Le religioni transitorie e la Religione Universale


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Le religioni "patriarcali", risalenti al periodo Villanoviano,  hanno tutte uno sfondo allegorico e debbono essere interpretate diversamente dal  loro significato apparente. Ognuna di queste fedi propugna una divinità superiore ed onnicomprensiva in antitesi però con tutte le altre. I fondatori dei vari credo sono tutti maschi, Rishi vedici, Buddha,  Abramo, Gesù, Maometto, etc. che  forniscono nomi diversi ai propri dei anch'essi  maschi. Osserviamo però  che in un periodo di transizione dal matrismo al  patriarcato tali dei sono accompagnati da figure femminili che  lentamente o scompaiono dal "pantheon" o assumono posizioni inferiori.  


Inoltre da  due o tremila anni a questa parte assistiamo ad una lotta cruenta per l'egemonia tra i fautori delle varie religioni monolatriche.  Sembra che tali "religioni" invece di unire l'umanità godano a volerla dividere. Ma questo atteggiamento di conquista violenta è strettamente collegato al carattere combattivo  di maschi contro altri maschi. Tanti spermatozoi in antagonismo fra loro che cercano la via d'accesso nell'ovulo da fecondare. La simbologia è idonea se osserviamo il periodo antecedente a questa situazione.  


La scienza ha iniziato lo studio del DNA  maschile per capirne le mutazioni e gli sviluppi ma la biologia  moderna fornisce una lettura completamente diversa. La radice del DNA è tutta nella linea materna delle grandi madri che non si interrompe mai.  "Vibriamo al ritmo del sangue delle nostre madri ancestrali  e questo battito è il filo rosso di sangue che risale attraverso tutte le donne fino alla prima madre. (Layne Redmond _*When The Drummers Were Women*). Gli scienziati hanno appurato (ed è cosa certa) che nel nostro DNA sono sempre presenti i mitocondri delle nostre ave preistoriche, alle quali possiamo risalire senza errori.     Che la Natura, in tutte le sue manifestazioni, indichi solo la madre come “certa” è cosa evidente in tutti gli animali mammiferi e noi apparteniamo a questa categoria.  Per capire il nostro vero retaggio, allora, dovremmo cominciare a studiare la storia delle Donne e delle Dee. 

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Vi fu un lungo periodo nella storia dell'umanità, dal paleolitico sino alla fine del neolitico,  in cui esisteva una sola divinità per tutti i popoli della Terra. Questa divinità potrebbe essere paragonata alla Terra stessa, nella forma di Grande Madre. Durante quel periodo  l'unico culto per tutte le comunità umane era la  figura femminile.  Qui non si pensi che parlando di "età della pietra" si intenda il dispiegarsi di una cultura inferiore, quella fu l'era dello sviluppo di ogni attività umana, dal controllo del fuoco, alla lavorazione di materiali naturali come il  legno e la creta, all'invenzione dell'agricoltura e dell'allevamento, dalla costruzione delle prime città e dalla nascita dell'arte, della medicina, della parola, etc.

Per comprendere come avvenne che la religione universale della Grande Madre subì una trasformazione dobbiamo analizzare sia le civiltà in cui tale culto sembra a tutt'oggi vivo sia gli aspetti storici che ne descrivono la decadenza. A tutt’oggi nelle campagne dell’India ogni villaggio venera una murti particolare della Madre, sullo sfondo dei grandi Misteri non dualistici di matrice shivaita o vedantica. Scrive Ananda K. Coomaraswamy nel suo celebre studio “Induismo e Buddhismo”: “Se consideriamo le due parti dell’Unità originariamente indivisa, vediamo che queste possono essere intese in diversi modi: per esempio, sotto l’aspetto psicologico, possono essere considerate come il Sé e il Non-Sé, il Maschio e la Femmina..."

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Tale manifestazione scalare dei princìpi  -come suggerito dal ricercatore Subramanyam-  la si ravvisa pure nella rivelazione biblica  da Adamo, l’uomo primordiale, di natura androgina, il Dio giudeo  estrae la donna, il principio femminile. Agli inizi del processo generativo abbiamo dunque una sorta di incesto: la figlia, emanata dal padre, si unisce al medesimo. In modo pressoché identico si svolge il mito vedico della creazione: Prajapati, l’uomo universale, prima ipostasi divina, genera Ushas, l’Aurora, alla quale in seguito si unisce per dare il via alla molteplicità degli esseri.  Da questo discorso  se ne potrebbe dedurre che non c'è una vera e propria frattura "psicologica" tra l'aspetto del divino e l'espressione religiosa,   la questione maschile-femminile  è a mio avviso ben più complessa e sfumata e richiede di essere affrontata non solo razionalmente o dottrinalmente in modo approfondito, ma anche e soprattutto sub specie interioritatis. 

La studiosa Evy J. Haland si spazientisce quando le viene riproposta l’opposizione patriarcato-matriarcato, poiché ella dichiara di non credere che la religione mediterranea sia matriarcale o patriarcale o che prima ci fu il matriarcato e in seguito il patriarcato. Ciò è sicuramente vero in quel periodo di transizione definito lo "iato del neolitico" (5.800 - 3.600 a.C.) in cui il pantheon si munisce di  divinità  nei due aspetti sia  al maschile che al femminile, e  ciò avviene non solo nell'area mediterranea ma anche in tutta l'Asia e  nelle civiltà mesoamericane. Questo processo duplicatore però pian piano si deteriora sino al punto di escludere ogni aspetto femminile. 

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Lo vediamo succedere in primis nell'ebraismo con la  "damnatio memoriae"  di Astarte, Lilith ed infine  di Eva, conseguentemente passata alle filiazioni di cristianesimo e islamismo,  che definitivamente soppiantarono gli aspetti "pagani" dei culti di Greci e Romani.  Nell'impero romano  la venerazione di Tellus, la Madre Terra, e  di Vesta  fu ufficialmente proibita nel 391 d.C. per ordine dell'imperatore  cristiano Teodosio. Questo evento   precorre le tappe dell’umana involuzione religiosa sino all’agonia cronica dello stato presente.

Ma torniamo ora allo studio del culto matristico nell'Europa antica, manifestatosi  ben prima di questi  atti nefasti.  La storia dell'uomo comincia dalle donne... e non soltanto perché tutti deriviamo da Eva (o da Lucy, se preferite la linea evoluzionista). Ormai non è più un mistero che la civiltà neolitica fu la culla dalla quale sorse la  vera e propria civiltà umana e questo avvenne soprattutto per merito delle donne.

La conferma di ciò viene da una donna, Marija Gimbutas, celebre archeologa, antropologa e studiosa del simbolismo preistorico, la quale ha illustrato le caratteristiche della  cultura primigenia, basandosi su una serie di ricerche su  reperti da lei reperiti e datati. Le risultanze dei suoi studi sono contenute nei due volumi "La civiltà della Dea" (ed. Nuovi Equilibri), curati e  tradotti in Italiano dalla ricercatrice Mariagrazia  Pelaia.


La civiltà della dea. Vol. 2: Il mondo dell'antica Europa. - Marija Gimbutas - copertina

"La civiltà della Dea" è l’opera più importante di Marija Gimbutas. La studiosa ricostruisce il mondo dell’antica Europa neolitica in base a uno straordinario repertorio di dati archeologici scaturiti da numerose campagne di scavo nel bacino balcanico e mediterraneo meridionale.
Il libro propone una tesi rivoluzionaria che cambia la tradizionale visione della storia del continente europeo. Viene rintracciata la realtà di un’antica Europa pacifica, egualitaria e portatrice di una spiritualità fortemente legata alla terra. Una civiltà dove la Grande Madre guida i popoli verso una convivenza pacifica, cambiando così gli attuali paradigmi culturali e scientifici che considerano la guerra e il dominio maschile una connotazione di progresso della civiltà.

Dal punto di vista della spiritualità laica non dobbiamo però pensare ad un ritorno al passato, bensì al superamento degli schemi religiosi.   L'uomo  è passato dalla semplicità e naturalezza  del matrismo alla speculazione razionalistica  dei culti patriarcali  in cui  la  maggioranza degli uomini ancora si crogiola, illudendosi con favole religiose e ideologiche della “superiorità” maschile, della “superiorità” dell’intelligenza speculativa scientifica, della “superiorità” del potere e della forza. Così non si fanno passi avanti nell’evoluzione della specie. È ovvio però che entrambi questi aspetti, matrismo e patriarcato, hanno avuto una loro funzione storica per lo sviluppo delle “qualità” della specie umana. 

Ora è giunto il tempo di comprenderne la totale complementarietà e comune appartenenza, ma non per andare verso una specie unisex, bensì per riconoscere pari valore e significato a entrambi gli aspetti e funzioni…. in una fusione simbiotica. Uomo  Donna = Umanità.
 
Paolo D'Arpini

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