Un articolo di dicembre 2008, di Padre Pietro, sui muri che sorgono
qua e là nel mondo, ha stimolato un pensiero latente che voleva
sbucare fuori; l’ho concretizzato in queste righe e vorrei fare
partecipi i nostri lettori per mandare un altro messaggio: il
macrocosmo è presente anche nel microcosmo; il dialogo mondiale è
ben rappresentato nel dialogo in famiglia, ma è rappresentata anche
la sua assenza o la sua interpretazione sbagliata.
Padre
Pietro ci dice che la parola dialogo è ormai una sorta di spot
pubblicitario, adesso si dice che è trendy;
sono perfettamente d’accordo, anche perché la maggior parte delle
persone che ne abusano, difficilmente si sono interessati di leggerne
l’etimologia, per comprendere fino in fondo il reale significato e
magari metterlo in pratica veramente.
Il
dizionario ci propone la parola dialogo come composta da logos
e dia,
cioè discorso
e tra,
quindi discorso
tra persone.
Invece in altri significati viene proposto come pièce
teatrale, dunque come qualcosa che non può essere definito discorso
tra, ma discorso
a. Ecco che questo
significato è totalmente opposto a quello primario, perché
presuppone la figura di qualcuno ascolta e di altri che parlano,
senza dialogo, ovviamente.
A
mio avviso è quello che succede oggi tra la gente di tutto il mondo.
Dall’ascolto poi, elaborando le parole, si modifica il concetto,
secondo la comprensione di ognuno e ci si pone verso altri per un
nuovo dialogo distorto. Questo succede tra i mass-media
e succede, purtroppo, anche e soprattutto in famiglia.
Spesso
c’è un muro tra noi e siamo noi stessi ad erigerlo, per poi
lamentarcene, un po’ come succede nel mondo.
Qualcuno
di quelli che erano là, a Berlino, nel 1989, sicuramente è già tra
quelli che usano cazzuola e cemento oggi, in un’altra parte del
mondo. Ricordo che in quell’anno si parlava di tanti che si
appropriavano dei pezzi di muro per venderli come souvenir.
Guardavo le immagini alla TV e mi ripetevo: “speriamo che quei
pezzi non vengano utilizzati altrove…”.
Padre
Pietro ci parla di muri, della grandiosità di opere che dividono le
genti; io vi vorrei parlare di altri muri, di quei piccoli muri che
dividono i sentimenti.
I
muri che ho in mente sono quelli che ci costruiamo tra coniugi e coi
figli.
Un
simpatico film, di qualche anno fa, che ironizzava su questi fatti,
dal titolo: “Separati in casa”, rendeva benissimo l’immagine,
concretizzando con mattoni e malta quello che talvolta succede oggi
nelle nostre case. Tanti, per incomprensioni varie, vivono
praticamente come separati, un po’ per questioni economiche, un po’
per ipocrisia. Ma la cosa peggiore è l’incapacità, la non
volontà, la scarsa umiltà di decidere l’apertura di un dialogo.
Sempre pronti ad accusare l’altro, sempre attenti a scaricare ogni
responsabilità per non sentirsene gravati, i separati in casa
soffrono e fanno soffrire. Di solito questi fantomatici muri nascono
proprio dal non-ascolto, dall’incapacità nell’esposizione dei
pensieri, dall’egoismo di qualcuno che pretende di “dirigere”
la famiglia o di avere attenzione e amore senza darne agli altri. I
figli vivono talvolta in stato di sudditanza, oppure diventano
piccoli tiranni, lacerando quel fragile tessuto delle nostre nuove
famiglie.
Pochi
si mettono in discussione e pochissimi sono capaci di accettare i
torti, di convincersi che ci sono anche rinunce o che, per amore, si
può lasciare più spazio agli altri; questi sono i nuovi muri,
quelli che mi spaventano di più. I muri nelle famiglie creano
talmente tante tensioni da scatenare anche violenze incredibili e, un
tempo, impensabili. I recenti fatti ne sono la più cruenta
dimostrazione. Le guerre non sono più solo tra i popoli e le
nazioni, ma tra genitori, figli, parenti, amici, vicini di casa,
conoscenti.
Sono
questi i primi muri da abbattere. E’ questo il vero dialogo di cui
abbiamo bisogno.
Dovremmo
cominciare a modificare il nostro pensiero e immaginare le nostre
famiglie come le cellule viventi di un grande organismo; poiché le
cellule di ogni creatura vivente funzionano bene quando al loro
interno tutto è sano e limpido e c’è passaggio di informazioni.
Perché, dunque, non si può pensare che anche le nostre famiglie
siano un po’ come le cellule di un corpo ben più grande che è la
Terra tutta intera? Non dobbiamo più stupirci se tanta gente si
ammala e muore di cancro, che altri non è che la degenerazione delle
cellule del corpo per un dialogo interrotto; il cancro lo abbiamo
anche fuori di noi, intorno a noi, in questa società che va alla
deriva e ancora non ha capito che è solo “l’amore che move il
sol e l’altre stelle”.
Franca Oberti
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