La porta senza porta |
Della Roma che ricordo c’è un luogo che è particolarmente significativo per la ricerca alchemica ed esoterica portata avanti in questa città. Si tratta della Porta Alchemica di Piazza Vittorio.
Dovete sapere che ho abitato per diversi anni nei precinti di Piazza Vittorio. In tre luoghi diversi ed in periodi diversi ma fisicamente vicini fra loro.Piazza Vittorio era casa mia. Conoscevo tutto dei suoi giardinetti, dove al mattino si svolgeva un variopinto mercato all’aperto. Spesso, non avendo di meglio da fare, andavo a sedermi nei pressi della “porta magica”. Lì a fianco c’era una baracchetta in cui un’anziana gattara conservava le sue cianfrusaglie e che serviva da rifugio per le gatte partorienti. La presenza dei gatti era in continuità con la tradizione egizia, dalla quale la parola stessa “alchimia” deriva (El Kimya in arabo significa “l’oscuro” un chiaro riferimento all’Egitto antico).
Ricordo che diverse volte avevo provato a interpretare il significato astruso delle frasi impresse nel marmo dell’uscio: “vitriol” c’è scritto… Lo studioso Fabrizio Salvati dice trattarsi delle iniziali di una sigla alchemica “Visita Interiora Terrae Rectificandoque Invenies Occultam Lapidem” (visita l’interno della terra, rettificando troverai una pietra nascosta). Evidentemente questa porta annunciava l’ingresso in una stanza segreta ove si studiava l’alchimia e dove avevano luogo riti iniziatici.
Questa porta è tutto ciò che rimane della villa del marchese Palombara, che fu distrutta nel 1655 (55 anni dopo il rogo di Giordano Bruno) in seguito ad un misterioso incendio. Il marchese Massimiliano Palombara, cugino della regina Cristina di Svezia, fu un uomo di spicco nella Roma del 600, si narra che egli fosse un frequentatore del Cenacolo alchemico di Via della Longara, che poi diverrà l’Arcadia. Ma tutto ruota attorno ad un oscuro scienziato, Francesco Borri, il quale invitato dal marchese a compiere esperimenti nel suo laboratorio, dopo una notte di lavoro sparì, lasciando sul tavolo una quantità di oro zecchino ed una serie di simboli incomprensibili… gli stessi simboli che il marchese fece poi scolpire sulla porta magica.
Di storie con porte di mezzo ve ne sono a bizzeffe, la porta del paradiso, la porta sulle altre dimensioni, la Sacra Porta, etc. In effetti anch’io ho avuto “esperienza” con due porte. La prima risale a moltissimi anni fa, quando ero un bambino di appena tre anni. Ricordo che eravamo andati in vacanza a Ladispoli con mia madre, mia sorella e mia nonna. Eravamo alloggiati in una casa con un bel giardino ed una pergola di uva pendente. Essendo da poco giunti i miei stavano festeggiando con gli ospiti, mangiando e bevendo vino, nessuno si accorse che io guadagnai l’uscita per andarmene ad esplorare il paese, da solo. Pur essendo così piccolo ebbi l’accortezza di guardare ben bene la porta all’esterno, prima di avventurarmi fuori notai che c’erano due leoni in metallo con un batacchio su entrambe le ante.
Così, sicuro di me, varcai l’uscio ed andai ad affrontare il mondo…. Dopo aver esplorato qui e lì decisi di ritornarmene a casa… ma la strada del ritorno non fu per nulla facile… Non riuscivo a ritrovare la porta con i leoni, e diverse volte feci avanti ed indietro cominciando a sentire apprensione e paura… Ma non mi persi d’animo, fermai un signore che passava e che aveva un’aria benevola, gli esposi il mio dramma, la mia incapacità di tornare a casa, di cui chiaramente non conoscevo l’indirizzo, e gli spiegai che sulla porta d’ingresso c’erano due leoni con gli anelli in bocca. Fortuna volle che alla fine, con l’aiuto del passante sconosciuto, ritrovai il luogo ove erano i miei… Quel buon signore bussò alla porta e mi riconsegnò a mia madre, la quale nel frattempo tutta presa dai festeggiamenti non si era nemmeno accorta della mia scomparsa…
L’altra esperienza con una porta magica la ebbi nel 1973, allorché visitando per la prima volta l’ashram del mio Guru, Swami Muktananda, scoprii che l’ingresso della sua abitazione aveva una porta in legno con due leoni di metallo con un anello in bocca, della stessa grandezza e forma di quelli di tanti anni prima… Inutile dire che lo interpretai come un segnale….
L’ultima esperienza con una porta è quella dell’ingresso della casa di Treia, non la principale ma la mediana che da su un vicoletto semi-cieco. Durante le nevicate ininterrotte dei primi di febbraio in una notte ventosissima sentivo sbatacchiare qualche serranda all’esterno. Cercai di non pensarci.. però dopo un paio d’ore di non volerci pensare non potei fare a meno di continuare a pensarci; era notte fonda, ed alla fine decisi di andare a controllare, indossai un pellicciotto sul pigiama, mi armai di torcia elettrica a dinamo per farmi luce e aprii la porta… Sorpresa… mi trovai davanti un muro di neve di oltre un metro e mezzo… Strano effetto vedermi bloccato lì. Poi prevalse la saggezza notturna sulla foga attiva, richiusi amorevolmente la porta e mi rificcai sotto le coperte… in fondo che potevo farci? Avevo toccato con mano il significato della “porta senza porta”….
Paolo D’Arpini
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