Nerone (+68) misero Roma in un tale stato di disordine e anarchia da costringere l'esercito, privo di direzione e di assistenza, a rifugiarsi in Siria lasciando la Palestina in mano ai rivoluzionari. Fu in questo periodo che i Giudei, nella certezza di essere pervenuti a quella vittoria finale del bene contro il male considerata nel “Rotolo della Guerra”, celebrarono le esequie di Roma, la Babilonia del peccato e della corruzione, in quel libro che uscì nel 69 sotto il nome di Apocalisse (Rivelazione). 

Ma le cose andarono diversamente; Adriano, succeduto a Galba, deciso a porre fine ai disordini della Palestina, inviò una potentissima armata al comando del figlio Tito. Gerusalemme, conquistata dopo un assedio di sei mesi, fu messa a ferro e fuoco, il Tempio raso al suolo. 

Come conseguenza della sconfitta, le persecuzioni contro gli ebrei ripresero con rinnovato accanimento non solo in Giudea ma anche in tutte le nazioni dell'Impero in una vera e propria caccia all'uomo nella quale ai romani si unirono anche le popolazioni per quell'odio che in esse si era accumulato verso tale razza ritenuta capace di produrre soltanto guerre, disordini e stragi. In questo ambiente di astio collettivo che permetteva anche ai più vili di accanirsi contro i perseguitati, le masse popolari, forse ancor più dei romani stessi, si scagliarono con tanto furore contro chiunque apparteneva alla religione ebraica, da determinare un vero genocidio. Come in Siria, dove secondo gli storici del tempo ne furono massacrati oltre centomila, così nelle altre città, quali Efeso, Alessandria, Antiochia e Damasco, le stragi si susseguirono in eccidi che spesso venivano eseguiti come pubblici spettacoli in anfiteatri o su patiboli eretti nelle piazze e nelle strade. 

Tutte vittime che la Chiesa, sostituendosi agli Esseni, ha fatto passare fraudolentemente come martiri di un suo cristianesimo che, come sarà ampiamente dimostrato in seguito, ancora non esisteva. 

Fu in seguito alla disfatta dell'esercito rivoluzionario che la corrente religiosa, riconfermandosi nella convinzione che le guerre e la violenza avrebbero portato soltanto lutti e dolore, lasciò definitivamente la figura del Messia guerriero davidico alla quale si era associata nella rivolta dei Maccabei, per ritornare nel suo monoteismo spirituale che prevedeva la conquista del mondo attraverso l'avvento di un Messia sacerdotale (Maestro di Giustizia). 

I rivoluzionari, da parte loro, rimasti fedeli al Messia davidico, continuarono nel loro programma rivoluzionario finché, passando per la guerra del 74, organizzata anch'essa da un appartenente, sia pure in forma indiretta alla famiglia di Giuda il Galileo (Giuseppe Flavio afferma che era un parente di Menahem), di nome Eleazaro, non furono definitivamente eliminati nel 132-135 dall'imperatore Traiano in quella guerra nella quale morì Bar Kocheba, l'ultimo sedicente Messia. La distruzione di Gerusalemme fu così totale da essere paragonata dagli stessi ebrei a quella operata da Antioco IV che era stata preannunciata dal profeta Daniele con l'espressione di “abominio della desolazione”. 

Gli esseni religiosi, ormai liberi dopo il 70 da ogni impegno precedentemente contratto con i rivoluzionari, ostentando un programma spirituale ancor più rigoroso di quello che avevano praticato nel passato, si fecero divulgatori di una ideologia che, libera da ogni coinvolgimento rivoluzionario, li facesse apparire come sostenitori di una religione che avrebbe posto fine all'odio, alle guerre, per dare inizio ad un'era di pace e di benessere, come risulta dai quattro capitoli dell'Apocalisse che furono da essi aggiunti nel 95 alla prima edizione del 68, quella edizione che, uscita durante la guerra del 70, esprimeva invece un programma basato essenzialmente sulle stragi e sulla vendetta: "Vidi poi un nuovo cielo (è l'autore della corrente spiritualista che scrive) e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più (si riferisce al mare Mediterraneo nel quale i rivoluzionari vedevano affogarsi i romani e i loro alleati una volta buttati fuori dalla Palestina, dalla Siria e dall'Egitto). Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo... In mezzo alla piazza della città (Gerusalemme) e da una parte e dall'altra del fiume (Giordano) si trova un albero di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni" (Dai capp. 21 e 22 che furono aggiunti nel 95 all'Apocalisse del 68 dagli esseni spiritualisti). 

(Dall'espressione sopra riportata (...) saranno poi ripresi (...) una parte di quei detti e sentenze che gli gnostici, quali Papia vescovo di Geropoli, attribuiranno ad un Gesù dichiarato esistito ma in forma del tutto spirituale). 

Fu così che gli Esseni del dopo 70, atteggiandosi a pacifisti e a santi, proseguendo nel loro programma monoteista essenzialmente religioso, incrementarono il proselitismo aprendo le porte a quanti volevano convertirsi alla loro religione. Garantendo ai proseliti oltre il vitto, l'alloggio e la vita eterna anche la possibilità di sottrarsi ad ogni rivalsa che avrebbero potuto subire per reati comuni e politici attraverso l'acquisizione di un nuovo nome che gli veniva dato in seguito al battesimo, le comunità essene, come una legione straniera, divennero veri e propri centri di reclutamento per frustrati, falliti, visionari, avventurieri e criminali. L'afflusso di queste masse di diseredati provenienti per lo più dal mondo ellenista fu così imponente da portare le comunità essene ad adottare la lingua greca lasciando l'uso dell'ebraico soltanto per la celebrazione dei riti. 

"Fu in questo periodo, appunto perché nelle comunità essene del Medio Oriente e soprattutto in Alessandria d'Egitto gli ebrei erano arrivati a parlare solo in greco, che la Bibbia, detta dei 70, fu completata e tradotta in questa lingua contrariamente a quanto viene raccontato dalla Chiesa che la fa dipendere da un certo Tolomeo Filadelfo, re d'Egitto nel II secolo". (Josif Kryevelev Calendario del Popolo. Ed. Teti). 
Come conseguenza dell'adozione della lingua greca, l'appellativo di Messia, venne cambiato con la corrispondente traduzione greca di Cristos (Cristo): <<Il Messia lungamente atteso, nell'atmosfera spirituale dell'ellenismo che si diffuse tra le comunità giudaiche della diaspora, assunse notevole popolarità con il nome di Cristo. La parola Cristos significa in greco antico ciò che significa in ebraico la parola Mashiah: l'unto (dal greco crio, ungere)>>. (Josif Kryvelev. Op. cit. -8). 

Per cui, come conseguenza, i seguaci del Messia-Cristos, furono chiamati cristiani, ma con un significato piuttosto dispregiativo: "Il termine cristiano è nato in un ambiente non palestinese: è probabile che venisse usato in termine di ironico disprezzo (gli “unti”, gli “impomatati”) per distinguere dagli ebrei della Sinagoga i nuovi convertiti, gente strana, dalla lunga capigliatura, un po' come i nostri capelloni”. (A. Donini. Storia del Cristianesimo. Ed.Teti. pag. 29). 

La conferma del disprezzo che suscitavano gli appartenenti a queste comunità esseno-cristiane, e non soltanto per una questione di trascurato abbigliamento ma anche per quella loro ideologia che, pur ostentandosi pacifica, si rifiutava di accettare l'autorità degli imperatori romani dichiarando che il vero loro padrone era soltanto Dio, ci viene dagli autori del tempo, quali Tacito e Plinio il Giovane, che li qualificano come seguaci di una religione perniciosa basata sulla superstizione. 

In quel periodo di disordini, di povertà, di persecuzioni e di banditismo, coloro che si rifugiarono nelle comunità essene furono così numerosi da superare gli esseni originali: "Le comunità della nuova religione si organizzarono in diverse località del vicino Oriente e in esse ebbero un ruolo sempre meno importante gli ebrei mentre assumevano maggiore rilievo, sia per numero che per influenza, i proseliti del variegato impero romano". (Josif. Kryvelev. Analisi Storico Critica della Bibbia -9 ). 

Ed è su queste conversioni di pagani alle comunità essene che la Chiesa costruirà la propria storia attribuendole all'apostolato di Pietro, Giacomo, Giovanni, Paolo e di tutti gli altri discepoli che vengono dichiarati testimoni della vita di Cristo. 

Ma per quanto la fede dei convertiti si cercasse di renderla salda ed omogenea attraverso l'obbedienza più assoluta alle regole delle comunità, non tardarono a sorgere nella massa eterogenea dei loro componenti, fatta di Giudei e di ex pagani, le divergenze concettuali su quel Messia (Cristos) la cui figura, rappresentata dall'astrattismo di una visione (Daniele), dava adito alle più svariate interpretazioni. La sua morale, era strettamente Mosaica, come sostenevano i giudei, o considerava l'esonero di alcune leggi imposte dal Pentateuco, come pretendevano i convertiti pagani? E sulle discussioni che ne derivarono per stabilire se doveva considerarsi obbligatorio o no circoncidersi, mangiare carni di animali immondi, concedere il battesimo agli eunuchi, escludere dalle cariche i deformi, ogni comunità si costruì un proprio Messia che cercò di imporre alle altre comunità attraverso i suoi predicatori come risulta dagli stessi testi sacri attraverso quei pochi passi che, per gli argomenti che trattano, si possono ritenere autentici anche se riferiti a personaggi del tutto immaginari. 

Ci fu il Cristo di Paolo, di Apollo, di Pietro (I Cr.1,12), ci furono i Cristi di Balaam, della Sinagoga di Satana, della sacerdotessa Jezabele e del filosofo Nicola (Ap.II), e tanti altri Cristi: ogni predicatore dichiarava falsi quelli altrui per sostenere che soltanto il suo era quello vero (I Cor-1,12; II Cor. 11,14), come l'autore dell'Apocalisse che, in questa lizza generale, così ci presenta il suo: "Simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto d'oro, con gli occhi fiammeggianti come fuoco, i piedi di bronzo e la voce simile al fragore di grandi acque" (Ap. 1,12). 

Come si vede, considerando che questo passo è tratto dall'Apocalisse del 95, per tutto il primo secolo si è ancora nel pieno di immaginazioni e di visioni che escludono il Messia da ogni forma di incarnazione. 

Il comportamento di questi esseni spirituali che si erano ritirati in preghiera nelle loro comunità, non poteva essere in realtà, quali seguaci di un monoteismo, che un'ipocrita ostentazione di pacifismo avente come unico scopo quello di accattivarsi la simpatia delle autorità e la fiducia delle masse. Come sepolcri imbiancati fuori ma con dentro nidi di serpenti, essi continuavano ad alimentare l'odio e la vendetta contro i loro nemici trasferendo in una dannazione eterna, basata su laghi di stagno fuso e di zolfo, come viene continuamente ripetuto nella loro Apocalisse del 95, quelle stragi che non potevano più realizzare con le armi. Il leone di Giuda, travestito d'agnello, conservava intatto tutto l'odio contro coloro che si opponevano al suo imperialismo, quell'imperialismo monoteista che nel suo concetto di dominio universale prevede di mettere tutti i suoi nemici a sgabello dei propri piedi. 

Un esempio esplicativo di come essi conservassero la ferocia atavica che gli veniva dagli insegnamenti della Bibbia, il libro della vendetta e dell'odio, lo troviamo in quel passo degli Atti degli Apostoli nel quale Pietro detto Cefa, capo della comunità essena di Gerusalemme, uccide i due coniugi Anania e Saffira perché non avevano rispettato la regola che imponeva ai seguaci di versare alla comunità tutti gli averi di cui disponevano. (At. 5). 

Un'altra testimonianza della ferocia che si nascondeva sotto il pacifismo ostentato dalle comunità spiritualiste essene ci viene da Ippolito Romano, scrittore cristiano del III seolo: "Gli Esseni sono i divisi e non seguono le pratiche nella stessa maniera essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all'estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa perciò entrare in città temendo di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri, udendo discorrere qualcuno di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si fa circoncidere; qualora non lo consenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è appunto per questo che hanno preso il nome di zeloti, e da altri quello di sicari. Altri si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte".
Ma per quanto si adoprassero ad alimentare il fervore attraverso canti e preghiere tendenti a sollecitare la discesa dal cielo del loro Salvatore, un po' per quella fede che cominciò a vacillare verso un avvento che veniva sempre rinviato (cosa per altro già accaduta nel III terzo secolo a.C., secondo quanto viene esposto dal libro di Giobbe che fu scritto appunto per esortare alla pazienza gli ebrei stanchi di attendere un Messia che non arrivava mai), e un po' perché si erano resi conto che non avrebbero mai potuto imporre la loro religione, con un Messia il cui avvento era basato sull'astrattismo di una promessa, alle religioni pagane che proponevano Soteres che avevano già compiuto la loro missione salvatrice, decisero di costruirsene anch'essi uno già realizzato. 

Ma dove trovare gli argomenti giustificativi per rendere credibile un evento che, oltre a non essere da nessuno conosciuto, era stato da loro stessi smentito attraverso quell'attesa che fino ad allora avevano sostenuto? Ancora una volta, ricorrendo alla cabala e alle predizioni dei profeti, imposero la loro verità invocando quella profezia nella quale Isaia, sette secoli prima, aveva previsto che il Messia sarebbe passato tra gli uomini senza essere riconosciuto: "Egli (il Messia), dopo essere passato tra gli uomini in maniera così umile e modesta nelle parvenze da non essere rimarcato da alcuno, seguirà i suoi carnefici silenzioso e docile come un agnello che viene condotto al mattatoio" (... ). Anche se potrà sembrare incredibile, purtroppo è proprio così: sarà su questa profezia, sull'imposizione che ci viene da essa di accettare come compiuto un fatto che in realtà non è mai accaduto, che sarà costruita (...) tutta la storia di un Salvatore gnostico che fornirà le basi per costruire la figura di un Gesù incarnato. 


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"ATTI DEGLI APOSTOLI - 5, 1-11 – La frode di Anania e Saffira
51Un uomo di nome Anania con la moglie Saffira vendette un suo podere 2e, tenuta per sé una parte dell’importo d’accordo con la moglie, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. 3Ma Pietro gli disse: 'Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore che tu hai mentito allo Spirito Santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del terreno? 4Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e, anche venduto, il ricavato non era sempre a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio'. 5All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. E un timore grande prese tutti quelli che ascoltavano. 6Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono. 7Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò anche sua moglie, ignara dell’accaduto. 8Pietro le chiese: 'Dimmi: avete venduto il campo a tal prezzo?'. Ed essa: 'Sì, a tanto'. 9Allora Pietro le disse: 'Perché vi siete accordati per tentare lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta i passi di coloro che hanno seppellito tuo marito e porteranno via anche te'.10D’improvviso cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito. 11E un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in quanti venivano a sapere queste cose." (http://sunfinder.serveftp.org/parrocchia/index.php?option=com_content&view=article&id=35:15-atti-degli-apostoli-5-1-11-la-frode-di-anania-e-saffira&catid=17&Itemid=122&lang=it)

Aggiunge la seguente "Riflessione", spudoratamente e infinitamente cattoipocrita, l'anonimo "pastore" della "Parrocchia di San Giovanni Battista" di "San Giovanni di Casarsa": "Il racconto di Anania e Saffira è molto duro. L’autore narra che essi vendettero un terreno e portarono alla comunità solo una parte dell’importo, trattenendone il resto. Ma il problema non era in questa azione, bensì nell’aver mentito a Pietro, affermando che avevano consegnato l’intera somma. Sia Anania che Saffira morirono all’istante, prima l’uno poi l’altra. In verità, Anania e Saffira, con la loro menzogna, si separavano dal comune sentire della comunità, facendo cosi morire in loro la vita spirituale che avevano ricevuto in dono. Non si trattava perciò di una semplice inadempienza, bensì della separazione dallo spirito della comunità, che porta sempre a distruggere se stessi.La morte di Anania e Saffira non va intesa come una punizione inviata da Dio, ma come la conseguenza della loro insincerità e dell’aver fatto prevalere i propri interessi su quelli degli altri. Scrivono gli Atti che la gente, vedendo questi fatti, fu presa da timore. Non si vuol suggerire che iniziò da allora un clima di paura nella comunità. È noto infatti che il frutto della comunione è la pace, la gioia, l’amore, come più volte Luca ribadisce.Quel che gli Atti sottolineano è che tutti debbono essere ben attenti a custodire la comunione che il Signore ha donato. La fraternità va infatti custodita con grande cura perché è facile ferirla con i propri comportamenti egocentrici." (ibid.)


Messianismo ebraico (e cristiano)


Le persecuzioni anticristiane, specialmente le più antiche, erano intese
dai romani come una misura preventiva o repressiva nei confronti, non
di una nuova religiosità, ma dell’ostilità antiromana tipica dei
messianisti ebrei, ovverosia dell’ideologia di riscatto etnico e
religioso che voleva restaurare la dinastia davidica sul trono di
Israele e liberare la nazione dal dominio romano. È la forma assunta
nel primo secolo d.C. dal fondamentalismo religioso di stampo Maccabeo
che, duecento anni prima, aveva funestato la Palestina con sanguinose
ribellioni contro il dominio seleucida.
È qualcosa che i romani consideravano estremamente pericoloso;
innanzitutto perché i messianisti ebrei erano caparbi e tenaci; in
secondo luogo perché un eventuale significativo successo
dell’opposizione ebraica all’autorità imperiale avrebbe costituito un
pericoloso esempio da imitare per gli altri popoli sottomessi al
potere romano.
Ora, se osserviamo quanto avveniva allorché i cristiani erano
arrestati nel corso di una azione repressiva da parte delle forze
imperiali romane, dobbiamo constatare che essi non venivano condannati
e giustiziati in quanto tali, o perché seguaci di una fede monoteista
e di una teologia della resurrezione, ecc… La condanna e l’esecuzione
non procedevano prima che fosse stata verificata ufficialmente la loro
disponibilità a riconoscere l’autorità imperiale, ovverosia a
dichiarare pubblicamente che l’imperatore era il loro sovrano e
padrone. In termini esatti l’accusato doveva pronunciare questa frase:
Kaisar Despotes (=Cesare è il mio signore).
Attraverso questa impostazione inquisitoria era realizzata una precisa
distinzione fra le convinzioni puramente spirituali della persona
sottoposta a indagine e le sue convinzioni nei confronti dell’autorità
imperiale; ovverosia veniva scorporato dal suo atteggiamento religioso
quella che era la componente politica.
La logica romana era questa: “tu credi a tutti gli dei che vuoi, a
tutti i miracoli, le resurrezioni e i prodigi che ti pare… se ammetti
la sovranità dell’imperatore e ti assoggetti all’autorità romana sei
libero… se ti opponi sei un ribelle e, come tale, sarai condannato e
giustiziato”. Ed è logico che fosse così altrimenti, se i romani
fossero stati ostili alle convinzioni spirituali diverse dalla loro,
non avrebbero mai potuto regnare su un impero che comprendeva numerosi
popoli diversi o avrebbero dovuto giustiziare tutti quei sudditi che
non avessero rinnegato la loro religione per seguire quella di Roma.
Altre volte, nella storia di Roma, sono stati presi di mira i fedeli
di altre confessioni. Per esempio, verso il 186 a.C., il senato decise
l’eliminazione dei culti dionisiaci e a Roma morirono i martiri di
Dioniso; verso il 139 a.C. ci fu una espulsione degli astrologi dalla
città; nel 58 a.C. venne effettuato l’abbattimento dei templi di
Iside, a causa delle attività politiche dei fedeli; fu anche messo al
bando il culto gallico dei Druidi. In tutti questi casi l’elemento
scatenante non è stato il fatto che i perseguitati avessero una loro
propria religione diversa da quella romana, bensì che si stimasse
l’esistenza di un elemento turbativo per l’ordine pubblico o per
l’autorità politica.
Ora, se i cristiani, fin dal primo istante, fossero stati coerenti con
l’immagine trasmessa dal Nuovo Testamento, ovverosia pacifici, dediti
alla solidarietà e all’amore per il prossimo, favorevoli a rendere il
tributo a Cesare, disinteressati alla politica e alle ricchezze
materiali, per quale motivo i romani avrebbero dovuto: prima catturare
il loro leader con un agguato teso da una intera coorte (600 soldati);
poi giustiziarlo come un ribelle; poi dare una caccia spietata ai
seguaci; infine bandire questa religione dallo stato e sterminarne i
fedeli? Perché gli scrittori romani avrebbero definito questi presunti
pacifisti come propagatori di una ideologia “funesta”, “malefica”, di
un “male”, persino di “atrocità”, e avrebbero detto che essi “odiavano
il mondo intero”?
La risposta è semplice: perché i romani, specialmente prima e subito
dopo la grande guerra giudaica degli anni 66-70, non conoscevano il
neo-cristianesimo extragiudaico sviluppatosi in ambiente gentile come
reazione agli ideali messianici tradizionali. Invece i romani
conoscevano bene il messianismo ebraico e il suo incrollabile impegno
militante contro l’autorità imperiale, mosso da un fanatismo religioso
che può essere paragonato, oggi, a quello degli esaltati guerriglieri
dell’islam nei confronti di Israele o degli Stati Uniti.
È per questo che, nel 49, l’imperatore Claudio “… cacciò da Roma gli
ebrei che fomentavano disordini su istigazione di Cristo” (Svetonio,
Claudius XXV, 4). È per questo che, nel 64, i cristiani, già
riconosciuti responsabili di azioni sovversive contro l’autorità
imperiale, furono accusati come autori del terribile incendio che
devastò Roma. Ed è improbabile che sia stato Nerone a nascondere la
sua colpa (all’epoca Nerone si trovava ad Anzio) ritorcendola sui
cristiani, ma è forse vero il contrario, ovverosia che in seguito
siano stati i cristiani a ritorcere la colpa su Nerone e a trasmettere
i fatti storici in una forma volutamente falsa.
Naturalmente non voglio affermare che la responsabilità dell’incendio
fosse sicuramente dei cristiani, poiché è anche molto verosimile che
l’incendio sia partito da un fatto semplicemente accidentale, in una
città fatta di innumerevoli baracche di legno e di stracci, piena di
sudiciume e di materiale infiammabile, dove la gente accendeva fuochi
in condizioni tutt’altro che sicure. Ma trovo molto poco verosimile
l’accusa rivolta all’imperatore mentre, al contrario, assai
comprensibile che i messianisti ebrei e i loro amici si siano trovati
al centro di una accusa, seppur sbagliata. Ora, Nerone non ha
perseguitato i cristiani a causa delle loro convinzioni spirituali, e
le motivazioni di carattere religioso non ebbero alcun peso durante la
celebrazione del processo.
Purtroppo, nel corso di tre secoli, si sono verificati svariati
episodi di condanne eseguite nei confronti dei cristiani e in essi si
è evidenziata una situazione straordinaria quanto tragica: pur di non
riconoscere la sovranità di Cesare e di non dichiarare pubblicamente
la sottomissione all’autorità imperiale, molti inquisiti hanno
sopportato la morte ed anche le più orribili torture. Si sono
verificati casi di donne, ed anche di adolescenti, che hanno
affrontato il martirio senza cedere nella loro risoluta posizione. Ma
questo, se vogliamo essere storicamente onesti, non è affatto un
eroismo di invenzione cristiana, bensì l’atteggiamento fondamentalista
degli ebrei esseno-zeloti, più volte testimoniato in letteratura, che
andavano incontro alla morte pur di non accettare l’imperatore come
loro sovrano. Lo abbiamo visto durante la sconfitta di Gamala, quella
di Masada, e in tanti altri episodi.
Anche se in termini quantitativi il fenomeno delle persecuzioni contro
i cristiani è assai meno rilevante di quanto non appaia nella
consuetudine che ce lo rappresenta; la quale vorrebbe farlo sembrare
una specie di olocausto che avrebbe tormentato il mondo cristiano nei
tre secoli che precedono la riforma costantiniana, costringendo i
cristiani a vivere come cospiratori di un complotto segreto. Non è
stato affatto così, gli episodi persecutori significativi sono stati
isolati e di rilevanza numerica tale da non poter scomodare il
concetto di sterminio.
Si osservi a questo proposito cosa scrisse l’imperatore Adriano, in
risposta al governatore d’Asia Minicio Fundano: “Esigo che degli
innocenti non siano incolpati, e bisogna impedire che i calunniatori
possano esercitare impunemente la loro odiosa azione brigantesca. Se i
sudditi della provincia vogliono accusare del tutto apertamente i
cristiani di una qualche azione criminosa davanti ad un tribunale
ordinario, io non voglio impedir loro di farlo; ma non posso ammettere
in nessun caso che vengano presentate petizioni e vengano organizzate
sollevazioni rumorose. Corrisponde piuttosto al diritto che colui che
avanza un’accusa, indichi esattamente le incolpazioni. Se si dimostra
che l’accusato ha agito contro la legge, dev’essere punito in
proporzione alla gravità della colpa…” (da Giustino Martire, Apol. 1,
6.
Da ciò possiamo dedurre che l’eventuale motivo giuridico per la messa
sotto accusa del cristiano non poteva essere il fatto stesso che
costui fosse considerato tale, ma il fatto che avesse commesso dei
precisi reati contro la legge romana.
La realtà è che le molte e diverse chiese neocristiane (cioè quelle
che avevano preso chiare distanze dal messianismo tradizionale e dallo
stesso ebraismo) hanno potuto espandersi nel bacino mediterraneo, con
comunità di fedeli, diaconi, presbiteri, episcopi; mentre uomini come
Ireneo, Clemente, Tertulliano, Eusebio, scrivevano i loro trattati di
teologia e di storia cristiana. Assai più simile ad un genocidio fu,
nei secoli successivi, la caccia alle eresie e alle streghe, nonché la
persecuzione antisemita effettuata nell’Europa cristiana; persecuzioni
le cui vittime si contano in decine di milioni. Ma questo non è
l’argomento del presente articolo.
In conclusione, soprattutto se facciamo riferimento alle azioni
persecutorie anticristiane avvenute nel primo secolo, dobbiamo
convenire che i romani non erano capaci di distinguere fra il
cristianesimo come religione extragiudaica e il messianismo ebraico,
perché il cristianesimo non aveva ancora maturato una sua identità
teologica indipendente dall’ebraismo. Questa sarà, successivamente, il
risultato conseguente alle gravi sconfitte dell’ideologia messianica,
ovverosia agli esiti disastrosi della prima guerra giudaica nel 70 e
della seconda rivolta nel 135. Allora, e solo allora, il cristianesimo
maturò la sua identità teologica come religione indipendente, a
partire dalle idee antimessianiste che furono propagate da Paolo di
Tarso verso la metà del primo secolo. In pratica le azioni
persecutorie di Claudio, nel 49, di Nerone, nel 64, e poi di Domiziano
(81-96) e di Traiano (98-117), erano ben lungi dall’essere azioni
dirette contro la fede cristiana, nel senso inteso comunemente oggi.
Ne abbiamo una prova evidente da questo scritto di Eusebio:
“… Della famiglia del Signore [Gesù Cristo] rimanevano ancora i nipoti
di Giuda, detto fratello suo secondo la carne, i quali furono
denunciati come appartenenti alla stirpe di Davide. L’evocatus li
condusse davanti a Domiziano Cesare, poiché anch’egli, come Erode,
temeva la venuta del messia…” (Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl. III,
20).
Qui è fin troppo evidente che questi presunti discendenti di Cristo
erano stati perseguitati in relazione ad una ambizione messianica
finalizzata a restaurare la dinastia davidica sul trono di Israele,
ovverosia ad un possibile atteggiamento sovversivo nei confronti
dell’autorità imperiale. A Domiziano delle resurrezioni, delle nascite
verginali, dei riti battesimali e di quelli eucaristici non glie ne
poteva interessare di meno.
Adesso noi vogliamo mettere in evidenza l’affinità che lega il
martirio cristiano con quello messianico, rivelando così una stretta
parentela ideologica.
Se attingiamo alle fonti storiche sugli esseni e sugli zeloti troviamo
brani come questo, di Giuseppe Flavio, in cui si parla degli esseni:
“…furono sottoposti a ogni genere di prove dalla guerra contro i
romani, nella quale furono stirati e contorti, bruciati e fratturati,
fatti passare sotto ogni strumento di tortura, affinché bestemmiassero
il legislatore oppure mangiassero alcunché d’illecito, ma rifiutarono
ambedue le cose: neppure adularono mai i loro tormentatori né mai
piansero. Sorridendo, anzi, tra gli spasimi e trattando ironicamente
coloro che eseguivano le torture, rendevano serenamente lo spirito
come persone che stiano per riceverlo nuovamente. Infatti è ben salda
fra loro l’opinione che i corpi sono corruttibili e instabile la loro
materia, mentre le anime permangono per sempre…” (G. Flavio, Guerra
Giudaica II, 152,155)
I tratti di somiglianza col martirio cristiano sono due: uno è
relativo alla determinazione eroica con cui viene affrontata la morte
piuttosto che sottoporsi all’autorità romana, e l’altro è la
motivazione teologica da cui scaturisce tale fermezza, ovverosia la
fede nella distinzione fra anima eterna e incorruttibile e corpo
temporaneo e deperibile.
Per quanto riguarda gli zeloti noi possiamo ricordare due clamorosi
episodi che rivelano un atteggiamento ideologico e comportamentale
della stessa natura. Uno riguarda il sacrificio degli assediati di
Gamala, e l’altro degli assediati di Masada.
Il primo caso, di cui abbiamo già parlato nell’articolo “Il problema
del titolo Nazareno” si riferisce alla fine tragica della città
Golanita, che dette i natali al famoso Giuda, detto il galileo. Nel 67
d.C. la città era stata assediata da Vespasiano, nel corso delle
operazioni della grande guerra fra ebrei e romani. Quando i legionari
riuscirono, dopo lunghi mesi, ad aprire una breccia e a penetrare
attraverso le mura della città, gli zeloti che la difendevano si
videro perduti e presero una risoluzione in piena corrispondenza con
la natura ideologica della loro fede: affrontare un sacrificio
volontario piuttosto che darsi, vinti, al nemico: “…Allora i più dei
giudei, stretti da ogni parte e disperando di salvarsi, si gettarono
con le mogli e i figli nel precipizio che era stato scavato fino a
grandissima profondità sotto la rocca. Accadde così che la furia dei
romani apparve più blanda della ferocia che i vinti usarono verso sé
stessi; quelli infatti ne uccisero quattromila, mentre più di
cinquemila furono coloro che si precipitarono dall’alto…” (G. Flavio,
Guerra Giudaica IV, 79-80)
Anche qui il tratto fondamentale e caratteristico è l’ideologia
messianica, originatasi dalla convinzione che l’unico sovrano
legittimo di Israele sia il suo stesso Dio: Yahweh. L’ebreo non può
pertanto sottoporsi ad altra autorità, senza con questo commettere un
atto sacrilego che concede ad uno straniero infedele una dignità che
spetta solo a Dio. È la stessa motivazione che, in altri momenti, ha
spinto i seguaci della setta di Giuda a rifiutare il pagamento del
tributo a Cesare e a considerare infedeli tutti gli ebrei che non
erano disposti a ribellarsi contro questa imposizione. Fu con questa
causa che ebbe inizio la celebre rivolta del censimento del 7 d.C., in
cui perse la vita lo stesso Giuda, e durante la quale l’evangelista
Luca pone la nascita di Gesù.
Il secondo caso si riferisce alla caduta della fortezza di Masada, nei
pressi della riva occidentale del Mar Morto, una cinquantina di km a
sud di Qumran, in cui gli esseno-zeloti si erano asserragliati dopo la
fine della guerra (70 d.C.), nel tentativo di continuare una
resistenza a oltranza. Qui essi furono comandati da un certo Lazzaro,
figlio di Giairo, legato alla famiglia di Giuda da vincoli di
parentela. I romani dovettero affrontare un assedio lunghissimo, in un
ambiente molto più inospitale di quello golanita. Dopo ben tre anni di
assedio, superando i 50 gradi di temperatura delle giornate estive in
questo torrido deserto, i romani edificarono un colossale terrapieno
che consentì loro di arrampicarsi fino alla sommità del monte e di
raggiungere la fortezza. Consapevoli dell’imminente inevitabile
sconfitta gli assediati furono presi dallo sgomento.
Allora fu proprio Lazzaro che riuscì a ricompattare lo spirito dei
suoi uomini, pronunciando un discorso che sembra un trattato di
teologia esoterica orientale sull’anima e sul suo stato di prigionia
nei vincoli della carne, nonché sulla liberazione che consegue alla
morte. In pratica, ancora una volta gli esseno-zeloti presero la
risoluzione di non concedersi al nemico e di non subordinarsi alla sua
autorità. In un certo qual modo essi hanno conseguito la loro
vittoria, rimanendo indomiti nella sudditanza all’unico vero sovrano
che essi erano disposti ad accettare. Furono circa novecentosessanta
che si dettero reciprocamente la morte, col filo della spada, e quando
finalmente i romani varcarono il ciglio ed entrarono nella fortezza,
non vi trovarono che una distesa di cadaveri. Tutte le vettovaglie e
tutto il resto era stato lasciato intonso, affinché i romani sapessero
che gli ebrei non erano morti per l’esaurimento delle loro scorte, ma
solo per una lucida decisione. Quella di non essere sconfitti e di
avere avuto un solo padrone per tutta la vita: Yahweh. Cesare non
sarebbe mai stato il loro signore.
Fu l’eco di questa irremovibilità zelotica che spinse i romani, nei
decenni successivi, ad adottare il test di subordinazione
all’imperatore: costringere l’inquisito a rilasciare la dichiarazione
pubblica “Cesare è il mio signore”, da cui sarebbe derivata, poi,
l’assoluzione o la condanna.
E se noi vogliamo continuare a credere che i cristiani siano stati
perseguitati, nonostante la presunta totale apoliticità di loro stessi
e del loro leader, semplicemente perché amavano nascondersi nelle
catacombe a pregare e a celebrare il rito eucaristico, in quanto
questo avrebbe dato un enorme fastidio alla civiltà di Roma, possiamo farlo ma il nostro senso storico sarà simile a quello di chi vede
nelle piramidi egiziane gli hangar degli extraterrestri.
Prof. David Donnini