Una memoria su Marija Gimbutas… ed il ritorno all’umano condiviso!


Nel libro “La civiltà della Dea” l’autrice Marja Gimbutas utilizzava il termine “matristico” per definire le antiche società neolitiche, Riane Eisler per risolvere il problema ha coniato addirittura un nuovo termine, gilania, unendo la radice greca di femminile (gyn) e maschile (an) con una ‘l’, lettera che evoca il termine link, ‘legame’. Invece Heide Göttner Abendroth, che possiamo definire la fondatrice di questa corrente di studi, considera la parola adeguata da usare matriarcato, e lo spiega dal punto di vista etimologico non come ‘potere delle madri’, bensì come ‘antiche madri’, da cui la semplice evidenza che queste società tengono in alta considerazione la funzione materna come principio intorno a cui si organizza la società, per cui essendo il rapporto d’amore e di cura madre-figlio l’aspetto fondante della società non esistono le gerarchie tipiche del patriarcato”.

Ma a partire da cinquemila anni or sono, con il formarsi delle civiltà agricole e dell’urbanizzazione, iniziò la trasformazione in chiave patriarcale della società, anche se il patriarcato per legittimarsi adottò degli schemi matriarcali di facciata, che ovviamente dovevano far presa sulla gente cresciuta in quell’ambito. In tal senso quella dei sacrifici rituali maschili, descritti anche nella Bibbia, è stata una trasposizione letterale del rozzo spirito patriarcale dei miti di vita-morte-rinascita legati al ciclo naturale.

Ma non tutto nel patriarcato può essere considerato negativo. Infatti la società umana si è adattata alle diverse esigenze di vita e se non vi fosse stata una partecipazione attiva da parte dei maschi, nella cura della famiglia e nella conservazione e produzione dei beni (come pure nel mondo del pensiero e dell’arte) difficilmente sarebbero stati fatti passi avanti nella tecnologia e nella scienza empirica. Questo almeno è il mio pensiero e ricordo di averne discusso con fervore in passato con l’amica bioregionalista Etain Addey (che non era molto d’accordo con questa visione). D’altronde non possiamo cullarci in congetture, tipo “come sarebbe stato se…”, ma dobbiamo basarci su quel che è stato e su quel che conosciamo in seguito alle esperienze vissute, non potendo sfuggire alla realtà dei fatti, e dovremmo cercare di trarne insegnamento, anche aggiustando -ove necessario- la rotta da seguire.

Sono dell’idea che è inutile e fuorviante cercare di ricalcare un ipotetico periodo aureo del matriarcato quando sappiamo benissimo che era essenzialmente dovuto all’ignoranza ancestrale del fenomeno riproduttivo. A parte questo mi son trovato spesso in disaccordo con certe “femministe” per la loro mancanza di riconoscimento dello sviluppo della specie umana, nella sua interezza (relativamente all’intelligenza del maschile e del femminile), e ai diversi approcci psichici, comunque entrambi necessari all’evoluzione della specie.

Ed in questo senso una considerazione dell’amica Sabine Eck mi sembra necessaria…”ricordare questi eventi del passato matriarcale non significa voler tornare indietro, bensì cercare di integrare i due aspetti del maschile e femminile nella vita di ognuno, vivendoli in armonia e seguendo le reciproche tendenze senza imitazione né antagonismo”.

Insomma la nostra specie e la società umana hanno bisogno di riscoprire l’unitarietà della vita che si manifesta nei suoi diversi aspetti. Il Sole e la Luna. Femminile e Maschile, entrambi necessari come i due poli (positivo e negativo) che trasmettono la corrente della vita.

Paolo D’Arpini


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