L’inquinamento musicale è diventato il nemico numero 1 per l’uomo...

 

Musicaccia  a Sanremo


"Nella pace e nel silenzio tutto si manifesta" (Saul Arpino)

Solitamente l’immagine che si ha del rumore è legata alle attività lavorative, si pensa ad un martellar di lamiere, colpi d’ascia, motori che sibilano, traffico, ululati di sirene…. Solo a pensarci ci si sente infastiditi sia nell’olfatto che nell’udito! Ma è soprattutto il “rumore da divertimento” che è irritante e dannoso anche se viene considerato fonte di delizia e di esaltazione. Mi riferisco ovviamente ai decibel delle tiritere strombazzate dalle auto in corsa, fuoriuscenti dalle porte di localacci ambigui, dalle finestre delle case con televisioni accesi giorno e notte, dagli stereo dei venditori ambulanti, dalle cadenze hard rock di discoteche e club privati, etc. etc.

Quali sono le conseguenze sulla mente e sul corpo umano di queste cadenze emesse senza sosta? L’elettroencefalogramma evidenzia rallentamento dei ritmi, alterazioni dell’attività elettrica delle cellule nervose, riduzione dei riflessi e della memoria, eccitabilità e mancanza di risposte adeguate alle situazioni contingenti, anche alcune forme di cefalea possono essere collegate a traumi acustici. Il sottoporsi a rumori eccessivi porta a disturbi urinari e mestruali, fertilità e libido ne risentono anch’esse.

Le persone che vivono o lavorano in ambienti rumorosi sono le più soggette a fenomeni quali l’ipertensione o l’improvvisa elevazione della pressione sanguigna, a rischio sono soprattutto le persone soggette a problemi cardiocircolatori. Alcuni test di laboratorio hanno infatti dimostrato che se sottoposti ad un rumore di 90 decibel per 10 minuti i malati presentano evidenti alterazioni nell’elettrocardiogrammma.

Insomma il rumore in eccesso è puro veleno per l’uomo!

“Beati quelli che stanno in Paupasia..” Ma forse pure loro sono ormai resi schiavi dall’auricolare… !

Il rumore di fondo al quale siamo esposti non dovrebbe superare i 60 decibel ma è un limiti ampiamente superato sia in Italia che all’estero. Tutto questo baccano oltre che portare ai disturbi sopra indicati ha anche altre disagevoli conseguenze: disabitua l’orecchio all’ascolto. Infatti l’inquinamento acustico ci porta ad ignorare (nel livello cosciente) quei suoni che il nostro udito non può sopportare, che è una sorta di sordità o distrazione psicologica. Oggi per combattere l’inferno del “baccano” si contrappone la semplice diminuzione (insonorizzazione) delle emissioni ma questo è un approccio meramente negativo.

Dobbiamo invece far sì che gli studi sull’acustica ambientale abbiano un valore positivo. Quali sono i suoni che intendiamo privilegiare, conservare, moltiplicare? Per capire questo discorso dobbiamo imparare a scegliere il rumore al quale sottoporci. Possiamo cominciare discriminando fra l’ascolto volontario della nostra melodia preferita ed il martellamento della musica indiretta. Questa presa di coscienza non ci potrà certo impedire l’ascolto della musica indiretta, spesso ammannitaci nelle forme più subdole come quando si va al supermercato o si ascoltano musiche strane su internet o televisioni (e dir si voglia), ma ci consentirà comunque di abituarci al distacco ed al discernimento in modo da non cadere vittime degli incantatori pubblicitari.

Infatti la sottomissione passiva (ignorante) alla musica indiretta è fonte di stravolgimento culturale e mutazione dei costumi (esattamente ciò che vuole la pubblicità..). Se restiamo vittime di questo influsso la musica, che è l’arte più vicina alla spirito (essendo nata proprio in funzione del nutrimento spirituale) ed orgoglio della nostra tradizione millenaria, smette di essere una cosa nata per “illuminare” la mente umana, allietando il nostro vivere, ma diventa fonte di confusione ed alienazione dalla vita (cosa tanto gradita a satana).

Oggi nella società in cui tutto è consumo ed appropriazione materialistica anche la musica è una merce di cui “godere” senza ritegno sino alla nausea ed alla negazione dell’armonia. “Gli uomini, cosiddetti civilizzati, sono diventati feroci uditori ma in realtà non sanno più ascoltare! Usano il suono come una droga stordente dimenticando così di godere del significato e del valore di quanto viene ascoltato” (Walter Maioli, etnomusicologo).

Come affermavo sopra anche le culture aborigene sono minacciate dalla massificazione musicale in corso, la musica dolce e profonda dell’oriente, delle Americhe o d’Australia rischia di restare contaminata irrimediabilmente dall’ondata volgare di suoni elettronici e decadenti della musicaccia occidentale di taglio consumista. “E’ pur vero che le diverse civiltà possono crescere attraverso ibridazioni e contatti, ciò è sempre avvenuto in passato, ma dovrebbero poter continuare ad evolversi senza subire una colonizzazione assoluta e perciò inaccettabile” (Roman A. Vlad, musicista).

Nell’ascolto non si tratta perciò di mettere in contrapposizione la musica elaborata, ricca di significati simbolici, con quella popolare e primitiva… piuttosto, ai vari livelli, di sottolineare la profonda e radicale differenza delle finalità fra un prodotto di consumo ed opere in cui la ricerca estetica continua ad essere portata avanti.

E qui torniamo al problema dell’inquinamento acustico… (e non solo nelle città, poiché ormai esso impera ovunque) per scoprire che mentre un pubblico sempre più vasto si sottopone, più o meno volontariamente, ai prodotti musicali di consumo, s’impone per “l’ascoltatore” di qualità un eccessivo sforzo discriminatorio e di pazienza per non restare coinvolto e sconvolto dal rumore della diffusione di massa.

Occorre evitare che la capacità melodica, che fece sognare l’uomo per millenni e che è ormai una componente emozionale della sua vita spirituale, cada vittima dei “petrolieri” musicali. La melodia, che ha il silenzio come base, non deve infatti soccombere ad un’era perversa e sordida frastornata da ogni rumore. Il rischio inverso, dicevo sopra, è l’assuefazione inconscia al frastuono e la perdita totale della capacità di ascolto.

E vorrei ora ricordare ai convalescenti desiderosi di cure melodiose un qualcosa che possiamo fare per recuperare l’amore per i suoni naturali. Quando ci rechiamo in campagna, sulla riva di un fiume, in qualsiasi ambito naturale, abituiamo l’orecchio al vuoto, spegniamo ogni brusio tecnologico, non parliamo, lasciamo che la natura trasmetta i suoi messaggi: il ronzio di un’ape sui fiori, il guizzo d’ala di un passero, un refolo di vento tra le foglie, il fruscio dei nostri passi sul sentiero… In tal modo sentiremo nascere dentro di noi una nuova armonia, che parte dal cuore…

Paolo D’Arpini



Chi erano gli Unni?



Quando parliamo di storia e di Eurasia, torna spesso nei nostri discorsi un popolo: gli Unni.

La natura di questi è controversa, poiché provenivano dall'area centrale del blocco euroasiatico (demograficamente ed etnicamente caotica) ed erano dediti al nomadismo. Questo rende tutte le ricostruzioni da ricavare da fonti antiche e indirette, spesso tendenziose.
Conosciamo gli Unni (occidentali), gli Unni bianchi (centroasiatici) e gli Unni rossi (Mongolia, Nord della Cina), ma abbiamo alcune difficoltà a capire se si tratti di diversi rami dello stesso popolo (la distanza e la differenze culturali farebbero pensare di no).
La teoria di un popolo unico deriva forse da una similitudine tra il nome attribuito a questi dalle fonti greco-latino e da quelle persiane. Gibbon sosteneva che gli Xiongnu in Mongolia, respinti dai cinesi, si fossero spostati verso Occidente, arrivando a dividersi in Asia Centrale nelle due diramazioni note: Unni bianchi (iranici) e Unni (europei).
Basava questa teoria sulla somiglianza tra i nomi dei popoli e il comune areale centro-asiatico (in realtà molto vasto).
Contro questa teoria vi erano alcuni elementi: profili fisiologici diversi, grande distanza spaziale e temporale (duecento anni) tra gli Xiongnu e gli Unni occidentali.
Le identità dei popoli nomadi erano spesso molto labili; diverse bande di guerrieri (non necessariamente un popolo) si riunivano dietro un leader carismatico e lo seguivano in migrazioni e saccheggi. Anche le lingue erano più fluide di quanto possiamo pensare oggi.


Ad esempio:
- Dopo la migrazione a Nord dei Rus di Kiev, l'influsso ugro-finnico fu determinante nel ripopolare le città e la nobiltà russa a lungo si mescolò con la nobiltà mongola, che a sua volta riceveva ciclicamente -come pegno di alleanza- giovani principesse cinesi.
- Gruppi come Vandali e Longobardi, nel loro spostamento verso Occidente, avevano incorporato gruppi minori. I Vandali portarono con loro Alani (di etnia iranica) e Suebi; i Longobardi portarono piccoli gruppi di Gepidi e Avari.
- Il dominio di Attila fu sempre composito: più che uno stato unno, dobbiamo immaginarlo come un'entità politica con un gruppo militare-banditesco al vertice (le cui truppe erano composte da: Unni, Gepidi, Ostrogoti, Rugi, Sciri, Eruli, Turingi, Alani e Burgundi).
Dobbiamo dunque chiederci: e se "unno" non fosse il nome di un popolo, ma di una categoria militare? Di una compagnia guerriera?
Nella fucina di popoli e di eventi che fu l'Asia Centrale, la parola "unno" avrebbe potuto indicare un guerriero particolarmente valoroso, forte, feroce, determinate caratteristiche o comportamenti bellici, persino un gruppo di saccheggiatori dediti a una qualche divinità (l'etimologia cinese condurrebbe a un culto del cane - o all'uso dei cani nordici durante il combattimento?).
Gli Unni di Attila erano turcofoni, provenivano dall'Asia Centrale e inglobarono al loro interno alcune bande di combattenti di origine germanica. Mentre, gli Unni Bianchi erano di origine indoeuropea del ramo iranico e provenivano dall'odierna zona tra Iran e repubbliche centro-asiatiche.
Per affrontare lo studio storico-antropologico e linguistico delle steppe dovremo essere disposti a cambiare i nostri parametri e adattarci a una situazione più dinamica, caotica.
Le identità erano più labili, gli spazi più estesi, persino le differenze per noi oggi quasi insormontabili tra lingue e gruppi etnici erano più facili da appianare. Così, poteva capitare che un pastore di renne finnico sposasse nella tundra una donna di etnia slava o germanica; che molti secoli dopo le corti dei mongoli furono le più tolleranti con mercanti e predicatori di ogni tipo.
Alle due estremità dell'Eurasia erano due poli ad alta concentrazione demografica (Europa/Mediterraneo e Cina/Corea/Giappone), nelle aree più calde c'era un corridoio temperato di civiltà complesse (Medio Oriente, India, più tardi Russia e in alcuni periodi Indocina); tutte queste regioni sarebbero diventate imperi, città e stati, identità forti e guerre di religione.
Nella steppa, invece, rimaneva ancora in vita un'alternativa radicale, una strada che tracciava una separazione tra due mondi dai tempi della Rivoluzione Neolitica: quello delle città e quello dei nomadi, fatto di barbarie (almeno così percepite dalle città), ma anche di scambi e alleanze, di mescolanze culturali e tolleranza.
Non possiamo capire la storia d'Eurasia, senza questi pastori nomadi che canta Battiato: "Ancora oggi le renne della tundra, trasportano tribù di nomadi che percorrono migliaia di chilometri in un anno e a vederli mi sembrano felici".

Gabriele Germani





Integrazioni:

Stefano Sacchini
L’etnonimo 'xiongnu' è argomento di controversie in quanto non è traducibile. I due ideogrammi cinesi che lo esprimono, considerati nel loro valore semantico, significano "schiavi urlanti" o "schiavi malvagi". Ma nessun studioso ha mai preso 'xiongnu' nel suo significato letterale. L'opinione prevalente è che le due sillabe debbano considerarsi esclusivamente nel loro valore fonetico, quindi come trascrizione di un nome straniero. Ma quale fosse questo nome, nonostante le ipotesi avanzate, nessuno è stato finora in grado di dire. C’è da dire, inoltre, che gli studiosi non concordano neanche sull’appartenenza linguistica del popolo Xiongnu: oltre alla teoria proto-turca c’è anche quella paleosiberiana
Fabio Fiorillo
Gli unni probabilmente non sono mai stati un popolo, ma in origine una confederazione di gruppi nomadi. Dunque lo spostamento verso occidente sarebbe stato quello di una organizzazione militare (costituita da sempre nuovi elementi etnici) e non di una popolazione migrante.

"Chi domina i nostri dire e fare...?"



Fino a qualche anno pensavo di essere un uomo libero ma condizionato da chi aveva il potere. Mi sbagliavo sul fatto di credere di essere libero e soprattutto sul condizionamento da parte di chi aveva il potere.

In realtà come stavano le cose?


Non sono mai stato libero. Non ho deciso di nascere, da chi e dove. E quando sono nato corpo e cervello erano già impostati. I genitori e prima di tutti mia madre mi hanno condizionato. Crescendo la società in cui vivevo e le persone e i luoghi che frequentavo mi hanno ulteriormente condizionato. Ma di questo non ero consapevole. Pensavo di essere libero anche se notavo che molti miei comportamenti erano automatici, pensieri e azioni non corrispondevano esattamente a quel che avrei voluto pensare e fare.


Poi un giorno mi ammalai di una malattia che avrebbe condizionato il resto della mia vita. E quando decisi di curarmi mi si illuminò la mente e per un attimo intuì cosa mi aveva fatto ammalare e soprattutto che fino a quel momento non ero mai stato libero, che il libero arbitrio non era mai esistito, anche se Stato e Religione me lo avevano fatto credere. 


Ma soprattutto mi resi conto che la malattia era la conseguenza di questa mancanza di consapevolezza di non essere libero. Se uno non sa guidare l'auto e la guida l'unica libertà che ha è quella di farsi del male. Provate a dare in mano un coltello ad un neonato e vedrete subito che l'unica libertà che ha è quella di farsi del male.


Ma cos'è che ci rende liberi? Il compimento dei 18 anni? 

Per la religione, per ogni religione e per lo Stato e per ogni Stato la prima cosa che dobbiamo fare è trascurare il nostro corpo, sacrificarlo obbedendo ai condizionamenti dello Stato e della religione.


Trascurare il corpo e i suoi bisogni è la premessa per perdere il controllo del proprio corpo e della propria mente. E se non controlliamo noi il nostro corpo e la nostra mente ci penserà qualcun altro: Stato, Chiesa, chiunque vuol venderci qualcosa, chiunque vuol farci lavorare come volontario per i suoi interessi.


E così ci viene insegnato che siamo liberi, quando l'unica libertà che abbiamo è di obbedire a questi "insegnanti".


Ma io oggi sono consapevole del livello di libertà che ho. Più ascolto i bisogni del mio corpo e più la mia mente  è rilassata e sgombra di pensieri condizionati. E quello che fa una madre "rilassata" che ascolta i bisogni del neonato e li soddisfa. Ma se la madre non è rilassata a livello fisico e di conseguenza a livello mentale è facile che non colga i bisogni del neonato e lo trascuri. Infatti prendersi cura dei propri bisogni è la premessa per vedere i bisogni degli altri. 


In conclusione ho imparato ad ascoltare i miei bisogni e a rilassarmi e a vedere che spesso gli altri, come facevo io prima, non sono in grado di ascoltare i propri bisogni e di conseguenza non vedono la realtà, ma la vedono filtrata dalla confusione mentale che li domina dovuta al loro non prendersi cura dei bisogni del proprio corpo a causa dei condizionamenti sociali di cui non sono consapevoli.  

 

Paolo Mario Buttiglieri - trentomilano@gmail.com




I cattivi buoni ed i buoni cattivi



Ho sempre avuto gran rispetto per le persone che crudelmente volevano ammazzarmi. Quei loschi figuri che muovevano marionette e me le scagliavano contro.

Le marionette, ad un certo punto, potevano riposare. Loro no.
I cattivi, quelli veri, non si concedono famiglia e pace; nessun amore.
Completamente immersi nel loro mondo sacrificano tutto ciò che hanno di più caro per raggiungere uno scopo.
Ciò che chiamano figli, amore, è solo una parte buona da sacrificare. Magari una delle ultime scintille divine da dare in pasto ad un potere per averne di più.
In una discussione, giorni fa, sono stato spietato. Ho detto tutta la verità; magari appena, solo- un pò, velata.
L’uomo a cui l’ho detta ne è stato investito suo malgrado.
In genere non faccio cose così. A me m’accade che ciò che semino raccolgo…ed amo quando il mondo mi fa maestro poiché io tratto tutti da maestri.
Ma a volte accade.
Accade che per amore si debba dare una sgrullata ad una pianta piena di neve che sta per rompersi, oppure dare un ceffone ad un bimbo che, sonnambulo, s’avvicina ad un burrone.
Quel ceffone lo paghiamo quasi sempre. Pochissimi i casi in cui la forza non venga ricambiata.
Pochissimi quei casi e sempre legati al dover mutare un moto errato, per qualcuno di gran valore, per il fato.
Già.
Alcuni, per il fato, hanno così gran valore da impedire che errino lontano dalla loro orbita prescritta.
Troppe anime in attesa di essere qualcosa, per permettere a qualcuno d’essere una resa.
Ed allora accade che le condizioni spingano qualcuno a dire o a fare la cosa sbagliata che a ben vedere è quella giusta.
Ho sempre avuto gran rispetto per le persone che crudelmente volevano ammazzarmi. Quei loschi figuri che muovevano marionette e me le scagliavano contro.
Sono le marionette che amo molto meno. Coloro che guardano e non vedono.
Forse poiché sono stato uno di loro, forse poiché intimamente so che non hanno alcuna voglia di sfidare il vento contrario.
Le tempeste.
Come quella che si sta abbattendo oggi sul mio laboratorio silenzioso.
Buon giorno della Luna. Avevo bisogno di coraggio, avevo paura e mi hanno protetto.
Chi lo ha fatto sorrideva. Chi lo ha fatto erano molti. E' così che mi hanno insegnato che fare, qualcosa, equivale ad esserlo!
Qualcosa che c’è già. Qualcosa che è lento. Qualcosa che dura. Qualcosa che è amore e mai stucchevole al palato.

Andrea Santini