Ciò
che chiamiamo realtà, per la quale saremmo disposti a scommettere la
casa, a mettere la mano sul fuoco corrisponde a una cosmogonia che a
nostra stessa insaputa abbiamo creato, ereditato, imitato, fatta
nostra. La realtà è qualcosa di a noi endogeno, banale prodotto
oggettivo della storia. Noi ne siamo frequentatori come pesci
nell’acquario. L’idea di esserne i creatori non ci riguarda.
La
suggestione di un cambio repentino della cosmogonia, di ciò con cui
la riempiamo, normalmente animata dai soliti affanni umani e dai suoi
valori, fa tremare la terra sulla quale pensavamo d’averla posata
una volta per tutte.
Alieni
in atterraggio, meteore in avvicinamento, extraterrestri confermati,
guerra tra i quartieri di casa, catastrofi naturali e pandemie, non
lasciano altro spazio che non sia orientato a dove scappare, a cosa
fare.
Si
avvia una dinamica emozionale ben chiara e indubitabile. Percorre la
nostra carne, non può mancare di verità. Ci costringe ad esserla,
ad essere altro in tempi brevi.
Tuttavia,
per quanto una repentinità ci induca a crederla un fatto
particolare, un processo estraneo dall’ordinario, quella
suggestione carica di urgenza, che impone un cambiamento di tutto,
fino ai valori, non ha alcuna differenza con quelle che ci hanno
rapito da dentro la continuità della normalità, senza essere un
evento come lo è il timore di pandemia del Coronavirus Covid-19.
La
normalità, vale a dire quell’appiattimento di noi stessi e di
tutto, privato di creatività dalla livella del cosiddetto e
celebrato buon senso, il gran pusher dello status quo. Popolata da
valori mai discussi ma sempre misconosciuti nella loro genesi e
funzione. Nutrita da ideologie politiche ed economiche. Confermata
dalla scienza.
Tutte
infrastrutture culturali, tutte autoreferenziali, tutti rituali di
superficie, tutte dipendenze, tutte semplici consuetudini scambiate
per verità, per le quali siamo pronti a lottare, e sopraffare. A
uccidere o a essere uccisi. Ma
in sostanza solo grette religioni. Funzionali a controllare masse e
individui e ad arricchire i pochi in cabina di regia del sistema.
La
giostra ruota e spesso pensiamo anche di divertirci, di esserci
saliti in libertà. È invece un paradigma che macina lo spirito e
ruotando sempre intorno allo stesso perno ci offre l’idea che così
sia il mondo. Una
burrasca di suggestioni che per logiche di dominio conviene
alimentare. Logiche di antica genesi. Prima cristiana e poi
illuminista. Entrambe attribuiscono all’uomo un dominio sul resto
della natura e quindi sul prossimo.
Il
gioco è un giogo sempre identico che avanza ad infinitum tranne che
per la quantità di popolazione che controlla, denaro che incassa e
equilibri che sposta. Tre temi, come una trinità
materialista-positivista-scientista, tutti crescenti.
Prodotti
che il marketing della globalizzazione è riuscita a mandare a ruba
sui banchi all’ingrosso riservati agli economisti e ai politici.
Questi poi, come maestri bottegai – che pur di vendere tacerebbero
le controindicazioni di un vaccino – riempiono
di fandonie i nostri pensieri e svuotano le tasche del nostro
denaro.
Per
merito della suggestione indotta dal rischio di pandemia del
Coronavirus possiamo dunque avvertire il cambio di stato: la libera –
per modo di dire – attenzione che poteva dedicarsi a giocherellare
entro il giardinetto della propria normalità è ora rapita e
catturata in un solo punto, il timore di perdere tutto, della morte.
Per
tutte le altre suggestioni, quelle che entrano in noi come silenziosi
virus e a lungo rilascio, per le quali non sobbalziamo d’orrore, si
tratta solo – non sono che ipotesi da complottista – di follie da
bombarolo.
Il
nostro buon senso ne è così certo fino a non riconoscere
l’evidenza. La sua preferenza è sempre per dare contro
all’estremista, è
il solo modo per mantenere il proprio equilibrio, le proprie
verità.
A
suo favore va ricordato infatti che ogni unità di misura
incommensurabile con le caselline con le quali cataloghiamo i fatti
della vita, non può essere razionalmente accettata. Essa richiede di
dedicarsi a percorrere l’impegnativa via della ricerca.
Come
infatti – uno per tutti – ipotizzare ci sia un mercato della
salute alimentato dalle multinazionali farmaceutiche? Come prendere
in esame che ci sia la volontà di produrre malattie e malati a scopo
di lucro? Come sospettare che il nostro perbenismo
moralistico-cattolico non sia brace mai lasciata freddare dai signori
del mantice?
O
come non vedere che la realtà sia più simile a un pensiero e al suo
sentimento invece che a un insieme di oggetti separati?
Teniamoci
la globalizzazione allora e seguitiamo a considerarla un buon
consiglio degli esperti. Allo stesso modo vacciniamo a tutto spiano,
alimentiamoci per il superiore diritto al piacere, non dedichiamoci
al sistema immunitario, continuiamo a credere che una malattia ti
prende per caso, tralasciamo del tutto l’idea che siamo solo
espressioni di uno spirito, non occupiamoci di questo affinché il
corpo viva sempre più distante dal benessere, quello che ha come
sinonimo la serenità e l’amore, non l’altro che si compra al
centro commerciale, che ci riempie le case di oggetti superflui.
L’evidenza
di certe suggestioni entro le quali siamo nati è chiamato da alcuni
risveglio. Persone che hanno riconosciuto le strutture culturali
entro le quali esauriamo il mondo, la vita, noi stessi. Con le quali
ci eravamo identificati. Emancipazione dopo emancipazione, ne hanno
preso le distanze.
Contemporaneamente – era implicito – si
avvicinavano a loro stesse, al loro sé, alla loro natura. La critica
al sistema diveniva necessariamente radicale e le scelte non più
ideologiche, la scienza una fanfara da lasciare alle feste paesane,
la religione una verità, macchiata e stracciata, trasformata in
dogmi per timorati di Dio, le masse da
muovere come pesi e contrappesi di interessi prima insospettabili. La
democrazia una facciata di vecchia cartapesta.
Come
Truman si risveglia quanto il bompresso buca il cielo
dell’orizzonte artefatto, la burrasca, diviene chiaro, è in un
mare fittizio soffiato da ventole adeguate. Ma c’è una scusante.
L’uomo pare già orientato a non vedere a meno che il Velo di
Maya e la Caverna platonica non ci abbiano proprio preso.
Logiche
di controllo e dominio che però hanno un’alternativa, forse
razionalisticamente utopica, ma ancora mai intentata, sebbene già
presente nelle nicchie del mondo. È la logica dell’Uno. In essa,
la verità analitica che la scienza moderna ha elevato a definitiva,
non sussiste più nei suoi termini universali. Le forme, invece che
espressioni di differenza conclamata, sono solo maschere di pochi
archetipi. Gli altri non sono più il nemico o l’amico ma dei noi in altro tempo, forma e spazio. Nessun cambio di paradigma pare possa
prescindere dal riconoscere che la vita è una e le forme diverse
sono solo espressioni terminali di una sola natura. Nessun privilegio
antropocentrico può più reggere. Niente dell’attuale sistema avrà
ancora le doti per sopravvivere quando i limiti del maledetto buon
senso saranno chiari a tutti.
L’eterno
ritorno, l’ultimo uomo, la volontà di potenza non sono più
scellerate espressioni di un pazzo, ma visioni e perciò realtà per
chi invece di montare sull’autobus della modernità preferisce
guidare se stesso secondo quello che sente piuttosto che da quello
che gli è stato detto.
Lorenzo Merlo
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