Max Planck e l'inizio della “Fisica Quantistica”

 


Il grande fisico tedesco Karl Ernest Ludwig Max Planck, nato a Kiel nel 1858, e poi divenuto semplicemente Max Planck, è stato uno dei fisici che ha maggiormente contribuito agli sviluppi “rivoluzionari” della fisica contemporanea. La sua principale scoperta, quella relativa al “quanto” di energia, peraltro perfezionata e chiarita nei suoi aspetti più significativi da Einstein, ha avuto conseguenze sia fisiche che filosofiche di grande importanza, che hanno dato inizio alla cosiddetta “Fisica Quantistica”(1)(2)(3)(4).

Dopo essere subentrato a Kirchhoff  nella cattedra di Fisica Teorica a Berlino nel 1889, Planck si dedicò allo studio del secondo principio della Termodinamica, già studiato da Clausius (N. 78), di cui dette una sua definizione relativa al fatto che era impossibile costruire una macchina che trasformi integralmente calore in lavoro meccanico. Volendo dare un respiro teorico più generale a questo principio, Planck cominciò a studiare il cosiddetto “corpo nero”, cioè un corpo capace di assorbire interamente le radiazioni ricevute, di qualsiasi “frequenza”, e riemetterle integralmente secondo la legge stabilita da Kirchhoff (N. 84), cui si deve la stessa definizione di “corpo nero”.

Lo studio di questo corpo (ottenuto in realtà con un recipiente chiuso con pareti interne annerite e dotato solo di una piccola fessura da cui potevano uscire le radiazioni emesse all’interno) aveva un’importanza teorica, ma anche pratica. Infatti serviva anche ad effettuare misure atte a determinare gli standard di luminosità in un’epoca in cui la grande azienda fondata da Werner Siemens produceva grandi quantità di lampade elettriche in Germania. Per questo era stato fondato l’Istituto Imperiale di Fisica e Tecnica dove operavano, tra gli altri, i fisici Rubens e Kurlbaum.

Dal punto di vista teorico, oltre alla legge di Stefan-Boltzmann (da noi già citata nel numero dedicato a Boltzmann: N. 94), che affermava che l’intensità della radiazione totale emessa dal “corpo nero” è proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta, il fisico tedesco Wilhelm Wien (1864-1928), aveva sviluppato  altre due leggi: la prima affermava che la lunghezza d’onda a cui si aveva la massima intensità di emissione era inversamente proporzionale alla temperatura assoluta; la seconda legge, di tipo “esponenziale”, (che è quella che interessa in questo caso) forniva l’intensità della radiazione in funzione della frequenza della radiazione (o, se si preferisce, in funzione della “lunghezza d’onda” che è inversamente proporzionale alla frequenza).

Planck, da parte sua, stava elaborando una sua legge basata su un modello che comprendeva degli “oscillatori” diffusi sulla superficie del corpo nero capaci di assorbire e riemettere radiazioni.

Tuttavia si trovava in grande difficoltà perché le teorie elettromagnetiche indicavano che l’intensità della radiazione sarebbe dovuta aumentare indefinitamente all’aumentare della frequenza, mentre i dati sperimentali mostravano un picco. Nel 1900, Planck apprese dall’amico Rubens che i risultati sperimentali in suo possesso per grandi lunghezze d’onda (cioè nel campo delle radiazioni infrarosse) non si accordavano alla Legge “esponenziale” di Wien, mentre i risultati (per grandi lunghezze d’onda) coincidevano con quelli di una formula che il fisico inglese Rayleigh (N. 88) stava mettendo a punto in quel periodo. La formula ideata da Rayleigh divenne poi la Legge di Rayleigh e Jeans in quanto ottenuta in collaborazione con l’altro fisico britannico James Jeans (1877-1946).

Tuttavia quest’ultima legge – a sua volta - non andava bene per lunghezze d’onda molto piccole, cioè per le alte frequenze. Planck allora modificò la propria formula fino ad adattarla sia alla basse che alle alte frequenze. Per ottenere questo risultato – divenuto in seguito “storico” - Planck utilizzò i metodi probabilistici già usati da Boltzmann per mettere a punto la sua teoria dell’Entropia (N. 94), ed ipotizzò che l’energia trasmessa con le radiazioni non fosse continua, ma divisa in quantità finite, benché piccolissime. A queste quantità minime, ma perfettamente definite, fu dato il nome di “quanto d’azione”. Planck dimostrò che questo quanto era diverso per ogni tipo di radiazione, ma che il suo valore energetico era sempre proporzionale alla frequenza caratteristica della radiazione secondo un numero costante universale (cioè valido sempre e dovunque) detto “costante di Planck”, che vale 6,62 x !0-34Joule x secondo.

Poiché nella formula di Planck erano presenti sia la costante di Planck, “h”, sia quella detta di Boltzmann “k”, che compare anche nella legge probabilistica dell’Entropia e nella legge dei gas perfetti (N. 94), dalla misura delle radiazioni del corpo nero fu possibile calcolare sia la costante di Planck che quella di Boltzmann, ed anche il numero di Avogadro (che è il numero di molecole che compare in una “mole” di gas, ovvero in circa 22,4 litri in condizioni normali) che compare nella formula dei gas perfetti. Utilizzando considerazioni elettrochimiche fu possibile anche dare una valutazione precisa della carica dell’elettrone. Planck ottenne per le sue ricerche – la cui importanza non fu compresa subito - il Premio Nobel solo nel 1918.


La divisione dell’energia in quanti elementari, considerata inizialmente quasi come un artificio di calcolo, ebbe 5 anni dopo una geniale spiegazione fisica ad opera di un giovane sconosciuto fisico tedesco, che lavorava all’ufficio brevetti di Zurigo, Albert Einstein. Egli presentò nel 1905 alcune memorie di cui una riguardava l’effetto fotoelettrico scoperto da Rudolf Hertz (vedi N. 81), e cioè la capacità delle radiazioni elettromagnetiche di adeguata frequenza di estrarre elettroni dalla struttura atomica della materia. Queste risultanze erano state confermate dalle esperienze del 1902 dell’altro fisico tedesco Philipp Lenard (1862-1947), poi Premio Nobel nel 1905 per queste stesse ricerche. La memoria di Einstein (che gli fruttò il Premio Nobel solo nel 1921) aveva il titolo: ”Su un punto di vista euristico circa l’emissione e la trasformazione di luce” (altre memorie di Einstein riguardavano invece la teoria della relatività speciale, i moti browniani, e l’equivalenza massa-energia, come vedremo nel prossimo numero).

Einstein fece notare che l’estrazione degli elettroni non dipendeva dall’intensità totale della radiazione, ma solo dalla frequenza. Per frequenze elevate, cui corrispondono secondo la formula di Planck valori del quanto di energia più elevati, l’estrazione dell’elettrone è possibile. I quanti, quindi, sono dei veri pacchetti concentrati di energia che agiscono come proiettili sugli elettroni strappandoli agli atomi. Più tardi, nel 1926, questi pacchetti di energia privi di massa furono chiamati “Fotoni” dal greco antico “Fos”, cioè “luce”.

Questa spiegazione fu all’inizio criticata dallo stesso Planck che riteneva che Einstein fosse andato troppo oltre, ma poi la spiegazione e le previsioni teoriche di Einstein furono confermate da una serie di esperienze, come quelle fatte dall’americano Robert Millikan (1868-1953) tra il 1914 ed il 1916. Successivamente nel 1922 un altro statunitense, Arthur Compton (1892-1962), poi anche lui Premio Nobel nel 1927, dimostrò che bombardando elettroni con raggi X, si aveva un effetto di perdita di energia radiante (Effetto Compton) perfettamente spiegabile come dovuta ad un rimbalzo dei fotoni costituenti i raggi X sugli elettroni.                

Le scoperte di Planck e di Einstein sono alla base dei modelli atomici successivi, come quello celeberrimo di Bohr, in cui l’emissione o l’assorbimento di energia da parte di un atomo avviene secondo valori energetici ben definiti a causa del salto di un elettrone da un’orbita ad un’altra e ha aperto la strada alla fisica quantistica in cui gli scambi energetici avvengono in maniera non continua ma per salti(3)(4). La teoria quantistica conferma inoltre un principio filosofico materialista già evidenziato nell’antichità da Democrito e Leucippo: e cioè che in fisica, a differenza di quanto avviene in matematica e geometria, la natura è divisa in particelle e procede per salti. Gli antichi atomisti avevano già affermato che la materia è caratterizzata da nuclei indivisibili, o “atomi”. Dopo Planck ed Einstein si può dire che anche l’energia risulta atomizzata. L’atomo di luce, il fotone, cioè la quantità minima che una radiazione può dare, ha un’esistenza reale intuita già da Newton con la sua teoria “corpuscolare” della luce, e già intuita 2000 anni prima dallo stesso Democrito che parlava di atomi “più leggeri” che colpivano gli occhi.

Al principio del ‘900 si è scoperto che anche la corrente elettrica è atomizzata, essendo costituita da “elettroni”, particelle cariche elettricamente 1800 volte più leggere dell’atomo più leggero (quello di idrogeno). Lo stesso Planck fu sostenitore della teoria atomica, già accettata da Galilei, Newton, Bruno e Gassendi nel ‘600, e ripresa con forza da Dalton, Avogadro, Cannizzaro, Mendeleev e molti fisici e chimici nell’800.

Planck polemizzò vivacemente con Mach, negatore della presenza degli atomi, e sostenitore di una fisica fenomenica che non investigasse sulle strutture reali sottostanti alle apparenze fenomeniche. Per questa sua attitudine “realista”, che lo vide schierarsi dalla stessa parte di Lenin, sostenitore di una Scienza realista e determinista (cioè basata sul principio che esiste una realtà esterna a noi in cui si verificano fenomeni indipendenti da noi che funzionano da cause di altri fenomeni) , Planck, che era politicamente un liberale conservatore (ma che ebbe sempre un atteggiamento critico verso il Nazismo), fu “riabilitato” anche nella Germania Democratica (DDR) che volle partecipare insieme alla Germania Occidentale alle celebrazione del suo anniversario nel 1958.

A questa cerimonia che si tenne in due giorni sia a Berlino Est che Ovest, partecipò per la DDR Gustav Hertz, premio Nobel nel 1925 e nipote di Rudolf Hertz (scopritore delle onde elettromagnetiche), e per la Germania Ovest Heisenberg, Hahn e molti altri celebri fisici e chimici. Planck è morto a Gottinga nel 1947 dopo aver dovuto subire la fucilazione del figlio Erwin coinvolto nel 1944 nell’attentato contro Hitler. In suo onore il massimo istituto di ricerca tedesco è intitolato “Max Planck”.

(questo articolo è tratto dal libro “Conoscenza, Scienza e Filosofia” di V. Brandi)




(1) RBA, “Le Grandi Idee della Sc. – Planck”

(2) L. Geymonat, “Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico”, Garzanti 1970 e seg.

(3) RBA, “Le Grandi Idee della Sc. – Einstein”

(4) RBA, “Le Grandi Idee della Sc. – Heisenberg”

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