Forse non è chiaro a tutti, ma sono i sentimenti a fare la storia.
Indipendentemente dal soggetto che li porta. Un atteggiamento
disponibile tende a realizzare buone relazioni, uno chiuso e ostile,
relazioni tese e pronte al sopruso.
A partire dalla fine dell’era della Milano da bere, un sentimento
di crescente alienazione ha, come un virus, infettato la maggioranza
dei cuori. Coinvolgeva l’ampia fascia che la forbice sociale ha
gradualmente divaricato, fino al punto di separarla da quella sottile
di chi può permettersi tutto, dei politici e delle istituzioni.
Intanto burocrazia e fisco distribuivano un rancio sempre più
povero, la democrazia, inspiegabilmente, faceva acqua dappertutto, le
infrastrutture crollavano e altri capisaldi sociali, come giustizia,
scuola, salute erano sempre più una siliconata caricatura
dell’originale che erano state.
Quel sentimento cupo a vario titolo, inizialmente serpeggiava
nascosto dai primi mucchi di macerie umaniste. Non aveva ancora
coscienza di se stesso. Si lasciava solo immaginare: l’edonismo
spumeggiava e i giornali-merce (o marci?) vi surfeggiavano sopra. (Il
profitto e la competizione interessa loro come a qualunque altro
bottegaio). Del terzo mondo domestico nessuno si occupava. Don
Ciotti, i volontari, San Patrignano e gli altri servivano da bon
bon per abbellire le loro vetrine. Neppure la sinistra sapeva
più quale fosse la ragione per cui esisteva. Pur di prendersi i voti
aveva rinunciato alla sua storica base per dedicarsi ad altri
spumeggi, quelli dei diritti individuali. Salotto,
clarks e tweed avevano preso il posto che era stato delle piazze e
della solidarietà.
Io voglio
In un secondo tempo, quel sentimento, lo si è visto emergere dalle
catacombesche macerie spirituali, dentro le quali – incomprimibile
– era sopravvissuto e si era rafforzato e disintossicato da
un’ideologia nel frattempo divenuta vuota di significato. La curva
delle tessere rosse era in discesa, qualcosa stava accadendo.
Chi faticava non guardava più ai suoi compagni e alla sua classe.
Puntava dritto al massimo. L’equazione era semplice: ce l’hanno
loro perché non devo averlo io? L’individualismo esisteva, era
lì, tutti i giorni a guidare noi e gli altri.
Che altro fare, dire, pensare, volere se quello era il modello
edonista ben realizzato dalle élite filoliberiste e ben diffuso dai
pennivendoli, anche loro autoassolti causa famiglia a carico.
Perfino le femministe presero a modello il maschio in carriera e
vincente. Le capitane erano più interessate a dirigere l’azienda
che ad allevare ed educare. Quella era la loro emancipazione dalla
cultura maschilista. Che loro come tutti fossero succubi e propulsori
del modello consumistico e dell’io posso e voglio, non era
problema di cui crucciarsi.
Tute blu, baschi e schiscette
La terza fase del declino e di quel sentimento – la nostra – è
lontana mille miglia dai tempi delle tute blu, dei baschi e della
schiscette. Neppure se li ricorda. La dissoluzione ideologica della
destra e della sinistra aveva fatto convergere nelle stesse urne
vecchi nemici e nuovi ammutinati, pronti a marcare gli stessi
simboli, a cercare e sentire la speranza sui lidi opposti, che erano
stati osceni fino a ieri. Le élite non avevano argomenti di
contrasto e adottavano linguaggi ormai impotenti, slogan che come una
qualsiasi parola ripetuta a ciclo continuo lascia andare il suo senso
originario. Fascisti a più non posso e poi sovranisti e populisti,
purché con accezione negativa. Ovvero dimentichi che quella
generazione è stata da loro inseminata. La ragione e il diritto di
discernere era loro. Era stato così per tanti decenni che ne
sentivano la pregnanza genetica, come i pashtun in Afghanistan
non possono contemplare che un presidente possa non essere della loro
etnia.
Tutta a dritta
Lo scossone è in atto. L’egemonia culturale della sinistra sta
vacillando. La richiesta di ordine e destra è crescente, forse a
breve dilagante. Perfino istituzioni e partiti a lei lontani, in
questi giorni virali non solo hanno adottato espressioni e applicato
modi antilibertari, ma questi, sono stati ascoltati e rispettati.
Forse un cambio è in atto, ed è particolare se fino a circa un mese
fa, la sola risorsa che i progressisti avevano trovato per tenere il
galleggiamento, era stata la ciambella lanciata nell’aria dal
branco delle Sardine. Ciò che resta di una storia popolare ha avuto
l’accortezza di farne uso. Un branco che pur non sapendo che dire
ha avuto voce tra i muti di idee e vedute dei succedanei resti del
partito dei lavoratori.
Partita vinta?
La vita, la società, la realtà, i pensieri e i sentimenti sono
divenuti il corpo materiale di uno spirito in silente tensione.
Alcuni momenti di rottura ne hanno momentaneamente esasperato il
valore. Il crollo del Muro di Berlino, simbolo di una divisione e
anche di un equilibrio; la scomposizione dell’Unione sovietica, che
lasciava al capitalismo le sorti del mondo; l’infezione del
globalismo, che ha privato i suoi singoli corpi di autodifese
economiche e di dignità nazionale; la disumanizzazione ad opera del
capitalismo finanziario – un’entità in grado di muovere più
degli stati, gli equilibri del mondo – né più, né meno di quanto
farebbe un nemico.
Tra le pieghe di quelle storie abbiamo visto l’avvento dell’azione
islamista, che ci ha fatto paura ma che forse possiamo dire superata;
dell’azione migratoria, che forse possiamo dire contenuta e di
quella del Covid-19, di cui ancora non possiamo che sospettare tanto
di oscuro e dire poco se non sulla legittima impreparazione comune a
gestirla.
La finale
In mezzo a tutto ciò, c’è anche una prospettiva dalla quale
l’Europa, la sua forza, il suo significato strategico sembrano nel
mirino americano. C’entrano sempre.
Il Vecchio continente è un peso della bilancia planetaria. Meglio –
dicono loro – averlo in mano sul campo della battaglia per
l’egemonia del mondo. La partita è Usa versus Cina-Russia e altro
di asiatico. Pretendenti che hanno da lunga data buone ragioni per
rifarsi nei confronti dell’invasività culturale, commerciale
economica che hanno dovuto subire loro malgrado da parte dei
dispensatori di democrazia e libertà.
Da quella prospettiva si traguarda una mira che allinea l’islamismo,
i migranti e il virus come possibili – per alcuni probabili e per
altri non escludibili – azioni strategiche americane. Chi la fa
presente ha a suo favore certi documenti Nato, risultati di studi e
analisi per stimare i criteri con i quali riconoscere i Paesi
potrebbero essere interessati ad un’azione batteriologica quale per
esempio quella in atto. Gli Usa passano tutte le griglie dello studio
Nato. C’entrano sempre. L’eventuale azione virale e le altre
appena elencate, sarebbe destinata a indebolire l’Unione Europea e
l’Europa tutta. Per poi offrirle aiuti al fine di evitare che
finisca entro il dominio continentale cino-russo-asiatico.
God bless o good bye America?
Se così accadesse, per l’America sarebbe finita. Le resterebbero
due soluzioni: autarchia, con parziali infrazioni di qualche sostegno
centro-sud-americano o guerre di ogni tipo soprattutto informatiche e
da remoto. Almeno finché ne avesse i mezzi, almeno finché il deep
state volesse fiancheggiarla, almeno finché i sauditi facessero
la loro parte a loro favore, ma non è detto.
A parte questa catena prospettica per nulla da scartare – la logica
dell’interesse americano la fa economicamente, militarmente,
culturalmente, psicologicamente sussistere – la grande fascia di
persone senza più padrone ideologico, con molto malcontento da
vantare è ora più che mai e con una crescente capacità di stimare
cosa le è adatto o inopportuno. Libera di seguire il proprio fiuto
dietro ai like più promettenti, da quando è chiusa in casa
per decreto governativo, si è messa a cantare dai balconi e dalle
finestre.
La musica, gli abbracci
Palazzi dagli occhi spenti e vuoti si sono accesi con affacci, musica
e canti. Quartieri di dirimpettai anonimi automi, fino a ieri, privi
di una vera esistenza si guardano con piacere e interesse, con un
senso di comunità che sorprende chi lo vive come un inatteso dono
utile. Il senso di unità, di esigenza di umanesimo tangibile nel
quotidiano, che dal dopoguerra in poi è stato demolito mattonella
dopo mattonella, con la nonchalance di chi non sa cosa stia buttando
via, fa sentire la sua potenza, il suo valore, la sua necessità.
Quei canti, quella musica, quelle persone che dal marciapiede si
fermano e partecipano, che ballano e cantano e suonano erano dentro
un abbraccio che loro stessi avevano creato.
Un’esigenza spontanea
si realizzava senza che nessun esperto potesse suggerirla. E forse
più che un canto è un urlo liberatorio di uno stress antico,
accumulato con un dolore che adagio era riuscito a diventare
coinquilino, come succede nelle alienazioni, nelle psicopatologie.
Applausi durante i canti e le musiche arrivano dai timidi vicini che
ogni giorno crescono di numero e diminuiscono le inibizioni. È
l’espressione di fatto, di un frutto che rifonda ciò che non
doveva essere distrutto in nome di un benefit, di un interesse breve,
di un acquisto in più.
La musica, quella musica, mentre si fa ascoltare, ci fa vedere
il banco. Ci sono due carte, una della vita e una dei falsi miti del
cosiddetto progresso. Quale sceglierà il mazziere dopo questa
lezione? Avrà le doti per evolvere o resterà felice a sguazzare
nella tonnara delle egoiche pretese, dell’importanza personale e
dei vizi?
Di pari passo
Riduzione inquinamento sulle aree colpite dal virus in cui si è
deciso l’arresto delle attività e degli spostamenti gratuiti.
Qualcuno del Governo, dell’Europa, del Mondo vorrà considerarlo
come un dato definitivamente esplicito sui valori dei danni
antropologici nei confronti dell’ambiente, della salute, del
futuro? E nelle case, nelle famiglie, nelle singole menti?
Seguiteremo a restare in attesa e a delegare il comando di noi stessi
o sapremo trarre motivazione per modificare le abitudini del divano?
Una cultura tutta sviluppata sul ciglio del baratro dell’opulenza
preoccuperà? Ora qualcuno canterà, ballerà e suonerà anche per
allontanarsene, per tornare da dove eravamo partiti, per recuperare
se stessi e la bellezza profonda, lasciando negli scaffali dei centri
commerciali quella di plastica?
La globalizzazione e il suo delocalizzare ride di chi promuove le
bioregioni, entità per definizione a chilometro zero. Ora, la
lasceremo ancora governare i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i
nostri valori? La natura, che, come un soprammobile era stata ridotta
ad amica, a poster o a facciata, tornerà a guidare il nostro fare?
Gli scientisti e i positivisti seguiteranno imperterriti nonostante
la simbolica lezione degli eventi incoronati, a tenerla con riguardo
sul comò a fianco degli argenti; a studiarla come fosse
scomponibile?
Motto spirituale
Dunque un sentimento risorto, annuncia un’altra storia, un’altra
politica. Non più solo Pil, sempre in testa alle classifiche che
contano, non più solo economia al centro del mondo, né protezione
(e/o dipendenza) a prezzi dei peggiori usurai, non più questa
Europa, che non è in grado di governare il proprio territorio o,
anche per i suoi fondamentalisti, scrivere proprio è un po’
eccessivo?
Tutto ciò fino a ieri. Poi, la Germania rompe i ponti con l’Unione
europea, si stampa euro secondo necessità, ovvero la obbliga a
interrompere le sue norme economiche e si chiude dentro le proprie
frontiere. Vedremo domani quale musica e canti, quanti applausi.
Forse, a cose fatte non dureranno, ma
l’esperienza dell’abbraccio ci ha fatto sentire un calore che
sebbene assente da tanto non poteva essere dimenticato, né non
poteva non essere. L’espressione di umanesimo detto in
musica l’ha detto chiaro, gli applausi hanno condiviso il messaggio
e lo hanno fatto proprio.
Il ce la faremo governativo campeggia nei monitor e nelle
colonne dei giornali. È un giusto sprone dall’anima temibilmente
forse doppia. Forse non è lo stesso ce la faremo che molti
auspicano dai balconi infettati di tricolore finalmente libero
e genuino. Se a crisi risolta, nessuna legge, né forza politica darà
voce alle rinate consapevolezze ed esigenze umanistiche del lavoro e
della vita, e ci si ritufferà nel processo produttivistico della
globalizzazione, dell’economia come perno del mondo, del produci,
consuma, crepa, temo che altra musica e altri abbracci, dalle
finestre e dai balconi scenderanno in strada per andare a riempire le
piazze vere e virtuali.
Forse il virus avrà portato bene.
Lorenzo Merlo - force@victoryproject.net
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