Tra religione e psicologia



Una nuova ricerca rileva che le persone religiose, quando af­frontano le crisi della vita, si affidano a strategie di regolazione delle emozioni che sono utilizzate anche dagli psicologi. Cercano cioè dei modi alternativi e tendenzialmente positivi di pensare alle difficoltà, una pratica nota agli psicologi come “rivalutazione cognitiva”. Tendono anche ad avere fiducia nelle proprie capacità di far fronte alle difficoltà, un tratto definito in psicologia “autoefficacia nell’adattamento”. 

Studi precedenti hanno dimostrato che entrambi questi tratti riducono i sintomi dell’ansia e della depressione.

Le nuove scoperte sono riportate sul Journal of Religion and Health.

 

“Pare che le persone religiose facciano uso di alcuni degli strumenti che gli psicologi hanno sistematicamente identificato come efficaci nell’aumentare il benessere e nel proteggere dall’angoscia”, ha detto Florin Dolcos, professore di psicologia presso il Beckman Institute for Advanced Science and Technology presso l’Università dell’Illinois, che ha condotto lo studio insieme alla professoressa di psicologia Sanda Dolcos e alla ricercatrice Kelly Hohl. 

“Questo suggerisce che scienza e religione sono sulla stessa lunghezza d’onda quando si tratta di far fronte alle difficoltà”, ha detto.

La ricerca è stata in parte stimolata da studi precedenti che dimostrano che le persone religiose tendono a utilizzare una strategia di adattamento (o coping) che assomiglia molto alla rivalutazione cognitiva.

“Ad esempio, quando qualcuno muo­re, una persona religiosa potrebbe dire: ‘Oh, adesso è con Dio’, mentre una persona non religiosa direbbe: ‘Be’, almeno non soffre più’”, ha detto Florin Dolcos. In entrambi i casi, l’individuo trova conforto nell’inquadrare la situazione in una luce più positiva.

Per determinare se le persone religiose si affidano e traggono beneficio dalla rivalutazione in quanto strategia di regolazione delle emozioni, i ricercatori hanno reclutato 203 partecipanti senza diagnosi cliniche di depressione o ansia. 57 partecipanti hanno anche risposto a domande sul loro livello di religiosità o spiritualità.

I ricercatori hanno chiesto ai partecipanti di scegliere tra una serie di opzioni che descrivessero i loro atteggiamenti e le loro pratiche.

“Abbiamo chiesto di descrivere come reagiscono di fronte alle difficoltà. 

[…] Abbiamo chiesto se cercano di trovare conforto nelle loro convinzioni religiose o spirituali”, ha detto Hohl. “E quanto spesso rivalutano le situazioni negative per trovare un modo più positivo di inquadrarle o se invece reprimono le loro emozioni”.

I ricercatori hanno anche valutato la fiducia dei partecipanti nella loro capacità di far fronte alle difficoltà e hanno posto loro delle domande mirate a misurare i loro sintomi di depressione e ansia.

Hohl ha affermato di aver cercato correlazioni tra strategie di coping, atteggiamenti e pratiche religiose, o non religiose, e i livelli di ansia e depressione. Ha anche condotto un’analisi intermedia per determinare quali pratiche li influenzino in modo specifico.

“Se osserviamo soltanto la relazione tra coping religioso e diminuzione dell’ansia, non sappiamo esattamente quale strategia in particolare stia facilitando questo risultato positivo”, ha detto Sanda Dolcos. “L’analisi intermedia ci aiuta a determinare ad esempio se le persone religiose usano effettivamente la rivalutazione per ridurre l’ansia”.

L’analisi rivela anche se la fiducia di un individuo nella propria capacità di gestire le crisi – un altro fattore che secondo alcuni studi psicologici è associato a depressione e ansia minori – “facilita il ruolo di protezione del coping religioso contro questi sintomi di disagio emotivo”, ha detto Sanda Dolcos. “Abbiamo scoperto che se le persone usano il coping religioso, hanno anche una diminuzione dell’ansia o dei sintomi depressivi”. 

 


(Notizie tratte da neurosciencenews.com)

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