Psicologia cognitiva e teorie della conoscenza...



...nella seconda metà del ‘900 si affermarono nuove interessanti correnti psicologiche, come la “Psicologia Cognitiva”, tese a superare sia lo sperimentalismo della filosofia “comportamentistica” di Watson e della psicologia sovietica di Pavlov (sostanzialmente impostate su una psicometria sperimentale stimolo-reazione e considerate troppo semplicistiche), sia le suggestioni fenomenologiche, e neo-kantiane presenti anche nel movimento della Gestalt(1).

Si impostò anche lo studio psicologico attraverso analogie con il funzionamento dei computer (che allora stavano nascendo), considerando la mente come una scatola nera in cui avvengono fenomeni di “input” (entrata) e di “output” (uscita) di informazioni, e processi “bottom-up” (dalla percezione di fenomeni particolari alla mente), ma anche “top-down” (dalla mente ai sensi, attraverso processi comportanti una previsione ed una programmazione in base a conoscenze già acquisite), nonché processi di ritorno dalla mente (“feedback”).
 
I precedenti di questa corrente si possono trovare già prima della metà del secolo nell’opera di due psicologi britannici che operarono a Cambridge: Kenneth Craik (1863-1931) e Frederic Bartlett (1886-1969). Craik vide la mente come un servomeccanismo che è mosso dagli impulsi esterni secondo uno schema “HIP” (Human Information Processing). I suoi esperimenti (basati sulla capacità del soggetto sotto osservazione di seguire uno o più punti con una freccia su uno schermo luminoso) dimostrarono che il cervello aveva bisogno di un tempo minimo per rielaborare i dati informativi in entrata e dare la risposta. Bartlett, negli anni ’30, aveva sviluppato la teoria dello “schema” che si forma nella mente sulla base di una rielaborazione dei dati e delle esperienze precedenti.
 
Seguendo queste indicazioni, negli anni ’50 anche il canadese Albert Bandura impostò i suoi studi, non sul semplice schema S-R (stimolo-reazione), ma su uno schema S-O-R, dove il termine centrale corrisponde ad una elaborazione complessa interna della mente (ma non immediata come per la Gestalt). Questa corrente fu denominata anche come Neo-comportamentista, in quanto spiega il comportamento come effetto dei processi di simbolizzazione e dei modelli creati dalla mente. Bandura sottolineò anche l’importanza del contesto sociale sviluppando concetti che poi furono ripresi e sviluppati negli anni ’80 col nome di “Social Cognition” che agirebbe soprattutto al livello dei processi di apprendimento del bambino.
 
 Fu invece influenzato dalla Fenomenologia e dalla Gestalt lo statunitense Kurt Lewin (1890-1947), ricercatore presso il MIT (Massachussets Technology Institute), che si interessò di psicologia di gruppo. Elaborò intorno al 1951 la “Teoria del Campo”, secondo cui esisterebbe un campo psicologico condiviso da vari individui di un gruppo che poi si esprimerebbe individualmente, costituendo lo “spazio di vita” di ogni individuo. Lewin esamina i rapporti dell’individuo con gli altri, partendo però dalla sua vita interiore. Anche Jerome Bruner (1915-2016) fu influenzato dal neo-kantismo della Gestalt e sostenne che esistono schemi mentali preesistenti l’esperienza che mutano a seconda dell’ambiente culturale ed anche in dipendenza di fattori irrazionali ed emotivi. Questo approccio, influenzato anche dalla psicanalisi, prese il nome di “New Look on Perception”.
 
Negli anni ’60 il Cognitivismo si affermò definitivamente nella sua forma più coerente che prese il nome di Neo-Cognitivismo, ed il cui massimo esponente fu il tedesco trapiantato negli USA  Ulrich Gustav Neisser (1928-2012), che nel 1967 pubblicò un vero manifesto della corrente dal titolo “Psicologia Cognitivista”. Egli sostiene che l’individuo si rapporta all’ambiente fisico e sociale in dipendenza del modo con cui rielabora le informazioni immagazzinate in memoria. Per il Cognitivismo i processi mentali (che hanno comunque una base neurologica) non sono passivi, ma comportano un’elaborazione atta a risolvere i problemi. Si ha un’elaborazione dell’input informativo, come nei computer, con processi successivi di attenzione, percezione, memoria, linguaggio, dialogo, attivazione di risposte. Neisser accettò inizialmente lo schema “HIP”, cioè il parallelo tra mente umana e computer, ma in una fase successiva si distaccò da questa visione avvicinandosi alla psicologia “ecologica” di James Gibson (1904-1979). Questo ricercatore statunitense si interessò essenzialmente di percezione visiva. Influenzato dalla Gestalt, riteneva che la percezione è immediata, e non mediata da elaborazioni complesse. Il riconoscimento degli oggetti è influenzato dal senso che ha l’oggetto per noi. La percezione degli oggetti in movimento fornirebbe stimoli più intensi di quelli dati da oggetti fermi, ed esisterebbero nella percezione degli “invarianti percettivi” che non mutano.
 
Alla fine degli anni ’70 Howard Gardner si fa fautore di una “Scienza Cognitiva”, basata su una ricerca interdisciplinare che includa psicologia, linguistica, intelligenza artificiale, neuroscienze, antropologia. Anch’egli si ispira ad un modello-computer che prescinde da emozioni, motivazioni, e contesto sociale e culturale. Sono stati influenzati dal Cognitivismo George Miller ed in parte anche il ben noto esperto di linguistica, ed esponente pacifista, Noam Chomsky.
 
Una corrente, influenzata dalla Fenomenologia, che accentua i caratteri creativi presenti già nel cognitivismo, che parla di una ricostruzione mentale della realtà esterna, è quella che ha preso il nome di Costruttivismo. Secondo i sostenitori di questa corrente, come lo statunitense George Kelly (1905-1967), i processi mentali sono attivi e compiono un continuo processo di filtro, acquisizione, rielaborazione delle informazioni, fino a ricostruire una realtà mentale completamente indipendente da quella esterna. Le realtà mentali individuali esprimerebbero solo diverse visioni soggettive del mondo, corrispondenti anche a diversi significati.
 
Una particolare corrente che unì psicologia e fisiologia fu quella detta “Connessionismo”, basata sul concetto che l’elaborazione dell’informazione e la formazione della memoria avvengono su processi in parallelo, e non in sequenza, che si attuano nelle reti di neuroni. Dopo gli anni ’60 si sviluppa anche una psicologia fisiologica che si serve anche di uso di strumenti come l’Elettrocardiogramma per studiare i processi di percezione ed attenzione. Si studiano anche persone ed animali con particolari lesioni cerebrali, per esaminarne i particolari danni cognitivi. Vengono usati anche farmaci ed altri stimoli particolari.
 
Anche in URSS si affermò già negli anni ’20 e ’30 una reazione alla scuola di Pavlov, con la scuola “storico-culturale” che ebbe il suo massimo esponente in Lev Vygotskij (1896-1934). L’opera di questo ricercatore è stata riscoperta e molto apprezzata in Occidente solo negli anni ’60 (dopo essere stata tradotta in inglese solo nel 1962). Per lo psicologo sovietico, noto soprattutto per la sua opera “Pensiero e Linguaggio”, il linguaggio non è collegato ai riflessi condizionati – come in Pavlov – ma dipende dal pensiero, cioè da interazioni tra strutture cerebrali che si evolvono attraverso gli influssi ambientali, anche di origine culturale-sociale. Le attività del pensiero sono tese a risolvere problemi di adattamento all’ambiente. In questa ottica Vygotskij studia i rapporti tra sviluppi psicologici degli animali e dell’uomo e tra bambino ed adulto. Il linguaggio comunica emozioni attraverso il linguaggio esterno, ma presiede successivamente anche alle regole di comportamento funzionando come un “linguaggio interno”. Invece, per il noto psicologo francese Piaget (1896-1980) – come illustrato nelle sue opere “Il Linguaggio” ed “Il pensiero del Fanciullo” del 1923 - il linguaggio “interno” precede quello esterno. A suo parere, lo sviluppo psichico del fanciullo procede per successivi punti di equilibrio, attraverso l’incorporazione di dati, la loro rielaborazione e la creazione di schemi più adatti all’ambiente.
 
Anche nel campo della Psicanalisi vi furono sviluppi. Lo svizzero Jung si distaccò da Freud fondando nel 1913 a Zurigo la scuola di psicologia analitica e sviluppando il concetto di inconscio collettivo. Jung analizzò i processi simbolici che nascevano dal rapporto tra istanze sociali ed individuali, dando luogo alla creazione di archetipi anche di carattere mitico e religioso. In direzione completamente diversa si mosse invece l’austriaco Adler, che sottolineò il carattere sociale della psicanalisi, a partire dai condizionamenti della famiglia e della società, e mettendo in luce il disagio psicologico dovuto al senso di inferiorità e di inadeguatezza rispetto all’ambiente (da curarsi con l’analisi).
 
In definitiva, nella seconda metà del secolo XX si sono sviluppate una serie di analisi sul processo di conoscenza e la psicologia che - se opportunamente depurate da suggestioni fenomenologiche, neo-kantiane e metafisiche - hanno dato significativi contributi alla conoscenza dei processi di apprendimento comune e scientifico.

Vincenzo Brandi



 









(1) L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, VI, Garzanti 1970-1972
 
 

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