Dinamiche della comunicazione (secondo la percezione)...

 


Considerazioni sulle dinamiche della comunicazione e sue rappresentazioni a mezzo della meccanica classica e quantica. Il mondo sottile delle relazioni e della relativa creazione di realtà è rappresentabile dalla concezione quantica del mondo e dall’impossibilità di separare osservato da osservatore, come è tipico invece della concezione meccanicistica.

Secondo Marshall McLuhan, il medium è il messaggio. È una formula che dice molto, forse tutto, in quanto all’ambito della comunicazione.

Essa allude al fatto che la comunicazione, che si crede abitare le parole, le azioni o gli scritti, è una superstizione.

Salvo nel caso di un campo chiuso, per esempio quello matematico o quello di un gioco regolamentato, nonché tra complici, il messaggio che passa e che resta, ben più di quanto razionalisticamente si creda attaccato alle parole, è invece relativo all’emittente. E, in particolare, alla relazione fra destinatario della comunicazione ed emissario.

Quanto più il destinatario del messaggio accredita chi lo pronuncia, tanto più l’ascolto si compie e il rischio di comunicazione si eleva. Al contrario, ovvero quando il destinatario non accredita l’emittente, il contenuto del messaggio tende ad essere vuoto di valore, significato e potere.

È un’osservazione che possiamo compiere continuativamente. Per esempio, la parola del genitore nei confronti di un bimbo piccolo è la sola realtà. Il potere del verbo dell’adulto è così pieno che in esso si compie la magia di realizzare la realtà riconosciuta, in questo caso, dal bimbo come tale. È un processo sempre e solo di natura emozionale e, vedremo, dal carattere quantico.

Se fosse invece di stirpe razionale, come i razionalisti inconsapevolmente ritengono, ma praticamente confermano, l’aspetto relazionale non avrebbe peso negli innumerevoli contesti aperti, che caratterizzano appunto tutte le relazioni non regolamentate, come invece accade in quelle del citato campo chiuso.

Dunque emozionale, in quanto l’accredito che viene dato o non dato corrisponde ad un motto più o meno affettivo/anaffettivo. Sappiamo tutti quanto la dimensione di questo aspetto dia o meno significato e importanza alla relazione in questione.

Il carattere quantico della comunicazione in contesto relazionale, aperto è relativo alla realizzazione della comunicazione, all’equivoco o alla sua dispersione nel nulla di fatto, in quanto si realizza ciò che è affermato dal quantico principio di indeterminazione. Ovvero, che il comportamento della particella risente della presenza dell’osservatore nell’esperimento. Ugualmente avviene nelle relazioni aperte: non è possibile determinare con certezza il comportamento, la reazione del destinatario. A differenza di quanto tipico della meccanica classica, un cui pilastro esistenziale è che di un elemento della realtà si può sempre conoscere la quantità di moto e la posizione nello spazio, tanto in contesto relazionale aperto, quanto in quello quantico sussiste l’impossibilità di poter prevedere sia il comportamento della particella, sia quello dell’interlocutore. Come se entrambi, sotto stimolo, cogliessero dall’infinito una modalità di risposta. È una figurazione significativa, in quanto l’ambito relazionale aperto allude a universi diversi tra le parti, cioè infiniti personali, tra l’altro in costante, nuovamente imprevedibile, mutamento.

Dunque, la medesima proposizione, mutando di significato in funzione del destinatario, non è che una replica di quanto affermato dalla fisica quantica, come se il mondo subatomico e quello sentimentale fossero uno il riflesso dell’altro. Come se tanto in ambito umanistico, quanto in quello fisico, si potessero riscontrare le medesime dinamiche. Come se l’aggettivo sottile, spesso impiegato per riferire la realtà al di là del velo di Maya, avesse in quello subatomico, impiegato in fisica, una corrispondenza sostanziale.

Con queste premesse, si può pensare che la realtà nella relazione evincibile dalla fisica quantica – come lo era già dalla Scuola di Palo Alto e, soprattutto, da tutte le tradizioni sapienziali del mondo, in contrapposizione alla realtà oggettiva, misurabile e prevedibile, espressione della meccanica classica – possa rappresentare quanto avviene in contesto umano.

Sono considerazioni che permettono di riconoscere nei sentimenti e nelle emozioni fili magici che ci legano al mondo, rendendo tutte le cose contigue, così come l’entanglement e il principio di indeterminazione, a loro volta, pare esprimano e rappresentino. Fili di un tessuto inesistente e invisibile per la fisica classica. Dei quali non ha esigenza per gestire i contesti chiusi, quelli dall’oggettività condivisa, suo autentico regno. Tuttavia, a causa del suo inopportuno diritto di assolutismo culturale, con la sua autoreferenziale mania di essere la depositaria della verità assoluta, viene inopportunamente impiegata anche in quelli aperti causando, come l’elefante in cristalleria, una serie considerevole di inconvenienti.

L’entrata a gamba tesa del meccanicismo (meccanica classica), in campo relazionale/aperto (meccanica quantica) si può comprendere riconoscendo la gabbia logica nella quale spadroneggia, alla quale attribuisce massimo accredito. Una scatola che non contiene la fisica quantistica, né lo spirito della vita. Così, una è costretta a ripetere, a causa del ritorno dei pochi elementi di cui la sua realtà chiusa è composta, ovvero soltanto quelli misurabili e quantificabili, mentre l’altra, disponendo dell’infinito di cui è composta, ha in sé il potere creativo. Pedagoghi, didatti e terapeuti ben lo sanno.

Come potrebbe non essere un fallaccio, quando l’ottuso intento reificatore delle persone tronfie di una presunta oggettività pretende di comprimere il mondo e l’altro entro categorie finite, fino a giudicarlo, condannarlo, esonerarlo, liquidarlo, eliminarlo? Fino a descriverlo e a credere definitivamente nella propria narrazione? Nessun arbitro di conoscenza potrà allora non alzare il cartellino per un rosso diretto.

Sarà il momento in cui l’oracolo e il miracolo non saranno più oggetto di razionalistico scherno, ma semplici dinamiche che la fisica classica non ha mezzi per conoscere, e che quella quantica è in grado di significare. Sarà il momento in cui il dominio di spirito, pensiero e azioni della cultura razionalistica perderà la sua egemonia.

Sarà allora banale osservare che il genitore realizzava una forza oracolare nei confronti della realtà che il bimbo si configurava.

Il massimo credito, ovvero la fede nell’emissario, concede al logos di questo il potere di spostare il punto di attenzione altrui, così come il genitore ne imponeva uno al bimbo. Se la ragione della nostra malattia o ossessione risiede in una certa concezione di noi stessi determinata dal desiderio di ottenere affetto, solo spostando l’attenzione da quella magnetica esigenza potremo cambiare stato. Potremo guarire.

Si tratta di esempi che, vestiti con altri stracci umani, sono presenti in tutte le dinamiche relazionali. Si tratta di riconoscere il potere creativo di cui, liberi dal conosciuto, possiamo disporre per migliorare noi e il mondo.

Lorenzo Merlo



Cos’è lo Zazen...?




Zazen è una profonda assenza di attività: non fai nulla all’esterno, non fai nulla all’interno.
Non è nemmeno meditazione, perché quando mediti stai ancora compiendo una sorta di sforzo, stai cercando di fare qualcosa: cantare un mantra, ricordare dio o persino ricordare te stesso. E questi sforzi creano delle increspature, questi sforzi creano delle vibrazioni e la tua esperienza diventa corrotta, non è più innocente. 
Zazen significa: siediti e stai seduto, nient’altro. Non c’è fare da parte del corpo, non c’è fare da parte della mente. È uno stato di non fare. Questo non significa che sei addormentato, perché anche il sonno è un fare. Ciò non significa che tu sia morto, perché se sei morto non puoi stare semplicemente seduto. Significa semplicemente che sei immensamente vivo, intensamente vivo, un fuoco di essere, ma non vai da nessuna parte. Sei una riserva di energia in attesa profonda. Stai solo aspettando che succeda qualcosa, senza tuttavia aspettarti nulla, perché l’aspettativa creerebbe nuovamente un’increspatura del pensiero e la mente entrerebbe in funzione. Tutto è sospeso. Respiri ed è tutto ciò che fai. Ma non è un fare, perché il respiro va da sé. Non devi fare altro che stare seduto in silenzio. 1



Un uomo che ha fatto esperienza di Zazen sa semplicemente che tutto ciò che arriva davanti agli occhi è semplicemente fenomenico, va e viene, proprio come le nuvole e i fiori. Tutto nel mondo, tranne il tuo essere, continua a evolversi in nuove forme. Trovare se stessi è trovare il centro del ciclone. Il mondo intero è un ciclone, ma una volta trovato il tuo centro, il ciclone scompare. Lo specchio rimane vuoto. Questo vuoto è buddhità. Questo nulla è la vetta suprema della coscienza. 
Un uomo che pratica Zazen arriva al punto di rendersi conto che tutto ciò che è visto è fenomenico. È fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni. Tutto continua a mutare. Questa è la definizione orientale di realtà e irrealtà. Irrealtà significa semplicemente ciò che muta. Eri un bambino, eri un giovane, diventerai vecchio. Questo è fenomenico, è irreale. Ma c’è qualcosa in te che non diventa mai nient’altro che se stesso. Nell’infanzia è lo stesso, nella giovinezza è lo stesso, nella vecchiaia è lo stesso. Nella morte è lo stesso. Un uomo di meditazione conosce il suo essere eterno. Il suo essere immortale. Non c’è morte per lui. 2


Cosa succede quando stai semplicemente seduto? Tutta l’energia che si muoveva nel corpo, fuori dal corpo, nelle azioni, non si muove più. Diventi un lago di energia. L’energia continua a raccogliersi, diventi una riserva. Nello Zazen non ti è nemmeno permesso ondeggiare o muovere il corpo, nemmeno un leggero movimento, quindi non investi alcuna energia nell’azione; tutta l’energia resta a tua disposizione. Continua a scivolare dentro. Ti riempie. Inizia a straripare. Quando arriva il momento in cui straripa, c’è il satori.
Satori è il momento in cui l’energia straripa.
Il pensiero si ferma un po’ alla volta. Ci vuole tempo, quasi tre giorni è il tempo. Se pratichi giorno e notte, continuamente, nel giro di tre giorni arriva il momento in cui l’energia è così tanta che semplicemente esplode.
Tutto si calma: un lampo improvviso all’interno. Tutto diventa chiaro: la chiarezza della percezione è raggiunta. Questo è ciò che in Giappone chiamano satori.
Io lo chiamo meditazione. È ciò che lo Zen chiama Zazen: stai semplicemente seduto, in un’attesa infinita... Osservi, sei vigile, consapevole, non vai da nessuna parte... E accade il miracolo dei miracoli… Ciò che stavi cercando e non sei mai riuscito a trovare, accade all’improvviso. 3


Questo è il significato della parola “zazen”. “Za” significa stare seduti senza fare nulla. E “zen” significa: mentre stai seduto senza fare nulla ricadi su te stesso, incontri te stesso, vedi te stesso. Questo è zen, dhyana, meditazione.
La parola “zazen” è bellissima.
“Seduti a guardare dentro di sé”, questo è il significato.
L’uomo è più della somma dei suoi atti, dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti. Dietro gli atti, i pensieri e i sentimenti c’è un altro uomo: ciò che è, ciò che è essenzialmente. Ma molto raramente, se non mai, qualcuno si mostra nel suo essere essenziale. Pochissimi raggiungono quel punto del loro essere essenziale, il fondamento del loro stesso essere. E coloro che lo raggiungono, e solo loro, sanno che la vita è una benedizione. Una gioia pura, una festa eterna. 4


La vera padronanza accade quando non è più necessario alcuno sforzo, quando tutti gli sforzi possono essere abbandonati. La vera padronanza accade quando non è più necessario alcun metodo, quando tutti i metodi possono essere abbandonati. La vera padronanza è quando la meditazione non è più una cosa da fare, ma è diventata il tuo stato.
Ci vivi, ci cammini, ti ci siedi: “Seduto nello Zen, camminando nello Zen”.
Ci mangi dentro, ci dormi dentro. CI SEI DENTRO!
Arriverà quel momento.
Ma all’inizio devi andarci con tutta la tua energia. Ricorda, così come l’acqua evapora a cento gradi – non a novantanove, non a novantanove virgola nove, ma esattamente a cento gradi – così quando metti in gioco la tua energia totale, cento gradi, immediatamente il metallo si trasforma in oro. Immediatamente l’energia che si stava spegnendo fa un giro di centottanta gradi e due occhi diventano uno solo. E dopo, tutto ciò che è interiore e tutto ciò che è esteriore si illumina. 5



Se ti siedi semplicemente e non fai nulla, a poco a poco la mente si assesta, perché non c’è niente da fare, non è più necessaria. All’inizio si ribella, pensa di più e i pensieri turbinano in un folle vortice interiore, ma se continui a stare seduto, perdono la loro ragione di essere. A poco a poco la polvere si deposita, i pensieri scompaiono, appaiono gli intervalli. In quegli intervalli, è possibile la comprensione. Quando i pensieri non ci sono, pensare è possibile. Quando non hai pensieri nella mente, tutta l’energia che è impegnata a pensare, nei pensieri, è rilasciata, diventa la tua consapevolezza.3







Testi di Osho  tratti da:

1. Come Follow To You, Vol. 4 #5
2. The Original Man #6
3. Nirvana The Last Nightmare #2
4. This Body The Buddha #6
5. The Secret of Secrets, Vol.1 #9

 

Fonte: Osho Times n. 287