Il codice dell’anima di James Hillman - Recensione




Lo psicologo americano, James Hillman,  con propensioni mistiche, ci conduce – con altalenanti risultati in quanto alla scorrevolezza del testo e alla digeribilità dell’argomento- in uno studio appassionato dell’impronta particolare dell’anima, alla luce soprattutto di quella che lui definisce la “teoria della ghianda”; secondo la quale ciascuno di noi possiede, in nuce, tutte le qualità e le caratteristiche per dispiegare – a livello potenziale – le capacità di realizzare quel tracciato che ci appartiene e che è solo ed unicamente nostro.

Per chiarire il tutto Hillman chiama in causa, fra l’altro, l’antico concetto socratico del “daimon”, presenza che ci accompagna fin dalla nascita se non prima e che corrisponde nient’altro che al maestro interiore di altri livelli di linguaggio.

A tratti irresistibilmente affascinante e concettualmente potente, il libro scivola a volte in ripieghi di ordine piuttosto inconsulto, presentando così una lettura che si dibatte fra alti voli dell’anima e piatte distese di quasi-banalità e di noia sconcertante, soprattutto quando l’autore si lascia prendere la mano dell’intellettualità e affoga la prosa in elaborate evoluzioni verbali che rivestono, a mio parere, un’impotenza espressiva camuffata da incomprensibile ad arida concettualità di livello astratto.

Direi però che l’idea alla base di questo trattatello è di vasta portata e ci si può facilmente riconoscere in essa, imparando ad amare un po’ di più e un po’ meglio questa sconosciuta e meravigliosa compagna, l’anima.

“Ciascuna vita è formata dalla propria immagine, unica e irripetibile, un’immagine che è l’essenza di quella vita e che la chiama ad un destino”    

Simone Sutra 

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