Julius Evola nacque da una famiglia siciliana di nobili origini. Fu un filosofo scomodo per tutti. In breve tempo divenne il più importante pittore dadaista dei tempi ed alcune sue opere sono ancora esposte al Museo Nazionale di arte moderna a Roma. La solitudine siderale di Evola ha sfidato i secoli e ha dovuto aprirsi da solo la via.
Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola (1898-1974) fu un filosofo, poeta, scrittore, esoterista italiano.
Interessante la presentazione svoltasi, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, in Via delle Belle Arti, di “Teoria e Pratica dell’Arte d’Avanguardia”, volume che raccoglie tutti gli scritti poetici, le foto dei dipinti e delle incisioni grafiche di Julius Evola ai più misconosciuto, il cui “Paesaggio interiore, risulta essere l’espressione pittorica più nota, assieme al poetico “la parole obscure du paysage interieur”. La raccolta, la prima del suo genere, quanto a completezza ed interdisciplinarietà, sembra voler far propria quella che, di Evola, sembra esser, un’idea fissa: quella di un’Arte “totale”. Poesia, pittura, ma anche pensiero, qui trovano una comune ragion d’essere.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’esperienza artistica di Evola, non costituisce solamente una fase o un momento alfine superato in nome del passaggio alla ricerca teoretica, bensì un qualcosa di intimamente connesso ed interrelato ad essa.
Evola, al pari di tanti altri a lui contemporanei, è figlio di quella tanto deprecata Modernità. Quella Modernità che, tra la fine del 19° secolo e gli inizi del 20°, vede esplodere tutte le sue contraddizioni, in bilico tra Avanguardia e Tradizione. È vero, vi è molto di ermetico nelle opere di Evola; ma si tratta, pur sempre, di una ricerca-percorso all’insegna di quell’Individuo Assoluto, sulla cui fisiologia spirituale egli stesso appunta la propria riflessione, sulla falsariga di quanto venne fatto dai vari Hegel, Nietzsche e poi Gentile, in un’epoca che, della “demolizione” della vecchia ed esausta metafisica avrebbe fatto il proprio “leit motiv”.
Ed ecco allora l’idea di una “Tradizione” che, come già abbiamo avuto modo di vedere, della Modernità è diretto prodotto ed espressione, andando a costituire la fonte da cui dovrà andare ad attingere quell’Uomo Nuovo, nel suo porsi di fronte ad un mondo, ad una realtà che, ben presto, avrebbe deviato verso la strada dell’annichilamento Tecno Economico. Ed allora ecco che, ancora una volta, le opere di Evola, nel loro connettere pittura, poesia, teoresi, in un unico assemblamento di sensazioni, colori e suoni, altro non fanno se non indicarci la via per affrontare questa degenere Modernità.
Tradizione non sta per conservazione, inazione, stasi, chiusura mentale, ma si fa qui archetipico propellente per spingere l’Uomo Nuovo a far “detonare” la Modernità, quella sua s’intende, diametralmente opposta, eppure così vicina alla sua attuale ed alienante consorella Tecno Economica.
Francesco Mulè
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