Restare ebrei (o bramini) per scelta...



Di tanto in tanto ho una scambio di vedute con Paolo Bancale, direttore della rivista "Non Credo", con cui collaboro da anni su vari temi riguardanti la spiritualità laica. In alcuni numeri del passato sono stati pubblicati  vari miei articoli sul "problema" ebraico, esaminato con un approccio laico. Dico "laico" in senso totale, poiché spesso ho notato che molti critici del cristianesimo o dell'islamismo si definiscono "laici", mentre alla fine si scopre -per loro stessa ammissione- che  appartengono alla comunità ebraica. Quindi la loro critica delle altre religioni è un po' pelosa. 

Nel corso della mia esistenza  ho conosciuto diversi ebrei, con i quali ho stretto amicizia,  di solito questi amici hanno  dimostrano una grande apertura mentale e spesso non esitavano a definirsi liberi cercatori spirituali, e magari  "atei" o perlomeno "agnostici", quindi dal punto di vista intellettuale si potrebbero definire "laici". Il fatto è che l'adesione all'ebraismo, non  dipende semplicemente  da una  scelta religiosa filosofico-elettiva , nel senso del pensiero,  e quindi aperta a tutti. L'ebraismo è sostanzialmente un riconoscimento  etnico-culturale, che viene tramandato fra gli appartenenti del popolo  ebraico, cioè i nati da famiglia o da donna ebrea.  Il popolo ebreo e l'ebraismo sono perciò un tutt'uno inscindibile (indipendentemente dal credere o meno nella religione avita). 

Come avviene ad esempio nel bramanesimo induista, in cui i bramini dal punto di vista dottrinale possono appartenere a varie sette del Sanatana Dharma, possono essere  vishnuiti, shivaiti, shakta e persino nichilisti atei  ma continuano in realtà a mantenere la tradizione genetica braminica (sposandosi e riproducendosi solo tra bramini).   


Ed allora quando smette  un ebreo di appartenere all'ebraismo od un bramino  alla sua casta, oltre alla rinuncia intellettuale elettiva? 

La risposta è semplice: il momento in cui abbandona anche la tradizione genetica del matrimonio e della riproduzione all'interno della sua "etnia" o casta.  Non essendoci  più ascendenza-discendenza  le caratteristiche genetiche vengono rimescolate e pian piano le tracce ancestrali disperse assieme a quelle culturali. 

Certo alcune caratteristiche psicofisiche dominanti per un po' restano. Ma scompare il senso di appartenenza  al gruppo etnico. In un certo senso questa rinuncia alla "gens" è quanto fecero i romani antichi, che essendo originariamente etruschi, sabini, falisci e latini, etc. rinunciarono alla loro "famiglia genetica" per riconoscersi nella nuova cittadinanza romana. 

Però l'esempio dei romani non è da considerarsi "universale"  e definitivo poiché essi rifiutarono  le precedenti  origini tribali ma non si fusero con "l'umanità" in senso lato. Cambiarono soltanto il senso di  identità. Quindi va de a sé che una vera "laicità" deve avvenire nel ricongiungersi totalmente nell' "Umano" lasciando da parte ogni altra identificazione con religioni, etnie, razze o dir si voglia. 

Questo fu esattamente il mio caso. Infatti i miei nonni paterni erano entrambi  di origine ebraica, quella  "originale", non quella ashkenazita, che è composta da  turcomanni convertiti nell'anno 1000  (e che a rigor di logica non è di matrice semita), essi però durante il fascismo rinunciarono alla loro identità, forse per salvare la pelle o per simili ragioni. I loro figli, compreso mio padre, sposarono donne gentili, rompendo  la continuità genetica, ed io a mia volta ho continuato in questa strada di allontanamento.  Dal che si può affermare che la mia ascendenza-discendenza ebraica è  nulla. Resta -come detto sopra- solo qualche caratteristica psicofisica: il naso grosso ed un po' appuntito, l'intelligenza speculativa ed altre cosucce che non sto a menzionare.

Beh, perché vi sto raccontando tutto questo?  Qui ritorno ad un numero specifico della  rivista Non Credo in cui erano presenti addirittura tre lettere di lettori evidentemente di famiglia ebraica, in particolare mi riferisco alla lettrice Sarah Ancona, che scriveva al direttore Paolo Bancale: "Negli ultimi due fascicoli di Non Credo ed anche in fascicoli precedenti, si parla di ebrei, ma non di ebraismo in quanto religione, il che sarebbe nella normale tematica della rivista, ma piuttosto come popolo. Per inquadrare questi interventi nella loro categoria vorrei chiederle quale è la sua opinione sulla spinosa vicenda di quel popolo?" 

Il direttore rispose esaurientemente  ma "indirettamente" ho voluto anch'io rispondere alla signora Sarah Ancona. Una risposta che vuole anche essere un invito allo scioglimento nell'Umanità a cui tutti noi indistintamente apparteniamo. Aldilà di ogni componente etnica. Riconoscendoci quindi nella comune matrice della specie umana  e cancellando ogni vestigia di "razza", che tra l'altro anche dal punto di vista scientifico antropologico  non ha alcuna consistenza. Infatti la genetica ha stabilito che esiste una sola specie umana e le cosiddette "razze" non esistono,   non essendo altro che il risultato di  un adattamento  di popolazioni umane  che si sono evolute in determinati ambienti e clima.

Paolo D'Arpini



Definizione di popolo ebraico su wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Ebrei

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