“Poderoso… Un tomo così di non facile lettura... ci penso sopra…” (Saul Arpino)
“SE QUESTI SONO I SANTI, CHI SONO ALLORA I DEMONI?”
Avvertenza: sono qui elencati solamente fatti avvenuti per ordine o con partecipazione diretta delle autorità ecclesiastiche, oppure azioni commesse in nome e per conto della cristianità. Come è ovvio, la lista non ha pretese di completezza.
Paganesimo antico
Già durante l’Impero Romano, appena ammesso ufficialmente il culto cristiano con decreto imperiale del 315, si cominciò a demolire i luoghi del culto pagano e a sopprimere i sacerdoti pagani.
Tra il 315 e il sesto secolo furono perseguitati ed eliminati un numero incalcolabile di fedeli pagani.
Esempi celebri di templi distrutti: il santuario di Esculapio nell’Egea, il tempio di Afrodite a Golgota, i templi di Afaca nel Libano, il santuario di Eliopoli.
Sacerdoti cristiani, come Marco di Aretusa o Cirillo di Eliopoli, vennero persino celebrati come benemeriti «distruttori di templi» (DA 468).
Dall’anno 356 venne sancita la pena di morte per chi praticava i riti pagani (DA 468).
L’imperatore cristiano Teodosio (408-450) fece giustiziare perfino dei bambini per aver giocato coi resti delle statue pagane (DA 469). Eppure, stando al giudizio di cronisti cristiani, Teodosio «ottemperava coscienziosamente a ogni cristiano insegnamento».
Nel VI secolo, si finì per dichiarare fuorilegge i fedeli pagani.
All’inizio del quarto secolo, per sobillazione di sacerdoti cristiani, fu giustiziato il filosofo politeista Sopatro (DA 466).
Nel 415, la celeberrima scienziata e filosofa Ipazia di Alessandria venne letteralmente squartata da una plebaglia guidata e aizzata da un predicatore di nome Pietro, e i suoi resti dispersi in un letamaio (DO 19-25).
Missioni di evangelizzazione
Nel 782, Carlo Magno fece tagliare la testa a 4.500 Sassoni che non volevano farsi convertire al cristianesimo (DO 30).
I contadini di Steding, nella Germania settentrionale, ribellatisi per non poter più sopportare l’esosa pressione fiscale, vengono massacrati il 27 maggio 1234 da un esercito crociato, e le loro fattorie occupate da devoti cattolici. Vi persero la vita tra 5.000 e 11.000 uomini, donne e bambini (WW 223).
Assedio di Belgrado nel 1456: nell’espugnazione della città vennero uccisi non meno di 80.000 musulmani (DO 235).
XV secolo in Polonia: ordini cavallereschi cristiani saccheggiano 1.019 chiese e circa 18.000 villaggi. Quante persone cadessero vittime di tali gesta, non s’è mai certificato (DO 30).
Secoli XVI e XVII. Truppe inglesi “pacificano e civilizzano” l’Irlanda. Colà vivevano solo dei «selvaggi gaelici», «animali irragionevoli senza alcuna idea di dio o di buone maniere, che addirittura dividevano in comunità di beni il loro bestiame, le loro donne, bambini e altri averi». Uno dei più importanti condottieri, certo Humphrey Gilbert, fratellastro di Sir Walter Raleigh, fece «staccare dai corpi le teste di tutti quelli (chiunque fossero) che erano stati uccisi quel giorno, facendoli spargere dappertutto lungo la strada». Questo tentativo di civilizzare gli Irlandesi causò poi effettivamente «grande sgomento nel popolo, quando videro sparse sul terreno le teste dei loro padri, fratelli, bambini, parenti e amici» [«greate terrour to the people when they sawe the heddes of their dedde fathers, brothers, children, kinsfolke, and freinds on the grounde»].
Decine di migliaia di Irlandesi gaelici caddero vittime di quel bagno di sangue (SH, 99, 225).
Crociate (1095-1291)
L’anno 1095, per ordine del papa Urbano II, ha inizio la Prima Crociata (WW 11-41).
Tra il 12/6/1096 e il 24/6/1096, nelle stragi avvenute in Ungheria, presso Wieselburg e Semlin, perdono la vita migliaia di persone (tutti cristiani, ivi comprese le schiere crociate) (WW 23).
Dal 9/9 al 16/9/1096, durante l’assedio della città residenziale turca Nikaia, cavalieri francesi cristiani massacrano migliaia di abitanti, facendo a pezzi e bruciando vivi vecchi e bambini (WW 25-27).
A consimili azioni belliche partecipano, il 26/9/1096, durante la conquista della fortezza di Xerigordon, cavalieri crociati tedeschi.
In complesso, fino al gennaio 1098, vengono espugnate e saccheggiate 40 capitali e 200 fortezze. Non si conosce il numero delle vittime (WW 30).
Il 3 giugno 1098 le armate crociate conquistano Antiochia. In quell’assedio vengono uccisi tra 10.000 e 60.000 musulmani. Dalla cronaca di Raimondo di Aguilers, cappellano di campo del conte di Tolosa, si legge: «Sulle piazze si accumulano i cadaveri a tal punto che, per il tremendo fetore, nessuno poteva resistere a restare: non v’era nessuna via, in città, che fosse sgombra di corpi in decomposizione» (WW 33).
Il 28 giugno 1098 furono ammazzati altri centomila turchi musulmani, donne e bambini compresi. Negli accampamenti turchi – narra il cronista cristiano – i crociati trovarono non solamente ricco bottino, tra cui «moltissimi libri in cui erano descritti con esecrandi segni i riti blasfemi di turchi e saraceni», ma bensì anche «donne, bambini, lattanti, parte dei quali trafissero subito, e parte schiacciarono sotto gli zoccoli dei loro cavalli, riempiendo i campi di cadaveri orribilmente lacerati». Proprio come il loro Dio comandava! (WW 33-35)
Il 12 dicembre 1098, nella conquista della città di Marra (Maraat an-numan), furono ammazzate altre migliaia di “infedeli”. A causa della carestia che ne seguì, «i corpi già maleodoranti dei nemici vennero mangiati dalle schiere cristiane», come testimonia il cronista cristiano Albert Aquensis (WW 36).
Finalmente, il 15 luglio 1098, venne espugnata Gerusalemme, dove vennero ammazzati più di 60.000 persone, tra ebrei e musulmani, uomini, donne e bambini (WW 37-40).
Da una testimonianza oculare: «e là [davanti al tempio di Salomone] si svolse una tale mischia cruenta che i cristiani si trascinavano nel sangue dei nemici fino alle nocche dei piedi», tanto che Albert scrive: «Le donne, che avevano cercato scampo negli edifici alti e nei palazzi turriti, furono buttate giù a fil di spada; i bambini, anche i neonati, li tiravano a pedate dal petto delle madri, o li strappavano dalle culle, per poi sbatterli contri i muri o le soglie» (WW 38).
L’arcivescovo Guglielmo di Tiro aggiunge: «Felici, piangenti per l’immensa gioia, i nostri si radunarono quindi dinanzi alla tomba del nostro salvatore Gesù, per rendergli omaggio e offrirgli il loro ringraziamento… E non fu soltanto lo spettacolo dei cadaveri smembrati, sfigurati, irriconoscibili, a lasciar sbigottito l’osservatore; in realtà, incuteva sgomento anche l’immagine stessa dei vincitori, grondanti di sangue dalla testa ai piedi, sicché l’orrore s’impadroniva di tutti quelli che li incontravano» (WW 39-40, TG 79).
Il cronista cristiano Eckehard di Aura testimonia che, ancora durante l’estate successiva dell’anno 1100, «in tutta la Palestina l’aria era appestata del lezzo dei cadaveri. Di stragi siffatte nessuno aveva mai visto o udito l’uguale tra i pagani…».
Alla resa dei conti, la Prima Crociata era costata la vita a oltre un milione di persone: «Grazie e lode a Dio!» (WW 41)
Nella battaglia di Ascalon, il 12 agosto 1099, vennero abbattuti 200.000 infedeli «in nome del nostro Signore Gesù Cristo» (WW 45).
Quarta Crociata: il 12 aprile 1204, i crociati mettono a sacco la città (cristiana!) di Costantinopoli. Il numero delle vittime non è stato tramandato. (WW 141-148)
Le restanti crociate in cifre: fino alla caduta di Akkon (1291) si stimano 20 milioni di vittime (solo nella Terrasanta e nelle regioni arabo-turche) (WW 224).
Nota bene: Tutti i dati sono secondo i cronisti di parte cristiana.
Eretici e atei
Già nell’anno 385 i primi cristiani vengono giustiziati quali eretici per mano di altri cristiani: così lo spagnolo Priscilliano, insieme con sei dei suoi seguaci, decapitati a Treviri (Germania) (DO 26).
Eresia manichea. Tra il 372 e il 444 i Manichei – una setta quasi cristiana, presso i quali si praticava il controllo delle nascite, e che perciò mostravano più senso di responsabilità dei devoti cattolici – vennero totalmente annientati nel corso di diverse grandi campagne sferrate contro di loro in tutto l’Impero romano. Molte migliaia le vittime (NC).
Nel secolo XIII, gli Albigesi cadono vittime della prima crociata proclamata contro altri cristiani. (DO 29) Questi, noti anche col nome di Catari, si consideravano buoni cristiani, ma non riconoscevano né il papa né il divieto romano-cattolico delle tecniche anticoncezionali, rifiutandosi inoltre di pagare le tasse chiesastiche (NC) Nel 1208, per ordine del papa Innocenzo III – il massimo genocida prima di Hitler – incominciò la crociata contro gli eretici albigesi. La città di Beziérs (nel sud della Francia) venne rasa al suolo il 22 luglio 1209, tutti gli abitanti massacrati, compresi i cattolici, che avevano rifiutato l’estradizione degli eretici. Il numero dei morti viene stimato tra 20.000 e 70.000 (WW 179-181).
Nella stessa crociata, dopo la presa di Carcassonne (15 agosto 1209), caddero ancora migliaia di ribelli, e la stessa sorte toccò a molte altre città (WW 181).
Nei successivi vent’anni di guerra, tutta la regione fu devastata, quasi tutti i Catari (quasi la metà della popolazione della Linguadoca, nella Francia meridionale) vennero sconfitti, lapidati, annegati, messi al rogo (WW 183).
Finita la crociata contro gli Albigesi (1229), venne istituita la Santa Inquisizione (1232) al fine di stanare dai loro nascondigli gli eretici sopravvissuti e di annientarli. L’ultimo dei Catari, Guillaume de Belibaste, fu dato alle fiamme del rogo nel 1324 (WW 183, LM).
Solo tra i Catari, la stima delle vittime si aggira intorno al milione (WW 183).
Altri gruppi di eretici: Valdesi, Pauliciani, Runcarii o Poveri Lombardi, Giuseppini, e molti altri. La maggior parte di queste sette vennero sgominate; un certo numero di Valdesi esiste tuttora, sebbene siano stati perseguitati per oltre 600 anni. Secondo le mie stime, diverse centinaia di migliaia di vittime non sono calcolate in eccesso (comprese le vittime dell’Inquisizione spagnola, ma escludendo quelle del Nuovo Mondo).
Nel XV secolo, l’inquisitore spagnolo Tomas de Torquemada condanna personalmente a morte sul rogo 10.220 sospettati di eresia (DO 28, DZ).
Il predicatore e teologo boemo Jan Hus, per aver criticato il commercio delle indulgenze, viene bruciato nel 1415 a Praga (LI 475-522).
Nel 1538, a Vienna, il professore universitario B. Hubmaier viene pubblicamente condannato al rogo (DO 59).
Il 17 febbraio 1600, dopo una settennale prigionia, il filosofo Giordano Bruno, monaco domenicano processato per eresia, viene bruciato vivo sul rogo eretto in Campo de’ Fiori a Roma.
Nel 1697 l’ateo Thomas Aikenhead – studente scozzese appena ventenne – viene impiccato per volontà del clero (HA).
Streghe
Dai primi tempi del cristianesimo fino al 1484 invalse la consuetudine di mandare a morte persone, perlopiù donne, che si credevano dotate di poteri soprannaturali, malefici e stregonici.
Nell’era vera e propria dei processi per stregoneria, dal 1484 al 1750, molte centinaia di migliaia di sospetti o colpevoli di pratiche stregoniche – secondo le stime degli storici – furono condannati a morte sul rogo o in seguito alle torture; percentualmente, i quattro quinti di essi erano donne (WV).
Un elenco (naturalmente incompleto) di queste vittime, conosciute spesso anche per nome, si trova nell’opera The Burning of Witches – A Chronicle of the Burning Times.
Guerre di religione e Riforma
Secolo XV: guerre crociate contro gli Hussiti, costate la vita a migliaia di seguaci (DO 30).
Nel 1538 papa Paolo III indice una crociata contro l’Inghilterra, sganciatasi con lo scisma dall’ubbidienza a Roma, dichiarando tutti gli Inglesi schiavi di Roma. Per fortuna, l’impresa fallisce sul nascere (DO 31).
1568: il tribunale spagnolo dell’Inquisizione decreta l’eliminazione di tre milioni di Olandesi ribelli nei Paesi Bassi, allora sotto il dominio spagnolo. Per cominciare, 5.000, o forse 6.000 protestanti vennero annegati dalle truppe spagnole della cattolicissima Spagna: «un disastro, di cui i cittadini di Emden vennero a conoscenza quando diverse migliaia di cappelli olandesi a larghe tese scesero galleggiando lungo il fiume» (DO31, SH 213).
1572: a Parigi, e in altre città francesi, 20.000 protestanti Ugonotti vengono assassinati per ordine del papa Pio V, nell’offensiva nota come Notte di San Bartolomeo. Fino alla metà del secolo successivo, oltre 200.000 profughi Ugonotti dovranno lasciare la Francia (DO 31).
1574: i cattolici sopprimono il condottiero dei protestanti Gaspard de Coligny. Dopo l’uccisione, la plebaglia ne squarta il cadavere: «gli troncarono la testa, le mani, i genitali […] gettandoli nel fiume […] ma poi non gli sembrò neppure degno che diventasse pasto per i pesci, per cui li ritirarono fuori e li portarono sul patibolo di Mantfaucon affinché là servissero da alimento per corvi e uccelli» (SH 191).
Guerra dei Trent’anni: nel 1631, la città protestante di Magdeburgo viene saccheggiata e rasa al suolo da truppe cattoliche, che massacrano 30.000 protestanti, metà della popolazione. Scrive il poeta e storico tedesco Friedrich Schiller: «In una sola chiesa si trovarono 50 donne decapitate e bambini che ancora succhiavano il latte dal petto delle loro madri senza vita» (SH 191).
1618-1648: la guerra dei Trent’anni, spaccando l’Europa tra cristiani protestanti e cattolici, decima il 40% delle popolazioni, soprattutto in Germania (DO 31.32).
Ebrei
Già nel IV e V secolo le plebi cristiane sono eccitate a incendiare le sinagoghe ebraiche.
A metà del IV secolo venne distrutta la prima sinagoga per ordine del vescovo Innocenzo di Dertona, nel nord Italia. La prima sinagoga a esser incendiata nel 388, per ordine del vescovo di Kallinikon, sorgeva in Persia, presso l’Eufrate (DA 450).
Il concilio di Toledo decreta nel 694 la riduzione degli Ebrei in schiavitù, ordina la confisca dei loro averi e il battesimo coatto dei loro bambini (DA 454).
Nell’anno 1010 il vescovo di Limoges fece espellere o sopprimere gli ebrei della città che non volevano convertirsi al cristianesimo (DA 453).
1096: all’inizio della prima Crociata furono uccisi in Europa migliaia di Ebrei, complessivamente forse 12.000. Le città più colpite furono Worms (18/5/1096), Magonza il 27/5 (dove furono trucidati 1.100 ebrei), Colonia, Neuss, Wevelinghoven, Xanten, Moers, Dortmund, Kerpen, Treviri, Metz, Ratisbona, Praga (EJ).
Parimenti, all’inizio della seconda Crociata (1147), nei centri francesi di Ham, Sully, Carentan, e Rameru, si uccisero diverse centinaia di ebrei (WW 57).
In occasione della terza Crociata (1189-90) avviene il saccheggio delle comunità ebraiche stabilitesi in Inghilterra (DO 40).
1235: uccisione pubblica di 34 cittadini ebraici (DO 41).
1257 e 1267: eliminazione della comunità ebraiche di Londra, Canterbury, Northampton, Lincoln, Cambridge e altre città, con numero imprecisato di vittime (DO 41).
1290: è rimasta memoria, nelle cronache coeve, di 10.000 ebrei espulsi o uccisi in Boemia (DO 41).
1337: aizzato da una strage compiuta a Deggendorf, in Baviera, l’isterismo antisemita si estende in pogrom effettuati in 51 città bavaresi, nonché in Austria e in Polonia (DO 41).
1348: si bruciano sul rogo gli ebrei di Basilea e di Strasburgo, complessivamente 2.000 persone (DO 41).
1349: in oltre 350 città della Germania vengono soppressi tutti gli Ebrei, perlopiù bruciati vivi. Qui, in questo solo anno, vennero trucidati dai cristiani più Ebrei di quante erano state, per duecento anni di persecuzioni anticristiane (il sangue dei martiri!), le vittime conclamate della Roma imperiale (DO 42).
1389: vengono macellati a Praga 3.000 cittadini di fede ebraica (DO 42).
1391: a Siviglia e in Andalusia, sotto la guida dell’arcivescovo Martinez, vengono soppressi circa 4.000 ebrei. Mentre altri 25.000 vengono venduti come schiavi (DA 454).
Costoro si potevano riconoscere facilmente perché tutti gli ebrei, dall’età di dieci anni,erano stati costretti a portare sull’abito un “segno d’infamia” colorato: era l’origine storica della futura “stella giudaica” dell’era nazista.
1492: nello stesso anno in cui Colombo spiegava le vele per conquistare il Nuovo Mondo, più di 150.000 Ebrei, molti dei quali perirono nell’ostracismo, venivano scacciati dalle città della Spagna.
1648: in Polonia, durante i famigerati “massacri di Chmielnitzki”, vengono sterminati circa 200.000 ebrei. (MM 470-476).
A questo punto, mi sento male, perché con questo ritmo si prosegue – secolo dopo secolo – su una linea che porta diritta ai forni crematori di Auschwitz. (DO 43).
Popolazioni indigene
Con Cristoforo Colombo, ex commerciante di schiavi, che avrebbe fatto carriera come milite crociato, ha inizio la conquista del Nuovo Mondo: allo scopo, come sempre, di espandere il cristianesimo e di evangelizzare infedeli.
Poche ore dopo lo sbarco sulla prima isola abitata in cui s’imbatte nel mare dei Caraibi, Colombo fa imprigionare e deportare sei indigeni che, come scrisse «debbono servire da bravi servitori e schiavi (…) e si possono facilmente convertire alla fede cristiana, giacché mi sembra che non abbiano religione alcuna» (SH 200).
Mentre Colombo definisce gli abitanti autoctoni quali “idolatri”, esprimendo la volontà di offrirli come schiavi ai cattolici re di Spagna, il suo socio Michele da Cuneo, aristocratico italiano, rappresenta gli aborigeni come “bestie” per il fatto che «mangiano quando hanno fame, e si accoppiano in tutta libertà, dove e quando ne hanno voglia» (SH 204-205).
Su ogni isola su cui mette piede Colombo traccia una croce sul terreno e «dà lettura della rituale dichiarazione ufficiale» (il cosiddetto Requerimiento) al fine di prender possesso del territorio da parte della Spagna, nel nome dei suoi Cattolici Signori. Contro di che «nessuno aveva da obiettare». Qualora gli Indios negassero il loro assenso (soprattutto perché non comprendevano semplicemente una parola di spagnolo), il Requerimiento recitava così:
«Con ciò garantisco e giuro che, con l’aiuto di Dio e con la nostra forza, penetreremo nella vostra terra e condurremo guerra contro di voi (…) per sottomettervi al giogo e al potere della Santa Chiesa (…) infliggendovi ogni danno possibile e di cui siamo capaci, come si conviene a vassalli ostinati e ribelli che non riconoscono il loro Signore e non vogliono ubbidire, bensì a lui contrapporsi» (SH 66)
Di analogo tenore erano le parole di John Winthrop, primo governatore della Bay Colony del Massachusset: «justifieinge the undertakeres of the intended Plantation in New England […] to carry the Gospell into those parts of the world […] and to raise a Bulworke against the kingdome of the Ante-Christ» (SH 235) [«giustificando l’impresa della costituenda fondazione della Nuova Inghilterra, di portare il vangelo in queste parti del mondo, e di edificare un bastione contro il regno dell’Anticristo»].
Intanto, prima ancora che si venisse alle armi, due terzi della popolazione indigena cadeva vittima del vaiolo importato dagli Europei. Il che era interpretato dai cristiani, manco a dirlo, come «un segno prodigioso dell’incommensurabile bontà e provvidenza di Dio»!.
Così, ad esempio, scriveva nel 1634 il governatore del Massachussets: «Quanto agli indigeni, sono morti quasi tutti contagiati dal vaiolo, e per tal modo il SIGNORE ha confermato il nostro diritto ai nostri possedimenti» (SH 109, 238).
Sulla sola isola di Hispaniola, dopo le prime visite di Colombo, gli indigeni Arawak – un popolo inerme e relativamete felice che viveva delle risorse del loro piccolo paradiso – lamentarono presto la perdita di 50.000 vite (SH 204).
In pochi decenni, gli Indios sopravvissuti caddero vittime di assalti, stragi, strupri e riduzione in schiavitù da parte degli Spagnoli.
Dalla cronaca d’un testimone oculare: «Furono uccisi tanti indigeni da non potersi contare. Dappertutto, sparsi per la regione, si vedevano innumerevoli cadaveri di indiani. Il fetore era penetrante e pestilenziale» (SH 69).
Il capo indiano Hatuey riuscì a fuggire col suo popolo, ma fu catturato e bruciato vivo. «Quando lo legarono al patibolo, un frate francescano lo pregò insistentemente di aprire il suo cuore a Gesù affinché la sua anima potesse salire in cielo anziché precipitare nella perdizione. Hatuey ribatté che se il il cielo è il luogo riservato ai cristiani, lui preferiva di gran lunga l’inferno» (SH 70).
Ciò che accadde poi al suo popolo, ci è descritto da un testimone oculare: «Agli spagnoli piacque di escogitare ogni sorta di inaudite atrocità… Costruirono pure larghe forche, in modo tale che i piedi toccavano appena il terreno (per prevenire il soffocamento), e appesero – ad onore del redentore e dei 12 apostoli – ad ognuna di esse gruppi di tredici indigeni, mettendovi sotto legna e braci e bruciandoli vivi». (SH 72, DO 211).
In analoghe occasioni si inventarono altre piacevolezze: «Gli spagnoli staccavano ad uno il braccio, ad altri una gamba o una coscia, per troncare di colpo la testa a qualcuno, non diversamente da un macellaio che squarta le pecore per il mercato. Seicento persone, ivi compresi i cacicchi, vennero così squartate come bestie feroci… Vasco de Balboa ne fece sbranare poi quaranta dai cani» (SH 83).
«La popolazione dell’isola, stimata di circa otto milioni all’arrivo di Colombo, era scemata già della metà o di due terzi, ancor prima che finisse l’anno 1496». Finalmente, dopo che gli abitanti dell’isola furono quasi sterminati, gli Spagnoli si videro “costretti” a importare i loro schiavi da altre isole dei Caraibi, ai quali toccò peraltro la medesima sorte. In tal modo «milioni di autoctoni della regione caraibica vennero effettivamente liquidati in meno d’un quarto di secolo» (SH 72-73).
«Così, in un tempo minore della durata normale d’una esistenza umana, fu annientata un’intera civiltà di milioni di persone che per migliaia di anni erano stanziate nella loro terra» (SH 75).
«Subito dopo, gli Spagnoli rivolsero la loro attenzione alla terraferma del Messico e dell’America centrale. Le stragi erano appena cominciate. Di lì a poco sarà la volta della nobile città di Tenochttitlàn (l’odierna Mexico City)» (SH 75).
Hernando Cortez, Francisco Pizarro, Hernando De Soto e centinaia di altri Conquistadores spagnoli saccheggiarono e annientarono – in nome del loro Signor Gesù Cristo – molte grandi civiltà dell’America centrale e meridionale (De Soto saccheggiò inoltre la Florida, regione “fiorente”).
«Mentre il secolo XVI volgeva al termine, quasi 200.000 spagnoli si erano stabiliti nel Nuovo Mondo. In questo periodo, in conseguenza dell’invasione, si stima che avessero già perso la vita oltre 60 milioni di indigeni» (SH 95).
Va da sé che i primi colonizzatori dei territori dei moderni Stati Uniti d’America non si comportarono meglio dei conquistadores.
Benché, senza l’aiuto degli Indiani, nessuno dei colonizzatori sarebbe stato in grado di sopravvivere ai rigori invernali, questi cominciarono presto a scacciare e a sterminare le tribù indiane.
La guerra degli indiani nordamericani tra di loro era, in proporzione, un fenomeno irrilevante – paragonato con le consuetudini europee – e serviva piuttosto a riequilibrare le offese, ma in nessun caso alla conquista del territorio. Tanto che se ne stupivano i padri pellegrini cristiani: «Le loro guerre non sono neanche lontanamente così cruente» («Their Warres are farre less bloudy»), ragion per cui non succedeva «da nessuna delle parti un grande macello» («no great slawter of nether side»). In realtà, poteva ben accadere «che guerreggiassero per sette anni senza che vi perdessero le vita sette uomini» («they might fight seven yeares and not kill seven men»). Tra gli Indiani, inoltre, era consuetudine risparmiare le donne e i bambini dell’avversario (SH 111).
Nella primavera 1612 alcuni coloni inglesi trovarono così attraente la vita dei liberi e affabili indios, al punto da abbandonare Jamestown per vivere presso costoro (con che si ovviò presumibilmente, tra l’altro, a un’emergenza sessuale). Senonché il governatore Thomas Dale li fece stanare e giustiziare: «Alcuni li fece impiccare, altri bruciare, altri torcere sulla ruota, mentre altri furono inflizati sullo spiedo e alcuni fucilati» (SH 105).
Tali eleganti provvedimenti restarono ovviamente riservati agli inglesi; questa era la procedura con quelli che si comportavano come gli indiani; ma per quelli che non avevano scelta, proprio perché costituivano la sovrappopolazione della Virginia, si faceva senz’altro tabula rasa:
«quando un indio era accusato da un inglese di aver rubato una tazza, e non la restituiva, la reazione inglese era subito violenta: si attaccavano gli Indiani dando alle fiamme l’intero villaggio» (SH 106)
Sul territorio dell’odierno Massachussetts i padri pellegrini delle colonie perpetrarono un genocidio, entrato nella storia come Guerra dei Pequots. Autori dei massacri erano quei cristiani puritani della Nuova Inghilterra, scampati essi stessi alla persecuzione religiosa in atto nella loro vecchia Inghilterra.
Allorché fu trovata la salma d’un inglese, ucciso probabilmente da guerrieri Narragansett, i puritani gridarono vendetta. Sebbene il capo dei Narragansett implorasse pietà, i cristiani passarono all’attacco. Forse dimentichi del loro obiettivo, essendo stati salutati da alcuni Pequot, a loro volta belligeranti coi Narragansett, avvenne che i puritani attaccarono i Pequots, distruggendo i loro villaggi.
Il comandante dei puritani, John Mason, scrisse dopo un massacro: «Per la verità, l’Onnipotente incusse tale terrore sulle loro anime, che fuggirono davanti a noi buttandosi tra le fiamme, dove molti perirono… Dio aleggiava sopra di loro e sbeffeggiava i suoi nemici, i nemici del suo popolo, facendone dei tizzoni ardenti… Così il SIGNORE castigò i pagani, allineandone le salme: uomini, donne e bambini» (SH 113-114).
«Così piacque al SIGNORE di dare un calcio nel sedere ai nostri nemici, dando in retaggio a noi la loro terra» («The LORD was pleased to smite our Enemies in the hinder Parts, and to give us their land for an inheritance») (SH 111).
Siccome Mason poteva ben immaginare che i suoi lettori conoscessero la loro bibbia, non aveva bisogno di citare i versetti qui citati:
«Delle città di questi popoli, che il Signore tuo Dio ti dà in retaggio, non devi lasciare in vita nulla di quanto respira. Ma dovrai invece destinarle alla distruzione, così come il Signore tuo Dio ti ha dato per dovere» (Mosé V, 20)
Il suo compare Underhill ci ricorda quanto fosse «impressionante e angosciante lo spettacolo sanguinoso per i giovani soldati» («how grat and doleful was the bloody sight to the view of the young soldiers»), però, assicura i suoi lettori, «talvolta la Sacra Scrittura decreta che donne e bambini debbano perire coi loro genitori» («sometimes the Scripture declareth women and children must perish with their parents») (SH 114).
Molti indios caddero vittime di campagne di avvelenamento. I coloni addestravano persino dei cani al compito speciale di stanare gli Indiani, strappando i piccoli dalle braccia delle madri e sbranandoli. Per dirla con le loro stesse parole: «cani feroci per dar loro la caccia e mastini inglesi per l’attacco» («blood Hounds to draw after them, and Mastives to seaze them»). In questo, i puritani si lasciarono ispirare dai metodi dei loro contemporanei spagnoli. E così continuò, finché i Pequot furono pressoché sterminati (SH 107-119).
Altre tribù indiane patirono la stessa sorte. Così commentavano i devoti sterminatori: «È il volere di Dio, che alla fin fine ci dà ragione di esclamare “Quant’è grandiosa la Sua bontà! E quant’è splendida la Sua gloria!”» («God’s Will, wich will at last give us cause to say: “How Great is His Goodness! And How Great is His Beauty!”»). E ancora: «Fino a che il nostro Signore Gesù li piegò ad inchinarsi davanti a lui e a leccare la polvere!» («Thus doth the Lord Jesus make them to bow before him, and to lick the Dust!») (TA).
Come ancora oggi, così per i cristiani di allora era ben accetta la menzogna per la maggior gloria di dio, o quantomeno per il proprio vantaggio di fronte ai diversamente credenti: «I trattati di pace venivano firmati già col proposito di violarli.
Talché il Consiglio di stato della Virginia dichiarava che se gli Indiani “sono tranquillizzati dopo la stipula del trattato, noi abbiamo non soltanto il vantaggio di prenderli di sorpresa, ma anche di mietere il loro mais”». («when the Indians grow secure uppon the Treatie, we shall have the better Advantage both the surprise them, and cutt downe theire Corne») (SH 106).
Anno 1624: una sessantina di inglesi, forniti di armi pesanti, fanno a pezzi 800 inermi uomini, donne e bambini indios. (SH 107).
1675-76: durante la guerra detta di re Filippo, in una sola azione di rappresaglia, sono uccisi «circa 600 indiani». L’autorevole pastore della seconda Chiesa di Boston, Cotton Mather, definirà più tardi il massacro come «grigliata per arrosti» («barbeque») (SH 115).
In sintesi: nel New Hampshire e nel Vermont, prima dell’arrivo degli inglesi, la popolazione degli Abenaki contava 12.000 persone. Neanche cinquant’anni dopo ne erano rimaste in vita solo 250: una decimazione del 98%.
Il popolo dei Pocumtuck ammontava a 18.000; due generazioni più tardi il loro numero era sceso a 920.
Il popolo dei Quiripi-Unquachog era di 30.000; dopo ugual periodo ne sopravvivevano 1.500, un vero genocidio; la popolazione del Massachusset comprendeva almeno 44.000 persone, di cui, cinquant’anni dopo, erano sopravvissuti appena 6.000. (SH 118).
Questi sono solo alcuni esempi delle tribù che vivevano nell’America del Nord prima che vi approdassero i cristiani. E tutto ciò accadeva prima che scoppiasse la grande epidemia di vaiolo degli anni 1677 e 1678. Anche il bagno di sangue era appena agli inizi.
E tutto fu solo il principio della colonizzazione da parte degli Europei, cioè prima dell’epoca vera e propria del cosiddetto “selvaggio Far West”.
Tra il 1500 e il 1900, è probabile che, complessivamente, abbiano perduto la vita – nelle sole Americhe – più di 150 milioni di nativi: in media, circa due terzi a causa del vaiolo e di altre epidemie importate dagli Europei (e qui non dev’esser passato sotto silenzio il fatto che, a partire dal 1750 circa, le tribù autoctone venivano contagiate anche di proposito per mezzo di doni artificialmente infettati). Restano pertanto ancora 50 milioni la cui morte si fa risalire direttamente ad atti di violenza, a trattamenti disumani o alla schiavitù.
E in alcuni paesi, come ad esempio Brasile e Guatemala, questa decimazione prosegue fino ai nostri giorni: a fuoco lento, per così dire.
Ulteriori gloriose tappe della storia degli Stati Uniti d’America
Nel 1703, il pastore Salomon Stoddard, una delle più prestigiose autorità religiose della Nuova Inghilterra, fece formale richiesta al Governatore del Massachusset perché mettesse ai diposizione dei colonizzatori le risorse finanziarie per «acquistare grandi mute di cani e per poterle addestrare a cacciare gli Indiani alla stessa stregua degli orsi» (SH 241).
29 novembre 1864: massacro di Sand Creek, nel Colorado. Il colonnello John Chivington, ex predicatore metodista e politico regionale («non vedo l’ora di nuotare nel sangue nemico») fa passare per le armi un villaggio dei Cheyenne con circa 600 abitanti – quasi solo donne e bambini – benché il capo indiano agitasse bandiera bianca. Bilancio: da 400 a 500 vittime.
Ne riferisce un testimonio oculare: «C’era un gruppo di trenta o quaranta Squaw, acquattate in un buco per proteggersi, le quali mandarono fuori una bambina, di circa sei anni, con un panno bianco in segno di resa. Ebbe il tempo di fare solo pochi passi, quando venne colpita e abbattuta. In quella trincea, più tardi, tutte le donne furono uccise» (SH 131).
1860: il religioso Rufus Anderson commenta il bagno di sangue che fino allora aveva decimato, per il 90% almeno, la popolazione autoctona delle isole Hawaii. «In ciò costui non vedeva nulla di tragico: tutto sommato, la prevedibile, totale estinzione della popolazione indigena delle Hawaii era un fatto del tutto naturale – diceva il missionario – paragonabile suppergiù “con l’amputazione delle membra malate da un organismo”» (SH 244).
Atrocità delle Chiese nel XX secolo
Campi di annientamento cattolici. È sorprendente come pochi sappiano che in Europa, negli anni della seconda Guerra Mondiale, non c’erano solamente i campi di concentramento nazisti.
In Croazia, negli 1942-43, v’erano numerosi campi di sterminio, organizzati dai cattolici ustascia agli ordini del dittatore Ante Pavelic, un cattolico praticante ricevuto regolarmente dall’allora papa Pio XII. Vi erano persino campi di concentramento speciali per bambini!
Nei campi croati venivano soppressi soprattutto serbi cristiano-ortodossi, ma anche un cospicuo numero di ebrei. Il più famigerato era il lager di Jasenovac; il suo comandante fu per un certo tempo un certo Miroslav Filipovic, un frate francescano temuto con l’appellativo di “Brüder Tod” (Sorella Morte). Qui, al pari dei nazisti, gli ustascia cattolici bruciavano le loro vittime nei forni, ma vivi, diversamente dai nazisti che prima avevano almeno ucciso le prede col gas. In Croazia, però, la maggior parte delle vittime veniva semplicemente soppressa, impiccata o fucilata. Il loro numero complessivo è stimato fra i trecentomila e i 600.000; e questo in un paese relativamente piccolo. Molti uccisori erano monaci francescani, armati allora con mitragliatrici. Queste nefandezze perpetrate dai Croati era talmente spaventose, che persino alcuni ufficiali della sicurezza delle SS tedesche, in qualità di osservatori degli avvenimenti croati, protestarono direttamente con Hitler (il che lasciò peraltro indifferente il dittatore). Il papa però fu ben informato di queste atrocità, e non fece nulla per impedirle (MV).
(Aggiunta dell’Autore: di fronte ai retroscena di questa storia, i reportage dei massmedia sul più recente conflitto serbo-croato nella regione balcanica, dal 1991 al 1995, ha assunto talvolta aspetti addirittura spettrali, giacché vi ricorrevano nomi di luoghi come Banja Luka, o di fiumi come la Sava, dove occasionalmente si invengono ancora oggi scheletri di persone assassinate mezzo secolo fa).
Terrore cattolico in Vietnam. Nel 1954 i combattenti per la libertà del Vietnam, i cosiddetti Viet Min, liquidarono finalmente il governo coloniale francese nel Nord Vietnam, che fino ad allora era stato finanziato con più di due miliardi di dollari dagli USA. Sebbene i vincitori proclamassero libertà religiosa per tutti (la maggioranza dei Vietnamiti non buddhisti era cattolica) vaste campagne di propaganda anticomunista spinsero masse di cattolici a fuggire nel sud del paese. Col sostegno della lobby cattolica a Washington, e con l’appoggio del cardinale Spellmann, portavoce del Vaticano nella politica americana – il quale avrebbe in seguito definitio le truppe americane in Vietnam come «truppe di Cristo» – venne progettato un colpo di Stato per impedire elezioni democratiche nel Sud del Vietnam. Da tali elezioni, probabilmente, anche nel Sud sarebbero usciti vincitori i Viet Min comunisti. Di contro, si elesse alla presidenza del Vietnam meridionale il fanatico cattolico Ngo Dinh Diem (MW 16 ff)
Diem fece in modo che gli aiuti dagli USA, viveri e medicinali, risorse tecniche e d’ogni specie andassero a beneficio dei soli cattolici. I buddhisti, o i villaggi a maggioranza buddhista, vennero ignorati, oppure dovettero pagare per gli aiuti che i cattolici ottenevano invece gratuitamente. Di fatto, l’unica religione ufficialmente riconosciuta era quella romano-cattolica.
L’isteria anticomunista si scatenò in Vietnam in modo ancor più brutale che nella sua versione americana negli USA, la famosa “caccia alle streghe” dell’era di McCarthy.
Nel 1956, il presidente Diem emise un decreto in cui si diceva:
«Individui che minacciano la difesa nazionale o la sicurezza collettiva possono essere internati dalle autorità in campi di concentramento»
Per contrastare il comunismo, come usava dire, vennero così posti in “custodia cautelativa” migliaia di dimostranti e di monaci buddhisti. Per protesta, dozzine di monaci e di maestri buddhisti si diedero fuoco pubblicamente.
[Nota bene: qui i buddisti davano fuoco a essi medesimi, laddove i cristiani hanno piuttosto la tendenza a incenerire il loro prossimo; su questo, vedasi anche l’ultimo capoverso].
Nel frattempo, diversi campi di prigionia, in cui da tempo ormai languivano anche cristiani protestanti e persino cattolici – si erano organizzati in autentici campi di sterminio. Si stima che in questo periodo di terrore (dal 1955 al 1960) restassero ferite nei disordini almeno 24.000 persone, che fossero giustiziati circa 80.000 oppositori; 275.000 furono le persone incarcerate e torturate, mentre circa mezzo milione vennero ristrette in campi di concentramento o di prigionia (MW 76-89).
Per appoggiare un tale governo, inoltre, nel corso degli anni Sessanta, migliaia di soldati americani dovettero lasciare la loro vita.
Virus catholicus. Il primo luglio 1976 morì la 23enne studentessa tedesca di pedagogia Anneliese Michel, lasciandosi morire, nel senso letterale del termine, per fame. Da mesi essa era stata colpita da visioni e apparizioni demoniache; non solo, ma per lunghi mesi due sacerdoti cattolici – con l’autorizzazione ufficiale del vescovo di Würzburg – avevano tormentato la povera ragazza con esorcismi e presunte pratiche antidiaboliche. Quando morì nell’ospedale di Klingenberg, il suo corpo era tutto solcato da cruente ferite. I suoi genitori, entrambi fanatici cattolici, vennero condannati a sei mesi di carcere per omissione di soccorso, specialmente per non aver chiamato alcun medico. Ma neanche un religioso venne indagato e punito per questo. Al contrario! La tomba della sventurata Anneliese Michel è fatto oggetto di pellegrinaggi da parte di fedeli cattolici (ricordiamo che nel Seicento la città di Würzburg era malfamata per le numerosissime esecuzioni di streghe sul rogo).
Questo caso non è che la punta dell’iceberg di tale diffusa e pericolosa superstizione e si é risaputo solo in conseguenza del suo tragico esito (SP 80).
Massacri in Rwanda. Anno 1994: nel giro di pochi mesi, nel piccolo Stato africano del Rwanda, vengono massacrate diverse centinaia di migliaia di civili. In apparenza, si trattava d’un conflitto tra i gruppi etnici degli Hutu e dei Tutsi (Watussi). Per parecchio tempo, si udirono soltanto delle voci su un coinvolgimento del clero cattolico. Negli organi di stampa cattolici furono pubblicate strane smentite; e questo prima che qualcuno avesse accusato ufficialmente di complicità dei componenti della chiesa cattolica.
Senonché, il 10 ottobre 1996, l’emittente radio S2 – tutt’altro che critica nei riguardi del cristianesimo – reca nel notiziario S2 Aktuell delle ore 12 la seguente notizia:
«Sacerdoti e suore anglicani, ma soprattutto cattolici, sono gravemente accusati di aver preso parte attiva all’assassinio di indigeni. In particolare, il comportamento d’un religioso cattolico ha tenuto desto per mesi l’interesse della pubblica opinione, non solo nella capitale ruandese Kigali. Era parroco nella chiesa della Sacra Famiglia, ed è accusato di aver ucciso dei tutsi nei modi più atroci. Sono rimaste incontestate deposizione di testimoni secondo cui il religioso, col revolver alla cintola, fiancheggiava bande saccheggiatrici di Hutu. Nella sua parrocchia, in effetti, era avvenuta una sanguinosa strage di Tutsi che avevano cercato scampo in quel tempio. Perfino oggi, due anni dopo, vi sono molti cattolici a Kigali che, per la complicità a loro avviso dimostrata d’una parte dei sacerdoti, non mettono più piede nelle chiese della città. Quasi non v’è chiesa nel Rwanda in cui fuggitivi e profughi – donne, bambini, vecchi – non siano stati brutalmente picchiati e massacrati al cospetto della croce. Vi sono testimonianze in base alle quali i religiosi hanno rivelato i nascondigli dei Tutsi, lasciandoli in balìa delle milizie Hutu armate di machete.
Nel frattempo, si son date prove schiaccianti del fatto che, durante il genocidio in Rwanda, anche monache cattoliche si sono macchiate di gravi colpe. In questo contesto, si fa costante menzione di due benedettine, rifugiatesi intanto in un monastero belga per sottrarsi al corso della giustizia ruandese. Secondo testimonianze concordi di superstiti, una aveva chiamato i sicari hutu, introducendoli da migliaia di tutsi che avevano cercato rifugio nel suo convento. Con la forza, i morituri erano stati cacciati dal chiostro e tosto soppressi in presenza della suora. Anche la seconda benedettina aveva collaborato direttamente con le bande assassine delle milizie hutu; anche di questa suora testimoni oculari affermano che avesse assistito freddamente, senza reagire in alcun modo, a come i nemici venivano macellati. Alle due donne si contesta addirittura (in base a precise testimonianze) di aver fornito ai killer il petrolio con cui le vittime vennero bruciate vive» (S 2)
Questa notizia ha ricevuto un’appendice. Ecco il messaggio della BBC:
Priests get death sentence for Rwandan genocide:
BBC NEWS April 19, 1998
A court in Rwanda has sentenced two Roman Catholic priests to death for their role in the genocide of 1994, in which up to a million Tutsis and moderate Hutus were killed. Pope John Paul said the priests must be made to account for their actions. Different sections of the Rwandan church have beeen widely accused of playing an active role in the genocide of 1994…
Come si vede, per il cristianesimo il medioevo non è mai veramente concluso.
La cosa che spaventa più che mai è, in tutti i casi, che ogni nuova generazione di cristiani nega e contesta i delitti e le nefandezze che la precedente generazione dei suoi correligionari ha commesso in nome della fede cristiana! Oppure, qualora non sia più possibile negare, si limita ad affermare di sfuggita: oh, ma quelli non erano buoni cattolici, non erano veri cristiani! Cristiani belli e buoni sono solamente quelli che amano il prossimo loro, che fanno il bene e vogliono la pace… eccetera, eccetera.
Come se, parlando di se stessi, queste cose non le affermassero i fedeli di qualsivoglia religione del mondo!
Ogni qualvolta sento i cristiani parlare di morale, mi sento quasi rivoltare lo stomaco
Karl-Heinz Deschner
Fonti bibliografiche
DA: Karl-Heinz Deschner, Abermals krähte der Hahn, Stuttgart 1962.
DO: Karl-Heinz Deschner, Opus Diaboli, Reinbek, Hamburg 1987.
DZ: Die Zeit, Nr. 5, 1998.
EC: P.W. Edbury, Crusade and Settlement, Cardiff University Press 1985.
EJ: S. Eidelberg, The Jews and the Crusaders, Madison 1977.
HA: M. Hunter, D. Wootton, Atheism from the Reformation to the Enlightenment, Oxford 1992.
LI: H.C. Lea, The Inquisition of the Middle Age, New York 1961.
LM: E. Le Roy Ladurie, Montaillou. Ein Dorf vor dem Inquisitor 1294-1324, Frankfurt 1982.
MM: M. Margolis, A. Marx, A History of the Jewish People.
MV: A. Manhattan, The Vatican’s Holocaust, Springfield 1986. V. Dedijer, The Yugoslav Auschwitz and the Vatican, Buffalo NY 1992.
NC: J.T. Noonan, Conception: A History of its Treatment by the Catholic Theologians and Canonists, Cambridge, Massachussets 1992.
S2: Notiziario radiofonico di S2 Aktuell, 10 ottobre 1996, h 12:00.
SH: D. Stannard, American Holocaust, Oxford University Press 1992.
SP: Settimanale Der Spiegel, Nr. 49, 12/2/1996.
TA: A True Account of the Most Considerable Occurrences that have Hapned in the Warre Between the English and the Indians in New England, London 1676.
TG: F. Turner, Beyond Geography, New York 1980.
WW: H. Wollschläger, Die bewaffneten Wallfahrten gen Jerusalem (I pellegrinaggi armati contro Gerusalemme) Zürich 1973 (È quanto di meglio in circolazione a proposito di crociate. Contiene una silloge di cronache cristiane del medioevo. Purtroppo non più ristampato).
WV: Calcoli e stime sul numero delle streghe condannate al rogo:
N. Cohn, Europe’s Inner Demons: An Inquiry Inspired by the Grat Witch Hunt, Frogmore 1976, 253.
R.H. Robbins, The Encyclopedia of Witchkraft and Demonology, New York 1959, 180.
J.B. Russell, Witchcraft in the Middle Ages, Ithaca, NY 1972, 39.
H. Zwetsloot, Friedrich Spee und die Hexenprozesse, Treviri 1954, 56.
Questo documento, elaborato da testi originali di Karlheinz Deschner e tradotto in italiano da Luciano Franceschetti, è presente sotto il titolo Victims of the Christian Faith (http://doubtingthomas426.
Ultimo aggiornamento: 12 luglio 2000
————–
(http://www.uaar.it/ateismo/
***********
L’INQUISIZIONE…
… era la procedura seguita da un tribunale ecclesiastico per reprimere ed
estirpare l’eresia; il tribunale stesso. Fu creata nel XII secolo, quando la
Chiesa dovette lottare contro i Catari
(http://www.cronologia.it/
(http://www.cronologia.it/
Concilio Lateranense (1215) e il Concilio di Tolosa (1229) dichiararono
essere doveri dei vescovi ricercare e giudicare gli eretici e consegnarli
per il castigo al braccio secolare. Nel 1231-35 Gregorio IX sottraeva
l’Inquisizione alla giurisdizione dei vescovi e l’affidava a inquisitori
permanenti dell’ordine domenicano, di nomina pontificia. Lo Stato (Re,
Principi, Nobiltà) si schierò con la Chiesa, contro gli eretici, poiché
l’eresia religiosa costituiva una concreta minaccia contro l’ordine
costituito, contro la sicurezza dello Stato. L’eretico, una volta accertata
la sua colpevolezza, veniva invitato a ritrattare. In caso di rifiuto, era
condannato a pene corporali o alla morte per rogo.
(VEDI QUI UN DOCUMENTO DEL 1559:
http://www.cronologia.it/
______________________________
L’Inquisizione possedeva un vero e proprio apparato di informazione con un
grande numero di agenti.
Che godevano di previlegi fiscali e dell’eccezionale permesso di girare
armati
COME LA SANTA INQUISIZIONE
CATTURAVA ERETICI E PECCATORI
di Ilaria Tremolada
L’8 marzo 2000, papa Wojtila pronunciava la “richiesta di perdono” per i
mali inferti dalla chiesa nei secoli a tutta l’umanità. In particolare,
Giovanni Paolo II recitava il “mea culpa” pensando alle vittime della Santa
Inquisizione. Il processo che metteva sotto esame il tribunale medievale
accanitosi nei secoli contro coloro che venivano definiti eretici, si
concludeva con le pubbliche scuse del papa, dopo essersi aperto 6 anni
prima. Nel 1994, con la lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente
datata 10 novembre, Giovanni Paolo II avviava la preparazione del Giubileo
chiedendo ai cristiani di “pentirsi” soprattutto per Giovanna d’Arco alla
testa del suo esercito “l’acquiescenza manifestata, specie in alcuni secoli,
a metodi di intolleranza e perfino di violenza nel servizio della verità.”
La lettera papale aprì la strada a due incontri che si tennero, il primo nel
‘98 dedicato alla “Shoah”, sulla quale si invitava a riflettere, mentre il
secondo, che più ci interessa, aveva come tema centrale l’”Inquisizione” e
si svolse tra il 29 e il 31 ottobre 1999 in Vaticano. Il Simposio
internazionale fu presieduto dal Cardinale Roger Etchegaray e dalla
Commissione teologico-storica del Comitato centrale del Grande Giubileo,
sovrintendente del quale era il domenicano padre Georges Cottier. Dando
inizio ai lavori, quest’ultimo ha specificato che “la considerazione delle
circostanze attenuanti [quelle storiche riguardanti la società dei tempi e
la sua grettezza] non esonera la Chiesa dal dovere di rammaricarsi
profondamente per le debolezze di tanti suoi figli, che ne hanno deturpato
il volto”.
Queste “debolezze”, per usare il termine di Cottier, provocarono decine di
migliaia di morti che formano un filo nero ininterrotto capace di dare alla
storia della Chiesa di quei secoli che fanno l’età medievale e moderna, un
unico e macabro denominatore.
Il grande pubblico identifica la storia delle persecuzioni religiose con
uomini importanti come Galileo Galilei e Giordano Bruno o più in generale
con i roghi delle streghe. Ciò che si scopre studiando la storia della Santa
Inquisizione è qualcosa che, per noi figli del XX secolo ha
dell’incredibile. I Pensieri e i fatti che hanno generato tale meccanismo di
morte ci appaiono così distanti, eppure anche gli ultimi decenni non sono
stati privi di quelle distorsioni ideologiche che più appaiono come il
sostrato di scempiaggini catastrofiche come quella esemplare generata dalla
mente malata di Adolf Hitler. L’accostamento può sembrare azzardato
soprattutto perché poche sono le coincidenze, nei tempi e nei fatti, tra
l’odio nazista per gli ebrei e lo stesso sentimento mostrato dalla Chiesa
cattolica nei confronti degli eretici.
Ciò che comunque appare confrontabile è la perdita di ogni senso della
realtà in nome di un’idea delirante che genera morte.
Oltremodo, la lotta della Chiesa contro i suoi nemici solletica un vasto
interesse nel pubblico, dovuto in parte al fascino morboso che aleggia
intorno ai metodi inquisitori. L’Inquisizione, che si affermò alla fine del
XII secolo, quando in Occidente si diffondevano movimenti eretici come il
manicheismo, il valdismo e poi il catarismo, trae il suo nome dalla
inquisitio, una procedura del diritto romano sconosciuta e basata sulla
formulazione di un’accusa da parte dell’autorità giudiziaria pur in assenza
di denunce sostenute da testimoni attendibili. Tale procedura trova con il
decreto Ad abolendam, emanato da papa Lucio III nel 1184, quando cioè si
cominciò a infliggere ai peccatori la pena del rogo, la sua codificazione.
Alcuni anni dopo venne autorizzata la confisca dei beni degli eretici e
l’impiego della tortura in questioni di fede, mentre si stabilivano
particolari disposizioni che garantissero la segretezza delle procedure,
l’anonimato dei testimoni e l’applicazione delle sentenze. Con il papato di
Gregorio IX (1227-1241) la procedura inquisitoria si trasforma in una nuova
istituzione che avrà in principio larga diffusione nella Francia meridionale
e che verrà ufficializzata nei suoi compiti con il nome di Sacra
Inquisizione. Tra i tanti manuali scritti all’epoca per riassumere la
procedura sulla base della quale lavorava il tribunale è rimasta celebre la
Practica Inquisitionis hereticae pravitatis (ca.1320).
Il successore di Gregorio IX, Innocenzo IV, non trascurò di proseguire
nell’opera iniziata dal suo predecessore. Nel 1252, infatti, con la bolla Ad
extirpanda ribadiva l’importanza della ricerca dei peccatori che si
nascondevano nella società minandone non solo le basi religiose ma anche
quelle politiche, e rafforzava il significato della punizione corporale
indicando la tortura come mezzo per “portare alla luce la verità”.
Durante il XIII e il XIV secolo, l’Inquisizione, parallelamente alla
crescita di alcuni dei più importanti movimenti considerati eretici,
accrebbe le proprie zone d’influenza e le proprie competenze. All’inizio del
‘300, in buona parte dell’Europa erano attivi dei tribunali inquisitori
competenti a livello territoriale che avevano l’ordine di indagare anche su
reati quali la blasfemia, la bigamia e la stregoneria, e gli utopisti della
politica e della religione.
(vedi la storia di FRA DOLCINO:
http://www.cronologia.it/
La stregoneria, della quale parleremo diffusamente più avanti, nasce dalla
trasformazione in reato di tutti quei riti pagani, bagaglio di una forte
tradizione popolare ancora parte irrinunciabile della vita di molte zone
dell’Europa. Attraverso i secoli bui, la Santa Inquisizione, come abbiamo
visto, seppur brevemente, accresce la sua importanza, ma soprattutto la sua
ingerenza nella vita sociale. Di fondamentale importanza in questo processo
di penetrazione sarà il ruolo svolto dai re cattolici Isabella di Castiglia
e Ferdinando d’Aragona. Unendo le loro corone in un grande e potente regno i
due monarchi trasformarono il tribunale dell’Inquisizione in uno strumento
di controllo del loro potere. Esercitarono pressioni sul pontefice affinché
istituisse una nuova Inquisizione nel regno di Castiglia che ancora non ne
aveva conosciuto le opere.
Fu così che con la bolla papale, Exigit sinceras devotionis affectus, del 1°
novembre 1478 Sisto IV concesse ai sovrani spagnoli la potestà di nominare
due o tre inquisitori nelle città e nelle diocesi dei loro regni. Da quel
momento si aprì una contesa tra la concezione ecclesiastica della Santa
Inquisizione e quella temporale dei due re Cattolici, che vedevano nel
tribunale antiereticale un valido collaboratore attraverso il quale
mantenere e rafforzare il proprio potere. Il braccio di ferro si protrasse
fino all’ottobre 1483 quando con la nomina del frate Tomás de Torquemada….
… a inquisitore generale dei regni di Castiglia e di Aragona, nasceva
l’Inquisizione moderna. Il papa Sisto IV, al quale ormai la situazione era
sfuggita di mano non aveva potuto far altro che riconoscere l’estensione
delle competenze giuridiche anche al regno di Aragona, per il quale
inizialmente il pontefice aveva negato la concessione.
A questo punto la chiesa di Roma si trovava ad aver ceduto, passo dopo
passo, al regno governato da Isabella e Ferdinando, il controllo sui
tribunali della Santa Inquisizione in Spagna.
Sostanzialmente, il potere di nominare il Grande Inquisitore demandava nei
fatti alla Corona la gestione di tutta la macchina costruita in difesa della
verità dei dogmi, pur rimanendo il papa il depositario dell’autentica
legittimità dell’istituzione.
Tra le figure più importanti dell’Inquisizione spagnola, spicca per la sua
spietatezza verso gli ebrei il già ricordato Tomás de Torquemada. Al momento
dell’investitura, gli inquisitori spagnoli recitavano davanti al Grande
Inquisitore, una formula che rimase invariata fino al 1820:
“Noi, per misericordia divina inquisitore generale, fidando nelle vostre
cognizioni e nella vostra retta coscienza, vi nominiamo, costituiamo,
creiamo e deputiamo inquisitori apostolici contro la depravazione eretica e
l’apostasia nell’inquisizione di [qui veniva inserito di volta in volta il
nome del luogo dove l'inquisitore veniva mandato] e vi diamo potere e
facoltà di indagare su ogni persona, uomo o donna, viva o morta, assente o
presente, di qualsiasi stato e condizione che risultasse colpevole, sospetta
o accusata del crimine di apostasia e di eresia, e su tutti i fautori,
difensori e favoreggiatori delle medesime”.
Negli altri paesi europei si ebbero situazioni anche molto diverse tra loro.
La Francia non conobbe l’Inquisizione nella sua forma moderna. I Parlamenti
continuarono ad occuparsi dei processi agli eretici senza che per questi
reati venisse aggiornata la versione medievale dell’istituto.
Il Portogallo vide nascere il tribunale dell’Inquisizione solo nel 1547,
mentre in Italia apparvero solo verso la fine del XVI secolo, qualche
decennio più tardi della nascita di un’Inquisizione tutta speciale che il
papa aveva creato appositamente per “se” nel 1542. Ad oggi, quella papale è
l’unica Inquisizione sopravvissuta con il nome di Congregazione per la
Dottrina della Fede.
Il funzionamento del Santo Uffizio era garantito in primo luogo dal lavoro
dell’inquisitore generale che si appoggiava al Consiglio della Suprema, e in
secondo luogo dalla presenza capillare sul territorio dei tribunali di
distretto. Nella carica di inquisitore generale si è già visto che il più
tragicamente illustre fu il frate Tomás de Torquemada. Sulla sua figura sono
stati dati pareri contrastanti: lo storico Juan Antonio Llorente ne parla
come di “…una persona dai tratti raccapriccianti responsabile della morte
sul rogo di 10.280 persone, e della punizione con infamia e confisca dei
beni di altre 27.321″. Al contrario lo storico inglese Walsh dice che
Torquemada “era un pacifico dotto che abbandonò il chiostro per espletare un
incarico sgradevole ma necessario, cosa che fece con spirito di giustizia
temperato da pietà e sempre con grande abilità e prudenza.[…] Fu l’uomo che
più efficacemente contribuì alla grandezza della Spagna dell’epoca del siglo
de oro.”
È abbastanza evidente che il giudizio dello storico ha in entrambi i casi
influenzato il racconto della vita di un uomo che comunque al di là di
queste critiche senza appello fu un grigio ed efficiente funzionario che
servì i re cattolici con esemplare lealtà, pur tributata a idee sbagliate,
fornendo il modello essenzialmente politico a cui si sarebbero ispirati gli
inquisitori generali per un lunghissimo arco di tempo.
A partire da questa che era la carica più importante, l’inquisizione era
organizzata in base ad una struttura fortemente gerarchizzata che prevedeva
il Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione che si riuniva tutte le
mattine dei giorni non festivi per discutere le questioni di fede, mentre
nelle sedute pomeridiane del martedì, giovedì e sabato si tenevano i
processi pubblici e si parlava dei casi si sodomia, bigamia, stregoneria e
superstizione.
Da questo organo dipendevano i tribunali distrettuali in ognuno dei quali
operavano due inquisitori. Quasi sempre erano un teologo e un giurista così
da poter avere una competenza che coprisse tutti gli aspetti della
problematica inquisitoria. Nel XVI secolo si accentuò, fra gli inquisitori,
il predominio del clero secolare nei confronti di quello regolare (i membri
degli ordini religiosi). La maggior parte degli inquisitori, comunque,
proveniva dalla piccola nobiltà e aveva frequentato l’Università.
Tra le altre cariche previste dal Santo Uffizio per il suo funzionamento va
sicuramente ricordata quella importantissima dei famigli (familiares),
ovvero di quei servitori laici che collaboravano con i funzionari
dell’Inquisizione, partecipavano alle ricerche e agli arresti e costituivano
un vero e proprio apparato di informazione e spionaggio. Il loro numero
crebbe smisuratamente nei tempi. Fare parte di quella che con termini
attuali potremmo chiamare la “polizia segreta” della Santa Inquisizione
comportava numerosi vantaggi: i famigli godevano di un privilegio
giurisdizionale secondo il quale potevano essere giudicati solo dalla stessa
Inquisizione, inoltre avevano privilegi fiscali e il permesso di girare
armati. poiché si poté presto intuire il rischio che questa casta
privilegiata diventasse molto potente, ogni distretto adottò un regolamento
che innanzitutto fissava il numero massimo dei famigli. L’estrazione sociale
di questi ultimi era assai eterogenea.
A Valencia nel XVI secolo oltre i tre quarti erano di origine popolare, ma
il rapporto si sarebbe presto ribaltato a favore delle classi medie. In
Andalusia i famigli vennero invece reclutati tra la piccola nobiltà
all’interno della quale alcune dinastie finirono per imporre un vero e
proprio monopolio servendosi della mansione per esercitare un’assoluta
autorità locale sintomo di corruzione e di nepotismo.
Gli apparati inquisitori vennero messi sotto inchiesta raramente, nonostante
la loro condotta riprovevole e spesso macchiata dalla scorrettezza fosse
sotto gli occhi di tutti. Il lavoro svolto dai famigli era il punto di
partenza della fase istruttoria dei processi che proseguiva con la denuncia
e l’immediato arresto della persona oggetto della denuncia stessa. Seguivano
poi tre udienze durante le quali veniva presentata l’accusa ed era prevista
una discolpa dell’imputato.
Il verdetto era pronunciato collegialmente dagli inquisitori e dal vescovo.
Al termine del processo, ogni sentenza prevedeva tre categorie di pene:
spirituali, corporali e finanziarie. Momento culminante di ogni processo era
l’autodafé, “atto di fede”, cerimonia solenne con messa, sermone e lettura
delle sentenze che nel tempo si trasformò in una specie di evento teatrale
che nella sostanza doveva attirare quanta più gente possibile per mostrare
il potere della Santa Inquisizione nel riportare le anime smarrite sulla
strada della verità.
Di solito l’autodafé si celebrava una volta l’anno. La condanna a morte era
comminata ai recidivi o rei convinti che rifiutavano di ammettere la falsità
delle loro credenze. La sanzione più comune per chi decideva di collaborare
era l’abiura alla quale erano connesse diversi tipi di penitenza: obbligo di
indossare il sambenito (termine derivante da saco bendito “sacco
benedetto”), ovvero una mantellina gialla, con una o due croci disegnate
diagonalmente, che i penitenti erano obbligati a portare in segno di
indegnità per un periodo che poteva essere lungo pochi mesi ma anche tutta
la vita; c’erano poi le pene corporali come le frustate, con un numero che
poteva variare da 100 a 200; lavoro forzato sulle galere e confisca dei
beni.
Una delle abiure più importanti che la storia ricorda è senza dubbio quella
di Galileo.
Davanti al tribunale che lo inquisiva di eresia, l’autore del Dialogo dei
massimi sistemi pronunciò il 22 giugno 1633 queste parole: “… avendo
davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie
mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio
crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa
Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Offizio, per aver io,
dopo essermi stato con precetto dall’istesso giuridicamente intimato che
omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del
mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si
muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia
modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d’essermi
notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e
dato alle stampe un libro nel quale tratto l’istessa dottrina già dannata e
apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna
soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d’eresia, cioè d’aver
tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e imobile e che la terra
non sia centro e che si muova.
Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d’ogni fedel
Cristiano queste veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor
sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori e
eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta
contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più ne
asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me
simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d’eresia
lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all’Inquisitore o ordinario del
luogo, dove mi trovarò.
Giuro anco e prometto d’adempiere e osservare intieramente tutte le
penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Offizio imposte […] Io
Galileo soddetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obbligato come
sopra […] In Roma nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.”
(vedi altre pagine in GALILEO GALILEI:
http://www.cronologia.it/
Spesso durante i processi lo strumento più utilizzato per portare il
peccatore alla confessione dell’errore era la tortura. Rigorose norme ne
fissavano durata, modalità e frequenza. Le dichiarazioni rese sotto tortura
erano considerate nulle se non venivano confermate 24 ore dopo. I metodi più
usati erano la garrocha, la toca e il potro . Nel primo caso la vittima
veniva appesa per i polsi a una corda pendente dal soffitto che serviva per
issare il corpo poi fatto ricadere di colpo. La Toca era invece più
complicata: la vittima veniva immobilizzata su un telaio inclinato,
costretta a spalancare la bocca nella quale veniva introdotto un panno che
costringeva il torturato a inghiottire tutta l’acqua che veniva versata
lentamente. Infine c’era il potro, il sistema più utilizzato a partire dal
XVI secolo che consisteva nel legare il peccatore a un cavalletto con canapi
che si avvolgevano intorno al corpo e alle estremità. Accorciando la
lunghezza delle corde il carnefice le faceva penetrare nel corpo del
torturato.
Le migliaia di persone, si parla di 150.000, che furono chiamate a rendere
conto in molti casi di una vita “normale” inquisita a volte perché i
funzionari potessero dimostrare zelo e attaccamento al lavoro senza però che
ce ne fosse neanche il pretesto, appartenevano al movimento dei catari, a
quello valdese, oppure erano ebrei, musulmani, marranos, cioè ebrei e
mussulmani convertiti, o ancora protestanti e templari. Se non rientravano
in nessuno di questi gruppi potevano essere streghe o semplicemente
individui dalle “strane” convinzioni non coincidenti con quelle
ecclesiastiche, come Giordano Bruno
(http://www.cronologia.it/
rogo a Roma nell’anno 1600, Gioachino da Fiore teologo e filosofo le cui
idee vennero condannate dal Concilio lateranense nel 1215, Arnaldo da
Brescia canonico e riformatore religioso impiccato e arso come eretico a
Roma nel 1155, Copernico che sostenendo che la terra gira intorno al sole
vide la sua opera messa all’indice nel 1616, il già ricordato Galileo
Galilei accusato di avere sostenuto le tesi copernicane e costretto ad
abiurare, e poi ancora Giovanna D’Arco
(http://www.cronologia.it/
con l’accusa di essere eretica recidiva, apostata e idolatra.
In modo del tutto indicativo e assolutamente casuale nella scelta degli
esempi, questa breve lista dà però un’idea di quanto profondamente
l’Inquisizione seppe condizionare la crescita del pensiero impedendo quella
libertà d’espressione fonte del progresso della società civile.
Le vicende di questi uomini e donne vittime della Santa Inquisizione non
sembra poter acquisire un senso preciso. Pur invocando un vago rispetto del
dogma cristiano si rimane senza risposte di fronte ad un così diffuso uso
della violenza, ad una così spietata quanto gratuita umiliazione del
pensiero umano.
Dopo la decadenza della Santa Inquisizione iniziata nel XVIII secolo ed in
conseguenza all’apertura degli archivi del tribunale avvenuta negli anni ‘20
dell’800 sono comparsi una messe di studi che hanno fatto chiarezza sulle
vicende oscure legate all’organismo nato nel medioevo e sono riuscite a
spiegare motivandole, alcune delle condanne e delle azioni più eclatanti.
La parte che sembra ancora avvolta dal mistero, ma che forse non potrà mai
trovare un suo perché, data la stessa assurdità che la caratterizza, è
l’inquisizione delle streghe. Tra i tanti episodi che fanno parte di questa
storia si è scelto di raccontarne uno in particolare che per la quantità di
documenti ritrovati si presta ad una ricostruzione precisa. Ha poi
particolare senso, quando si parla di persecuzione delle streghe, fare
riferimento a casi particolari evitando di abbandonarsi così ad una
caratterizzazione generica che toglierebbe all’argomento il sapore intenso
dei suoi particolari.
La caccia alle streghe attuata, con spietata intensità, soprattutto tra i
secoli XVI e XVII è stata letta dalla storiografia come uno scontro
culturale tra il mondo colto rappresentato dalla chiesa e il mondo popolare
identificato nelle pratiche magico-tradizionali. Spinta da un rinnovato
spirito di evangelizzazione, la chiesa mosse sistematicamente guerra, dal
‘500 in avanti, a superstizioni, vecchie credenze, riti post-pagani facenti
parte della cultura folklorica e pratiche magiche.
Gli storici che hanno tentato di fare una stima numerica delle vittime delle
accuse di stregoneria si sono sempre fermati di fronte alla mancanza delle
fonti cioè alla mancanza dei verbali dei processi. Nei rari casi in cui si
può disporre di queste carte si rimane sconvolti dalla loro durezza e
drammaticità e dalla capacità in essi insita di trasmettere un vivido
spaccato del mondo delle streghe e della sua persecuzione.
È quanto accade con il Corpus di carte riguardanti i processi eseguiti nella
valle di Poschiavo, una valle della Svizzera italiana. L’insieme di questi
documenti unici per quantità e coerenza interna permette di studiare,
attraverso l’analisi dei rescritti di 65 processi, le caratteristiche di una
caccia alle streghe che in questo luogo assume caratteristiche diverse da
tutti gli altri episodi che fanno parte della stessa vicenda.
Non emerge infatti, in questo caso particolare, quella cesura tra mondo
colto degli inquisitori e mondo popolare degli inquisiti che invece sotto
forma di scontro aperto è la base di ogni processo di stregoneria. In questa
valle delle Alpi Retiche non si riscontra un nucleo di credenze pagane o
precristiane conviventi con quelle della religione ufficiale. Solo alcune
imputate ammettevano di usare scongiuri o antiche parole magiche che pareva
potessero aiutarle a fronteggiare una vita sempre al limite della
sussistenza.
Nella maggioranza dei casi però le imputate erano povere donne, come povera
era la buona parte della popolazione, accusate più che per pratiche o
comportamenti sospetti, per futili motivi che possono essere ricondotti alla
difficoltà di un vivere sociale nel quale rancori, battibecchi, invidie e
liti, che spesso animavano i rapporti di vicinato, diventavano le reali
cause che portavano all’accusa.
Oltretutto, in quegli stessi anni la Valtellina era stata pesantemente
colpita dalla peste che aveva reso, se possibile, ancora più fragile
l’economia della zona. Considerando tutte le varianti endogene, nell’accusa
di stregoneria si possono vedere riflesse tutte quelle paure e quelle
angosce da sempre caratteri del mondo contadino, “che da se rivelavano i
punti deboli di quella economia, creando un rapporto di causa-effetto tra le
presunte streghe con le loro pratiche che “agivano” e le disgrazie della
vita che diventavano il risultato del loro agire; dall’altra, l’accusa
sconvolgeva i rapporti sociali e familiari di chi era accusato […]
incrinando equilibri e generando reazioni a catena”.
Motivo cardine della persecuzione delle streghe erano i loro ritrovi
notturni: i sabba, come venivano chiamati. Secondo i persecutori, durante
queste adunanze presiedute dal diavolo, si svolgevano riti che parodiavano
in modo blasfemo la liturgia cristiana, cui si aggiungevano unioni bestiali,
orge collettive, balli, banchetti e sacrifici umani. Anche le presunte
streghe di Poschiavo avevano le loro riunioni sataniche. A questi incontri,
che si svolgevano quasi sempre di giovedì, mancava però, quella ritualità
blasfema tipica di queste riunioni. Le donne della valle si incontravano per
ballare e divertirsi non compivano riti di nessun genere, anche se dalle
testimonianze rese durante i processi sembra che il diavolo fosse presente,
pur con sembianze del tutto normali e non mostruose.
Le donne interrogate dicevano che satana aveva le sembianze di un uomo di
mezza età o di un giovane ragazzo. Più raramente veniva descritto come un
animale, anche se non è da escludere che le sue repellenti malformazioni
fossero più il frutto delle fantasie morbose degli inquisitori che non delle
imputate, come si rileva dal processo a Orsola Lardo, durante il quale la
descrizione si delinea, a poco a poco, sotto l’insinuante interrogatorio dei
giudici che le chiedono (le parole dell’imputata vengono lasciate nel
dialetto del luogo): “Era come un homo?”
e l’imputata risponde:
“Al pareva alli vestimenti, ma l’era il demonio”
e ancora:
“Come era in faccia?”
“Al’era un brut lavor [= cosa], era negro in facia”.
“haveva barba, et capelli in testa?”.
“L’aveva una brutta barbascia, et in testa l’era come motto [= calvo]“.
“Haveva corni in testa?”.
“Signor no ma l’haveva come dei cap [= corna]“.
“Haveva mani come homo?”.
“Signor no che l’haveva come due griffe [= artigli]“.
“E li piedi come li haveva?”.
“Li haveva come quelli di un bosc [= caprone]“.
“Et nella vitta come era, et come lo cognoscevate?”.
“Mi nol sei l’era un soz lavor”.
Altre donne raccontano anche di avere avuto con il diavolo rapporti
sessuali…
… ma il tutto si limita a qualche descrizione che comunque sia non muta il
carattere modesto di questi incontri che di satanico non avevano granché.
Durante il loro svolgimento non vi erano riti parodistici del culto
cristiano, né un uso blasfemo degli oggetti sacri, né riti sacrificali di
nessun genere. In conclusione i ritrovi di Poschiavo sembrano essere state
semplici e allegre feste che dato il clima di censura morale venivano
volutamente visti come la realizzazione di riti satanici.
Tutt’al più, gli incontri di queste donne, peraltro quasi tutte provenienti
dalle stesse famiglie e dalle stesse contrade, il che indica una limitata
pubblicizzazione dei ritrovi stessi, potevano essere visti come una
compensazione delle privazioni materiali a cui erano sottoposte ogni giorno.
La conoscenza delle erbe, che in alcuni casi potevano provocare lievi
allucinazioni, le aiutava così a straniarsi da una realtà spesso troppo
dura.
Questi innocui tentativi di evasione venivano invece scambiati per pratiche
di magia nera che facevano paura soprattutto per il loro impatto sulla
società e non per la sfida religiosa che essi ponevano. Ciò di cui ci si
preoccupava maggiormente era la loro capacità di recare danno a tutta la
società attraverso la distruzione dei raccolti che poteva essere ottenuta
facendo grandinare, piovere, tempestare, facendo franare il terreno. Era
così che queste donne venivano ritenute capaci di sovvertire e distruggere
un’esistenza quotidiana difficile, dalla quale esse cercavano di sottrarsi
con metodi del tutto innocui, ma capaci di rendere insicuri e sospettosi
uomini e donne attaccati alla consuetudine, prime che alla religione, e
spaventati dalla loro stessa ignoranza.
Ilaria Tremolada
BIBLIOGRAFIA
Il martirio delle streghe, di Tiziana mazzali, Xenia edizioni, Milano, 1988
Il giudice e l’eretico, di John Tedeschi, Vita e Pensiero, Milano, 1997
L’inquisizione, di Ricardo Garcia Cárcel, Fenice 2000, Milano, 1994
Domenico Scandella detto Menocchio, a cura di Andrea Del Col, Edizioni
biblioteca dell’immagine, Pordenone, 1990
Il manuale dell’inquisitore, a cura di Louis Sala-Molins, Fanucci, Roma,
2000
Storia generale dell’Inquisizione corredata da rarissimi documenti, di
Pietro Tamburini, Bastogi, Foggia, 1998
Giordano Bruno: tra magia e avventure, tra lotte e sortilegi la storia
appassionata di un uomo che, ritenuto mago dai contemporanei, fu condannato
per eresie dall’Inquisizione e arso vivo sul rogo, di Gabriele La Porta,
Newton Compton, Roma, 1988
L’Avvocato delle streghe: stregoneria basca e Inquisizione spagnola, di
Gustav Henningsen, garzanti, Milano, 1990
Ringrazio per l’articolo
concessomi gratuitamente
il direttore di: http://www.storiain.net/index.
(VEDI QUI UN DOCUMENTO DEL 1559:
http://www.cronologia.it/
————-
(http://www.cronologia.it/
*********
Storia dell’Inquisizione cattolica: carnefici e vittime
L’Inquisizione, dichiarata Santa da Santa Romana Chiesa come lo sono state le Crociate, anche se nei fatti esisteva già dagli inizi dell’anno 1000, fu ufficialmente riconosciuta e legittimata sotto Papa Gregorio IX nel 1215 allorché la sua gestione fu affidata all’ordine dei domenicani fondato da Domenico da Guzman (anche lui santo) il quale perseguitò gli eretici con un cinismo tale da essere ricordato dalla storia come uno dei più sanguinari carnefici di tutti i tempi. Qualche cenno esplicativo:
Eretico era considerato chi con scritti o con parole si opponeva alle norme dettate dalla Chiesa.
Abiura: L’abiura era la ritrattazione delle proprie convinzioni, quasi sempre estorta sotto tortura, che un eretico scriveva in forma solenne davanti al consiglio dell’inquisizione. Le abiure a cui era sottoposto un eretico erano sempre due perché alla prima ne doveva seguire per legge una seconda di conferma. Normalmente il tempo che intercorreva tra le due era di un anno.
L’eretico che rifiutava di firmare la seconda abiura, considerato “relapso”, cioè eretico irriducibile, veniva bruciato vivo.
Gli argomenti che maggiormente determinarono le eresie furono la Santissima Trinità, la verginità della Madonna e la sua attribuzione di madre di Gesù che fu fortemente contestata da quei credenti che seguitavano a sostenere ciò che era stato affermato nei primi secoli della Chiesa da una gran parte dei teologi i quali ritenevano impossibile che Dio avesse concesso un tale privilegio ad una donna allorché le donne venivano considerate così immonde da essere ritenute prive di anima.
L’altro motivo che determinò gli eretici furono le contestazioni rivolte alla Chiesa per la sua lussuria e la sua ingordigia. Tra le innumerevoli vittime della Chiesa nel periodo precedente all’avvento dell’Inquisizione istituita da Innocenzo III, rimaste purtroppo nella maggior parte anonime per via di mancanza di documenti, giganteggia la figura di Arnaldo da Brescia bruciato vivo nel 1155 sotto il pontificato di Adriano IV per aver denunciato l’immoralità della Chiesa.
I papi che seguirono Adriano IV (1154-1159), promettendo ai persecutori degli eretici le stesse indulgenze riservate ai crociati, spinsero i cattolici ad eseguire delle vere e proprie stragi come quelle volute da Innocenzo III che si servì delle milizie di Simone de Monfort per distruggere città intere, come Carcassonne, Tolosa e Beziers, perché gli abitanti si erano rifiutati di consegnare i seguaci di Valdo (Valdesi). Soltanto a Beziers furono massacrati oltre 7.000 dei suoi abitanti. Le milizie cattoliche entrarono in queste città e senza curarsi di selezionare gli eretici dai non eretici, eseguirono le carneficine al grido: <>.
Da ricordare che Innocenzo III nell’ultimo anno del suo pontificato fece votare dal Concilio Lateranense IV una legge che obbligava gli ebrei a vestire di giallo perché fossero sottoposti al pubblico ludibrio… e ci si chiede ancora da dove originino i campi di stermino nazisti!
Sotto il Papa Innocenzo IV, successore di Innocenzo III, le leggi inquisitorie furono confermate e aggravate. Chiunque fosse stato dichiarato eretico veniva automaticamente imprigionato e condannato a morte con la confisca dei beni se non avesse abiurato. Come conseguenza di questa legge, che considerava la confisca del beni, molti furono i figli che furono potati all’infamia di accusare i propri genitori di eresia pur di salvare le proprietà di cui erano eredi.
Delle centinaia di processi terminanti con condanne a morte, l’unico che ci è pervenuto è quello contro Paolo Gioacchino dei Rusconi che fu torturato e bruciato vivo quale relapso. I nomi dei martiri riportati qui di seguito nei vari pontificati che si susseguirono, essendo tratti dai pochi documenti rimasti, non sono che una minima parte di quanti furono in realtà uccisi da Santa Madre Chiesa. Nell’elenco ci sono anche tre martiri uccisi per aver celebrato la messa da spretati (si trovano sottolineati nei pontificati di Paolo VI – Urbano VIII – Clemente XIII). – Papa Clemente V Fra Dolcino, per nulla intimorito dalle minacce dell’Inquisizione, si scaglia contro Clemente V accusandolo di immoralità. Ridotto a brandelli il suo corpo viene bruciato al rogo. 13 marzo 1307
Suor Margherita e Frate Longino insieme ad oltre mille seguaci dell’eretico Dolcino, bruciati al rogo. 1307.
Soppressione dei Templari con stragi di massa con “torture inimmaginabili” perché accusati di eresia. Molay, Gran Maestro, fu arso vivo a Parigi dopo anni di atroci torture. – Papa Benedetto XII (beatificato) Francesco da Pistoia, Lorenzo Gherardi, Bartolomeo Greco, Bartolomeo da Bucciano, Antonio Bevilacqua e altri dieci frati Francescani, arsi vivi per predicare la povertà di Cristo – Venezia 1337.
Stessa sorte a Parma per Donna Oliva anch’essa perché seguace di S. Francesco. – Papa Clemente VI Migliaia di vittime dell’inquisizione delle quali ci sono pervenuti soltanto i processi di:
Francesco Stabili, detto Cecco d’Ascoli, il quale fu arso vivo per aver detto, a proposito delle tentazione di Gesù, che non è possibile vedere tutta la terra da una montagna per quanto alta fosse stata come veniva affermato da vangelo.
Pietro d’Albano, medico, bruciato vivo perché accusato di stregoneria.
Domenico Savi condannato al rogo come eretico per aver eretto un ospedale senza la benedizione della Chiesa. – Innocenzo VI Tra le numerose vittime di Santa Madre Chiesa da ricordare i frati Pietro da Novara, Bernardo da Sicilia, Fra Tommaso vescovo d’Aquino e Francesco Marchesino vescovo di Trivento accusati di appartenere ai fraticelli di S. Francesco. Torturati e bruciati vivi. – Gregorio XI Intere città furono teatro di stragi perché avevano ospitato gli eretici. Nelle piazze di Firenze, Venezia, Roma e Ferrara fu un continuo accendersi di roghi.
Belramo Agosti, umile calzolaio, torturato e bruciato vivo per aver bestemmiato durane una partita a carte: 5 giugno 1382.
Menelao Santori perché conviveva con due donne: 10 ottobre 1387.
Lorenzo di Bologna costretto sotto tortura a confessare di aver rubato una pisside. Reso moribondo dalle torture, fu accompagnato al rogo a colpi frusta. 1 novembre 1388.
La descrizione dei moltissimi decapitati, impiccati e squartati dall’Inquisizione sotto Gregorio XI è riportata in un libri scritto da Mastro Titta. – Gregorio XII Dopo il periodo di tregua passato sotto Urbano VI, con Gregorio XII riprendono le stragi e i roghi in una maniera estremamente spietata. La città che fu particolarmente colpita fu Pisa. Un certo giovane di nome Andreani fu torturato e bruciato vivo insieme alla moglie e alla figlia perché aveva osato deridere i Padri Conciliari. I cardinali appartenenti al concilio assistettero in massa alle esecuzioni per il piacere di veder morire insieme alla sua famiglia colui che essi “avevano condannato per solo sentimento di vendetta”. 1413.
Jean Hus e Gerolamo da Praga macellati e bruciati vivi per aver detto che la morale del vangelo proibisce ai religiosi di possedere beni materiali. 1414. – Papa Eugenio IV Giovanna d’Arco, bruciata viva accusata di stregoneria (1431).
Merenda e Matteo, due popolani, bruciati vivi dall’Inquisizione per rendere un favore alle famiglie dei Colonna e dei Savelli delle quali avevano parlato male.
Ripetute stragi in Boemia contro gli Hussidi (seguaci di Jean Hus), per le rimostranze fatte in seguito alla uccisione del loro maestro. Una delle stragi fu eseguita facendo entrare gli Ussidi in un fienile al quale dettero fuoco dopo aver chiuso le porte. Il fatto fu così commentato da uno scrittore cattolico: <>. Ma il peggio verrà allorché la Chiesa dovrà difendersi dall’avvento del Rinascimento. – Papa Sisto IV(Per conoscere l’immoralità di questi papi consultare: Le Léman Hérétique , scritto in inglese, francese, italiano). In Spagna eccelse per la sua crudeltà il domenicano Tommaso Torquemada il quale, confiscando i beni degli accusati di eresia e di stregoneria, era arrivato ad accumulare tante ricchezze da essere temuto dallo stesso Papa che lo obbligò a versargli la metà del bottino. Quando costui arrivava in un paese come inquisitore, la popolazione fuggiva in massa lasciando tutto nelle sue mani.
Nell’impossibilità di elencare tutte le vittime di Torquemada mi limiterò a dire che in 18 anni della sua inquisizione ci furono:
800.000 ebrei allontanati dalla Spagna, con confisca dei beni, sotto pena di morte se fossero restati.
10.200 bruciati vivi.
6.860 cadaveri riesumati per essere bruciati al rogo in seguito a processi (terminati tutti con la confisca dei beni) celebrati “post mortem” (dopo la morte).
97.000 condannati alla prigione perpetua con confisca delle proprietà.
E intanto che Torquemada faceva il macellaio in Spagna, a Roma l’inquisizione accendeva roghi in tutte le sue piazze per bruciare gli eretici i cui patrimoni venivano automaticamente requisiti per conto del Papa dalla confraternita di San Giovanni Decollato. – Papa Alessandro VI: Gerolamo Savanarola bruciato vivo in Piazza della Signoria a Firenze. 23 maggio 1498 insieme ai suoi due suoi discepoli Domenico da Pescia e Sivestro da Firenze.
Tre ebrei arsi vivi in campo dei Fiori a Roma. 13 gennaio 1498
Gentile Cimeli, accusata di stregoneria arsa viva a campo dei Fiori 14 luglio 1498
Marcello da Fiorentino arso vivo in piazza S. Pietro. 29 luglio 1498. – Giulio II 4 donne giustiziate per stregoneria a Cavalese (Trento). 1505.
Diego Portoghese impiccato per eresia. 14 ottobre 1606.
30 persone bruciate vive a Logrono (Spagna) per stregoneria.
Fra Agostino Grimaldi giustiziato per eresia. 6 agosto. 1507
15 cittadini romani massacrati dalle guardie svizzere per eresia. 1513.
Orazio e Giacomo di Riffredo, giustiziati per eresia. 30 aprile 1513. – Leone X (Il Papa che ha dichiarato la non esistenza di Cristo) 30 donne accusate di stregoneria arse vive a Bormio. 1514.
Martino Jacopo giustiziato per eresia a Vercelli. 18 febbraio 1517.
80 donne bruciate vive in Valcamonica per stregoneria. 1518.
5 eretici arsi vivi a Brescia. 13 aprile 1519.
Baglione Paolo da Perugia decapitato per eresia alla Traspontina. 4 giugno 1520.
Fra Camillo Lomaccio, Fra Giulio Carino, Leonardo Cesalpini strangolati in carcere per eresia.
8 luglio 1520. – Clemente VII Anna Furabach, giustiziata per eresia. 9 maggio 1524.
Migliaia di protestanti Anabattisti decapitati, arsi vivi, annegati e torturati a morte. 1525.
Una donna accusata di stregoneria arsa viva in Campidoglio. 30 settembre 1525
Claudio Artoidi e Lerenza di Pietro giustiziati per eresia. 16 maggio 1526.
Rinaldo di Colonia giustiziato per eresia. 26 agosto 1528.
Lorenzo di Gabriele da Parma e Tiberio di Giannantonio torturati e giustiziati per eresia. 9 sett. 1528.
Berrnardino da Palestrina Burciato vivo per eresia. 20 novembre 1529.
Giovanni Milanese bruciato vivo per eresia. 23 novembre 1530. – Paolo III(Un altro Papa ateo che ha affermato la non esistenza di Cristo. Gli altri lo sanno come lui ma non li dicono). Uccisi tutti gli abitanti della città di Mérindol (Francia) per aver abbracciato la fede dei protestanti Evangelici. I loro beni furono confiscati e la città rimase deserta e inabitabile.1540.
Tutti gli Anabattisti della città di Munster (Germania) furono massacrati. Giovanni di Leida, loro capo, fu ucciso dopo essere stato sottoposto “a orrendo supplizio”. 4 aprile 1535.
Martino Govinin giustiziato nelle carceri di Grenoble. 26 aprile 1536.
Francesco di Giovanni di Capocena ucciso per eresia. 1538.
Ene di Ambrogio giustiziato per eresia. 1539.
Galateo di Girolamo giustiziato nelle carceri dell’Inquisizione per eresia. 17 gennaio 1541.
Giandomenico dell’Aquila. Eretico, bruciato vivo. 4 febbraio 1542.
Federico d’Abbruzzo ucciso per eresia. Il suo corpo fu portato al supplizio trascinato da un cavallo. Quello che rimase del suo corpo fu appeso alla forca. 12 luglio 1542.
2.740 Valdesi furono massacrati dai cattolici in Provenza (Francia). Aprile 1545.
Girolamo Francese impiccato perché luterano. 27 settembre 1546.
Baldassarre Altieri, dell’Ambasciata inglese, fatto sparire nelle carceri dell’Inquisizione. 1548
Federico Consalvo, eretico, giustiziato. 25 maggio 1549.
Annibale di Lattanzio giustiziato per eresia. 25 maggio 1549. – Giulio III Fanino Faenza impiccato e bruciato per eresia. 18 febbraio 1550.
Domenico della Casa Bianca, luterano. Decapitato. 20 febbraio 1550.
Geronimo Geril Francese, Impiccato per eresia e poi squartato. 20 marzo 1550.
Giovanni Buzio e Giovanni Teodori, impiccati e bruciati per eresia. 4 settembre 1553.
Francesco Gamba, decapitato e bruciato vivo per eresia. 21 luglio 1554.
Giovanni Moglio e Tisserando da Perugia, luterani. Impiccati e bruciati vivi. 5 settembre 1554. – Paolo IV Istituzione del Ghetto a Roma con restrizioni contro gli ebrei ancor più severe del ghetto di Venezia.
Cola Francesco di Salerno, giustiziato per eresia. 14 giugno 1555
Bartolomeo Hector, bruciato vivo per aver venduto due Bibbie. 20 giugno 1555.
Golla Elia e Paolo Rappi, protestanti, bruciati vivi a Torino. 22 giugno 1555.
Vernon Giovanni e Labori Antonio, evangelisti, bruciati vivi. 28 agosto 1555.
Stefano di Girolamo, giustiziato per eresia. 11 gennaio 1556.
Giulio Napolitano, bruciato vivo per eresia. 6 marzo 1556.
Ambrogio de Cavoli, impiccato e bruciato per eresia. 15 giugno 1556.
Don Pompeo dei Monti, bruciato vivo per eresia. 4 luglio 1556.
Pomponio Angerio, bruciato vivo per eresia. 19 agosto 1556.
Nicola Sartonio, luterano, bruciato vivo. 13 maggio 1557.
Jeronimo da Bergamo, Alessandra Fiorentina e Madonna Caterina, impiccati e bruciati per
omosessualità. 22 dicembre 1557.
Fra Gioffredo Varaglia, francescano, bruciato vivo per eresia. 25 marzo 1558.
Gisberto di Milanuccio, eretico, bruciato vivo. 15 giugno 1558.
Francesco Cartone, eretico, bruciato vivo. 3 agosto 1558.
14 protestanti bruciati vivi a Siviglia in Spagna. 1559.
15 protestanti bruciati vivi a Valadolid in Spagna. 1559.
Gabriello di Thomaien, bruciato vivo per omosessualità. 8 febbraio 1559.
Antonio di Colella arso vivo per eresia. 8 febbraio 1559.
Leonardo da Meola e Giovanni Antonio del Bò, impiccati e bruciati per eresia. 8 febbraio 1559.
13 eretici più un tedesco di Augsburg accusato di omosessualità arsi vivi. 17 febbraio 1559.
Antonio Gesualdi, luterano, giustiziato per eresia. 16 marzo 1559.
Ferrante Bisantino, eretico, arso vivo. 24 agosto 1559.
Scipione Retio, eretico, uccico nelle carceri della Santa Inquisizione. 1559. – Papa Pio IV I monaci dell’Abazia di Perosa (Pinerolo) si divertirono a bruciare vivi a fuoco lento un prete evangelico insieme ai suoi fedeli. Dicembre 1559.
Carneficina di Valdesi in Calabria per opera di bande di delinquenti assoldate da Santa Madre Chiesa (uomini, donne, vecchi e bambini atrocemente torturati prime di essere uccisi su diretto ordine del Papa). Dicembre 1559.
“A Santo-Xisto, alla Guardia, a Montalto e a Sant’Agata si fecero cose inaudite: gente sgozzata, squartata, bruciata e orrendamente mutilata. Pezzi di resti umani furono appesi alle porte delle case come esempio alle genti. Quelli che fuggirono sulle montagne furono assediati fino a che morirono di fame. Molte donne e fanciulli furono ridotti in schiavitù”. I559. (Da “La Santa Inquisizione di Maurizio Marchetti. Ed. La Fiaccola).
4000 valdesi massacrati su ordine di Santa Madre Chiesa. 1560.
Giulio Ghirlanda, Baudo Lupettino, Marcello Spinola, Nicola Bucello, Antonio Rietto, Francesco Sega, condannati a morte perché sorpresi a svolgere una funzione religiosa in una casa privata officiante la messa uno spretato. 1560.
Giacomo Bonello, bruciato vivo perché evangelista. 18 febbraio 1560.
Mermetto Savoiardo, eretico, arso vivo. 13 agosto 1560.
Dionigi di Cola, eretico, bruciato vivo. 13 agosto 1560.
Aloisio Pascale, evangelista, impiccato e bruciato. 8 settembre 1560.
Gian Pascali di Cuneo, bruciato vivo per eresia. 15 settembre 1560.
Stefano Negrone, eretico, lasciato morire di fame nelle prigioni della Santa Inquisizione.
15 settembre 1560.
Stefano Morello, eretico, impiccato e bruciato. 25 settembre 1560.
Bernardino Conte, bruciato vivo per eresia. 1560.
300 persone a Oppenau, 63 donne a Wiesensteig e 54 a Obermachtal in Gemania, bruciate vive per stregoneria. 1562.
Macario, vescovo di Macedonia, eretico, bruciato vivo. 10 giugno 1562.
Cornelio di Olanda, eretico, impiccato e bruciato. 23 g3nnaio 1563.
Franceso Cipriotto, impiccato e bruciato per eresia. 4 settembre 1564.
Giulio Cesare Vanini, panteista, bruciato vivo dopo avergli strappato la lingua.
Giulio di Grifone, eretico, giustiziato. – Pio V(elevato dalla Chiesa agli onori degli altari). Con bolla papale viene imposta a Roma la chiusura di tutte le sinagoghe.
Muzio della Torella, eretico, giustiziato. 1 marzo 1566.
Giulio Napolitano, eretico, bruciato vivo. 6 marzo 1566.
Don Pompeo dei Monti, decapitato per eresia. 3 luglio 1566.
Curzio di Cave, francescano, decapitato per eresia. 9 luglio 1566.
17.000 (diciassettemila) protestanti massacrati nelle Fiandre da cattolici spagnoli.
Giorgio Olivetto arso vivo perché luterano. 27 gennaio 1567.
Domenico Zocchi, ebreo, impiccato e bruciato a Piazza Giudia nel Ghetto di Roma. 1 febbraio 1567.
Girolamo Landi, impiccato e bruciato per eresia.. 25 febbraio 1567.
Pietro Carnesecchi, impiccato e bruciato per eresia. 30 settembre 1567.
Giulio Maresco, decapitato e arso per eresia. 30 settembre 1567.
Paolo e Matteo murato vivo per eresia. 30 settembre 1567.
Ottaviano Fioravanti, murato vivo per eresia. 30 sett. 1567. .
Giovannino Guastavillani, eretico, murato vivo. 30 settembre 1567.
Geronimo del Puzo, murato vivo per eresia. 30 settembre 1567.
Gerolamo Donato con altri suoi confratelli dell’Ordine degli Umiliati, vengono giustiziati su ordine di Carlo Borromeo (santo), vescovo di Milano, dopo lunghe ore di torture, per eresia. 2 agosto 1570.
Macario Giulio da Cetona, decapitato e bruciato per eresia. 1 ottobre 1567.
Lorenzo da Mugnano, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1668.
Matteo d’Ippolito, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1568.
Francesco Stanga, impiccato e bruciato per eresia. 10 maggio 1568.
Donato Matteo Minoli, lasciato morire nelle carceri dopo avergli rotto le ossa e bruciato i piedi. 27 maggio 1568.
Francesco Castellani, eretico, impiccato. 6 dicembre 1568.
Pietro Gelosi, eretico, impiccato e bruciato. 6 dicembre 1568
Marcantonio Verotti, eretico, impiccato e bruciato. 6 dicembre 1568.
Luca di Faenza, eretico, bruciato vivo. 28 febbraio 1568.
Borghesi Filippo, decapitato e bruciato per eresia. 2 maggio 1569.
Giovanni dei Blasi, impiccato e bruciato per eresia. 2 maggio 1569.
Camillo Ragnolo, impiccato e bruciato per eresia. 25 maggio 1569.
Fra Cellario Francesco, impiccato e bruciato per eresia. 25 maggio 1569.
Bartolomeo Bartoccio, bruciato vivo per eresia. 25 maggio 1569.
Guido Zanetti, murato vivo per eresia. 27 maggio 1569.
Filippo Porroni, eretico luterano, impiccato. 11 febbraio 1570.
Gian Matteo di Giulianello, giustiziato per eresia. 25 febbraio 1570.
Nicolò Franco, impiccato per aver deriso il papa con degli scritti. Impiccato. 11 marzo 1570.
Giovanni di Pietro, eretico, impiccato e bruciato. 13 maggio 1570.
Aolio Paliero, eretico, impiccato e bruciato su espreso desiderio di Papa Pio V (santo).3 luglio1570.
Fra Arnaldo di Santo Zeno, eretico, bruciato vivo. 4 novembre 1570.
Don Girolamo di Pesaro, Giovanni Antonio di Jesi e Pitro Paolo di Maranzano, giustiziati per eresia. 6 ottobre 1571.
Francesco Galatieri, pugnalato a morte dai sicari pontifi perché eretico. 5 gennaio 1572.
Madonna Dianora di Montpelier, eretica, impiccata e bruciata. 9 febbraio 1572.
Madonna Pellegrina di Valenza, eretica impiccata e bruciata. 9 febbraio 1972.
Madonna Girolama Guanziana, eretica impiccata e bruciata. 9 febbraio 1572
Madonna Isabella di Montpelier, eretica impiccata e bruciata. 9 febbraio 1572.
Domenico della Xenia, eretico impiccato e bruciato. 9 febbraio 1572.
Teofilo Penarelli, eretico impiccato e bruciato. 22 febbraio 1572.
Alessandro di Giulio, eretico impiccato e bruciato. – Gregorio XIII Alessandro di Giulio, impiccato e bruciato per eresia. 15 marzo 1572.
Giovanni di Giovan Battista, impiccato e bruciato perché eretico. 15 marzo 1572.
Girolamo Pellegrino, impiccato e bruciato per eresia. 19 luglio 1572.
10.000 (diecimila) eretici massacrati in Francia per ordine del Papa (strage degli Ugonotti- Notte di S. Bartolomeo). 24 agosto 1572.
500 eretici massacrati in Croazia per ordine del vescovo cattolico Juraj Draskovic. 1573.
Nicolò Colonici eretico impiccato e bruciato.
Giovanni Francesco Ghisleri, strangolato nelle carceri dell’Inquisizione. 25 ottobre del 1574.
Alessandro di Giacomo, arso vivo. 19 novembre 1574.
Benedetto Thomaria, eretico bruciato vivo. 12 Maggio 1574.
Don Antonio Nolfo, eretico giustiziato. 29 luglio 1578.
Giovanni Battista di Tigoni, eretico giustiziato. 29 luglio 1578.
Baldassarre di Nicolò, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Antonio Valies de la Malta, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Francesco di Giovanni Martino, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Bernardino di Alfar, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Alfonso di Poglis, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Marco di Giovanni Pinto, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Girolamo di Giovanni da Toledo, eretico impiccato e bruciato 13 agosto 1578.
Gasparre di Martino, eretico impiccato e bruciato. 13 agosto 1578.
Fra Clemente Sapone, eretico impiccato e bruciato. 29 novembre 1578.
Pompeo Loiani, eretico impiccato e bruciato. 12 giugno 1579.
Cosimo Tranconi, eretico impiccato e bruciato. 12 giugno 1579.
222 (duecentoventidue) ebrei bruciati al rogo per ordine della Santa Inquisizione. 1558.
Salomone, ebreo impiccato per aver rifiutato il battesimo. 13 marzo 1580.
Un inglese bruciato vivo per aver offeso un prete. 2 agosto 1581.
Diego Lopez, bruciato vivo per eresia. 18 febbraio 1583.
Domenico Danzarelli, impiccato e bruciato per eresia. 18 febbraio 1583.
Prospero di Barberia, eretico impiccato e bruciato. 18 febbraio 1583.
Gabriello Henriquez, bruciato vivo per eresia. 18 febbraio 1583.
Borro d’Arezzo, bruciato vivo per eresia. 7 febbraio 1583.
Ludovico Moro, eretico arso vivo. 10 luglio 1583.
Fra Camillo Lomaccio, Fra Giulio Carino, Leonardo di Andrea strangolati nel carcere di Tor Nona per eresia. 23 luglio 1583.
Lorenzo Perna, arrestato per ordine del cardinale Savelli per eresia, si ignora la sua fine. 16 giugno 1584.
«La Signora di Bellegard», arrestata per eresia, si ignora la sua fine. ottobre 1584.
Giacomo Paleologo, decapitato e bruciato. 22 marzo 1585.
I fratelli Missori decapitati per aver espresso il diritto alla libertà di stampa. Le loro teste furono lasciate in esposizione al pubblico. 22 marzo 1585.
(Il corpo di Gregorio XIII, di questo carnefice, viene onorato e riverito dai cattolici nella sua monumentale tomba in S. Pietro a Roma). – Papa Sisto V Questo Papa fece impiccare uno spagnolo per aver ucciso con una bastonata un soldato svizzero che lo aveva ferito con l’alabarda.
Respinta la richiesta di sostituire la forca con la mannaia, Sisto V assisteva giosamente alle esecuzioni facendosi portare da mangiare perché “questi atti di giustizia gli accrescevano l’appetito”. Dopo l’esecuzione di una sentenza disse: <>.
Pietro Benato, arso vivo per eresia. 26 aprile 85.
Pomponio Rustici, Gasparre Ravelli, Antonio Nantrò, Fra Giovanni Bellinelli, impiccati e
bruciati vivi per eresia. 5 agosto 1587.
Vittorio, conte di Saluzzo, giustiziato per eresia. 9 dicembre 1589.
Valerio Marliano, eretico impiccato e bruciato. 16 febbraio 1590.
Don Domenico Bravo, decapitato per eresia. 30 marzo 1590.
Fra Lorenzo dell’Aglio, impiccato e bruciato. 13 aprile 1590. – Gregorio XIV Fra Andrea Forzati, Fra Flaminio Fabrizi, Fra Francesco Serafini, impiccati e bruciati. 6 febbraio 1591.
Giovanni Battista Corobinacci, Giovanni Antonio de Manno Rosario, Alexandro d’Arcangelo, Fulvio Luparino, Francesco de Alexandro, giustiziati. Giugno 1590.
Giovanni Angelo Fullo, Giò Carlo di Luna, Decio Panella, Domenico Brailo, Antonio Costa, Fra Giovanni Battista Grosso, l’Abate Volpino, insieme ad altri seguaci di Fra Girolamo da Milano, arrestati dalla Santa Inquisizione, si ignora la loro fine… 1590.
(Tutto questo in un solo anno di Santo Pontificato!). – Clemente VIII Giordano Bruno, bruciato vivo per eresia il 17 febbraio 1600.
Quattro donne e un vecchio bruciate vive per eresia. 16 febbraio 1600.
Francesco Gambonelli, eretico arso vivo. 17 febbraio 1594.
Marcantonio Valena e un altro luterano, arsi vivi. agosto 1594.
Graziani Agostini, eretico impiccato e bruciato. 1596.
Prestini Menandro, eretico impiccato e bruciato. 1596.
Achille della Regina, se ne ignora la fine. Giugno 1597.
Cesare di Giuliano, eretico impiccato e bruciato. 1597.
Damiano di Francesco, eretico impiccato e bruciato. 1597.
Baldo di Francesco, impiccato e bruciato per eresia. 1957.
De Magistri Giovanni Angelo, eretico impiccato e bruciato. 1597.
Don Ottavio Scipione, eretico, decapitato e bruciato. 1597.
Giovanni Antonio da Verona e Fra Celestino, eretici bruciati vivi. 16 settembre 1599.
Fra Cierrente Mancini e Don Galeazzo Porta decapitati per eresia. 9 novembre 1599.
Maurizio Rinaldi, eretico bruciato vivo. 23 febbraio 1600.
Francesco Moreno, eretico impiccato e bruciato. 9 giugno 1600.
Nunzio Servandio, ebreo impiccato. 25 giugno 1600.
Bartolomeo Coppino, luterano arso vivo. 7 aprile 1601.
Tommaso Caraffa e Onorio Costanzo eretici decapitati e bruciati. 10 maggio 1601. – Papa Paolo V Giovanni Pietro di Tunisi, impiccato e bruciato. 1607.
Giuseppe Teodoro, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Felice d’Ottavio, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Rossi Francesco, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Antonio di Jacopo, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Fortunato Aniello, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Vincenti Pietro, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Umberto Marcantonio, eretico impiccato e bruciato. 1609.
Fra Manfredi Fulgenzio, eretico impiccato e bruciato. 1610.
Lucarelli Battista, eretico impiccato e bruciato. 1610.
Emilio di Valerio, ebreo, impiccato e bruciato. 1610.
Don Domenico di Giovanni, per essere passato dal cristianesimo all’ebraismo, impiccato. 1611.
Giovanni Milo, luterano impiccato. marzo 1611.
Giovanni Mancini, per aver celebrato la messa da spretato impiccato e bruciato. 22 ottobre 1611
Jacopo de Elia, ebreo impiccato e bruciato. 22 gennaio 1616.
Francesco Maria Sagni, eretico impiccato e bruciato. 1 luglio 1616.
Arrestato un negromante zoppo, arso vivo per stregoneria. 1617.
Lucilio Vanini, arso vivo per aver messo in dubbio l’esistenza di Dio. 17 febbraio 1618.
Migliaia di eretici trucidati dai cattolici nei Grigioni in Valtellina. 1620.
(La Chiesa, rimasta nella convinzione che in Valtellina ci siano ancora tendenze religiose eretico-pagane, mantiene tutt’oggi la regione sotto controllo tramite la “Missione Rezia”, affidata ai cappuccini, dipendenti direttamente da “Propaganda Fidei”) … e il Santo Padre Gian Paolo II chiede perdono!!! – Urbano VIII Galileo Galilei, torturato e condannato al carcere perpetuo quale eretico per aver affermato che la Terra gira intorno al Sole. 1633.
Ferrari Ambrogio, eretico impiccato. 1624.
Donna Anna Sobrero, morta di peste in carcere dove era stata condannata a vita. 1627. (nei mesi che seguirono, tutti coloro che passarono per quel carcere, morirono di peste).
Frate Serafino, eretico, impiccato e bruciato. 1634.
Giacinto Centini, decapitato per aver offeso la sovranità papale. 1635.
Fra Diego Giavaloni, eretico impiccato e bruciato. 1635.
Alverez Ferdinando, bruciato vivo per essersi convertito all’ebraismo. 19 marzo 140.
Policarpo Angelo, impiccato e bruciato per aver celebrato la messa da spretato. 19 maggio 1642.
Ferrante Pallavicino, eretico impiccato e bruciato. 1644.
Fra Camillo d’Angelo, Ludovico Domenico, Simone Cossio, Domenico da Sterlignano, giustiziati per eresia. 1644. – Papa Innocenzo X Brugnarello Giuseppe e Claudio Borgegnone, impiccati e bruciati per aver falsificato alcune lettere apostoliche. 1652. ( Se questo Papa applicò in prevalenza condanne di carceri a vita ciò dipese dal fatto che in quegli anni ricorreva l’anno Santo). – Papa Alessandro II Fello Giovanni, sacerdote, decapitato per eresia. 1657.
1.712 Valdesi massacrati dai cattolici nelle Valli Alpine. 1655. – Papa Innocenzo XI (santificato) 20 ebrei condannati al rogo. 1680.
Vincenzo Scatolari, per aver esercitato la professione di giornalista senza autorizzazione di Santa Madre Chiesa. Decapitato. 2 agosto 1685.
2.000 (duemila) Valdesi massacrati dai cattolici nelle Valli Alpine per ordine diretto del Papa. Maggio 1686.
24 protestanti uccisi dai cattolici a Pressov in Slovacchia. 1687. – Papa Innacenzo XII Martino Alessandro, morto in carcere per tortura. 3 maggio 1690.
37 ebrei bruciati vivi. 1691. (poi si cercano le cause che hanno generato l’antisemitismo!).
Antonio Bevilacqua e Carlo Maria Campana, cappuccini, decapitati perché seguaci del Quietismo di Molinos. 26 marzo 1695. – Clemente XI Filippo Rivarola, portato al patibolo in barella per le torture ricevute, decapitato. 4 agosto 1708.
Spallaccini Domenico, impiccato e bruciato per aver bestemmiato a causa di un colpo di alabarda ricevuta da una guardia papalina. 28 luglio 1711.
Gaetano Volpini, decapitato per aver scritto una poesia contro il Papa. 3 febbraio 1720. – Clemente XII Questo Papa, ripristinando la “mazzolatura” (rottura delle ossa a colpi di bastone), si dimostrò uno dei più cinici sostenitori dell’arte della tortura.
Pietro Giarinone, filosofo e storico, morì sotto tortura per aver sostenuto la supremazia del re sulla curia romana. 24 marzo 1736.
Enrico Trivelli, decapitato per aver scritto frasi di rivolta contro il Papa. 23 febbraio 1737.
Le numerose vittime di questo Papa sono rimaste sconosciute perché egli preferiva più ucciderle sotto tortura nella carceri dell’Inquisizione che giustiziarle nelle pubbliche piazze.
– Clemente XIII Tommaso Crudeli, condannato al carcere a vita per massoneria. 2 agosto 1740.
Giuseppe Morelli, impiccato per aver celebrato l’Eucaristia da spretato. 22 agosto 1761.
Carlo Sala, eretico, giustiziato. 25 settembre. 1765. (Carlo Sala è l’ultimo martire ucciso dalla Chiesa per eresia).
I massacri, non più di carattere religioso, continuarono contro i cospiratori politici, i giornalistI e tutti quei progressisti che intendevano rovesciare l’immoralità dell’oscurantismo religioso attraverso una rivoluzione armata.
Le atrocità furono come nel passato. Tagli di teste, torture con mazzolature, impiccagioni e sevizie che spesso portavano allo squartamento degli accusati.
Pur di mantenere il terrore venivano puniti di morte anche i delitti meno gravi come i semplici furti. – Pio VI Nei suoi quattro anni di pontificato ci furono soltanto cinque esecuzioni capitali per reati comuni, anche se la sua lotta si intensificò aspramente contro gli ebrei che furono costretti, tra le tante umiliazioni e minacce che subirono, a indossare vestiti di colore giallo perché fossero pubblicamente oltraggiati. – Pio VII Gregorio Silvestri, impiccato per cospirazione politica. 18 gennaio 1800.
Ottavio Cappello, impiccato perché patriota rivoluzionario. 29 gennaio 1800.
Giovanni Battista Genovesi, patriota squartato e bruciato. La sua testa fu esposta al pubblico. 7 febbraio 1800.
Teodoro Cacciona, impiccato e squartato per furto di un abito ecclesiastico. 9 febbraio 1801.
Paolo Salvati, impiccato e squartato per aver derubato un corriere del Papa. 11 dicembre 1805.
Bernardo Fortuna, impiccato e squartato per furto ai danni di un corriere francese. 22 aprile 1806.
Tommaso Rotilesi, impiccato per aver ferito un ufficiale francese.
161 furono le esecuzioni capitali per reati comuni nei 15 anni del pontificato di questo vice Dio in terra che prese il mite e devoto nome di Pio. – Leone XII Leonida Montanari, decapitato per aver offeso pubblicamente il Papa. 23 novembre 1825.
Angelo Targhini, decapitato per aver ferito una spia papalina. 23 novembre 1825.
Luigi Zanoli, decapitato per aver ucciso uno sbirro papalino. 13 maggio 1828.
Angelo Ortolani, impiccato per aver ucciso guardia papalina. 13 maggio 1828.
Gaetano Montanari, squartato per tentato omicidio dell’emissario papalino Rivolta. 1828
Gaetano Rambelli, impiccato per aver ferito emissario papalino. 1828.
Le esecuzioni capitali, oltre queste sopra elencate, furono 29 e sempre per reati comuni. – Pio VIII In un anno di Pontificato eseguì 13 condanne capitali per reati comuni. – Gregorio XVI Impose divieto assoluto ad ogni libertà di parola o di espressione scritta che non seguisse i dettami di Santa Madre Chiesa. Dietro le minacce più gravi obbligò gli ebrei di non esercitare nessuna attività fuori del Ghetto.
Giuseppe Balzani, decapitato per offese la Papa. 14 maggio 1833.
Luigi Scopigno, decapitato per furto di oggetti sacri. 21 luglio 1840.
Pietro Rossi, decapitato per piccolo furto. 9 gennaio 1844.
Luigi Muzi, decapitato per piccolo furto. 19 gennaio 1844.
Giovanni Battista Rossi, decapitato per piccolo furto. 3 agosto 1844.
Oltre a queste ci furono sotto il pontificato di questo Santo Padre altre 110 condanne a morte per reati comuni. – Pio IX (santificato da Gian Paolo II, chiamato metro cubo di merda da Garibaldi) Romolo Salvatori, decapitato per aver consegnato ai Garibaldini l’Arciprete di Anagni. 10 settembre 1851.
Gustavo Paolo Rambelli, Gustavo Marloni, Ignazio Mancini, decapitati per aver ucciso tre preti. 24 gennaio 1854.
Antonio de Felici, decapitato per aver attentato al Cardinale Antonelli. Per comprendere la criminalità di questo Papa (santo), basta dire che quando i patrioti dell’unificazione italiana entrarono nelle carceri pontificie per liberare alcune decine di prigionieri che vi vivevano incatenati da così lungo tempo da aver perso la vista e l’uso delle gambe, trovarono in quei sotterranei mucchi di scheletri e di cadaveri in decomposizione in un misto di tonache di frati e di monache, di vestiti civili di uomini e di donne, divise militari e scarpe come quando furono liberati i campi di sterminio nazisti. Vi furono trovati anche giocattoli di bambini morti insieme ai loro genitori. SE QUESTI SONO I SANTI, CHI SONO ALLORA I DEMONI? Cambiato il nome alla Santa Inquisizione con quello della Santa Penitenzieria in seguito all’occupazione di Roma da parte dell’esercito italiano, per tutto il XIX secolo, anche se in forma non cruenta, Santa madre Chiesa, facendosi politicamente forte per l’autorità spirituale che gli veniva dalla massa credula e ottusa che gli era rimasta fedele (cosa che purtroppo ancora esiste tutt’oggi) continuò comunque a imporre la sua autorità religiosa su quella politica ricorrendo ancora all’abiura e alla scomunica con conseguenti rivalse e castighi temporali che usa tuttora e che noi ben conosciamo (la chiusura dei cinque siti internet ne è un esempio).
Una delle ultime abiure eseguite da Santa Madre Chiesa, è stata quella che fu imposta a mio a mio nonno Luigi Cascioli, Ingegnere e Architetto che, come sindaco di Roccalvecce, Sipicciano e Montecalvello, per evitare le conseguenze che avrebbe portato a (e) lui e tutta la sua famiglia una scomunica, fu costretto ad “abiurare” la fedeltà giurata al Governo Italiano per giurare fedeltà a “Santa Madre Chiesa”. Le due abiure: la prima del 1989 e la seconda del 1890 ” In nome di Dio. Così sia.
Io sottoscrritto con la presente dichiaro di ritrattare, come sinceramente ritratto nel senso voluto dalla S. Penitenzieria l’illecito giuramento da me al governo prestato in occasione che assunsi l’ufficio di Sindaco di Roccalvecce, diocesi di Bagnorea, e prometto nell’esercizio del medesimo di astenermi da ogni atto contrario alla legge di Dio e della Chiesa e di riparare allo scandalo* dato. ” Bagnorea lì 5 agosto 1889 (* Lo scandalo è l’aver giurato fedeltà al Governo). Come si vede, la S. Penitenzieria, seguendo le stesse leggi dell’Inquisizione, costringeva l’eretico a una seconda abiura confermante la prima per accertarsi che non fosse relapso, cioè ricaduto nell’errore.
La differenza nella punizione che c’era tra relapso e pentito consisteva nel fatto che il primo veniva bruciato vivo mentre il secondo dopo essere stato giustiziato.
Se il giuramento di fedeltà al Goveno fosse stato prestato soltanto un secolo prima, ora avremmo Luigi Cascioli tra gli eretici giustiziati e bruciati.
La Chiesa, che ha sempre negato le esecuzioni dell’Inquisizione, non potendo più tenerle nascoste dopo che alcuni laici riuscirono a consultare gli archivi segreti del Vaticano, ha cercato di scaricare ogni responsabilità ai tribunali civili. Portando come giustificazione il fatto che la morale cristiana non avrebbe mai potuto compiere ciò di cui era accusata perché è stata sempre contro le condanne a morte, la Chiesa di Cristo non ha fatto che dimostrare ancora una volta quanto le sia congenita la spudoratezza di sostenere il falso.
“Chiedo perdono per ciò che i nostri predecessori hanno fatto, tenendo però presente che una parte della responsabilità va anche sulle loro vittime che li costrinsero a comportarsi in quella maniera ” …e bravo Woltija!
Comunque il numero delle vittime di cui si conoscono i nomi non è che una minima parte di quanti furono realmente massacrati. Il numero poi di coloro che furono condannati al carcere con confisca dei beni è talmente alto da raggiungere, secondo gli storici, cifre a sette zeri.
Ma senza ricorrere alle documentazioni, basta calcolare la ricchezza accumulata dal Vaticano attraverso i beni confiscati alle sue vittime, per renderci conto del numero dei suoi omicidi, stragi e genocidi.
Soltanto le vittime generate da quella che fu chiamata l’Evangelizzazione dei popoli dell’America del sud, in seguito alle scoperte di Cristoforo Colombo, si calcola che tra giustiziati e resi schiavi superino i 50.000.000.
La cristianissima regina Isabella sostenitrice di tanta immoralità, ben presto Santa, potrà sedere felice e contenta insieme a tutti questi altri santi di cui abbiamo fatto in queste pagine conoscenza. Questi Papi dai nomi più virtuosi come Innocenzi, Clementi, Pii, Benedetti e Urbani che si sarebbero dovuti chiamare invece Macellai, Criminali, Squartatori, Banditi, Delinquenti e Bastardi… Fonte: pubblicato sul sito della fondazione Fabula http://www.lemanlake.com/
Massacri ovvero scheletri nell’armadio dei cristiani
Quello che segue è un elenco meramente dimostrativo, e assolutamente non esaustivo, di tutti i crimini commessi.
782
4.500 Sassoni sono decapitati su ordine di Carlo Magno per aver rifiutato il battesimo cattolico.
965
24 ribelli romani sono condannati a morte su ordine di papa Giovanni XIII a Roma.
1096
800 ebrei sono massacrati dai cattolici a Worms in Germania.
1096
700 ebrei sono massacrati dai cattolici a Magonza in Germania.
1098
4.000 ungheresi sono massacrati dal crociati in marcia verso la Palestina.
1099, 15 luglio
40.000 ebrei e musulmani sono massacrati dai crociati a Gerusalemme.
1145
120 ebrei sono massacrati dai cattolici a Colonia e Spira in Germania.
1146
100 ebrei sono massacrati dai cattolici a Sully e Ramerupt in Francia.
1171
18 ebrei sono arsi vivi a Blois in Francia.
1191
2.700 prigionieri di guerra musulmani sono decapitati dai crociati in Palestina.
1191
100 ebrei sono massacrati a Bray-sur-Seine in Francia.
1208
20.000 catari e loro fattori sono massacrati dai crociati a Beziers nel sud della Francia.
1219
5.000 catari e loro fautori sono massacrati dai crociati a Marmande nel sud della Francia.
1244, 16 marzo
250 catari e valdesi sono arsi vivi per ordine dell’Inquisizione nel sud della Francia.
1278
267 ebrei sono impiccati a Londra a seguito di false accuse di omicidio rituale ai danni dei cattolici.
1278, 13 febbraio
200 catari e valdesi sono arsi vivi nell’arena di Verona per ordine dell’Inquisizione.
1310
28 ribelli di Massafiscaglia (FE) sono giustiziati dai mercenari pontifici.
1370
20 ebrei sono arsi vivi dai cattolici a Bruxelles.
1377, 3 febbraio
2.500 abitanti di Cesena sono massacrati dai mercenari pontifici in quanto ribelli antipapali.
1391
4.000 ebrei sono massacrati dai cattolici a Siviglia in Spagna.
1397
100 valdesi di Graz in Austria sono impiccati e bruciati per ordine dell’Inquisizione.
1400
30 cittadini romani sono condannati a morte per ordine del governo pontificio in quanto ribelli.
1405
12 cittadini romani sono massacrati dai mercenari pontifici guidati dal nipote di papa Innocenzo VII.
1416
300 donne accusate di stregoneria sono arse nel comasco per ordine dell’Inquisizione cattolica.
1485
49 persone sono giustiziate per ordine dell’Inquisizione a Guadalupe in Spagna.
1485
41 donne accusate di stregoneria sono bruciate a Bormio per ordine dell’Inquisizione.
1486
31 ebrei sono giustiziati a Belalcazar in Spagna per ordine dell’Inquisizione.
1505
14 donne accusate di stregoneria sono ammazzate a Cavalese su ordine del vicario del vescovo di Trento.
1507
30 persone accusate di stregoneria sono bruciate a Logrono in Spagna per ordine della Santa Inquisizione.
1513
15 cittadini romani sono massacrati dalle guardie svizzere del papa.
1514
30 donne accusate di stregoneria sono bruciate a Bormio per ordine dell’Inquisizione.
1518
80 donne accusate di stregoneria sono bruciate in Valcamonica per ordine dell’Inquisizione.
1545, aprile
2.740 valdesi sono massacrati dai cattolici in Provenza.
1559
15 protestanti sono arsi vivi a Valladolid in Spagna su ordine dell’Inquisizione.
1559
14 protestanti sono arsi vivi a Siviglia in Spagna su ordine dell’Inquisizione.
1561, giugno
2.000 valdesi sono massacrati dai cattolici in Calabria (Guardia Piemontese, San Sisto e Montalto).
1562
300 persone accusate di stregoneria sono arse a Oppenau in Germania.
1562
63 donne accusate di stregoneria sono bruciate a Wiesensteig in Germania su ordine dell’Inquisizione.
1562
54 persone accusate di stregoneria sono bruciate a Obermachtal in Germania su ordine dell’Inquisizione.
1567
17.000 protestanti delle Fiandre sono massacrati dagli spagnoli.
1572, 24 agosto
10.000 protestanti (Ugonotti) sono massacrati dai cattolici a Parigi e nel resto della Francia (nota come la Strage di San Bartolomeo).
1573
5.000 servi della gleba croati in rivolta sono massacrati per ordine del vescovo cattolico Jurai Draskovic.
1580
222 ebrei sono condannati al rogo per ordine dell’Inquisizione in Portogallo.
1620, 29 luglio
600 protestanti sono trucidati dai cattolici in Valtellina.
1655, aprile
1.712 fedeli valdesi sono massacrati dai cattolici.
1680
20 ebrei sono condannati al rogo a Madrid per ordine dell’Inquisizione.
1686, maggio
2.000 valdesi sono massacrati dai cattolici penetrati nelle loro valli alpine per sterminarli.
1691
37 ebrei sono bruciati a Maiorca in Spagna per ordine dell’Inquisizione.
1697
24 protestanti sono giustiziati dai cattolici a Presov in Slovacchia.
Pierino Marazzani,
Circolo UAAR di Milano
I supplizi e le torture applicati dalla “Santa” Inquisizione nel corso dei secoli
L’Inquisizione nacque nel XII secolo come tribunale ecclesiastico adibito ai processi contro catari e valdesi. Con il passare del tempo, il suo compito si specificò sempre di più nel ricercare e giudicare tutti gli eretici. Il criterio con cui si attribuiva a una persona il reato di eresia era alquanto discutibile e molto spesso i capi d’accusa erano del tutto privi di fondamento, tuttavia gli accusati arrivavano ad attribuirsi i più fantasiosi reati pur di porre fine alle atroci torture cui erano sottoposti. L’esecuzione non era possibile senza una confessione, che non poteva certo essere estorta con le buone maniere. Si ricordano 3 Inquisizioni: quella medievale, quella spagnola e quella romana. Sebbene si collochino in luoghi ed epoche differenti, i loro metodi di procedura furono essenzialmente gli stessi. Vennero impiegati antichi sistemi di tortura e ne furono inventati di nuovi, grazie anche al contributo di presunti esperti di stregoneria e demonologia. Essi erano convinti che il diavolo lasciasse un “marchio” sulla pelle del suo servo: segno invisibile, ma che rendeva insensibile la pelle in quel punto. Per questo le carni degli accusati venivano penetrate da lunghi spilloni fino a identificare il punto in cui il “servo di Satana” non provava dolore ovvero non urlava (magari perché sfinito dalla tortura). Questa era considerata una prova sufficiente. I supplizi più usati furono i seguenti:
ANNODAMENTO: era una tortura specifica per le donne. Si attorcigliavano strettamente i capelli delle streghe a un bastone. Robusti uomini ruotavano l’attrezzo in modo veloce, provocando un enorme dolore e in alcuni casi arrivando a togliere lo scalpo e lasciando il cranio scoperto. Questa tortura fu usata in Germania anche contro gli zingari (1740-1750) e in Russia nel corso della Rivoluzione Bolscevica nel 1917-1918;
CREMAGLIERA: era un modo semplice e popolare per estorcere confessioni. La vittima veniva legata su una tavola, caviglie e polsi. Rulli erano passati sopra la tavola (e in modo preciso sul corpo) fino a slogare tutte le articolazioni;
CULLA DELLA STREGA: questa era una tortura a cui venivano sottoposte solamente le streghe. La strega veniva chiusa in un sacco poi legato a un ramo e veniva fatta continuamente oscillare. Apparentemente non sembra una tortura ma il dondolio causava profondo disorientamento e aiutava a indurre a confessare. Vari soggetti hanno anche sofferto durante questa tortura di profonde allucinazioni;
CULLA DI GIUDA O TRIANGOLO: l’accusato veniva spogliato e issato su un palo alla cui estremità era fissato un grosso oggetto piramidale di ferro. Alla fine alla vittima venivano fissati dei pesi alle mani e ai piedi;
DISSANGUAMENTO: era una credenza comune che il potere di una strega potesse essere annullato dal dissanguamento o dalla purificazione, tramite fuoco, del suo sangue. Le streghe condannate erano “segnate sopra il soffio” (sfregiate sopra il naso e la bocca) e lasciate a dissanguare fino alla morte;
FANCIULLA DI FERRO O VERGINE DI NORIMBERGA: era una specie di contenitore di metallo con sembianze umane (di fanciulla appunto) con porte pieghevoli. Nella parte interna delle porte, erano inserite delle lame metalliche. I prigionieri venivano chiusi dentro in modo che il loro corpo fosse esposto a queste punte in tutta la sua lunghezza, ma senza ledere in modo mortale gli organi vitali. La morte sopraggiungeva lentamente fra atroci dolori;
FORNO: questa barbara sentenza era eseguita in Nord Europa e assomiglia ai forni crematori dei nazisti. La differenza era che nei campi di concentramento le vittime erano uccise prima di essere cremate. Nel XVII secolo più di duemila fra ragazze e donne subirono questa pena nel giro di nove anni. Questo conteggio include anche 2 bambini;
GARROTA: non è altro che un palo con un anello in ferro collegato alla vittima, seduta o in piedi; le veniva fissato e andava stretto poi per mezzo di viti o di una fune. Spesso si rompevano le ossa della colonna vertebrale;
IMMERSIONE DELLO SGABELLO: questa punizione era usata più spesso sulle donne. La vittima veniva legata a un sedile che impediva ogni movimento delle braccia. Questo sedile veniva poi immerso in uno stagno o in un luogo paludoso. Varie donne anziane che subirono questa tortura morirono per lo shock provocato dall’acqua gelida. L’immersione dello sgabello era usata per le streghe in America e in Gran Bretagna nonché come punizione per crimini minori, prostituzione e ai danni dei recidivi;
IMPALAMENTO: è una delle più antiche forme di tortura. Veniva attuata per mezzo di un palo aguzzo inserito nel retto della persona, forzato a passare lungo il corpo per fuoriuscire dalla testa o dalla gola. Il palo era poi invertito e piantato nel terreno, così, queste miserabili vittime, quando non avevano la fortuna di morire subito, soffrivano per alcuni giorni prima di spirare. Tutto ciò veniva fatto ed esposto pubblicamente;
MASTECTOMIA: alcune torture erano elaborate non solo per infliggere dolore fisico, ma anche per sconvolgere la mente delle vittime. La mastectomia era una di queste. La carne delle donne era lacerata per mezzo di tenaglie, a volte arroventate. Uno dei più orribili casi noti in cui fu usata questa tortura era quello di Anna Pappenheimer. Dopo essere già stata torturata con lo “strappado”, fu spogliata, i suoi seni furono strappati e, davanti ai suoi occhi, furono spinti a forza nelle bocche dei suoi figli adulti. Questa vergogna era più di una tortura fisica; l’esecuzione faceva una parodia sul ruolo di madre e nutrice della donna, imponendole un’estrema umiliazione;
ORDALIA DELL’ACQUA: in questo tipo d’ordalia, l’acqua simboleggia il diluvio dell’Antico Testamento. Come il diluvio spazzò via i peccati così l’acqua “pulirà” l’anima della persona. Dopo 3 giorni di penitenze, l’accusato doveva immergere le mani in acqua bollente, a volte fino ai polsi, in altri casi fino ai gomiti. Si aspettavano poi 3 giorni per valutare le sue colpe.
Veniva messa in pratica anche un’ordalia dell’acqua fredda. Alla persona imputata venivano legate le mani e i piedi con una fune, in modo tale che la posizione non fosse certo propizia per rimanere a galla dopodiché veniva immersa in acqua: se galleggiava, era sicuramente colpevole, in quanto l’acqua “rifiutava” una creatura demoniaca; se andava a fondo, era innocente, ma difficilmente sarebbe stata salvata in tempo;
ACQUA INGURGITATA: l’accusato, incatenato mani e piedi ad anelli infissi nel muro e posato su un cavalletto, è costretto a ingurgitare più di NOVE litri d’acqua, e ancora altrettanti se il primo tentativo non risulta convincente, per un totale di DICIOTTO litri.
ORDALIA DEL FUOCO: prima di iniziare l’ordalia del fuoco, tutte le persone coinvolte dovevano prendere parte a un rito religioso. Questo rito poteva durare fino a 3 giorni nel corso dei quali gli accusati dovevano partecipare a preghiere, digiuni, sottostare ad esorcismi, ricevere vari tipi di benedizioni e prendere i sacramenti; dopodiché aveva inizio l’ordalia che poteva avvenire in diverso modo. Uno di questi consisteva nel trasportare per una certa distanza un pezzo di ferro incandescente, di peso variabile tra mezzo chilo e un chilo e mezzo.
Un altro tipo di ordalia del fuoco consisteva nel camminare a piedi nudi sopra carboni ardenti, a volte con gli occhi bendati. Dopo la prova, le ferite venivano coperte e, allo scadere di 3 giorni una giuria controllava lo stato delle ustioni. Se le ferite non erano rimarginate l’accusato era colpevole, altrimenti era considerato innocente;
PERA: era un terribile strumento che veniva impiegato il più delle volte per via orale. La pera era usata anche nel retto e nella vagina. Questo strumento era aperto con un giro di vite da un minimo a un massimo dei suoi segmenti. L’interno della cavità ne risultava orrendamente mutilato, spesso mortalmente. I rebbi costruiti alla fine dei segmenti servivano per aumentare il danno fisico. Questa era una pena riservata alle donne accusate di avere avuto rapporti sessuali col Maligno;
PRESSA: anche conosciuta come pena forte et dura, era una sentenza di morte. Adottata come misura giudiziaria durante il XIV secolo, raggiunse il suo apice durante il regno di Enrico IV. In Bretagna venne abolita nel 1772.
PULIZIA DELL’ANIMA: era opinione diffusa in molte zone che l’anima di una strega o di un eretico fosse corrotta, sporca e covo di quanto di contrario ci fosse al mondo. Per pulirla prima del giudizio, qualche volta le vittime erano forzate a ingerire acqua calda, carbone, perfino sapone. La famosa frase “sciacquare la bocca con il sapone”, che si usa oggi, risale proprio a questa tortura;
ROGO: una delle forme più antiche di punizione delle streghe era la morte per mezzo di roghi, un destino riservato anche agli eretici. Il rogo spesso era una grande manifestazione pubblica. L’esecuzione avveniva solitamente dopo breve tempo dall’emissione della sentenza. In Scozia, il rogo di una strega era preceduto da giorni di digiuno e di solenni prediche. La strega veniva strangolata, avendo cura di farla rimanere in uno stato di stordimento; il suo corpo, a volte, era immerso in un barile di catrame prima di venire legato a un palo e messo a fuoco. Se poi, per qualche fortuita coincidenza la strega fosse riuscita a liberarsi dal palo e ad uscire dalle fiamme, la gente la rispingeva dentro;
RUOTA: in Francia e in Germania la ruota era popolare come pena capitale. Era simile alla crocifissione. Alle vittime venivano spezzati gli arti e il corpo veniva sistemato tra i raggi della ruota che veniva poi fissata su un palo. L’agonia era lunghissima e poteva anche durare dei giorni;
SEDIA INQUISITORIA: era una sedia provvista di punte e aculei alla quale il condannato era legato mediante strette fasciature. Il fondo poteva essere arroventato per produrre gravi ustioni; SEGA: terribile metodo di esecuzione applicato, nella maggior parte delle volte, agli omosessuali. Il condannato veniva appeso a testa in giù con le gambe divaricate e con una sega veniva tagliato in 2 verticalmente. Veniva tenuto a testa in giù affinché il dissanguamento fosse più lento e perché il maggior afflusso di sangue al cervello acuisse la sensibilità al dolore. Pare anche che la vittima restasse cosciente finchè la sega arrivava al cranio;
SQUASSAMENTO: era una forma di tortura usata insieme alla “strappata”. L’accusato qui veniva sempre issato sulla carrucola, ma con dei pesi legati al suo corpo che andavano dai 25 ai 250 chili. Le conseguenze erano gravissime;
STIVALETTO SPAGNOLO: le gambe venivano legate insieme in una sorta di stivale di ferro, che il boia stringeva fino allo spappolamento delle ossa;
STRAPPATA: l’accusato veniva legato a una fune e issato su una sorta di carrucola. L’esecutore faceva il resto tirando e lasciando di colpo la corda e slogando, così, le articolazioni;
TORTURA DELL’ACQUA: veniva inflitta frequentemente a personaggi compromettenti, dal momento che i suoi risultati non erano visibili esteriormente. Veniva fatta ingurgitare all’accusato una quantità spropositata d’acqua, finché il suo ventre non raggiungeva dimensioni abnormi, quindi veniva messo a testa in giù perché la massa d’acqua pesasse sul diaframma e sui polmoni. Oltre al fortissimo dolore, ciò provocava gravi strappi e lesioni agli organi interni;
TORTURA DELL’ANIMALE: un insetto, per lo più un tafano, a volte anche una o più api, veniva messo nell’ombelico dell’imputato, chiuso da un bicchiere di vetro. Alternativamente si poteva inserire la testa del malcapitato in un sacco pieno di bestie inferocite, spesso gatti;
IL TOPO: Tortura applicata a streghe ed eretici. Un topo vivo veniva inserito nella vagina o nell’ano con la testa rivolta verso gli organi interni della vittima e spesso, l’apertura veniva cucita. La bestiola, cercando affannosamente una via d’uscita, graffiava e rodeva le carni e gli organi dei suppliziati. Chissà come i disgraziati riuscissero a sopportare il terrore provocato alla sola vista del topo che da li a poco sarebbe entrato nel suo corpo
TURCAS: questo mezzo era usato per lacerare e strappare le unghie. Nel 1590-1591 John Fian è stato sottoposto a questa e altre torture in Scozia. Dopo che le sue unghie vennero strappate, degli aghi furono inseriti nelle sue estremità;
VEGLIA: consisteva nel privare del sonno gli accusati. Matthew Hopkins la usava in Essex. La vittima, legata, era costretta a immersioni nei fossati anche per tutta la notte per evitare che si addormentasse.
————-
(http://www.clerofobia.it/?p=
***********
I sistemi di tortura della Chiesa
(da www.eretico.com)
“Io voglio scrivere su tutti i muri ovunque siano muri [...] Io
chiamo il
cristianesimo unica grande maledizione, unica grande intima perversione,
unico grande istinto di vendetta [...] Io lo chiamo unico imperituro
marchio
d’abominio dell’umanità…”.
FONTE: F.W. Nietzsche, L’Anticristo, TEN, 2a ediz., 1992, pag. 92-93.
Ecco alcuni strumenti e sistemi di tortura che la Chiesa ha
utilizzato per
commettere i suoi efferati “crimini contro l’umanità” durante la Santa
Inquisizione. Crimini rimasti impuniti!
Il Topo
Tortura applicata a streghe ed eretici. Un topo vivo veniva inserito
nella
vagina o nell’ano con la testa rivolta verso gli organi interni della
vittima e spesso, l’apertura veniva cucita. La bestiola, cercando
affannosamente una via d’uscita, graffiava e rodeva le carni e gli
organi
dei suppliziati. Chissà come i disgraziati riuscissero a sopportare il
terrore provocato alla sola vista del topo che da li a poco sarebbe
entrato
nel suo corpo.
Dissanguamento
Era una credenza comune che il potere di una strega potesse essere
annullato
dal dissanguamento o dalla purificazione tramite fuoco del suo
sangue. Le
streghe condannate erano “segnate sopra il soffio” (sfregiate sopra
il naso
e la bocca) e lasciate a dissanguare fino alla morte.
Il Rogo
Una delle forme più antiche di punizione delle streghe era la morte per
mezzo di roghi, un destino riservato anche agli eretici. Il rogo
spesso era
una grande manifestazione pubblica. L’esecuzione avveniva solitamente
dopo
breve tempo dall’emissione della sentenza. In Scozia, il rogo di una
strega
era preceduto da giorni di digiuno e di solenni prediche. La strega
prima
veniva strangolata e poi il suo corpo (In stato di semi-incoscienza) era
scaricato in un barile di catrame prima di venire legato a un palo e
messo a
fuoco. Se la strega, nonostante tutto, riusciva a liberarsi e a tirarsi
fuori dalle fiamme, la gente la respingeva dentro.
Le Turcas
Questo mezzo era usato per lacerare e strappare le unghie. Dopo lo
strappo,
degli aghi venivano solitamente inseriti nelle estremità delle falangi.
La Vergine di NorimbergaLa Fanciulla di Ferro o Vergine di Norimberga
L’idea di meccanizzare la tortura è nata in Germania; è li che ha avuto
origine “la Vergine di Norimberga”. Fu così battezzata perché, vista
dall’esterno, le sue sembianze erano quelle di una ragazza bavarese, e
inoltre perché il suo prototipo venne costruito ed impiantato nei
sotterranei del tribunale segreto di quella città. Era una specie di
contenitore di metallo con porte pieghevoli; il condannato veniva
rinchiuso
all’interno, dove affilatissimi aculei trafiggevano il corpo dello
sventurato in tutta la sua lunghezza. La disposizione di questi
ultimi era
così ben congegnata che, pur penetrando in varie parti del corpo, non
trafiggevano organi vitali, quindi la vittima era destinata ad una
lunga ed
atroce agonia.
Pulizia Dell’Anima
Era spesso creduto, nei paesi cattolici, che l’anima di una strega o
di un
eretico fosse corrotta, sporca e covo di quanto di contrario ci fosse al
mondo. Per pulirla prima del giudizio, qualche volta le vittime erano
forzate a ingerire acqua calda, carbone, perfino sapone. La famosa frase
“sciacquare la bocca con il sapone”‘ che si usa oggi, risale proprio a
questa tortura.
Il Triangolo
Altro terribile strumento di tortura analogo alla “pera” e
all’”impalamento”. L’accusato veniva spogliato e issato su un palo
alla cui
estremità era fissato un grosso oggetto piramidale di ferro. La presunta
strega veniva fatta sedere in modo che la punta entrasse nel retto o
nella
vagina. Alla fine alla poveretta venivano fissati dei pesi alle mani
e ai
piedi…
Immersione Dello Sgabello
Questa era una punizione che più spesso era usata nei confronti delle
donne.
Volgarmente sgradevole, e spesso fatale, la donna veniva legata a un
sedile
che impediva ogni movimento delle braccia. Questo sedile veniva poi
immerso
in uno stagno o in un luogo paludoso. Varie donne anziane che subirono
questa tortura morirono per lo shock provocato dall’acqua gelida.
Palo a forma di piramideImpalamento
Questo strumento, riservato per lo più ai sospetti di stregoneria o agli
eretici, era realizzato in tre diverse versioni. La prima consisteva
in un
blocco di legno a forma di piramide, mentre la seconda, meno letale,
aveva
l’aspetto di un cavalletto a costa tagliente.
In ambedue i casi, l’indiziata veniva posta a cavalcioni di tale
strumento
sino a far penetrare la punta, nel primo caso, o lo spigolo nel secondo,
direttamente nelle carni, squassando in modo spesso permanente, gli
organi
genitali. Quasi sempre poi venivano aggiunti dei pesi alle caviglie e
sistemati scrupolosamente dei braceri o delle fiaccole accese sotto ai
piedi. La terza versione è una delle più rivoltanti e vergognose torture
concepite dalla mente umana. Veniva attuata per mezzo di un palo aguzzo
inserito nel retto della presunta strega, forzato a passare lungo il
corpo
per fuoriuscire dalla testa o dalla gola. Il palo era poi invertito e
piantato nel terreno, così, queste miserabili vittime, quando non
avevano la
fortuna di morire subito, soffrivano per alcuni giorni prima di spirare.
Tutto ciò veniva fatto ed esposto pubblicamente.
La Strappata
Una delle più comuni e anche una delle tecniche più facili. L’accusato
veniva legato a una fune e issato su una sorta di carrucola. L’esecutore
faceva il resto tirando e lasciando di colpo la corda e slogando,
così, le
articolazioni.
Lo Squassamento
Era una forma di tortura usata insieme alla ’strappata’. L’accusato qui
veniva sempre issato sulla carrucola, ma con dei pesi legati al suo
corpo
che andavano dai 25 ai 250 chili. Le conseguenze erano gravissime.
La Culla Della Strega
Questa era una tortura a cui venivano sottoposte solamente le
streghe. La
strega veniva chiusa in un sacco poi legato a un ramo e veniva fatta
continuamente oscillare. Apparentemente non sembra una tortura ma il
dondolìo causava profondo disorientamento e aiutava a indurre a
confessare.
Vari soggetti hanno anche sofferto durante questa tortura di profonde
allucinazioni. Ciò sicuramente ha contribuito a colorire le loro
confessioni.
TenagliaMastectomia
Alcune torture erano elaborate non solo per infliggere dolore fisico ma
anche per sconvolgere la mente delle vittime. La mastectomia era una di
queste: la carne delle donne era lacerata per mezzo di tenaglie, a volte
arroventate. Uno dei più famosi casi che si conosca in cui fu usata
questa
tortura era quello di Anna Pappenheimer. Dopo essere già stata
torturata con
lo strappado, fu spogliata, i suoi seni furono strappati e, davanti
ai suoi
occhi, furono spinti a forza nelle bocche dei suoi figli adulti…
Questa
vergogna era più di una tortura fisica; l’esecuzione faceva una
parodia sul
ruolo di madre e nutrice della donna, imponendole un’estrema
umiliazione.
Annodamento
Questa era una tortura specifica per le donne. Si attorcigliavano
strettamente i capelli delle streghe a un bastone. Quando
l’inquisitore non
riusciva ad ottenere una testimonianza si serviva di questa tortura;
robusti
uomini ruotavano l’attrezzo in modo veloce provocando un enorme
dolore e in
alcuni casi arrivando a togliere lo scalpo e lasciando il cranio
scoperto.
La Garrotta
Non è altro che un palo con un anello in ferro collegato. Alla vittima,
seduta o in piedi, veniva fissato questo collare che veniva stretto
poi per
mezzo di viti o di una fune. Spesso si rompevano le ossa della colonna
vertebrale.
Il Forno
Questa barbara sentenza era eseguita in Nord Europa e assomiglia ai
forni
crematori dei nazisti. La differenza era che nei campi di
concentramento le
vittime erano uccise prima di essere cremate (Ma non sempre).
Il TronoIl Supplizio Del Trono
Questo attrezzo consisteva in una specie di seggiola gogna,
sarcasticamente
definita “trono”. L’imputata veniva posta in posizione capovolta, con i
piedi bloccati nei ceppi di legno. Era questa una delle torture
preferite da
quei giudici che intendevano attenersi alla legge. Difatti la
legislazione
che regolamentava l’uso della tortura, prevedeva che si potesse
effettuare
una sola seduta, durante l’interrogatorio della sospetta. Malgrado
ciò, la
maggioranza degli inquisitori ovviava a questa normativa, definendo le
successive applicazioni di tortura, come semplici continuazioni della
prima.
L’uso di questo strumento invece, permetteva di dichiarare una sola
effettiva seduta, sorvolando sul fatto che questa fosse magari durata
dieci
giorni. Il “trono”, non lasciando segni permanenti sul corpo della
vittima,
si prestava particolarmente ad un uso prolungato. E’ da notare che,
talvolta, unicamente a questo supplizio, venivano effettuate, sulla
presunta
strega, anche le torture dell’acqua o dei ferri roventi.
La Pressa
Anche conosciuta come pena forte et dura, era una sentenza di morte.
Adottata come misura giudiziaria durante il quattordicesimo secolo,
raggiunse il suo apice durante il regno di Enrico IV. In Bretagna venne
abolita nel 1772.
La Cremagliera
Era un modo semplice e popolare per estorcere confessioni. La vittima
veniva
legata su una tavola, caviglie e polsi. Rulli erano passati sopra la
tavola
(E in modo preciso sul corpo) fino a slogare tutte le articolazioni.
La Pera
La Pera era un terribile strumento che veniva impiegato il più delle
volte
per via orale. La pera era usata anche nel retto e nella vagina. Questo
strumento era aperto con un giro di vite da un minimo, a un massimo
dei suoi
segmenti. L’interno della cavità in questione era orrendamente
mutilato e
spesso mortalmente. I rebbi costruiti alla fine dei segmenti servivano
meglio per strappare e lacerare la gola o gli intestini. Quando
applicato
alla vagina i chiodi dilaniavano la cervice della povera donna.
Questa era
una pena riservata a quelle donne che intrattenevano rapporti
sessuali col
Maligno o i suoi familiari.
La sedia delle streghe
La sedia inquisitoria, comunemente detta sedia delle streghe, era un
rimedio
molto apprezzato per l’ostinato silenzio di talune indiziate di
stregoneria.
Tale attrezzo, pur universalmente diffuso, fu particolarmente sfruttato
dagli inquisitori austriaci. La sedia era di varie dimensioni,
diverse forge
e fantasiose varianti; tutte comunque chiodate, fornite di manette o
blocchi
per immobilizzare la vittima ed, in svariati casi, aveva il pianale di
seduta in ferro, così da poterlo arroventare. Vengono riportate
notizie di
processi dai quale risulta come l’uso di questo strumento potesse venir
prolungato, sino a trasformarsi in vera e propria pena capitale.
La Ruota
In Francia e Germania la ruota era popolare come pena capitale. Era
simile
alla crocifissione. Alle presunte streghe ed eretici venivano
spezzati gli
arti e il corpo veniva sistemato tra i raggi della ruota che veniva poi
fissata su un palo. L’agonia era lunghissima e poteva anche durare dei
giorni.
Tormentum Insominae
Consisteva nel privare le streghe del sonno. La vittima, legata, era
costretta a immersioni nei fossati anche durante tutta la notte per
evitare
che si addormentasse.
Ordalia Del Fuoco
Prima di iniziare l’ordalìa del fuoco tutte le persone coinvolte
dovevano
prendere parte a un rito religioso. Questo rito durava tre giorni e gli
accusati dovevano sopportare benedizioni, esorcismi, preghiere,
digiuni e
dovevano prendere i sacramenti. Dopodiché si veniva sottoposti
all’ordalìa:
gli accusati dovevano trasportare un pezzo di ferro rovente per una
certa
distanza. Il peso di questo peso era variabile: si andava da un
minimo di
circa mezzo chilo per reati minori, fino a un chilo e mezzo. Un altro
tipo
di ordalìa del fuoco consisteva nel camminare bendati e nudi sopra i
carboni
ardenti. Le ferite venivano coperte e dopo tre giorni una giuria
controllava
se l’accusato era colpevole o innocente. Se le ferite non erano
rimarginate
l’accusato era colpevole, altrimenti era considerato innocente. Si
poteva
aver salva la vita, però, corrompendo i clerici che dovevano
officiare la
prova: si poteva fare in modo che ferro e carboni avessero una
temperatura
sufficientemente tollerabile.
Ordalia Dell’Acqua
In questo tipo di ordalìa l’acqua simboleggia il diluvio dell’Antico
Testamento. Come il diluvio spazzò via i peccati anche l’acqua
‘pulirà’ la
strega. Dopo tre giorni di penitenze l’accusata doveva immergere le
mani in
acqua bollente, alla profondità dei polsi. Spesso erano costrette a
immergerle fino ai gomiti. Si aspettava poi tre giorni per valutare
le colpe
dell’accusata (Come per l’ordalìa del fuoco). Veniva messa in pratica
anche
un’ordalìa dell’acqua fredda. Alla strega venivano legate le mani con i
piedi con una fune, in modo tale che la posizione non fosse certo
propizia
per rimanere a galla. Dopodiché veniva immersa in acqua; se
galleggiava era
sicuramente una strega in quanto l’acqua ‘rifiutava’ una creatura
demoniaca,
se andava a fondo era innocente ma difficilmente sarebbe stata
salvata in
tempo.
———–
(http://www.fisicamente.net/
*********
http://web.tiscali.it/alahome/
http://web.tiscali.it/alahome/
*********
ERESIE MEDIEVALI
Cronologia
La cronologia qui riportata non è esaustiva, ma mostra alcuni degli eventi che segnarono la storia ereticale tra XII e XIII secolo.
ANNO
EVENTO
1028
Eretici catturati a Monforte d’Alba e messi al rogo a Milano
1116
Il monaco Enrico predica a Le Mans
1134
Il monaco Enrico a Pisa abiura ogni sua “eresia”
Cattura del monaco Enrico
1140-1150
L’eresia catara si diffonde in Occidente
1143
Lettere di Evervino di Steinfeld (http://digilander.libero.it/
1145
Bernardo di Chiaravalle a Tolosa
Bernardo di Chiaravalle predica contro il catarismo ad Albi
Arnaldo da Brescia pellegrino a Roma
Seconda cattura del monaco Enrico
1148
Concilio di Reims: condanna degli eretici di Guascogna e Provenza
1152-1156
Eckberto di Schonau usa nel suo trattato il termine “catari”
1155
Arnaldo da Brescia espulso da Roma
Rogo di Arnaldo da Brescia
1167-1175
Assemblea dei Catari a Saint Felix de Caraman
1174 ca.
Inizio della predicazione di Valdesio
1177
Lettera di Raimondo V, conte di Tolosa, sul pericolo eretico
1179
De Nugis Curialium di Walter Map
Valdesio a Roma
1180
Professione di fede (http://digilander.libero.it/
1182
Valdesi scomunicati e cacciati dalla città di Lione
1184
Ad Abolendam (http://digilander.libero.it/
1185 ca.
Predicazione del piacentino Ugo Speroni
1186
Urbano III rinnova agli Umiliati di San Pietro di Viboldone la protezione papale
1194
Alfonso re di Aragona e conte di Provenza espelle i Valdesi dalle sue terre
1197
Pietro II re di Aragona e conte di Provenza espelle i Valdesi dalle sue terre
fine 1198- inizio 1199
2 rappresentanti degli Umiliati vanno alla curia romana per cercare di far inserire il movimento nella Chiesa romana
1199
Vergentis in senium: Innocenzo III equipara l’eresia al delitto di lesa maestà
1201
Reintegro degli Umiliati nell’ortodossia
1204
Concilio cataro di Mirepoix
1205-1207 (?)
Morte di Valdesio
1205
Scisma interno dei Valdesi
1206
predicazione di San Domenico in Linguadoca
1208
Pietro di Castelnau, legato papale, viene assassinato
1209
Inizio Crociata contro gli Albigesi
1210
Bernardo Prim dà vita ai Poveri Riconciliati (Valdesi tornati all’ortodossia)
1211
Raimondo VI, conte di Tolosa, scomunicato perché troppo “morbido” con gli eretici
1215
IV Concilio Lateranense
Canone “Excommunicavimus”
1216
Elogio degli Umiliati da parte di Iacopo di Vitry
1218
I Valdesi si incontrano a Bergamo per ritrovare l’unità del movimento
Morte di Simone di Monfort, capo dei crociati contro gli albigesi
1226
Concilio cataro di Pieusse
1226-1229
Crociata di re Luigi VIII per sottomettere il sud della Francia
1229
Sconfitta di Raimondo VII, conte di Tolosa, contro Luigi VIII
Pace di Parigi
1231-1233
Gregorio IX istituisce il tribunale dell’Inquisizione
1235
Liber supra Stella di Salvo Burci
1242
Due inquisitori sono uccisi a Avignone
1244
Presa di Montsegur
1250
Summa de Catharis et Leonistis (http://digilander.libero.it/
1252
Decretale Ad extirpanda (Innocenzo IV)
1254
Bolla Cum super inquisitione (Innocenzo IV)
1260
Ghererdo Segarelli dà il via al movimento apostolico nel parmense
1269
Obizzo Sanvitali, vescovo di Parma, raccomanda alla carità dei fedeli le sorores apostolorum
1270-1272
Trattato contro i Valdesi di Davide d’Asburgo (Yvonet)
1274
Canone Religionum diversitatem nimiam
1278
Bruciati a Verona circa 200 eretici
1286
Olim felicis recordationis (Onorio IV). Decretato lo scioglimento degli Apostolici
Gherardo Segarelli imprigionato per la prima volta
1290
Il comune di Bologna concede contributi in denaro a ordo Apostolorum
1294
Segarelli accusato di eresia e nuovamente imprigionato
A Parma 4 eretici messi al rogo (Apostolici di Segarelli)
18 luglio 1300
Condanna al rogo di Segarelli
1300
Prima lettera di Dolcino da Novara ai fedeli apostolici
1303
Seconda lettera di Dolcino da Novara
1305
Clemente V indice una crociata contro Dolcino da Novara e i suoi discepoli
1306
Dolcino da Novara nel biellese
Terza lettera di Dolcino da Novara
1 giugno 1307
Rogo di Dolcino da Novara, Margherita da Trento e Longino Cattaneo da Bergamo
1308-1309
Acta Inquisitionis Carcassonensis contra Albigenses
1316
Historia fratris Dulcini heresiarche di Bernardo Gui
1317
Giovanni XXII condanna i francescani “spirituali” (fraticelli)
1318-1325
Inchiesta di Jacque Fournier
1321
Rogo del perfetto Belibasta
1323
Manuale dell’Inquisizione di Bernardo Gui
———–
(http://digilander.libero.it/
**********
di Gabriele Zanella (http://www.medievale.it/
L’inquisizione medievale, tra ideologia e metodologia
Approfondimento su ideologia e metodologia dell’inquisizione romana medievale, dagli atti del seminario internazionale Montereale Valcellina: L’Inquisizione romana: metodologia delle fonti e storia istituzionale. Università di Trieste
Il documento è tratto da: Sito web del Prof. Zanella. Pubblicato su Inquisizione e società. Quaderni (http://www.gabrielezanella.
La rappresentazione dell’eresia
«L’antichiesa nella pluralità delle articolazioni, con propri ordini, liste episcopali e sacramenti, seppure talvolta nella precarietà istituzionale, non è riconducibile a una formula retorica drammatizzata dalla controversistica cattolica né a una artefatta immagine propagandistica» [1]. Così Lorenzo Paolini, nella presentazione della pubblicazione della tesi di laurea di una sua allieva, riafferma la posizione, di lunga data, dell’immagine consolidata dell’Eresia come struttura alternativa a quella cattolica, con una divisione in diocesi, gerarchie episcopali e di ordini minori, forme di culto, il tutto evidentemente costruito sul modello della chiesa tradizionale. Sembrerebbe dunque che dalla metà del secolo la storiografia non abbia fatto grandi passi in avanti. La biblioteca eresiologica di cui disponiamo oggi, pur amplissima, allora, avrebbe consentito solo di accertare quanto già assodato dal Dondaine grosso modo alla metà del nostro secolo, e sintetizzato nel 1971 dal Manselli: «Il nostro sforzo, con l’Eresia del male, era stato soprattutto quello di inserire il più organicamente e coerentemente possibile il fenomeno dell’Eresia dualistica, dell’”Eresia del male” nel suo contesto politico, sociale ed economico, mostrando in particolare come esso tendesse a porsi come un’antichiesa, su di un terreno perciò religioso» [2].
Ma è realmente questo, tanto modesto, lo stato del progresso storiografico? Ho già negato altrove, in più occasioni, la sostenibilità di questa posizione nell’ambito proprio, per dir così dal punto di vista degli eretici; vediamo in questa occasione, di affrontare la questione dall’altra parte. Cominciamo, dunque, col fissare gli occhi su quello che era effettivamente il punto di vista dell’Inquisizione.
Se scorriamo i nomi delle auctoritates in tema di Eresia, invocati concordemente dai manuali in uso negli ambienti inquisitoriali, per definire eresie ed eretici, fino ad Eimerico, vale a dire a tutto il Trecento – è notorio -, incontriamo solamente passi di Agostino, Girolamo, Isidoro di Siviglia, per tutti i quali, naturalmente – va detto subito con chiarezza -, l’idea di un’antichiesa non si prospettava neppure come ipotizzabile. Ma, si potrebbe obiettare, pur non mutato lo strumentario, la realtà era in ogni caso diversa, e lo strumentario era stato adattato ai tempi nuovi. Se così fosse, si dovrebbe effettivamente comunque poter individuare la consapevolezza di uno scarto fra le definizioni fornite dai padri antichi e l’atteggiarsi riconosciuto dei nuovi eterodossi, e lo scarto sarebbe giusto rappresentato dalla nuova organizzazione dell’antichiesa ereticale, con i suoi ministri, i suoi culti, le circoscrizioni giurisdizionali, lo strutturarsi in dottrine, il tutto “alternativo”. Il fatto è che, concordemente, coloro che sostengono l’idea dell’antichiesa, parlano di mimetismo nei confronti della chiesa cattolica, con il nuovo rappresentato esclusivamente da una drastica riduzione, ad ogni livello, gerarchico, rituale e dottrinale (manca comunque l’idea, neppure lontana, di un antipapa!, l’idea cioè della proposizione di una compatta e centralistica struttura “altra”, per cui, a rigore, si dovrebbe dire di “antichiese”, e non di una sola, il che, ci sembra, mette in crisi la nozione stessa di antichiesa). Un “nuovo”, dunque, esemplato sul “vecchio”, e perciò stesso nient’affatto nuovo?!
perché, se lasciamo per un attimo l’ottica inquisitoriale, in effetti, gli eretici, tutti, di ogni immaginata variante dottrinale, protestano di sentirsi veri “cristiani”, buoni cristiani, anzi i soli veri seguaci di Cristo, contro le deviazioni della Chiesa storica, e questo riconoscono senza difficoltà gli inquisitori [3]. O invece bisogna ammettere – come si sostiene -, che, almeno i catari, in realtà – ma bisognerebbe ammettere allora simultaneamente, in maniera inconsapevole – sono un gruppo di fedeli sostanzialmente estranei al cristianesimo? Bisogna ammettere che la chiesa catara «è completamente terrena, perché si ritrova ad avere referenti esclusivamente umani, a differenza di quella cattolica, come di quella valdese» [4], visto che manifesta una cristologia evanescente? Ma, ammettendolo, come possiamo passare sotto silenzio il continuo richiamo degli eretici a passi evangelici [5], il saluto rituale che invoca reciprocamente la benedizione dei boni christiani, la contestazione degli uomini di chiesa proprio perché non fanno quel che predicano, aspetti di nuovo sottolineati dalla pratica inquisitoriale [6]? Se i catari negano la realtà della passione, perché inconcepibilmente avvilente per un dio, e considerano Cristo un angelo – posizione del resto non univoca e monolitica – ciò non significa che Cristo non sia comunque al centro della vita cristiana, appunto.
Accantoniamo, per ora, la ulteriore e centrale difficoltà posta dalla contestazione di un sistema che si genera all’interno di quel sistema – inconcepibile altrove, ad esempio in ambito tecnico-scientifico -, e sforziamoci di guardare pur sempre con gli occhi dell’inquisitore. Quell’anti-società religiosa, così profondamente strutturata, così sostanzialmente alternativa, tale da coinvolgere ogni manifestazione esterna di fede, non può procedere altro che da ambienti fortemente acculturati ed avvezzi alle più fini interpretazioni teologiche, oltre che dagli strumenti normali della retorica e della dialettica. Di nuovo siamo in difficoltà, perché invece l’Eresia basso medievale, giusto quella che si trova di fronte l’Inquisizione, è frutto di non-dotti, com’è ugualmente notorio [7]. Come stabilire tranquillamente come ovvia l’equazione alternativa religiosa=alternativa istituzionale [8], quando proprio l’inconsistenza culturale ed istituzionale è la ragione principe del dissolversi dell’Eresia?
Se poi dobbiamo distinguere nettamente valdesi e catari, perché i primi, pur condividendo le finalità della chiesa cattolica, perseguono «mezzi» diversi [9], ne consegue primariamente che l’ecclesiologia valdese è identica a quella cattolica, tranne che nella concezione del diritto/dovere della predicazione – e quindi l’”antichiesa” è solo quella catara -, e, secondariamente, dovremmo spiegare come mai l’Inquisizione, sulla scorta delle condanne papali, imperiali e comunali, consideri valdesi e catari, e tutti gli altri “eretici”!, alla stessa stregua, con una cecità assoluta ed inspiegabile. Dobbiamo concludere che gli inquisitori non capiscono nulla di coloro che si trovano a dover giudicare? Se la proposta valdese discende unicamente dal bisogno di uniformarsi alla necessità di «perseguire un fine superiore, che andava ben oltre l’obbedienza all’autorità ecclesiastica» [10], come mai l’inquisitore non sente l’obbligo di rispondere a tono su questo punto specifico? Non capisce? Mente (ma a chi?), mistifica? Tutto ciò discende dalla volontà dei laici di contare nella vita ecclesiale [11]? La contrapposizione è tra conservazione dei privilegi degli ecclesiastici e rivendicazione del diritto universale di praticare la fede dei laici-eretici, con una semplificazione brutale, tra latino e volgare [12]? Ma nient’affatto! La contrapposizione in termini di potere è evidentemente un abbaglio, anche e soprattutto metodologico. Quando mai viene contestato il potere della Chiesa, di proibire, di costringere, di indirizzare, se non là dove limitatamente si rivolge esplicitamente contro l’Eresia? E perché poi quella contrapposizione si sarebbe circoscritta alla sfera religiosa, e non mai – su questo è accordo generale fra gli studiosi – nei confronti di ogni potere? Il latino è la lingua del potere tout court, non solo di quello ecclesiastico. O dobbiamo tornare al Volpe, magari aggiornato dal Molnár, nel vedere in ogni movimento religioso una contestazione sociale? Ma via…
Il punto è, ancora una volta, che ogni interpretazione discende dall’interpretazione delle fonti (o è viceversa? Ideologia che si fa euristica, o metodologia che si fa interpretazione?).
Consideriamo la divisione in chiese dei catari in Italia. Noi sappiamo di cinque o sei gruppi (Concorrezzo, Desenzano, Bagnolo, Marca Trevigiana, Toscana e Valle Spoletina) dal De heresi catharorum (1210 ca.), da Raniero Sacconi (1250), Anselmo d’Alessandria (1270 ca.). Nessun’altra documentazione in merito prima di loro, ma neppure dopo di loro. Anselmo e Raniero furono per certo frequentatori abituali del mondo inquisitoriale; eppure se noi sfogliamo le pagine dei manuali, che riprendono, riassumono e rassodano le acquisizioni dell’officio in merito alla tipologia ereticale, constatiamo che le cinque-sei “chiese” catare sono scomparse senza lasciare alcuna traccia. Dov’è finito quel catarismo così segnato da «una strutturazione istituzionale per chiese, diocesi e diaconie… “antichiesa” alternativa a quella romana» [13]? Evidentemente quella cifra, tanto enfatizzata dallo studioso moderno, è inconsistente per l’inquisitore contemporaneo. Anche in seguito, naturalmente: niente del genere ricorda nel 1376 Eimerico, e perfino il Peña nel 1578, in margine all’elenco degli eretici antichi e recenti, può scrivere: «Non ci sono oggi nuove eresie, bensì una rimessa a nuovo di vecchie eresie» [14]. Intendiamoci: non voglio sostenere che quei gruppi “non esistessero”, solo voglio rilevare che l’intenzione di fondo delle due tipologie di fonti è profondamente diversa. I trattatisti intendono ricostruire storicamente gli sviluppi ereticali, identificando gruppi relativamente omogenei per dottrina e rituale, mentre i manuali hanno la preoccupazione di fornire ai combattenti contro gli eretici strumenti e procedura più adatta ad identificare l’Eresia, comunque si presenti, sul piano di principio, vorrei dire. Ma la conclusione più rilevante è che il manuale non prepara e sostiene gli inquisitori ad una lotta contro una “antichiesa”, una contro-istituzione, ma semplicemente contro gli errori, dottrinari e comportamentali, degli individui. Non è certo, per i fini che ci proponiamo, una distinzione di poco momento. L’istituzione preposta a contrastare l’Eresia non pensa se stessa come opposta ad un’istituzione, ma solo agli eretici, quocumque nomine censeantur, indifferentemente da come si presentano, perché come si presentano ha scarso interesse. L’Eresia è tale perché in contrasto con i principi della dottrina e della morale stabiliti dal magistero ecclesiastico, non perché realizza un’antichiesa. E non si dica, all’opposto, e del tutto anacronisticamente, che è in sostanza rifiuto della mediazione ecclesiastica, perché allora dovrebbe essere parallelamente e coerentemente anche rifiuto della mediazione ereticale, e realizzazione di una cristianesimo tutto individuale: irriscontrabile e quindi inconcepibile.
Ma, oltre queste precisazioni, il discorso ha rilievo molto maggiore se guardiamo allo scontro con l’Eresia come momento di un lungo processo di modificazione e sviluppo dell’idea stessa di una società cristiana, delle sue istituzioni, degli strumenti che consentono di raggiungere la salvezza. Lo scoppio ereticale del basso Medioevo, e la conseguente nascita dell’Inquisizione con tutto il suo apparato concettuale, giuridico, teologico, e pratico, segnano un momento centrale di quell’evoluzione. Dall’idea di una Christianitas che pare esaurirsi nel suo apparato normativo (basti pensare alla raccolta di canoni di Bonizone, che significativamente porta il titolo De vita christiana, ad indicare che la pienezza e legittimità di una vita christiana è misurata dall’aderenza alla norma ecclesiastica), alla crisi di quella concezione, che raggiunge il suo culmine e simultaneamente il momento di maggiore tensione nel secolo XI, al manifestarsi di possibilità diverse, quando non eterogenee, per ottenere la felicità ultima nel regno divino, e, contemporaneamente, all’impossibilità di un riconoscimento della plausibilità di quelle forme “non-previste”, almeno per il Medioevo [15]. La lotta tra Inquisizione ed eretici allora si presenta come scontro tra autoconservazione (dell’istituzione) ed istanze di appropriazione dei modi per il raggiungimento del fine ultimo (individuali, o di piccoli gruppi, in ogni caso paralleli, non come altra e nuova istituzione sostitutiva di quella esistente).
Le motivazioni dell’eresia secondo l’inquisizione
Ciò stabilito vediamo le ragioni per le quali, sempre dalla specola dell’inquisitore, si cade nell’Eresia. L’eretico è colui che intende male la Scrittura, come dice Girolamo, per una qualche sua utilità personale, come dice Agostino [16]. L’inquisitore deve appurare se le affermazioni eretiche siano veramente credute da chi le fa, o no, perché l’Eresia propriamente sta là dove si sceglie consapevolmente e liberamente, non strumentalmente, come fece, ad esempio, a suo tempo Dolcino [17]. La pertinacia e la gradualità dell’adesione all’errore sono qualificazioni ulteriori, su cui insiste, tra gli altri, Tommaso, ma tutto sommato, rilevanti solo al fine della punizione da infliggere. Tutto il resto è casistica e procedura.
Per quanto si ricerchi, nei manuali, nei trattati, nelle costituzioni pontificie ed imperiali, negli atti stessi dell’Inquisizione, altro non si trova. La domanda sul perché di queste nuove eresie non è dunque pertinente. Ed infatti il rimando costante è alle vecchie, ben note eresie dei primi secoli della vita della Chiesa, i catari sono i nuovi manichei, e così via. Quello che a noi sta più a cuore, da quali necessità ed esigenze è dettata la scelta alternativa di questi eretici, non appare propria dei contemporanei. Come la verità rivelata è data ed immutabile, così le manifestazioni ereticali si ripetono in forme più o meno analoghe.
Se noi immaginiamo oggi, con una prospettiva indubbiamente più ampia di quanto non potessero e sapessero fare i contemporanei, ragioni sociali, politiche, di vita quotidiana, esistenziali, di singoli e di gruppi, all’origine di quei turbamenti circa i modi di perseguire la salvezza, dobbiamo operare uno scarto marcato con la coscienza del fenomeno che ebbero gli uomini del basso Medioevo. Il perché di certe novità nella vita dei fedeli sta per loro nell’azione insondabile della provvidenza divina, che tutto conduce al fine senza rivelare le ragioni del suo operato. perché Francesco d’Assisi? perché Valdo? perché la religiosità popolare ed i santi laici? perché i catari? Rimane insondabile all’uomo.
Ma ciò non significa, naturalmente, che noi non dobbiamo porci quelle domande, ansiosi come siamo di conoscere, oggi, le interagenze fra atteggiarsi di una certa civiltà ed azioni e convinzioni degli uomini che si trovano a viverci. Certo la complessità dell’esistenza, passata e presente, ci porterà volta a volta a privilegiare un aspetto piuttosto che un altro, e la storia degli storici non è mai identica. Rimane la difficoltà di applicazione di criteri interpretativi che sono assolutamente estranei alla coscienza del tempo che sottoponiamo ad analisi, e non possiamo concludere altro che occorre comunque copnsapevolezza piena che la nostra ricostruzione delle linee guida del fenomeno ereticale, e dell’Inquisizione nella fattispecie, si può solo giustapporre a quella dei contemporanei, mai coincidere, perché “altro” è il nostro piano, altre le nostre necessità di ordine concettuale. Ci facciamo quelle domande perché la risposta interessa a noi oggi, per guidare il nostro giudizio oggi, e non ha alcun senso pretendere che il Medioevo rispondesse per conto suo a domande che non si sognava neppure di farsi.
L’accertamento
Limitiamoci, per ora, a prendere in esame la normale prassi inquisitoriale. Per quel che concerne le modalità per l’accertamento della colpa esse ci sono oramai ben note. Ancora in discussione rimane tra gli studiosi il giudizio circa l’oggettività del metodo adoperato e la liceità delle conclusioni dell’indagine condotta dagli inquirenti. Per quanto l’inquisitore si serva delle costituzioni, papali ed imperiali, in tema di Eresia, del parere di esperti del diritto, romano e canonistico, di formulari, in generale dei modelli forniti dai manuali, rimane pur sempre un ampio margine di discrezionalità, dettato dall’inevitabile singolarità dei casi, delle persone interessate, dell’ambiente sociale e politico. Ma bisogna riflettere su di un fattodi per sé ovvio, che il processo è sempre innescato dall’esterno, da una denuncia, da voci pervenute all’inquisitore, ed inevitabilmente dimensionato su misura. L’inquisitore non interroga chiunque, ma solo chi è caduto in qualche modo in sospetto. Non appare scontato in partenza, ma è invece assolutamente certo che le domande, in maniera quasi generalizzata, non riguardano pensieri ed affermazioni dottrinali, ma pressocché esclusivamente tendono ad accertare la frequentazione del mondo ereticale, vale a dire il verificarsi di rapporti, conversazioni, colloqui, contiguità le più varie con persone, altrove già giudicate eretiche. Gli atti di un processo si assomigliano tutti in modo impressionante, finiscono col ridursi ad un elenco di persone, sospette o manifestamente eretiche, con le quali l’inquisito ha avuto a che fare.
Insegna Bernard Gui:
Innanzitutto si chieda all’individuo da esaminare se in qualche luogo abbia visto o conosciuto uno o più eretici, sapendo o sospettando che fossero tali oppure definiti o reputati tali, e dove li vide e quante volte e con chi e quando [18].
La necessità di sostanziare la convinzione circa una dottrina è in partenza assolutamente ignorata, per quanto ciò possa sembrare stupefacente. Mostra all’evidenza che la stessa concezione di Eresia dell’inquisitore considera la precisazione dottrinale di scarso rilievo, e comunque ulteriore; è invece il modo di porsi, più o meno irriducibilmente, nei confronti dell’apparato cattolico a generare Eresia, la volontà di intrecciare un rapporto con chi è stato definito eretico, già volontà dunque di sfuggire alla norma stabilita dagli ecclesiastici. L’ultimo interrogativo del processo è se tutto ciò che è stato detto prima è provato o no, con una preoccupazione di ordine meramente formale che riguarda esclusivamente la prassi giuridica.
Eppure anche nella procedura estremamente lineare e semplificata si nasconde un’oggettiva impossibilità di giudicare al di fuori di una convinzione personale, perché, se è vero che l’inquisitore mira ad evidenziare comportamenti indice di una Eresia, una serie di altri comportamenti del tutto nella norma cattolica gli vengono opposti, e l’inquisitore alla fine deve far prevalere gli uni sugli altri. Viene chiesto a Marco Gallo nel 1269 se sia stato presente ad una qualche predicazione di eretici, se ha mangiato e bevuto con loro, se ha mai mostrato di apprezzare la fede ereticale e deprecato la cattolica, se sa dove sono ubicati i beni degli eretici o conosce qualcuno che ne detiene l’uso. Marco nega, ma l’inquisitore, in una indagine di vent’anni successiva sostiene che allora mentiva. A quel punto i parenti – Marco è già defunto – «per testes legittime probaverunt» che aveva avuto moglie, e con lei era rimasto fino alla fine dei suoi giorni «secundum mos ecclesie Romane», da lei aveva avuto figli e figlie, aveva frequentato persone stimate, in punto di morte aveva ricevuto i sacramenti. A comportamento si oppone comportamento. Marco è un simulatore? L’inquisitore non nega la veridicità della difesa di Marco, ma decide per la condanna [19]. L’aver «mangiato è bevuto con eretici» gli pare colpa più grave, chiaro segno di adesione all’Eresia, più perspicua dell’aver avuto figli con una moglie legittima, negazione evidente della dottrina-pratica catara di astensione dalle pratiche sessuali di cui i trattatisti parlavano. Si badi ancora che non risulta nulla circa le convinzioni in materia di fede eterodossa, mentre per converso la pratica ortodossa, la frequentazione dei sacramenti cattolici, ugualmente inconciliabile con la dottrina catara ben nota a tutti, dovrebbe orientare il giudizio in senso favorevole all’imputato.
Invece chi ha edito l’atto è certo dell’Eresia di Marco [20]. Ciò è possibile solamente se si accetta, senza ulteriori precisazioni, la definizione che di eretico dava a suo tempo il Morghen: «eretico è colui che è condannato per Eresia» [21], ma è chiaro che ciò, oltre a falsare l’idea complessiva del fatto ereticale, preclude, per quel che c’interessa qui, ogni possibilità di indagine sui modi di ricezione, da parte dell’Inquisizione, delle forme eterodosse; si è obbligati a seguire la logica inquisitoriale, non la si sottopone a vaglio critico. Data per buona l’interpretazione dell’inquisitore come rispondente al vero, siamo obbligati a catalogare Marco tra gli eretici, con tutto quel che ne consegue (osservazioni sull’ambiente da cui proviene e che frequenta, valutazione del peso delle sue simpatie politiche, ad esempio, e così via), e l’azione dell’inquisitore come corretta, non frutto di fraintendimento o alterata da preoccupazioni di tutt’altra natura rispetto a quella propria dell’officio. Conclusioni comunque non sicure, che estendono il possibile fraintendimento dell’Inquisizione allo studioso moderno, che rifà la storia senza chiarire nulla, ripetendo, con osservazioni più o meno intelligenti, l’antico punto di vista. Ma come possiamo dimenticare che ben più di un sospetto che la buona fede dell’officio fosse in discussione ebbero perfino i pontefici, che ingiunsero agli inquisitori di smetterla col perseguitare gli antichi sostenitori di Ezzelino da Romano, e che avviarono una colossale indagine – probabilmente mai giunta a termine in maniera completa e soddisfacente – sulle malversazioni dei frati inquisitori, francescani e domenicani alla pari, acclarati procacciatori dei beni degli “eretici” per sé, i confratelli, amici e parenti? [22]
Occorre invece la massima prudenza: bisogna indagare a fondo, caso per caso, al fine di distinguere il più chiaramente possibile le vittime dell’Inquisizione dalle vittime della politica, riconoscere quando veramente si tratta di Eresia e quando di altro sotto la specie dell’Eresia, rimandando sempre oltre la conclusione generalizzatrice.
Le finalità
Lo scopo per cui è creata l’Inquisizione è, naturalmente, quello di individuare ed estirpare l’Eresia. A quel fine è necessario intervenire sul singolo e sui gruppi, con grand’enfasi, sì da condizionare l’opinione corrente. A sua volta anche l’azione sui singoli si muove su due piani: il convincimento personale e la manifestazione pubblica del pentimento o comunque della punizione. Ed ancora duplice è l’azione dell’officio della fede in due momenti distinti ma intimamente connessi: la prima, in negativo, volta a cancellare il peccato, la seconda, in positivo, a reinserire il reprobo nell’azione, personale e comunitaria, della salvezza.
Le finalità: La repressione
Per quel che riguarda la prima, non si considera con l’importanza dovuta il fatto che noi possediamo documentazione ingente circa l’attività repressiva dell’officio sul piano economico, addirittura molto più abbondante dei processi. Gli atti dell’Inquisizione vicentina pubblicati dalla Lomastro consistono nella stragrande maggioranza nella vendita di beni confiscati a condannati per Eresia (15 su 17 documenti) [23], e la documentazione pervenutaci sull’inchiesta papale sull’operato degli inquisitori nella seconda metà del Duecento è composta quasi esclusivamente dai registri delle entrate-uscite dei soggetti sottoposti all’indagine [24]. In effetti, l’aspetto più appariscente dell’azione repressiva non sta tanto nelle pene corporali inflitte ai condannati, quanto piuttosto nelle multe comminate e nella confisca dei beni, che colpisce anche i parenti e gli eredi. Su questo piano l’azione punitiva risulta massiccia e tremendamente efficace. Non solo gli eretici sono isolati, infamati, quanto privati delle possibilità di continuare a vivere con i beni a loro disposizione. Attorno a loro veramente l’Inquisizione fa terra bruciata, ed in particolare ammonisce per il futuro. Ma che significa colpire gli eretici in maniera del tutto particolare nei loro possessi se non consapevolezza che proprio la proprietà di quei beni, in molti casi ingente, rende possibile o addirittura favorisce l’Eresia? Non si tratta della mera conseguenza di un atto giuridico di condanna, visto che multe e confische non sono di entità fissa, ma relative alla ricchezza complessiva. Non una parte dei beni è venduta, ma ogni bene. Ben si comprende la resistenza degli eredi, del resto incolpevoli sul piano oggettivo, ma rimane la constatazione che secondo la visione inquisitoriale il male ereticale costituisce un vulnus per la società totale, non limitato al danno spirituale, di disgregazione di una convivenza integrale, per cui il pericolo ereticale va soppresso nelle idee, nelle azioni e nelle sue stesse ragioni materiali. L’eretico non è più un vitandus, ma uno che va costretto nella sua persona e nel suo stesso significato economico e sociale, a rientrare nei ranghi: compelle intrare [25].
Ancora è da mettere l’accento su di un altro aspetto, poco tenuto presente.
«Non est disputandum cum hereticis maxime in officio inquisitionis», recita il manuale [26]. L’Inquisizione non stabilisce in alcun modo che cosa sia Eresia: altri lo hanno già fatto: i papi con le loro decretali e gli imperatori col le loro costituzioni; l’Inquisizione incasella il comportamento dei sospetti nella griglia già disegnata. Lo scopo dell’attività inquisitoriale non è neppure quello di convincere l’eretico a cambiare opinione, ma solo di convincerlo che è caduto nell’errore, e quindi di assegnargli una pena. Un fine dunque esclusivamente di accertamento e di repressione.
Ma si badi che è un atteggiamento che è fortemente raccomandato di assumere comunque e dovunque: nell’esercizio dell’Inquisizione maxime non si deve entrare in dialogo con gli eretici sulla materia propria, dottrinaria, che dà origine all’Eresia, e, se è maxime, ciò significa che neppure in altri casi ci si dovrebbe comportare diversamente. La discussione è intrinsecamente un errore. La verità è data ed immutabile, per sempre, non suscettibile di aggiustamenti, neppure di glosse. La mancanza di una qualunque forma di dialogo – voluta e fortemente consigliata – è il segno più chiaro che l’Eresia non è immaginata come portatrice di un sia pur minimo valore: è male e basta. Forse è questo l’aspetto più difficile da comprendere per noi, ma non il segno puro – da condannare, come doverosamente intendono tanti – della cecità e dell’intollereanza – quante intolleranze constatiamo ancora nel nostro civilissimo secolo… -, quanto piuttosto la cifra evidente dell’impossibilità per l’Inquisizione di pensare se stessa e gli altri, la chiesa e la società in maniera diversa. Non possiamo accusare il Medioevo di non essere “moderno”, visto che l’orizzonte mentale del Due-Trecento è tutt’altro rispetto al nostro, od anche rispetto a quello dell’età moderna. Accusare l’Inquisizione di aver fatto quello che ha fatto non ha alcun senso, soprattutto storico, ma è anche gravissimo errore metodologico. Accusare l’Inquisizione di violenza, o di mancare di “aperture pluralistiche” avrebbe senso – come giudizio storico, vale a dire nel senso che costituisca un’involuzione rispetto ad un certo valore assunto come tale, non giudizio morale, naturalmente – se fossero possibili, per l’inquisitore, più scelte: cosa che non è. Anzi, direi che la chiarezza, e la mancanza di ogni problematicità al riguardo da parte degli inquisitori richiede uno sforzo notevole allo storico che si ponga il problema della comprensione dei meccanismi che governavano il modo di pensare ed agire di quella società, richiede che ci si spogli delle categorie mentali alle quali si è abituati. “Attualizzare” ha senso se noi ci sforziamo di entrare nella testa degli uomini del passato, non nel cercare di far funzionare quelle teste nel nostro mondo, al massimo adattando e distinguendo, “traducendo”. Il problema storico reale è costituito dalla necessità di comprendere quale è nei fatti la questione che è stata posta a quella società dallo scoppio ereticale, e come quella questione è stata, o si è tentato, di risolvere allora con i mezzi a disposizione.
Avvertenze ovvie e perfino banali, ma che si devono ripetere di fronte a certe anche recenti prese di posizione. Ritenere, ad esempio, che lo scontro tra Chiesa ed eretici fosse uno scontro di due culture, con l’automatica conclusione che gli eretici non erano in grado di sostenere una simile guerra [27], discende da una categoria di giudizio esterna, tutta nostra, di noi uomini del Duemila, legittima solo a patto che rimanga nostra, come dicevamo più sopra. Se invece l’applichiamo al Medioevo, “traduciamo” all’inverso il nostro linguaggio, le nostre convinzioni, le nostre problematiche, finiremo inevitabilmente con fraintendere. Finiremo col distorcere completamente il merito della questione che si posero gli eretici del Mille, o del Due-Trecento, che invece volevano in realtà – altro che una guerra di “culture”… – una più stretta coerenza tra dire e fare, come provano una pletora di atti processuali, e come rettamente identificava il manuale del Gui sulla base di una lunga esperienza, personale e di tanti che l’avevao preceduto nell’esercizio dell’officio:
Del pari, parlano il più possibile ai laici della vita dissoluta dei chierici e dei preti della Chiesa di Roma. Riferiscono nel dettaglio della superbia, della cupidigia, dell’avarizia, dell’immoralità e di tute le altre colpe che conoscono. E a sostegno di ciò invocano l’autorità, secondo quanto ne capiscono e ne riescono a citare, del Vangelo e delle loro lettere contro la condizione dei preti, dei chierici e dei religiosi, che chiamano farisei e falsi profeti, capaci di dire, ma non di fare [28]
i miti cosmici, le favole eretiche, non sono alla base del loro atteggiamento contrastante la norma ecclesiastica; al contrario sono il frutto della volontà di vivere diversamente da come predicano i preti, ne sono una giustificazione, alla pari dei passi delle scritture che adducono secondo quanto ne capiscono e ne riescono a citare, come riporta con una lucidità cristallina l’inquisitore. La contestazione del clero, così lontano dal quadro di purezza evangelica, era stata la molla della rivolta dei patarini, ed in generale alla base del disagio di tutta la società della Riforma della Chiesa. Allora il male era stato identificato nel condizionamento posto dall’ingerenza del secolo nell’ordinamento ecclesiastico, e si era perseguita la libertas ecclesiae; ora gli eretici credono di poter e dover vivere una vita diversa da quella che predicano i preti, non giudicata sufficiente, coerente, permeata dell’insegnamento di Cristo. Insomma la prospettiva, rispetto a quell’interpretazione, è esattamente rovesciata: non una religione che sostiene un comportamento non conformista, ma all’opposto, il desiderio di vivere in altra maniera suggerisce una religione, che si alimenta di apporti contingenti e spesso casuali.
Le finalità: Il recupero
Ma proseguiamo nell’analisi della consuetudine dell’officio. Una lunga e fortunata tradizione storiografica ci ha abituato a considerare esclusivamente in maniera del tutto negativa il frutto dell’Inquisizione, con toni eccessivamente ed anacronisticamente foschi: disgregazione sociale, clima terroristico di una società governata dall’azione di polizia [29]. È il momento, invece, di considerarne con più forza l’aspetto costruttivo. Non dico per la conservazione dell’apparato esistente, quanto per la sollecitazione ad una maggiore coerenza e, vorrei dire, visibilità della propria fede cattolica. Se è ormai sicuro che l’idea generalizzata di torture e roghi va recisamente ridimensionata, inserendola nella prassi giuridica e penale normale del tempo, nulla si fa per rilevare quanto l’Inquisizione contribuì per rafforzare socialmente la convinzione che la fede, altro che pura tradizione, ha bisogno di nutrirsi quotidianamente di fatti che certifichino il credo e la sicurezza di militare nel giusto esercito in marcia verso la salvezza. Bisogni di sollecitudine verso il prossimo, personali e comunitari, dentro le società di pietà; bisogni di replicazione consapevole ed essenziale di partecipazione ai sacramenti, agli atti del culto, alla presenza viva e motivata nell’azione di recupero di chi è caduto nell’Eresia.
Non si tratta di “giustificare” l’Inquisizione [30], ma di prendere atto che la strategia di reinserimento nella societas chistiana degli sbandati, degli incerti, dei perplessi circa la via vera e propriamente salvifica, fu effettivamente quella vincente. Il metodo teso a rinsaldare la convinzione intima che è quella disegnata dalla Chiesa la strada per la vita eterna – non la pura repressione – sconfisse concretamente l’Eresia, additandone l’incapacità a fornire credibili motivazioni per una “scelta” di fede e prassi fuori della Chiesa. Tutto ciò che gli “eretici” cercavano nelle parole e nelle azioni dei boni homines era già negli uomini della chiesa di Roma, ed anzi al più alto grado, bastava indicarlo distintamente.
La corruzione dell’ideale di moderazione, di uso regolato dei beni del mondo in cui viviamo è dovunque, negli alti prelati come nei laici che ci vivono accanto. Ma guai se non ci fossero proprio i religiosi a ricordarci con le parole e l’esempio – la loro disciplina – il giusto stile di vita cristiano, dice Riccobaldo da Ferrara:
Multa nunc inhonesta superinducta sunt rebus priscis, verum plurima ad perniciem animarum. Mutata est parsimonia in lautiam. Materia et artificio exquisito nimioque ornata vestimenta cernuntur. Illic argentum, aurum et margarite, mire fabricata frigia latissima, fulcimenta vestium serica vel varia pellibus exoticis ac pretiosis. Irritamenta gule non desunt. Vina peregrina bibuntur. Fere omnes potiores in publico, obsonia sumptuosa. Eorum magistri coquinarii habentur in magno pretio. Omnia ad gule irritamenta et ambitionis queruntur. Ut his suppeditari possit, avaritia militat. Hinc uxure, fraudes, rapine, expilationes, prede, contentiones in re publica, vectigalia illicita, innocentum oppressiones, exterminia civium, relegationes locupletum. Venter noster deus est noster. Pompis, quibus renumptiavimus in baptismo, insistimus, facti a deo transfuge ad zabulum. Et nisi clericorum disciplina nos iugiter castis exemplis instrueret, ambitioni et deliciis nostris modus non esset [31].
Questo, infatti, è aspetto non secondario, delle finalità perseguite dall’officio. L’ex-eretico redento deve divenire un modello di fede cattolica, deve trasformarsi in assiduo alla frequentazione delle celebrazioni liturgiche, addirittura spendere per i buoni cattolici quanto aveva sborsato per gli eretici [32]. Il giuramento che il recuperato dall’Eresia deve prestare prevede l’obbedienza cieca al papa e, in sua vece, all’inquisitore, e, soprattutto, la promessa di futura collaborazione totale per la denuncia d’ogni persona che odori d’Eresia [33]. Si spiegano così i molti passaggi di “pentiti” dall’uno all’altro fronte, ad ogni livello: abbiamo inquisitori che sono stati eretici, come membri della famiglia inquisitoriale, informatori e collaboratori vari. Bernard Gui ne è perfettamente consapevole:
Di solito peraltro gli inquisitori hanno trattenuto piuttosto a lungo tali eretici perfetti per molteplici ragioni: innanzitutto, per sollecitarli più frequentemente alla conversione, dal momento che la conversione di tali individui è quanto mai utile, sulla base del fatto che la conversione degli eretici Manichei di solito è autentica e di rado finta; inoltre, una volta che si convertono, rivelano tutto, proclamano la verità e svelano i nomi di tutti i loro complici; dalla qual cosa si trae grande frutto [34].
Anche la pena rientra nel piano. La penitenza da infliggere non prevede alcuna rinuncia allo “stato” di eretico, nelle sue forme consuete di esistenza, che evidentemente è considerato poco significante, mentre indica la via dell’abbandono dei motivi che hanno consentito o favorito la caduta. Quadruplice è la pena del condannato, dice un manuale molto diffuso: pellegrinaggio a San Giacomo o a Roma; applicazione di una croce sul mantello; obbligo di sostare alla porta della chiesa nelle festività solenni, in veste di penitente, con i piedi nudi, senza mantello e con una corda al collo; carcerazione per un certo periodo o a vita [35]. È naturale che una penitenza comporti un sacrificio da sopportare, ma se escludiamo la carcerazione – provvedimento estremo che nega ogni rapporto sociale se a vita, a tempo nel caso di una pena limitata, quindi in una prospettiva “aperta” anche al recupero, visto che fin che c’è vita c’è speranza – gli altri provvedimenti penitenziali escogitati hanno anche un largo valore positivo. Proviamo a considerare queste pene rovesciando il loro segno. Il buon cristiano è colui che fa del pellegrinaggio, ad ampio, medio, piccolo, piccolissimo raggio motivo esistenziale, nutrimento fenomenico dell’esercizio della fede; il viaggio pio indirizza ordinatamente il suo bisogno concreto di stringere contatti, vedere segni materiali della presenza del divino nel mondo, esaurisce il suo bisogno di rapporto con il prossimo e gli altri uomini (= cristiani), immergendolo nel fiume dei pellegrini, offrendogli l’occasione di toccare le reliquie, sollecitando la sua memoria e la sua emozione col ripercorrere i miracoli raccontati dai santuari, con gli ex-voto, con le immagini dipinte, scolpite, aborrendo il male ricordatogli dalle figure dei serpenti vinti, dai draghi trafitti, dall’orrendo bestiario del male esorcizzato dal bestiario del Cristo, scandendo la propria vita con tappe che si legano ad una precedente e che prevedono una tappa successiva, da un luogo santo all’altro, dalle vicende meravigiose di un luogo che evoca il soprannaturale a quelle di un altro, un pellegrinaggio da se stesso a Dio.
Analogamente, l’applicazione delle croci sul mantello, indumento del viandante, per quanto indiscutibilmente primamente orientata a distinguere anche di lontano un peccatore di Eresia, non può non richiamare immediatamente l’immagine del crociato, del miles Christi, impegnato nell’atto eroico di riconquista alla fede ortodossa nei confronti di chi si è appropriato indebitamente dei segni terreni caratterizzanti la societas Christi. Un’immagine vivente, dunque, di quella militia che, oltre le pratiche “normali”, quotidiane della fede, implica una dedizione attiva, intensa e particolare, al limite del combattimento eroico nell’exercitus cristiano.
Così l’ostentare la veste di penitente alla porta della chiesa nei giorni delle festività solenni, addita agli altri fedeli il cammino che il peccatore deve compiere per rientrare nella comunità in cammino per la salvezza: pentimento, sacrificio, mortificazione di sé e dalla carne caduta preda del demonio, preliminare al gusto delle cose divine, dell’ingresso gioioso e mistico nel tempio dei prediletti da Dio. Necessità dunque di recuperare nei giorni di particolare valore cultuale quella tensione al divino che la routine quotidiana fa perdere inevitabilmente, richiamo escatologico forte e sottolineato come segno distintivo della vita del perfetto cristiano. In poche parole, l’eretico, mediante le penitenze alle quali è sottoposto, non solo torni ad essere un ortodosso, ma addirittura un modello di cristiano perfetto.
Il senso finale dell’istituzione
Con tutto questo, l’istituzione funziona ben oliata. Ma ad un certo punto – grosso modo dalla metà del Duecento, e poi via via con sempre maggiore accelerazione – il movimento della macchina prende il sopravvento sull’interruttore di accensione, e si innesca una specie di moto perpetuo. La preoccupazione formale diviene puntiglio ed ossessione e tende ad esaurire il processo di verifica dell’ortodossia nella redazione di un libello ineccepibile ed inattaccabile. Ne è illustrazione eccellente la progressiva fabbricazione dell’atto di accusa finale nei confronti di Armanno Pungilupo, giunto alla sua conformazione finale solo trent’anni dopo la morte del presunto eretico. Eccellente esempio perché al perfezionamento di quell’atto lavorarono, in successione, ben quattro inquisitori, Aldobrandino, Egidio, Florio, Guido, segno di una continuità “di scuola” che non si può ignorare. Le testimonianze raccolte vengono trascritte per schede tematiche, ordinate, compattate, manipolate e correlate per definire un quadro che perfettamente raffigura Armanno come eretico modello, immagine che risponde in tutto e per tutto al modello fornito dal manuale in mano agli inquisitori; poi il tutto viene riversato in un lungo, ferreamente consequenziale atto d’accusa definitivo che non può portare altro che alla condanna risolutiva, all’esumazione dei resti dell’eretico, alla loro consunzione nel fuoco, ed alla ultima, estrema, spettacolare loro dispersione nelle acque del Po [36].
Le preoccupazioni di ineccepibilità formale hanno preso, all’inizio del Trecento, il sopravvento sullo stesso contenuto, come, ancora una volta al massimo grado, dimostra il manuale del Gui:
Bisogna inoltre sottolineare che, per quanto si pongano tante domande e a volte anche altre, a seconda della specificità delle persone e dei fatti, per ricavare e ottenere più pienamente la verità, tuttavia non è opportuno che tutte le domande siano trascritte nei verbali, ma solo quelle che più verosimilmente toccano la sostanza o la natura del fatto, e che sembrano maggiormente esprimere la verità. Se infatti un’interrogazione risultasse piena di domande, un’altra che ne contenesse meno potrebbe apparire incompleta; inoltre, davanti a tante domande scritte in un processo, a fatica si potrebbe trovare accordo nella deposizione dei testi, il che va tenuto presente ed evitato [37].
Il che dovrebbe mettere in guardia coloro che sostengono l’intoccabilità dei verbali degli atti inquisitoriali. Anche qui il fine giustifica i mezzi: nulla è assolutamente “oggettivo”.
D’altra parte ciò e evidente anche nel merito stesso degli atti.
Il 15 novembre 1299 fra Guido da Vicenza, inquisitore domenicano, predicava a Reggio «contra hereticos, credentes, fautores et receptatores hereticorum et contra Columpnenses et fautores et adiutores eorum et contra impedientes et molestantes officium inquisitionis» nella chiesa dei Predicatori. Un certo Attolino disturbava la predica, scambiando rumorosamente con altri presenti le sue impressioni, fino a che venne rimproverato da Martino da Campagnola, converso dei domenicani. Attolino l’assale a male parole: «Vobis nascatur vermus canis», ma l’altro risponde, ed Attolino minaccia: «Se non foste un frate e vi trovassi fuori di qui vi sbatterei contro il muro fino a farvi schizzare gli occhi». Il converso sibila che lo accuserà davanti all’inquisitore, ed Attolino: «Ego incaco vobis et faciatis scribi» [38].
La vicenda pare a prima vista di poco momento. Eppure generò un processo, con ben otto documenti ufficiali da inserire negli atti dell’officio, riguardò tre inquisiti, due dei quali sicuramente preti (anche il terzo era probabilmente un chierico), partorì cinque deposizioni, coinvolse otto testimoni, un notaio ed un nunzio. Il puntiglio con il quale l’inquisitore indaga e tiene a verbalizzare il suo operato è il segno chiaro che la vicenda riveste per lui importanza molto maggiore di quella che noi saremmo portati ad attribuire ad un alterco che oggi non sembrerebbe nulla più che triviale. Fra Guido combatte una battaglia a tutto campo sotto il vessillo della lotta all’Eresia. Per lui sono assolutamente assimilabili eretici, sostenitori, o semplicemente estimatori, dei Colonna, e disturbatori delle sue prediche. Tutti costoro, infatti, intralciano l’operato dell’inquisitore, difensore della retta dottrina, qui intesa esplicitamente come disposizione della gerarchia ecclesiastica. Non rispettare le decisioni di Bonifacio VIII contro i Colonna è intralcio al normale funzionamento dell’officio, offesa all’autorità inquisitoriale in primis, e papale in ultima istanza, quindi alla Chiesa, al suo assetto, a Dio che ha voluto e che sostiene e sosterrà in eterno quella Chiesa: è Eresia. Ma non è chi non veda come questo modo di intendere il senso ultimo dell’istituto inquisitoriale finisca col riguardare tutto e tutti, senza alcuna specificità, e quindi, in sostanza, senza alcun riguardo all’Eresia in senso “tecnico”.
La macchina ha dimenticato le ragioni per cui è stata escogitata e gira su se stessa, a vuoto, autoconservandosi burocraticamente nel suo apparato, ma condannata ad incidere sempre meno sul piano dell’Eresia in senso proprio, visto che non c’è più grano ad alimentare il mulino – gli eretici a poco a poco scompaiono per conto loro -, affiancandosi alle altre macchine tese alla preservazione del sistema complessivo, ben difficilmente distinguibile da esse se non nella prassi specifica e nella nomenclatura. Muore l’Eresia, ma muore parallelamente, nelle sue motivazioni originarie, anche l’Inquisizione. Saranno necessari nuovi eretici perché ne nasca una novella, non di nome, ma di fatto. Muore il Medioevo, e con lui anche l’Inquisizione soffoca d’asfissia.
Note
L. PAOLINI Prefazione a R. BERTUZZI Ecclesiarum forma. Tematiche di ecclesiologia catara e valdese Roma, Quasar 1998 (Centro studi Girolamo Baruffaldi, Documenti e studi 12) 7.
R. MANSELLI L’Eresia catara come problema storiografico in L’Eresia medievale a c. di O. CAPITANI, Bologna, Il Mulino 1971 137 (Nota d’aggiornamento dell’autore). E vedi ancora il recentissimo commento di Franco Cardini in BERNARD GUI Manuale dell’inquisitore commento di F. CARDINI, note e trad. di N. PINOTTI, Milano, Gallone 1998 (Volti e anime 10) XXXIII: «La caccia agli eretici stava dilagando oltre i suoi confini originari: su molte forme di superstizione, un tempo giudicate innocue o comunque prese dalle autorità ecclesiali in scarsa considerazione, si stava estendendo il sospetto che esse in realtà non solo celassero credenze o convinzioni a carattere ereticale, ma addirittura fossero l’epifenomeno sintomatico d’una sommersa, ramificata organizzazione razionalmente anti-ecclesiale e contro-ecclesiale, una Controchiesa, strumento d’una congiura tesa a sradicare il Corpus christianorum, alla guida della quale vi fossero coscienti e attivi strumenti del demonio». Adopero anche in seguito, per pura comodità, questa edizione; il rimando naturalmente è a BERNARDI GUIDONIS Practica inquisitionis heretice previtatis ed. C. DOUAIS, Paris, Picard 1886; BERNARD GUY Manuel de l’inquisiteur ed. G. MOLLAT, Paris, Les Belles Lettres 1927 (=1964) (Les classiques de l’histoire de France au Moyen Age 8-9).
BERNARD GUI 11: «Del pari immaginano l’esistenza di due Chiese, una buona, ossia la loro setta, o, come sostengono loro, la Chiesa di Gesù Cristo; l’altra Chiesa, che identificano con la Chiesa di Roma, la definiscono maligna…».
PAOLINI Prefazione7; BERTUZZI 213.
Basti guardare al rito dell’ereticazione divulgato da BERNARD GUI 21: «Il modo o il rito per accogliere nella loro setta e ordine… è questo:… l’eretico… tenendo il libro, legge il passo del Vangelo da “In principio era il Verbo”, fino a “Il Verbo si fece carne e abitò in noi”».
Ibid. 23: «Innanzi tuto, di sé stessi dicono che sono buoni cristiani, che non giurano, non mentono, non parlano male di nessuno; non uccidono uomo, né animale, né qualunque altro essere che abbia soffio vitale; che osservano la fede del Signore Gesù Cristo e il suo Vangelo, come insegnarono Cristo e i suoi apostoli; che essi occupano il posto degli apostoli e che per i motivi predetti gli uomini della Chiesa di Roma, quali preti, chierici e religiosi, li perseguitano, soprattutto gli inquisitori di eretici, e li definiscono eretici, nonostante essi siano uomini buoni e buoni cristiani, così come i Farisei perseguitavano Cristo e i suoi apostoli».
Anche se è sicuramente errato parlare «soprattutto» di «poveri e diseredati» (BERTUZZI 17): non dimentichiamo E. DUPRÉ THESEIDER L’Eresia a Bologna nei tempi di Dante in DUPRÉ Mondo cittadino e movimenti ereticali nel Medio Evo (Saggi) a c. di A. VASINA, Bologna, Pàtron 1978 435: «Gli eretici appartengono dunque al mondo tipico del comune di popolo: mondo vivace e irrequieto, ma non propriamente inquieto, né desideroso di profondi mutamenti sociali; mondo disegualmente provvisto, ma non sprovvisto di beni di fortuna, e perciò non tentato di servirsi della religione per migliorare le proprie condizioni».
PAOLINI Prefazione7.
BERTUZZI 21.
BERTUZZI 22.
BERTUZZI 22 note 33-35.
BERTUZZI 19.
L. PAOLINI Eretici del Medioevo. L’albero selvatico Bologna, Pàtron 1989 123.
Adopero per pura comodità l’edizione brutalmente divulgativa di FRA NICOLAU EYMERICH Manuale dell’inquisitore A. D. 1376 a c. di R. CAMMILLERI, Casale Monferrato, PIEMME 1998 48; il rimando è naturalmente a NICOLAU EYMERICH – FRANCISCO PEÑA Le manuel des inquisiteurs ed. L. SALA-MOLINS, Paris-La Haye, Mouton 1973.
Rimando alle considerazioni svolte nello splendido articolo di O. CAPITANI Eresie medievali o «Medioevo ereticale»? Proponibilità in un dilemma storiografico in Società, istituzioni, spiritualità. Studi in onore di Cinzio Violante I, Spoleto, CISAM 1994 145-62.
Il «De officio inquisitionis». La procedura inquisitoriale a Bologna e a Ferrara nel Trecento a c. di L. PAOLINI, Bologna, Ed. Univ. Bolognina 1976 37 ss.
Il «De officio inquisitionis» 43-44.
BERNARD GUI 25.
F. LOMASTRO TOGNATO L’Eresia a Vicenza nel Duecento. Dati, problemi e fonti Vicenza, Istituto per le ricerche di storia sociale e di storia religiosa 1988 (Fonti e studi di storia veneta 12) 38-40, 118-21.
LOMASTRO 75.
Ho già richiamato l’attenzione su questo punto in G. ZANELLA Hereticalia. Temi e discussioni Spoleto, CISAM 1995 127-37.
Ibid. 15-66, 111.
LOMASTRO 85.
ZANELLA Hereticalia 15-66.
H. GRUNDMANN Oportet et haereses esse. Il problema dell’Eresia rispecchiato nell’esegesi biblica medievale in Medioevo ereticale a c. di O. CAPITANI, Bologna, Il Mulino 1977 29-66.
LOMASTRO 183.
L. PAOLINI Il dualismo medievale in Trattato di antropologia del sacro IV. Crisi, rotture e cambiamenti ed. J. RIES, Milano 1995 215: «Ma volersi confrontare alla pari con la scolastica cattolica, ben più agguerrita se non altro per la tradizione patristica da cui muoveva, fu per loro esiziale. Di lì – crediamo – prese avvio la definitiva involuzione e decadenza: il tempio della cultura delle università e delle scuole degli ordini monastici e mendicanti, compatto, fece a pezzi questa controcultura che non riusciva a liberarsi di favole e di paralogismi, incapace di fare un uso corretto del metalinguaggio».
BERNARD GUI 23, corsivo mio.
G. MICCOLI La storia religiosa in Storia d’Italia Torino, Einaudi 2. Dalla caduta dell’Impero Romano al secolo XVIII 1974 707-32.
CAPITANI 154, risposta soprattutto alle osservazioni di G. MICCOLI Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana Torino, Einaudi 1991 30-31.
G. ZANELLA Machiavelli prima di Machiavelli Ferrara, Bovolenta 1985 (Pugillaria 6) 98.
LOMASTRO 220-21.
LOMASTRO 180-81.
BERNARD GUI 17.
LOMASTRO 180.
G. ZANELLA Itinerari ereticali: Patari e Catari tra Rimini e Verona Roma, ISIME 1986 (Studi storici 153); ZANELLA Hereticalia 3-14, 81-104, 225-29.
BERNARD GUI 30-31; corsivo mio.
Acta S. Officii Bononie ab anno 1291 ad annum 1310 a c. di L. PAOLINI – R. ORIOLI, Roma, ISIME 1982 (FSI 106,1) atti 69-76 pp. 103-10; L. PAOLINI L’Eresia catara alla fine del Duecento in R. ORIOLI – L. PAOLINI L’Eresia a Bologna fra XIII e XIV secolo Roma, ISIME 1975 (Studi storici 93-96) 38-39.
Approfondimenti
Eretici e città italiane nel Due-Trecento (http://www.medievale.it/
La macchina inquisitoriale (http://www.medievale.it/
I conti di fra Lafranco, una fonte insospettabile (http://www.medievale.it/
———–
(http://www.medievale.it/
*************
di Gabriele Zanella (http://www.medievale.it/
La macchina inquisitoriale
Storia e funzionamento dell’istituzione responsabile della morte di migliaia di persone nel corso dei secoli e ancora oggi sinonimo di strumento di coercizione del pensiero in tutte le sue forme
Il documento è tratto da: Sito web personale del Prof. Zanella (http://www.gabrielezanella.
Le origini
Le origini dell’Inquisizione come officium fidei, quella nota come monastico-papale, non più affidata ai vescovi, ha una duplice data di nascita. Gregorio IX nel 1231 incarica più volte in più luoghi della cristianità alcuni domenicani di compiere missioni d’indagine sugli eretici. Si tratta di interventi straordinari, giustificati da situazioni in larga parte eccezionali, e suscettibili di una delega non esclusivamente papale, visto che abbiamo notizia di nomina di inquisitori da parte legatizia, o perfino ancora vescovile, che tuttavia mostrano già chiaramente l’intenzione del papato di assumere pienamente la direzione ed il controllo dell’azione ortodossa nei confronti degli eretici. Ma il vero avvio della nuova istituzione è opera di Innocenzo IV, che nella decretale Ad extirpanda del 1252, all’indomani dell’assassinio dell’inquisitore Pietro da Verona, crea un corpo di polizia, nel numero largamente simbolico di 12, a disposizione dell’inquisitore, definisce competenza ed ambito d’azione, la liceità degli strumenti a disposizione, fra cui naturalmente la tortura – strumento normale della procedura giuridica-, prevede la certificazione notarile di ogni atto inquisitorio, regolamenta la ripartizione delle entrate: un terzo all’inquisitore e/o al vescovo, un terzo alla familia inquisitoriale, un terzo al comune. Direttamente responsabile solo nei confronti di Roma, totalmente svincolato dalla giurisdizione diocesana, l’inquisitore può dispiegare nella quasi assoluta libertà d’iniziativa la sua attività.
La ripartizione territoriale
Nel maggio 1254 Innocenzo IV ripartisce tra domenicani e francescani la giurisdizione inquisitoriale. Il che crea nuovi problemi di definizione delle competenze.
Il ruolo del vescovo è comunque salvaguardato: la sua giurisdizione è paritetica a quella dell’inquisitore, seppure non è mai definito il rispettivo ambito d’intervento; anche in seguito altri pontefici salvaguarderanno la liceità degli interventi dell’ordinario diocesano in materia di ortodossia, ed in qualche caso ai soli vescovi saranno riservate alcune questioni di carattere, diciamo così, internazionale, come nel caso dei Templari; imprescindibile rimane il gradimento vescovile circa i laici chiamati a collaborare con l’inquisitore; gli elenchi degli eretici, le bolle papali circa l’Eresia vanno consegnati al vescovo; il parere del vescovo è vincolante nei casi in cui la legislazione laica in proposito presenti problemi d’interpretazione. Ci furono poi oscillazioni in merito: ogni limitazione posta all’azione degli inquisitori dai vescovi era cancellata per la Lombardia da Alessandro IV nel 1257 e 1260, ma poi Urbano IV nel 1262, Clemente IV nel 1265 e Gregorio X nel 1273 ribadirono l’obbligo della consultazione con il vescovo o con un suo legato nel caso si fosse resa necessaria la consegna di un eretico al braccio secolare. Rimasero però dubbi e direttive contraddittorie: nel 1265 papa Clemente riproduceva la bolla Ad extirpanda sostituendo la parola inquisitore là dove nell’originale era la parola vescovo. E nella prassi il ruolo vescovile cade sempre più nell’ombra; nello stesso anno e nel successivo il papa riprendeva una disposizione di Urbano IV del 1262, che riservava alla scelta dell’inquisitore se occuparsi o no dei casi di Eresia in cui fosse incappato, senza tener alcun conto del fatto che eventualmente quei casi fossero già stati presi in considerazione dal vescovo, e nel 1273 Gregorio X lo ribadiva; tanto che poi quelle disposizioni entrarono nel diritto canonico. D’altra parte nel 1288 papa Nicolò IV stabiliva che le entrate dell’officium dovevano essere affidate a persone di fiducia scelte di comune accordo tra vescovo ed inquisitore, ed i registri di tutte le entrate ed uscite della gestione inquisitoriale dovevano essere presentati periodicamente al vescovo. Se, dunque, la competenza dei vescovi in tema era salvaguardata sul piano del diritto, pare di dover intendere che a loro fosse riservata una specie di supervisione e di legalizzazione eminente dell’azione che l’inquisitore produceva autonomamente dal vescovo, una specie di corte dei conti. Mariano d’Alatri ha pensato addirittura che i papi considerassero a lungo, perlomeno per tutto il Duecento, che l’Inquisizione monastica fosse un istituto d’emergenza. Un’emergenza che certamente si ripeté molto a lungo, ma che l’insistenza e la ripetitività dei pronunciamenti papali circa la conferma delle prerogative inquisitoriali e la validità della loro nomina dimostrano in maniera più che convincente. Se si fosse trattato di un’istituzione stabile, ben protetta giuridicamente, non sarebbe affatto stato necessario che Alessandro IV tornasse a ribadire nel 1255 quanto aveva concesso ai domenicani, nello stesso 1255 e poi nel 1258 ai francescani; che Urbano IV nel 1262 e Clemente IV a ripetizione – nel 1265, 1266 e 1267 – rinnovassero esplicitamente le prerogative degli inquisitori; che Nicolò IV nel 1290 tornasse ad affermare che la validità della nomina e le facoltà degli inquisitori non erano da considerare decadute con la morte del pontefice che le aveva concesse, ma rimanevano in vigore anche con i successori. La ripetitività d’una norma dimostra sempre la sua precarietà nella prassi.
E la prassi dimostra che contrasti vi furono sempre, anche se non continui e generalizzati, e non mancarono casi di vescovi sottoposti ad inchiesta da parte degli inquisitori.
Molto più numerosi, alle volte clamorosi, furono i contrasti con le autorità civili, ampiamente esemplificati dalle difficoltà incontrate da parte dell’inquisitore per vedere applicati i diversi statuti comunali antiereticali. Come sono testimoniati ampiamente, in qualche caso strepitosamente, le sollevazioni popolari in diverse città contro questo o quell’inquisitore. Ma in generale l’officium funzionò con sufficiente regolarità e continuità, e sempre più all’insegna dell’assoluto arbitrio dell’inquisitore. Anche la scelta dei collaboratori laici, nei fatti – e poi anche nella giurisprudenza -, è di sua esclusiva pertinenza.
Finalmente, dopo un clamoroso caso di generalizzata malversazione da parte di un gran numero di inquisitori, con tanto di amplissima inchiesta papale che la lacunosa documentazione rimasta non ci consente di conoscere pienamente nei suoi esiti, Bonifacio VIII agli inizi del Trecento ingiunse di nuovo la necessità di un accordo procedurale tra l’azione inquisitoriale e quella vescovile, che poteva avvenire contemporaneamente ed indipendentemente, ma con l’obbligo della conoscenza reciproca dei risultati raggiunti, e proibì che i vescovi venissero sottoposti a procedimento per Eresia da parte dell’inquisitore senza un mandato speciale della Santa Sede. Clemente V in seguito disegnò un’ampia casistica che prevedeva un’azione congiunta di vescovo ed inquisitore. Con il conforto dell’inserimento di queste norme nel Corpus iuris, l’Inquisizione episcopale conobbe, dal primo quarto del Trecento, una nuova vitalità e dignità.
L’8 giugno 1254 Innocenzo IV con la bolla Cum super inquisitione, divideva l’Italia in 8 province inquisitoriali; Lombardia e regno di Sicilia affidate ai domenicani, le altre sei – Marca Trevigiana, Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Lazio – ai frati minori.
In Lombardia – una vasta zona che comprendeva le regioni da Bologna e Ferrara fino a Genova ed al Piemonte, oltre naturalmente l’odierna Lombardia – il numero degli inquisitori venne fissato inizialmente a 4, poi, nel 1256, salì ad 8.
Nel Veneto troviamo attivi a Venezia nel 1251 due inquisitori domenicani, ma l’Inquisizione papale pare efficace a Venezia solamente a partire dal 1289, e con non poche difficoltà, stante la pervicace opposizione del governo della Serenissima. Per il resto del Veneto, nella provincia francescana veneta o del Santo, solo dal 1262 vediamo attivi gli inquisitori. Una provincia francescana vastissima, che comprendeva Venezia e la Marca Trevigiana, la diocesi di Aquileia (e quindi Udine e tutto il Friuli, nonché l’Istria), Feltre e Belluno, Concordia, Ceneda, Asolo, Torcello, Càorle, Chioggia, Adria e Trento, articolata nelle quattro custodie di Padova, Venezia, Verona e del Friuli. Degli inquisitori attivi nella seconda metà del Duecento conosciamo una ventina di nomi, ma nel quarantennio 1262-1302, di fatto l’officio fu nella mani di 6-7 frati, “potenti e prepotenti”, dice Mariano d’Alatri. Un’altra anomalia è rappresentata dal fatto che pochi inquisitori veneti esercitarono il mandato per più lustri ed in qualche caso per decenni. Un clan piccolo e talmente interessato a rimanere in carica da giustificare ampiamente il sospetto, poi inequivocabilmente confermato, che non lo zelo religioso, ma il tornaconto personale guidasse il loro comportamento.
In Romagna troviamo un solo inquisitore fino al 1259, quindi 2. Situazione analoga nelle Marche, dove, evidentemente il pericolo ereticale era meno avvertito.
In Toscana si deve attendere il 1258 per incontrare la prima volta il nome di un inquisitore. Il funzionamento dell’officio fu dovunque molto contrastato, a Siena, Pisa e Firenze in particolare. Anche in questa regione la consistenza ereticale sembra saltuaria e tutto sommato modesta.
In Umbria, Lazio ed alto Abruzzo la presenza inquisitoriale è documentata con un certa continuità, ma anche qui la resistenza all’azione dell’officio fu continua e marcata. Orvieto rimase a lungo una cittadella intoccabile, e neppure quando, fra 1268 e 69, si giunse a condannare ben 87 persone, variamente accusate di Eresia, nessuno di loro fu abbandonato al braccio secolare.
Nel regno di Sicilia l’attività antiereticale inizia all’indomani della battaglia di Benevento (23 aprile 1268) e si configura come parallela all’Inquisizione di Provenza, dove Carlo d’Angiò aveva combattuto gli eretici, ed a quella tolosana, dove il fratello di Carlo d’Angiò, Alfonso, conte di Poitiers e di Tolosa, era il vero promotore di quella lotta. Significativo che le entrate derivanti dalle confische, il provvedimento di gran lunga più frequentemente adottato, fossero riservate alla corte regia.
Non bisogna poi dimenticare il fiorire di tutta una serie di confraternite laiche a carattere parainquisitoriale, dalla “Milizia di Gesù Cristo”, alla “Milizia della beata vergine Maria”, popolarmente denominata dei “Frati gaudenti”, alla “Societas fidelium”, o di san Pietro Martire, alla “Societas Crucis”, ad una miriade di più o meno stabili altre.
Le caratteristiche italiane
Il vuoto quasi completo dell’episcopato concede la più ampia iniziativa al papato. E gli strumenti adoperati sono, almeno sul piano della normativa, durissimi: tortura per ottenere la confessione degli imputati, pena di morte mediante il rogo, un corpo di polizia e di spie al servizio dell’officio, predicazione di Crociate contro gli eretici con i medesimi privilegi previsti per quelle in Terra Santa, coazione del potere laico, confisca dei beni ed inabilitazione dei diritti degli eretici condannati estesa anche agli eredi. I provvedimenti previsti dalle costituzioni di Federico II vengono canonizzati nella Ad extirpanda di Innocenzo IV nel 1252, e ripetuti nel 1254. Fu così avviata una procedura corroborata da Alessandro IV, Urbano IV, Clemente IV, e quindi codificata nel Liber sextus di Bonifacio VIII, e quindi nei manuali inquisitoriali che si moltiplicano proprio nei primi anni del Trecento. La prassi che si instaura durò per secoli. Ma non va assolutamente sottaciuto che, a dispetto del quadro fosco immaginato sul piano normativo, la realtà fu poi molto diversa: i roghi furono molto rari, e l’attività persecutoria si esaurì generalmente in confisca di beni e multe pecuniarie.
Centro e periferia
La nomina degli inquisitori, formalmente di competenza romana, in realtà veniva fatta dai provinciali, e mai contestata. Ripetendo la bolla Licet ex omnibus, i provinciali eleggevano i nuovi inquisitori, quindi veniva la conferma da Roma.
Urbano IV il 19 marzo ed il 14 novembre 1262 prescrive agli inquisitori di tener informato il cardinale Giovanni Gaetano Orsini, titolare di S. Nicolò in Carcere Tulliano, delle difficoltà che l’esercizio delle attività inquisitoriali dovesse incontrare, visto che a lui spettava l’alto controllo dell’officio. Parrebbe di dover intendere che il cardinale Orsini si configurasse come inquisitore generale, anche se in maniera totalmente difforme da quella degli inquisitori generali dei secoli successivi. Ma non conosco alcun ripetersi della raccomandazione, ed in realtà – nel caso dell’Orsini – il ricorso a Roma, per quel che ne so, si concretò una sola volta, a proposito del caso complicato dell’indagine sul ferrarese Armanno Pungilupo, che si protraeva in maniera anomala da trent’anni ed aveva coinvolto vescovo e clero secolare locale.
La formazione culturale degli inquisitori
Quella dell’inquisitore è una carriera esemplare: non è raro il reclutamento tra i provinciali, e non è affatto raro l’esito come vescovo e come legato papale. Ne è un buon esempio la figura di frate Florio da Vicenza, ricordato per la prima volta come inquisitore nel 1278 a Ferrara. L’anno successivo ricevette l’invito dal cardinal legato di Romagna e Tuscia Latino Orsini ad intervenire sia contro gli ebrei ferraresi, che perseguitavano un ebreo convertito al cristianesimo, sia contro ebrei di Aquileia, Venezia, Mantova e Ferrara, che, abbracciata la fede cattolica, erano poi tornati alla loro antica religione: il cardinale disponeva che si procedesse nei loro confronti adottando le medesime misure con cui si procedeva contro gli eretici. Nel 1279 è attivo a Bologna e Modena. In quest’ultima città scoppiò contro di lui un tumulto popolare, in seguito al quale i domenicani dovettero addirittura abbandonare la città, per farvi ritorno solo otto anni più tardi. Fino alla fine del secolo è inquisitore attivo a Bologna. Qui tra 1285 e 1287 fu per certo impegnato anche nell’insegnamento e nello studio: professò sacra teologia e compose un commento alle Sentenze di Pietro Lombardo. Si preoccupò anche di ampliare la sede dell’officio. A Ferrara si occupò soprattutto dei relapsi ebrei e del caso Pungilupo. Tra 1290 e 1300 si presenta come amministratore dei beni di cinque suore di origine israelitica.; nel 1298 provvede all’incorporazione del locale monastero di S. Caterina nell’ordine domenicano. Non è certo, ma io credo che questo Florio sia lo stesso Florio da Verona che troviamo poi coinquisitore a Padova e Vicenza nel 1304, e con un altro frate Florio inquisitore domenicano attivo tra Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Montagnana, Castelfranco Veneto, San Pietro in Gu, fino a Trento, che presenta il rendiconto della gestione economica del suo ufficio al capitolo provinciale di Vicenza e Verona nel 1307. Io credo sia anche lo stesso con il domenicano Florio, priore del convento dei domenicani a Venezia, penitenziere apostolico e cappellano di S. Pietro, che, dopo la morte del patriarca Lorenzo di Grado, nel 1295 venne candidato a succedergli, ma preferì rinunziare. Uomo colto ed influente, maestro e studioso, incaricato di compiti prestigiosi ed a largo raggio d’azione, Florio è immagine eloquente di inquisitore tipo.
Di solito un teologo, dunque, che non può non avere una qualche dimestichezza con l’ambiente giuridico. Soprattutto nei manuali, ma anche nelle sentenze, la citazione continua delle bolle pontificie, atti di concili, consilia di vescovi e cardinali ha di gran lunga la meglio sui richiami al Corpus iuris ed alla giurisprudenza. Nelle sentenze poi citazioni scritturistiche, ed anche della Scolastica, s’infittiscono. L’officio, pur cercando appoggio dovunque, ben presto si avvita su se stesso, tende a trovare in sé ogni giustificazione ed ogni legittimità: “non secundum communes leges, sed secundum leges privatas ipsius officii, idest secundum privilegia eius, quia privilegium idem est quod lex privata”, si legge in un manuale. Accadrà addirittura il contrario: la “lex privata” inquisitoriale verrà recepita attraverso una lunga riflessione dei giuristi quattro e cinquecenteschi come “lex communis”, e quindi assolutamente legittimata.
Tuttavia l’armadio dei libri di una sede importante dell’officio comprendeva un’ampia, variata documentazione: Corpus iuris, tanto la sezione civile quanto quella canonica, con le glosse relative; tavole incipitarie e concordanze del Decretum e delle decretali; canoni dei concili, soprattutto di quello Tolosano, di quello Narbonense e del Biterrense, divenuti quasi subito auctoritates correnti nella procedura contro gli eretici; i consilia sul tema di famosi giuristi, teologi, vescovi e frati; collezioni di documenti diversi, e formulari relativi all’Eresia ed all’Inquisizione; manuali, trattati di varia natura ed impegno; una raccolta dei privilegi inviati dai papi agli inquisitori ed ai provinciali dei due ordini mendicanti che monopolizzavano l’officio. Ogni sede rilevante, poi, conservava, i documenti di riconoscimento ufficiale dei poteri e delle competenze territoriali, i mandati speciali al singolo inquisitore, la serie delle nomine di inquisitori, scritti eterogenei più o meno riguardanti l’officio.
La procedura
Con tutto questo è assolutamente da rilevare come nei fatti la procedura, pur muovendo da principi teorici e di indirizzo riversati e divulgati nei manuali, tiene in maggior conto il caso specifico e, semmai, tende a disegnare il caso specifico entro la cornice manualistica. Senza che ciò significhi una banalizzazione dei pensieri, inclinazioni, della collocazione personale e sociale degli inquisiti, che anzi rimangono centrali. Al punto che, addirittura, diviene più rilevante agli occhi degli inquisitori stabilire il numero delle persone coinvolte, i luoghi precisi dove si sono svolti i fatti sospetti, le modalità dei rapporti interpersonali e la loro frequenza. Al punto che la collocazione dottrinale dell’eretico passa in secondo piano. Non appaia paradossale una simile constatazione, quando si consideri che più volte i manuali mettono in guardia l’inquisitore dall’entrare in discussione con gli inquisiti circa le loro opinioni eterodosse, per evitare il rischio che il male, invece che sanato, si aggravi, e che soprattutto idee eterodosse si diffondano presso coloro che fino ad allora non ne avevano avuto neppure sentore. L’Eresia, “tecnicamente” è già stata identificata e classificata; è stato compito di altri; all’inquisitore si richiede solo l’accertamento del verificarsi di un errore ed eventualmente la sua punizione con i mezzi a disposizione.
Pilastro dell’intero edificio è la consapevolezza dell’inquisitore della sua autorità, costituita da atti formali di nomina e giustificata dalla sua collocazione tra i difensori della retta fede e, fatto sicuramente non secondario, dalla sua militanza in un ordine che della difesa, propagazione, indirizzo della pratica laica entro un quadro ideologico preciso ha fatto la sua ragione d’essere, garantito dalla santità del fondatore, dal numero delle case, dalle figure prestigiose che fanno parte della storia dell’ordine stesso. L’autorità dell’inquisitore può essere – e lo fu sovente – corroborata dal parere di laici notoriamente sapientes, eminentemente giuristi, ma ne può prescindere, ed anche porsi in antitesi al sapere laico, perché primario è il suo dovere di indirizzo di quella società.
Per quanto i manuali sembrino rigidi nello stabilire i tempi e i modi dell’inchiesta, l’attenzione precipua per la questione specifica lascia in realtà ampia libertà di movimento all’inquisitore. Le domande poste non sono sempre quelle previste dai manuali, e tanto meno l’ordine seguito nel porle. Si può dire che solo la sentenza finale rispecchia il manuale, mentre le varie tappe dell’inchiesta, pur meticolosamente registrate dai notai, formano via via solo la base su cui imbastire il dispositivo finale. La schedatura delle testimonianze viene adoperata come materiale grezzo, da elaborare e distribuire ordinatamente in un dossier accusatorio che appaia alla fine ineccepibile. Ne è un esempio chiarissimo il processo ad Armanno Pungilupo. L’incastro della testimonianza alfa del testimone beta (e bisogna notare che i diversi testimoni sono ricordati con un numero: 1, 2, 3 ecc.!) con la testimonianza gamma del testimone delta costituisce l’esemplificazione del capo d’accusa. E la testimonianza alfa non è tutta la testimonianza di beta, ma solo una sua parte, magari piccola o piccolissima. Altra volta si adopererà un’altra parte di quella deposizione per dare corpo ad un altro capitolo. Così pazientemente le tessere si compongono, variamente utilizzate, ad illustrare capo d’accusa dietro capo d’accusa, e, complessivamente, il ritratto dell’eretico e dei suoi errori comprovati. Chi si fermi alla sentenza non immagina il lavoro preparatorio, lo scrupolo documentario, la meticolosità dell’inquisitore nel costruire la paginetta conclusiva dell’inchiesta. Il ritratto finale dell’eretico è frutto pieno dell’inquisitore, della sua cultura, dei suoi orientamenti, anche particolari, delle sue simpatie o idiosincrasie, religiose, ma anche culturali, politiche, sociali. Per quanto il quadro complessivo sembri tediosamente uniforme – le sentenze, si dice, sono tutte uguali o quasi, perché rispondono ad un formulario standardizzato in uso da sempre -, nulla invece c’è di uniforme nello svolgersi dei processi. Certo alle volte l’inquisitore è preso dalla routine del suo ruolo, o molto più semplicemente può essere affaticato, stanco, svogliato, com’è naturale; ma la caratteristica “unica” di ogni caso lo costringe a “reinventare” ogni volta la metodologia da seguire. A meno che non si tratti di un blocco numeroso di eretici, come accade a Verona o a Milano, quando centinaia di persone sono coinvolte in un’unica condanna; ma in questi casi che si tratti di ragioni politiche piuttosto che religiose è più che un sospetto. Oppure nel caso clamoroso, ma unico, della difesa armata, di gruppo, dei dolciniani. Ma perfino in questo frangente, quando dopo la sconfitta militare e la cattura i singoli vengono incriminati – lo stesso Dolcino -, i processi intentati ricadono nella casistica illustrata.
Bisogna tener conto ancora che una certa discrezionalità è consentita e qualche volta addirittura consigliata dalle stesse lettere papali, e che le auctoritates da tenere presenti – e naturalmente non tutte le auctorites sono sullo stesso piano – non sono ugualmente uniformi circa la gravità da attribuire a certe colpe, sui relapsi in particolare e gli usurai, non di rado assimilati agli eretici, e sulle modalità della punizione, così da obbligare l’inquisitore ad una scelta tra opinioni differenziate, ad evitare le contraddizioni rilevabili ed evidenti nella giurisprudenza, a tener conto di orientamenti diversi accumulatesi nel tempo o suggeriti dai pareri di figure prestigiose nell’ordine al quale l’inquisitore appartiene. Anche nel caso in cui l’inquisitore non abbia alcun senso critico sarà costretto a scegliere tra questo e quel parere, questa o quella pena, se dare fiducia ad un atteggiamento di pentimento o no, o solo in una certa misura e sotto certe condizioni. Perfino i manuali lasciano certe decisioni “in arbitrio inquisitoris”. E non bisogna dimenticare, infine, che anche parafrasando le sue autorità l’inquisitore accentua questo o quell’aspetto, alle volte fraintende, ed anche fa di testa sua. Non sono rarissime le volte che l’inquisitore cita a memoria, non si ricorda ad esempio se il provvedimento che adotta è stabilito da questo o quell’altro concilio, confessa di non aver ben capito, “non bene plene intelligo”, se non ha trovato pezze d’appoggio conclude che non c’è bisogno di altre prove, visto che basta il senso comune. Oppure fa uso di ricordi personali non previsti dal suo manuale: “come dice una glossa che ho visto una volta in una copia del Decretum dei frati predicatori di Padova”. Alle volte usa il manuale come fonte, cita cioè dal manuale passi di atti conciliari o di bolle papali, con ovvie cadute dovute agli errori materiali o di fraintendimento dei copisti.
Tutto ciò per dire, insomma, che se la normativa ci si presenta nel suo complesso rigorosa, l’agire dell’inquisitore è tutt’altro che rigoroso, e che mi sembra a tutt’oggi metodologicamente pericoloso ambire ad una storia dell’Inquisizione che non consideri la quantità e qualità delle varianti nella prassi inquisitoriale come sostanziale caratteristica di quell’istituto.
Mi preme ricordare infine che il ripetersi inerziale nella citazione delle auctoritates ebbe come conseguenza naturale un handicap di comunicazione tra inquisitore ed inquisito. Se si continuava a giudicare gli eretici, voglio dire, ancora nel 1380 ed oltre secondo i canoni dei concili degli anni fra 1230 e 1260 – ricorderò che l’idea base che non ci sono nuove eresie, ma solo periodico riproporsi delle antiche, rimane fino agli inizi del Cinquecento -, se cioè si cercano sempre catari quando i catari sono scomparsi ormai da lungo tempo, la procedura ne risentirà inevitabilmente, primariamente nello stabilire un dialogo tra inquirente ed accusato. I due parleranno lingue diverse, e potrà accadere – come accadde – che la sentenza risulti del tutto anacronistica; in linea solo con manuali mai aggiornati. Non è sicuramente sempre così: un seguace di Angelo Clareno non sarà mai condannato come cataro; ma là dove le affermazioni eterodosse non risultino chiare l’incomprensione sarà normale. La macchina repressiva procede sempre più negli ultimi secoli del Medioevo per conto suo, non si rimodella in conformità con i nuovi fermenti ereticali, risulta singolarmente sorda al mutare della sensibilità religiosa. L’istituto è impermeabile alla vita. Ma non è meraviglia: ancora oggi la nostra legislazione prevede benefici fiscali, o accorda pensioni ai reduci garibaldini.
La familia dell’inquisitore comprende notai e collaboratori diversi. I notai, da due a sette, seguivano l’inquisitore nel suo incessante muoversi alla ricerca degli eretici – ricordo che non è previsto un luogo di residenza per l’inquisitore. La loro presenza è indispensabile nel momento dell’interrogatorio, su cui prendevano appunti, per poi stendere ordinatamente il verbale, traducendo in latino deposizioni e confessioni, abiure, tanto più che la loro presenza spesso assume il valore di testimonianza nel merito stesso del processo. I verbali erano redatti in publicam formam secondo formulari precisi forniti dall’inquisitore stesso. Loro compito era anche la registrazione delle sentenze e degli atti esecutivi, i mandati di comparizione; spesso scrivono le lettere dell’inquisitore e le muniscono di sigillo; in qualche caso fanno estratti di documenti processuali su richiesta di altri inquisitori o di autorità civili; redigono e consegnano agli indagati citati in giudizio i termini di comparizione e la materia dell’accusa, così che egli possa provvedere alla sua difesa. Il compito più delicato – e spesso disatteso – è la conservazione dei registri inquisitoriali.
Alla comunicazione dei mandati di comparizione o di qualsiasi altro provvedimento assunto dall’inquisitore è compito dei nunzi, che devono rintracciare gli indagati e riferire la volontà dell’inquisitore. Qualche volta la cosa si svolgeva senza intoppi, più spesso l’indagato non veniva rintracciato o riservava loro un’accoglienza tutt’altro che benevola. Di tutto ciò i nunzi davano comunicazione al notaio, che a sua volta ne scriveva sul registro dell’officio. Anch’essi possono essere citati come testimoni.
Se l’inquisitore non può recarsi in un certo luogo per un qualche impedimento nomina un vicario, regolarmente un confratello.
Non mancano i coinquisitori, attivi autonomamente ma mai in contrasto con il titolare dell’officio; i socii, assistenti cui viene richiesto un parere, ed infine i servi, che provvedono alle varie necessità della familia inquisitoriale, soprattutto per il vitto ed il vestiario e tutto quel che concerne gli animali ed i mezzi di trasporto.
Una difesa formale dell’accusato per mezzo di un suo rappresentante non è prevista, né alcuna possibilità di ricorrere in appello; ma una qualche forma di difesa non è del tutto negata. L’attività dell’officio non è quella di un tribunale segreto. Per quanto, come è stato detto, la stessa figura istituzionale dell’inquisitore e l’apparato giuridico e pratico di cui egli si serve sia tutto all’insegna dell’eccezione, la migliore garanzia offerta all’inquisito sta proprio nella preoccupazione formale, per cui i notai certificano pubblicamente ciò che avviene, registrano i pareri di personaggi esterni all’officio, sigillano i mandati inquisitoriali. Non mi risulta che mai un qualche inquisitore, neppure quello di più assodata scarsa virtù, sia accusato nemmeno velatamente di aver adulterato gli atti di un processo. Ancora migliori sono le garanzie fornite dai consilia sapientum, quelle commissioni di giuristi per lo più laici che forniscono la consulenza normale all’inquisitore. Non sono rari, infatti, i casi in cui questi consiglieri esprimono pareri diversi o chiaramente opposti a quello dell’inquisitore, e quest’ultimo, per quanto non sia obbligato a seguirli, raramente se ne discosta, visto che la loro menzione è parte integrante della sentenza. Ed infine, ma del tutto aleatori, aiuti possono venire all’inquisito da attestazioni di solidarietà nei suoi confronti da parte di persone degne di rispetto e non sospettabili di collusione con l’Eresia, come avviene per i sacerdoti secolari ferraresi che per circa trent’anni cercano di veder affermata pubblicamente la santità di quell’Armanno che l’inquisitore vuole dannato come eretico e fanno ritardare in maniera così anomala la sentenza. Oppure sono le numerose sollevazioni popolari che intralciano il processo e mettono in dubbio la buona fede dell’inquisitore, accusato di mirare ai denari dell’accusato o di perseguitare un avversario politico piuttosto che alla difesa dell’ortodossia.
Gli elenchi di coloro che erano stati ufficialmente inquisiti per Eresia venivano letti pubblicamente e ciclicamente; così come ciclici sono i periodi di predicazione dell’inquisitore; continuo invece è il ricorso al contributo delle confraternite nate proprio come strumenti antiereticali. Sono gli aspetti propagandistici e “terroristici” dell’officio, insieme alla lettura pubblica delle sentenze; ma non uno “scadimento” dell’istituto, come si è interpretato anche recentemente, anzi è un compimento di un’azione che mira a distruggere nel profondo l’Eresia, e che quindi non si limita alla sola repressione, in negativo, ma che – soprattutto a mio parere – toglie ogni spazio ad eventuali tentazioni ereticali prefigurando, in positivo, gli ambienti in cui manifestare il proprio bisogno di fede piena. Gli eretici non scomparvero perché annientati con la violenza, ma perché non trovarono più motivi ed ambiti di contestazione religiosa. Le forme di pietà furono incanalate e disciplinate nelle confraternite dirette dai mendicanti; il bisogno di santità nella chiesa venne esaudito con la novità dei santi laici, che si moltiplicarono giusto a partire dalla seconda metà del Duecento; la fluidità comunale si sciolse nella rigidità ed uniformità del reggimento signorile delle città; la questione della povertà divenne la questione delle forme lecite di ricchezza; papato e impero seguirono strade diverse e largamente autonome.
Tre e Quattrocento
Di fatto l’Eresia scompare. Ne è il segno più inequivocabile non il cessare dell’attività inquisitoriale, che anzi continua anche se stancamente e di routine, là dove si mantiene – perché in molti luoghi non si mantiene neppure -, ma la scomparsa dei trattati dei polemisti antiereticali. Ed il capo d’accusa si fa sempre più vago. Nel Duecento eretico significa cataro, o valdese, o apostolico; nel Trecento e nel Quattrocento non si sa che cosa sia: fraticello, libero spirito, sodomita, mago, brigante, bestemmiatore, anticlericale, antisociale, stravagante, usuraio, ebreo, ateo, pubblico peccatore, ladro.
Non più riflessioni teoriche, non più bolle papali e imperiali contro gli eretici, cristallizzazione della prassi. Il miglior manuale inquisitoriale, per chiarezza ed ordine, il cosiddetto “De officio inquisitionis”, redatto in ambiente domenicano bolognese tra 1320 e 1325, rimase un testo capitale per tutto il secolo, per il successivo ed anche oltre, come dimostrano a dismisura le numerosissime annotazioni e glosse marginali apportatevi da generazioni di inquisitori, ed il suo utilizzo perfino nei manuali “moderni” di Eimeric e del Peña.
Parallelamente il numero degli inquisitori tracolla. In molte città per due secoli non c’è neppure una sentenza, a Rimini, Asti, Ceneda, Modena, Pavia, e tante altre. Il controllo e la direzione della religiosità laica – perché di questo si tratta, non di un’attività puramente repressiva e terroristica – segue mille rivoli – di cui ovviamente in questa sede non è possibile neppure accennare -, ma l’Inquisizione vi gioca un ruolo marginale.
Bisognerà attendere la Riforma perché l’Inquisizione rinasca, in forme diverse, con una nuova vitalità, per svolgere un ruolo di nuovo centrale.
Approfondimenti
Eretici e città italiane nel Due-Trecento (http://www.medievale.it/
L’inquisizione medievale, tra ideologia e metodologia (http://www.medievale.it/
I conti di fra Lafranco, una fonte insospettabile (http://www.medievale.it/
Sviluppo e vita dell’Ordine del Tempio (http://www.medievale.it/
———–
(http://www.medievale.it/
*********
Savonarola e Calvino
di Paolo Thea (paolo.thea@virgilio.it)
Un argomento su cui mi sento in grado di dire qualcosa è sul fatto che massacri, ammazzamenti, torture, roghi di streghe e di eretici etc., non solo non sono diminuiti con la riforma protestante, ma sono talmente aumentati da costituire un qualcosa di mostruoso. Voglio paragonare due situazioni diverse tra loro, ma per certi versi molto simili e quasi consequenziali, servendomi di un lavoro che sto preparando sul “Vandalismo nell’arte”. La prima è la Firenze sotto il reggimento del predicatore Girolamo Savonarola, un caso di stato teocratico cattolico che dura relativamente pochi anni, e l’altra è la Ginevra calvinista, dove esiste una dittatura religiosa riformata molto rigida e che dura tutta la vita di Giovanni Calvino e anche nei secoli successivi. Ma che differenza c’è per il malcapitato essere torturato dai “papisti” o dai riformati? A Firenze, come si legge in un libro scritto da un membro del movimento surrealista del secondo dopoguerra, Marcel Brion, sono successe delle cose che hanno avuto una profonda eco in tutta Europa e non solo a causa del fatto che gli scritti del domenicano sono tradotti un po’ dovunque in Europa ma anche a Istambul. La seconda lunga citazione, che mi sembra eloquente e non necessita di molte spiegazioni, miracolo dei calvinisti che elencano sugli atti del Concistoro di Ginevra tutti i loro reati e i nomi e cognomi di quanti sono colpiti dalla loro “giustizia”, è tratta dal libro di Stefan Zweig Castellio contro Calvino ovvero una coscienza contro la forza, Zurigo, 1936. Da una parte Savonarola, per combattere il lusso e gli abusi, instaura un sistema di delazione servendosi dei bambini. Ai “puri” cui chiede di «purificare la città» è permessa qualsiasi cosa: ascoltare cosa si dice, controllare gli usi e costumi, ciò che si mangia e si beve, se si portano gioielli troppo appariscenti, se si posseggono libri sospetti, se si possiedono opere d’arte con nudi ecc. La domenica e i giorni festivi questi piccoli inquisitori, loro che sputeranno a Savonarola il giorno della sua andata al patibolo nel 1498, sfilano vestiti di bianco con corone e bandiere, cantando gli inni composti dal priore di San Marco, ma i giorni feriali sono irriconoscibili e temutissimi al loro semplice apparire:
«Raggruppati in bande, per i quartieri, hanno il diritto di entrare in tutte le case, di prendere quello che loro piace, di svaligiare i passanti, di alzare i vestiti alle donne, di insultare le persone; chi tenta di difendersi o di protestare è trattato come un nemico pubblico. La guarnigione fiorentina costituita da questa polizia dei costumi, semina il terrore dappertutto … questi minuscoli inquisitori, questi investigatori in erba, questi marmocchi denunziatori, di fronte cui tutti tremano, fanno il vuoto sulle piazze e nelle strade, annusano nelle cucine l’aroma dei cibi proibiti, fanno aprire gli armadi a muro, messi sull’avviso dall’odore della dissolutezza, dal profumo dell’impudicizia»1.
Le pene previste nel caso di trasgressione delle regole sono relativamente blande se paragonate a quelle ginevrine: la prima volta è comminata una pena pecuniaria, consistente in dieci fiorini, la seconda volta si finisce in camera di tortura e si subisce il doloroso tormento di quattro strappate di corda, e solo la terza volta, per i recidivi, c’è il carcere perpetuo. Ognuno si mette a spiare i propri vicini, ad ascoltarne i discorsi, a sincerarsi della sua fedeltà coniugale, a vedere se si fa la corte a una ragazza, se assiste assiduamente alle funzioni religiose, pronto a fare denunce che fioccano copiose alle autorità. Gli oggetti sequestrati saranno pubblicamente distrutti dal fuoco purificatore dei “roghi delle vanità”. In questo clima in cui nulla è sicuro, le prediche del Savonarola agiscono come scosse, annunciate dai lugubri rintocchi della Piagnonia, la campana del convento di San Marco, da cui deriva il nome attribuito ai seguaci del priore. Egli annuncia catastrofi, peste, guerre ecc. che si possono evitare solamente con la penitenza e la preghiera. L’insistenza sulla morte capovolge la riflessione sulla bellezza, sulla giovinezza e sui piaceri della poesia e dell’arte fiorentine precedenti. Le nuove regole esigono scrupoloso rispetto e all’arte e agli artisti è riservata una particolare attenzione. Questo rapporto è di grande interesse ma penso di non soffermarmici, e mi limito a indicare che il più celebre tra loro è Sandro Botticelli. Alcuni poi, anziché ribellarsi con forza a tanto scempio, appaiono talmente sconvolti che buttano volontariamente sulle pire i loro dipinti “lascivi”, e il gesto ha il senso di un’ammissione di colpa. E da chi mai avrebbe dovuto essere purificata la Firenze di fine Quattrocento, se non da disgraziati come Savonarola? Magari dalle febbri, dalle polmoniti, dal cosiddetto mal francese, dalle infezioni, dalla peste, dai virus e batteri ecc. E questo vale per Firenze come per qualsiasi luogo del globo.
Dall’altra parte nella Ginevra di Calvino quegli stessi motivi: regole ferree, polizia spirituale, delazione, pene molto severe e sanguinose, sono ulteriormente sviluppati, ma non c’è prova che Calvino s’ispirasse a Savonarola. Adorno afferma che le cose giuste saranno nuovamente pensate in ogni epoca, ma purtroppo questo vale anche per quelle infami. E mandare in camera di tortura o sul rogo il proprio contraddittore è una cosa cui un intollerante pensa immediatamente. I “roghi delle vanità” nel mondo riformato si chiamano Bildersturm (= tempesta sulle immagini) o Bilderfrage, e con questi per volontà delle autorità religiose si eliminano quegli idoli che sono le opere d’arte a soggetto sacro. A Ginevra questo si svolge nel 1535. Ma tali distruzioni costituiscono una costante in Europa dovunque la riforma prenda il sopravvento: ne sono coinvolte intere nazioni, regioni o singole città. Dopo un controverso precedente di Wittenberg del 1522, nel 1521 e 1525 a Basilea si svolgono delle campagne iconoclastiche. La distruzione d’opere d’arte, che non vengono mai viste come tali, ma come semplici attributi di lusso appartenenti alla Chiesa romana, mentre già nei Libri Carolini elaborati nell’VIII secolo d. C. erano considerati delle cose materiali frutto dell’attività umana e pertanto non «preziose» o «particolarmente preziose» e neppure «sante» o «particolarmente sante», come aveva dichiarato il secondo concilio di Nicea nel 787 d. C, diventerà un carattere distintivo delle guerre di religione. Non è il caso di sottilizzare e giudicare severamente la distruzione di un quadro visto che si uccidono, si distruggono, si sgozzano, si bruciano, si tanagliano le persone. A Zurigo nel 1525 si procede pubblicamente alla distruzione degli idoli; le statue in legno sono bruciate e quelle in pietra murate. Nel 1529 si riprende con nuove campagne a Costanza, Berna e San Gallo. In quest’ultima località c’è una processione di quarantasei carri, caricatura del lugubre corteo di condannati al luogo dell’esecuzione. Al termine della cerimonia si brucia quanto è combustibile e sono murate le sculture in pietra. A Basilea nello stesso 1529 si arde su dodici grandi roghi, innalzati di fronte al duomo, quanto è rimasto d’arte religiosa. I volti e gli occhi della tavola centrale dell’Altare di san Pietro a Ginevra, dipinto dal pittore tedesco Konrad Witz, sono raschiati. A Ulm (Ulma), nel Götzantag (giorno degli idoli) del 21 giugno 1531, gli altari sono distrutti, i dipinti stracciati, le statue frantumate. Nel duomo – stando alle cronache – c’erano sessanta altari intagliati e colorati, alcuni dei quali opera di Hans Multscher e della sua bottega, che sono bruciati. Lo stesse cose avvengono in Germania. A Costanza è distrutto un altare ad ali dello scultore olandese Nicolaus Gerhaert von Leyden. L’Altare della Madonna di Creglingen, vicino Würzburg, opera d’intaglio in legno di Tilman Riemenschneider, si salva perché nascosto sotto tavole inchiodategli sopra, da cui è stato liberato solo nell’Ottocento. Lo scoppio delle guerre di religione nelle Fiandre o in Francia è successivo. In Francia scompaiono secoli di produzione artistica. Ma che cosa è questo a fronte delle migliaia di morti causati dal fanatismo comune alle due parti in lotta? Ciò che avviene nelle Fiandre non è da meno di quanto avviene in Francia. Ad esempio il polittico dell’Agnello mistico che si trova nella cattedrale di Gand, opera dei fratelli Hubert e Jan van Eyck, considerato un punto d’arrivo dell’arte fiamminga del Quattrocento, si salva perché nascosto all’avvicinarsi dei distruttori e così in pratica per tutte le opere giunte a noi che si trovavano in Svizzera, Francia, Germania e Fiandre.
I passi che seguono sono tratti dal secondo capitolo del libro citato di Zweig, intitolato Die Discipline. Come tale l’autore intende la rigida regola che Calvino impone a Ginevra. Da talune terminologie impiegate traspare chiaramente che un simile lavoro, e cioè l’approfondimento di una situazione di stato teocratico e di controversia tra un potente, Calvino, e un umanista disarmato, Castellio, «una mosca contro un elefante», sia causato dalla situazione degli anni Trenta del secolo XX. I riferimenti evidenti sono lo stalinismo e il nazismo e, infatti, la prima edizione del libro è stampata a Zurigo nel 1936. Zweig è sconvolto quando la sua Austria è annessa alla Germania nazista nel 1938. Allora, si mette a viaggiare senza sosta per Europa e America: Parigi, Nizza, Portogallo, Londra, New York, Buenos Aires, Uruguay, di nuovo New York e infine Petropolis in Brasile, non distante da Rio de Janeiro, dove scrive un eccezionale libro, Brasile (una terra per il futuro) e, nel 1942, si toglie la vita. Si evidenziano due frasi particolarmente indicative:
«Il Dio di Calvino non deve essere festeggiato e amato ma solamente temuto».
un’altra, non compresa in queste pagine, parla della tortura e l’idea in proposito di Calvino lascia sbigottiti:
«Se la tortura è implacabile è come se fosse un castigo imposto da Dio».
«Solo nella chiarezza c’è la verità, solo nella limpida parola di Dio c’è saggezza. Via dunque tutte le forme idolatriche, immagini e statue in chiesa, via gli ornamenti colorati dei messali e quelli posti davanti ai tabernacoli della tavola del Signore. Dio non gradisce nessuna forma di ricchezza. Basta con tutti i gozzovigliamenti e stordimenti dell’anima: nessuna musica, nessun suono d’organo durante il servizio divino. Anche la campane delle chiese a Ginevra dovranno tacere. Solo con il “bronzo morto” i fedeli si ricorderanno dei loro obblighi… Con una riga Calvino cancella i giorni di festa dal calendario. Sono abolite ricorrenze già celebrate nelle catacombe come Pasqua e Natale, cancellati i giorni dedicati ai santi, proibite la celebrazione delle ricorrenze famigliari: il Dio di Calvino non deve essere festeggiato e amato ma solamente temuto… Dal ritorno di Calvino2 le case hanno porte aperte e le pareti è come se fossero di vetro. In qualsiasi momento del giorno e della notte qualcuno può energicamente bussare all’uscio di casa e un membro della polizia spirituale può comparire alla porta “per controlli”, senza che l’individuo vi si possa opporre in alcun modo. Il ricco e il povero, il grosso e il minuto, una volta al mese come minimo, devono ascoltare i discorsi di questi ficcanaso degli usi e costumi. Per ore – come si dice nell’ordinanza: “Si deve concedere il tempo utile perché si possa effettuare la ricerca con agio” – e individui coi capelli bianchi, uomini validi, persone fidate, al pari di bambini in età scolastica devono prestarsi agli esami, per verificare se sappiano recitare le preghiere o controllare se non siano mancati a una predica di Calvino. Ma dopo un simile catechismo e una simile opera di moralizzazione la visita non è da considerarsi conclusa. Questa Ceka-morale s’immischia di tutto. Vengono palpati i vestiti delle donne, per controllare che non siano né troppo lunghi né troppo corti, se non abbiano troppe gale o abbiano dei pericolosi spacchi, poi si controllano le capigliature per verificare che il taglio non sia troppo artificioso e si contano gli anelli e le scarpe depositate nell’armadio. Indi dal locale di toeletta si va verso la cucina per verificare se sotto una zuppa o un pezzo di carne non siano nascosti dolciumi e marmellata. E poi il devoto poliziotto si muove nella casa. Guarda nella libreria se c’è qualche libro che rechi un sigillo diverso da quello del Concistoro, egli fruga il fondo per vedere che non ci siano nascoste un’immagine di santi o una corona di rose. Le persone di servizio sono interrogate dopo i signori, i bambini dopo i genitori. Nello stesso tempo il poliziotto sta attento che in strada non s’intoni qualche canzone profana o con un fondo diabolico, gridata senza devozione… Questa caccia all’uomo è condotta giorno dopo giorno, e anche di domenica gli spioni non hanno sosta. Vengono nuovamente percorse tutte le vie e nuovamente viene bussato di porta in porta per controllare se qualcuno, poco diligente, sia rimasto a letto quando comincia la predica del “Signor Calvino”. In chiesa altri prestano attenzione, eventualmente per denunciare chi visiti in ritardo la casa di Dio o vi esca anzitempo. Dappertutto e instancabilmente lavorano questi guardiani degli usi e costumi; ispezionano anche le buie pergole in riva al Rodano per controllare che non ci sia qualche coppia affettuosamente abbandonata, nelle osterie rovistano nei letti e nei bagagli degli stranieri. Aprono ogni lettera che viene da Ginevra o vi è diretta e sulle mura cittadine fa buona guardia la ben organizzata sentinella del Concistoro. Sulle carrozze, sulle barche, sulle navi, sui mercati all’estero, e nelle vicine osterie, dappertutto ci sono degli spioni scelti: ogni parola di malcontento pronunciata a Lione o Parigi viene immancabilmente annotata… Però dovunque uno stato tiene i suoi abitanti in una situazione di terrore, fiorisce la ributtante pianta delle denunce… Lo “zelo della paura”3 corre verso i delatori impazienti. E dopo un anno il Concistoro potrebbe verosimilmente abolire ogni controllo perché i cittadini vi si sono ormai assuefatti. Giorno e notte scorre il torbido flusso delle denunce e da parte dell’inquisizione spirituale, la cui ruota è continuamente in movimento, vi si presta la dovuta attenzione. Ma come si sviluppa sotto un tale terrore degli usi e costumi e nessuna possibile trasgressione del messaggio divino, sostenuto da Calvino, la felicità e pienezza della vita? Il teatro è proibito, così come divertimenti, le feste popolari, il ballo e la musica in ogni sua forma: anche uno sport innocente come il pattinaggio su ghiaccio suscita in Calvino un bilioso sfavore. Proibito ogni altro aspetto se non quello quasi monacale del digiunatore, proibita anche la sartoria, senza il permesso del magistrato, infatti, non si possono mettere a punto nuovi tagli, vietato alle ragazze, prima dell’età di quindici anni, indossare vestiti di seta e, dopo, abiti di velluto, proibiti i vestiti con ricami d’oro o d’argento, [proibite] le trecce dorate come nodi e fermagli, così come preziose decorazioni e pezzi d’oreficeria. Agli uomini sono vietati i lunghi capelli cadenti4 e alle donne non è permessa alcuna pettinatura e arricciatura in testa, proibiti i pizzi in vista, guanti, gale e scarpe traforate. Proibite le lettighe e utilizzare vetture a ruote. Proibite le feste famigliari con più di venti persone. Vietato ai battesimi o alle feste di fidanzamento servire più di una certa quantità di dolciumi, così come di frutta. Proibito bere altro vino se non quello rosso della zona, proibito l’eccedere nel bere, banchettare a lungo, mangiare volatili e pasticci. Proibito in occasione dei matrimoni fare dei regali nei sei mesi successivi. Proibito ogni mezzo di trasporto fuori del comune; anche nel caso dei fidanzamenti non c’è nessun’indulgenza. Vietato agli indigeni frequentare un’osteria, proibito all’albergatore dare da mangiare un menù fuori del comune e delle bevande altrettanto strane… Proibito stampare un libro senza permesso, proibito scrivere all’estero, proibita l’arte in tutte le sue forme, proibite le immagini dei santi e le sculture, proibita la musica. Nel canto devoto dei salmi le ordinanze prescrivono “di prestare attenzione alle parole, al loro spirito e senso, piuttosto che alla melodia, perché Dio si può lodare solo nella parola vivente”. Più di una volta la libera scelta dei nomi di battesimo dei figli è impedita. Diventano proibiti nomi utilizzati da secoli come Claude o Amadé, perché non sono biblici e altri, come Isacco o Adamo, frequentemente sono imposti. È proibito recitare il Padrenostro in latino, vietato festeggiare ricorrenze come Pasqua e Natale, proibito tutto ciò che turba il fosco clima da digiuno, proibita ogni ombra e scintillio che denoti una qualche libertà spirituale nella parola pronunciata o stampata. E proibito, ed è il divieto dei divieti, ogni critica alla dittatura di Calvino: viene fatto notare con lo squillo di una tromba che “eventuali cambiamenti da parte del Consiglio verranno resi noti”.
Proibito, proibito, proibito, un orrendo ritmo. E costernati ci si chiede: cosa è permesso ai cittadini di Ginevra. Non molto. È possibile vivere e morire, lavorare5, ascoltare e andare in chiesa. Ma c’è molto di più, quest’ultima cosa non solo è permessa, ma imposta a pena di pesanti sanzioni… La paura è il prezzo che deve pagare la città per il mantenimento dell’“ordine” e della “disciplina” dato che a Ginevra non ci sono mai stati tali e tanti fatti di sangue, pene, torture ed esili in seguito ai giudizi, come da quando Calvino spadroneggia nel nome di Dio. Giustamente Balzac osserva a proposito del terrore di Calvino che tanto orrende sono le sue orge di sangue quanto quelle della rivoluzione francese: “La rabbiosa intolleranza di Calvino era tanto moralmente spietata e rigida quanto l’intolleranza politica di Robespierre, e in un luogo come Ginevra, Calvino avrebbe versato tanto più sangue che il terribile apostolo dell’uguaglianza politica”.
Però non erano tanti i barbari giudizi sanguinosi, con cui l’idea di libertà dei ginevrini è stata spezzata… Si può sfogliare nella lista dei verbali del Consiglio, al fine di cogliere la raffinatezza dell’intimidazione. Un cittadino ha riso a un battesimo: tre giorni di galera, un altro, stanco per il caldo estivo, si addormenta alla predica: galera. Un lavoratore ha mangiato un pasticcio a colazione: tre giorni a pane e acqua. Due cittadini hanno giocato ai birilli: galera. Due altri hanno giocato ai dadi un quarto di vino: galera. Uno si è rifiutato di battezzare suo figlio col nome Abramo: galera. Un violinista cieco ha suonato invitando al ballo: cacciato dalla città. Un altro individuo ha elogiato la traduzione della Bibbia di Castellio6: cacciato dalla città. Una ragazza è sorpresa a pattinare sul ghiaccio. Una donna si è gettata sulla tomba del marito. Un uomo durante il servizio divino ha offerto ai suoi vicini una presa di tabacco: citati davanti al Concistoro, ammoniti e poi multati. E ancora altri casi senza fine e senza sosta… Gente allegra il giorno dei Re Magi [6 gennaio] si è cucinata dei fagioli: condannati a ventiquattr’ore a pane e acqua. Un cittadino ha detto “Signor Calvino” anziché “Calvino”, un paio di contadini per antica abitudine ha parlato d’affari dopo l’andata in chiesa: galera, galera, galera. Uno ha giocato a carte: è messo alla gogna con le carte al collo. Un altro ha cantato insistentemente in strada: cacciato e mandato “a cantare altrove”, il che significa che è bandito dalla città. Due marinai si sono azzuffati, senza uccidere nessuno: condannati e giustiziati. Due bambini non ancora maggiorenni, che si sono rivolti indecentemente tra loro, dapprima sono condannati al rogo, successivamente graziati, ma costretti a stare di fronte alla catasta che brucia. La più rabbiosa punizione naturalmente è contro ogni atto ostile allo stato e contro l’infallibilità spirituale di Calvino. Un uomo, che ha criticato pubblicamente i discorsi sulla predestinazione di Calvino, è frustato a sangue a tutti gli incroci stradali e poi bandito dalla città. Ad uno stampatore che, ubriaco, ha insultato Calvino, è bucata la lingua con un ferro rovente, e poi è cacciato dalla città. Jacques Gruet, solo perché ha definito Calvino un ipocrita, è torturato e indi giustiziato7. Ogni avvenimento, anche il più insignificante, è accuratamente annotato sugli atti del Concistoro, in modo tale che la vita privata di ogni singolo cittadino è evidenziata: la polizia degli usi e costumi di Calvino ignora il perdono o la dimenticanza.
Inevitabilmente, un simile perdurante e duraturo terrore alla fin fine spezza la dignità interiore e l’energia delle persone. Se in uno stato ogni cittadino può essere interrogato, inquisito, condannato, è continuamente insicuro, è spiato in ogni suo atto e in ogni parola, se incessantemente giorno e notte deve aprire la porta per “visite”, allora i nervi si allentano, a poco a poco, subentra una paura diffusa e anche i più coraggiosi via via soccombono…».
(I passi citati si trovano nell’edizione Fischer Verlag, Francoforte sul Meno, 1987, tra le pgg. 54 e 65).
Note
Marcel Brion. Savonarole. L’héraut de Dieu. La colombe, Paris 1948, p. 142-143.
Nel febbraio 1538, il predicatore è allontanato da Ginevra ma poi, nel settembre 1538, vi è richiamato.
In italiano nel testo.
Ad esempio uno come Albrecht Dürer a Ginevra non avrebbe potuto portare in giro la sua lunga capigliatura, e buon per lui che Lutero, contrariamente a Calvino, si disinteressi dell’argomento.
Questo dei ritmi di lavoro imposti con la riforma è un problema poco indagato ma d’estremo interesse. Alberto Savinio, pensando soprattutto al cattolicesimo, sostiene che il cristianesimo è un modo per fare digerire la gerarchia terrena: «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Che questo fenomeno s’intensifichi ancora con la riforma protestante è inquietante. D’altra parte le autorità riformate hanno il timore di spaventare i signori, che costoro credano che la religione voglia alimentare la sovversione sociale.
Versione vietata da Calvino.
In un altro punto del suo lavoro Zweig elenca il numero di più di novanta giustiziati a Ginevra durante la vita di Calvino. E novanta vuol dire qualcuno di più dell’eretico Michele Serveto bruciato nel 1553, la cui vicenza è scandalosa. In ogni caso qui si elencano tre casi di giustiziati, e di uno si fa pure nome e cognome, ma tutti i nomi sono registrati scrupolosamente negli atti del Concistoro.
24 aprile 2004
————-
(http://www.uaar.it/ateismo/
*********
Le vittime di Wojtyla
Giovanni Paolo II passa per essere un papa pellegrino, disposto a
spostarsi ovunque per dire una parola di pace, e pronto a dialogare
con chiunque.
La realtà «interna» è invece diametralmente opposta all’immagine che
è stata costruita su Wojtyla: nella Chiesa cattolica è vietato
dissentire dal papa polacco, pena il silenzio, l’allontanamento, la
perdita del posto. Un tempo si rischiava il rogo, quindi bisogna
riconoscere che qualche passo avanti si è fatto. Del resto, la
Congregazione per la Dottrina della Fede non è che la vecchia Santa
Inquisizione, riverniciata con un nuovo nome.
Le vittime degli strali vaticani cominciano ad essere parecchie:
viene pubblicata qui una lista delle personalità più prestigiose,
precisando che si tratta, comunque, di un elenco incompleto. Molte di
loro sono colpevoli di «inculturazione»: ovvero di cercare di
«adeguare» la religione cattolica alle culture locali, e non viceversa.
TISSA BALASURIYA: teologo cingalese, prima scomunicato, poi riammesso
nella Chiesa, sostenitore dell’inculturazione e di tesi non ortodosse
sull’immacolata concezione (per maggiori informazioni, in inglese,
clicca qui).
LEONARDO BOFF: francescano brasiliano, fondatore della «Teologia
della Liberazione». Nel 1985 la Chiesa lo costrinse al silenzio (per
maggiori informazioni, in inglese, clicca qui).
PAUL COLLINS: teologo e scrittore australiano, è stato costretto ad
abbandonare il sacerdozio dopo essere stato messo sotto inchiesta
dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a causa delle sue
opinioni sull’infallibilità del papa e dello strapotere della curia
vaticana.
CHARLES CURRAN: sacerdote statunitense, per le sue opinioni non
allineate sulla dottrina cattolica in materia sessualeperse nel 1987
la cattedra di Teologia Morale all’Università cattolica di Washington.
EUGEN DREWERMANN: sacerdote, psicoterapeuta e scrittore tedesco, gli
viene revocata la facoltà di insegnare presso la cattedra di Teologia
e Storia delle Religioni dell’Università di Paderborn. Si è autosospeso.
JACQUES DUPUIS: gesuita belga, sostenitore anch’egli
dell’inculturazione: da due anni sotto inchiesta, e privato della
facoltà di insegnare (per maggiori informazioni, in inglese, clicca qui)
JACQUES GAILLOT: vescovo francese, vicino ai poveri ed agli
immigrati, viene rimosso nel 1995 dalla sede di Evreux e spostato
alla sede di Partenia: una diocesi algerina inesistente. Si è
costituito allora un movimento internazionale di solidarietà verso il
vescovo, di cui si trova traccia al sito http://www.partenia.org/ita/
index.htm.
JEANNINE GRAMICK: suora scolastica statunitense, fondatrice con padre
Nugent di New Ways Ministry, un progetto pastorale rivolto a gay e
lesbiche. Diffidata dal Vaticano a svolgere qualsiasi azione «che
coinvolga persone omosessuali».
JOSEF IMBACH: frate minore francescano di origine svizzera, teologo,
anch’egli posto sotto inchiesta dalla Congregazione per la Dottrina
della Fede. L’accusa: aver pubblicato un libro nel quale assume una
posizione «scettica» sui miracoli descritti nel Nuovo Testamento.
HANS KUNG: teologo svizzero, liquidato dalla cattedra di Teologia
all’Università di Tubingen per aver messo in dubbio il dogma
dell’infallibilità della Chiesa.
LUIGI LOMBARDI VALLAURI: professore italiano, esonerato
dall’insegnamento presso la cattedra di Filosofia del Diritto
all’Università cattolica di Milano per aver espresso opinioni non
allineate sul magistero papale e sul concetto di una «pena eterna»
comminata da dio. Per maggiori informazioni, clicca qui.
NOI SIAMO CHIESA: movimento nato nel 1995 in Austria, che ha inviato
diverse lettere al papa chiedendogli maggiore apertura dottrinaria,
lettere che hanno raccolto diversi milioni di firme e che non hanno,
tuttora, ricevuto alcuna risposta. Il loro sito: http://www.we-are-
church.org/it/.
EDWARD SCHILLEBEECKX: teologo olandese, più volte messo sotto
inchiesta dalla Congregazione per la Dottrina delle Fede per le sue
opinioni non allineate, in special modo sul divorzio.
RAUL VERA LOPEZ: vescovo messicano, coadiutore di Samuel Ruiz nella
diocesi di san Cristobal de Las Casas nel Chiapas di cui era
considerato il successore naturale, è stato destinato recentemente ad
altro incarico nonostante le proteste della popolazione. Inviato a
«normalizzare» la situazione, in seguito è stato ritenuto troppo
comprensivo verso le ragioni degli zapatisti Clicca qui per maggiori
dettagli. Recentemente anche Samuel Ruiz è stato messo sotto
inchiesta dal Vaticano con l’accusa, non provata, di avere ordinato
delle diaconesse.
MARCIANO VIDAL: teologo spagnolo, sotto inchiesta per anni da parte
della Congregazione per la Dottrina della Fede. Costretto a
ritrattare le sue teorie «non ortodosse» su contraccezione, aborto e
fecondazione artificiale.
ALESSANDRO ³ALEX² ZANOTELLI: comboniano italiano, venne silurato
dalla direzione del periodico Nigrizia in quanto sostenitore
dell’inculturazione.
DOCUMENTAZIONE SULL’ARGOMENTO
* Juan Arias. L’enigma Wojtyla. Borla 1986.
* Carlo Cardìa. Karol Wojtyla. Vittoria e tramonto. Donzelli 1994.
* Filippo Gentiloni. Karol Wojtyla. Nel segno della
contraddizione. Baldini & Castoldi 1996.
* Mario Alighiero Manacorda e Giovanni Franzoni. Le ombre di
Wojtyla. Editori Riuniti 1999.
* Luigi Sandri. L’ultimo papa re. Datanews 1996.
* Marcello Vigli. «Papato e restaurazione» in I giubilei del
Novecento. Datanews 1999.
Tutti questi libri affrontano direttamente, in forma critica,
l’operato di Giovanni Paolo II.
———
(http://www.fisicamente.net/
*********
Il cattolicesimo reale
Walter Peruzzi
Il cattolicesimo reale. Attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della Chiesa, dei concili
Odradek Edizioni, Roma 2008, pp. 525, euro 32,00
ISBN 88-86973-97-7
Questo documentatissimo libro intende ricostruire, “attraverso i testi della Bibbia, dei papi, dei dottori della chiesa, dei concili”, il cattolicesimo reale, cioè l’effettiva dottrina morale della chiesa cattolica, al di là dei luoghi comuni sedimentati e dell’immagine che essa trasmette di sé.
Tre accreditati luoghi comuni servono innanzitutto a organizzare il vasto materiale raccolto.
Il primo è la religione dell’uguaglianza, ossia l’idea diffusa secondo cui il cristianesimo avrebbe affermato, in seno a una società schiavista, l’uguaglianza di tutti gli uomini – addirittura “abolito la schiavitù”, come pretendeva Leone XIII. Con buona pace del messaggio evangelico (o delle sue interpretazioni più radicali, per altro sistematicamente represse dalle gerarchie ecclesiastiche), “fin dai primi secoli la Chiesa si mostrò favorevole alla società civile esistente, che era divisa in padroni e schiavi, ricchi e e poveri e in cui le donne erano soggette agli uomini”. Sul piano sociale, la Chiesa si è dunque sempre attenuta all’”accettazione delle disuguaglianze esistenti” – sostenendo la schiavitù (condannata esplicitamente solo alla fine del XIX secolo), praticando la servitù e condannando la lotta di classe. Sul piano politico, dopo una storia all’insegna dell’alleanza tra trono e altare, tutt’ora accetta i principi democratici obtorto collo, preferendo di gran lunga gli ordinamenti politici autoritari e mostrando un’aspirazione teocratica mai sopita – anzi fortemente rilanciata dai pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Sul piano dei rapporti di genere, infine, continua a ribadire l’inferiorità e la subordinazione della donna – con decisione, anche se oggi con toni più pacati rispetto all’insulto e alla demonizzazione dell’universo femminile che prevalgono fino all’età contemporanea, e mantenendo significativamente l’interdizione alle donne del sacerdozio. Ben poca uguaglianza, dunque, nel cattolicesimo reale.
Il secondo luogo comune, la religione della gioia, dà il titolo alla parte che si occupa della morale sessuale della Chiesa, millenaria “crociata contro il piacere”. La morale sessuofoba, secondo l’autore, “è il cuore del cattolicesimo, il suo nocciolo più duro, la dottrina più irrinunciabile perché rappresentando l’essere umano come una creatura infinitamente miserabile e colpevole che può godere solo peccando, gli interdice [...] ogni possibilità di gioia in questa ‘valle di lacrime’ e lo spinge ad affidarsi alla promessa di una salvezza ultraterrena, garantita dalla Chiesa. Per questo la Chiesa è determinata a non modificare e anzi a brandire come un’arma una dottrina morale che le consente un’intromissione sistematica in privatissime scelte, attinenti la libertà di ognuno e il diritto di autodeterminazione delle donne in particolare; e che conferisce un enorme potere di controllo sulla vita, sulla morte, sui desideri e su corpi dei fedeli a una gerontocrazia celibataria che tale potere si guadagna con la pratica vantata e ostentata – anche se magari non vissuta – della castità”.
La terza parte, la religione dell’amore e della vita, affronta alcuni capitoli particolarmente dolenti della storia della chiesa: le molte inquisizioni, da quelle medievali ai “tre secoli di bolle e stragi” in età moderna; l’antisemitismo, che conosce una svolta significativa solo con Giovanni XXIII e con il Concilio Vaticano II; l’omofobia ancora ampiamente in auge; il sostegno dato alle guerre – “sante”, “giuste” o semplicemente di conquista – e alla pena di morte; infine, le attuali battaglie contro diritti ormai largamente acquisiti nel comune sentire – come quello delle donne all’autodeterminazione e all’interruzione della gravidanza, delle coppie alla procreazione artificiale, dei malati al rifiuto dell’accanimento terapeutico – condotte con atteggiamenti disumani in nome di una feroce pretesa a conservare o a estendere il massimo controllo sulla vita e sulla morte.
Conclude l’ampio lavoro un’appendice dedicata prevalentemente all’analisi delle posizioni teologiche di papa Ratzinger (contenute nelle due encicliche e in altri documenti), che fanno il punto sulle stravaganti – ma moralmente inquietanti – questioni dell’inferno, del limbo e dei santi.
Come scrive l’autore nella Introduzione, “spesso l’apologetica cattolica lamenta che i fedeli leggano poco i testi dei loro pastori. Ma sono lagnanze incaute poiché niente meglio di questi testi, come potrà verificare chi avrà la pazienza di leggerli, e senza nulla togliere alla loro importanza storica, mina la credibilità del cattolicesimo mostrando la sequela di concezioni inaccettabili, discutibili o assurde”, spesso contraddittorie ma soprattutto anacronistiche e immorali.
Maria Turchetto
—————
(http://www.uaar.it/ateismo/
************
BIBLIOGRAFIA SU FATTI E MISFATTI DELLA CHIESA DI ROMA
*Celso (II sec. d.C.)- El discurso verdadero contra los cristianos -
Alianza, Madrid 1989.
*Voltaire – Tutti i romanzi e i racconti. Dizionario filosofico – Newton
Compton, Roma 1995.
*Nietzsche – La gaia scienza – Newton Compton, Roma 1996.
*Nietzsche – L’Anticristo. Crepuscolo degli idoli. Ecce homo. La
volontà di potenza, Newton Compton, Roma 1989.
*Arthur Schopenauer – O si pensa o si crede – Rizzoli, Milano 2000.
*Mario Alighiero Manacorda; Giovanni Franzoni – Le ombre di Wojtyla -
Editori Riuniti, Roma 1999.
*Mario Alighiero Manacorda – Lettura laica della Bibbia – Editori
Riuniti, Roma 1989.
*Pepe Rodriguez – Verità e menzogne della Chiesa cattolica – Editori
Riuniti, Roma 1997.
*Pepe Rodriguez – La vida sexual del clero – Ediciones B, Barcelona
1995.
*Pepe Rodriguez – El poder de las sectas – Ediciones B, Barcelona 1997.
*Pepe Rodriguez – Dios nació mujer – Ediciones B, Barcelona 2000.
*Pepe Rodriguez – La conspiración Moon – Ediciones B, Barcelona 1988.
*AA.VV. – I Vangeli apocrifi – Einaudi, Torino 1990.
*Claude Brigitte Carcenac Pujol – Jesus, 3.000 años antes de Cristo -
Plaza& Janes, Barcelona 1994.
*William Graham Cole – Sesso e amore nella Bibbia – Longanesi, Milano
1967.
*Karlheinz Deschener – Il gallo cantò ancora – R.Massari, Bolsena 1998.
*Karlheinz Deschener – La croce della Chiesa – R. Massari, Bolsena 2000.
*Karlheinz Deschener – La política de los Papas en el siglo XX (2 voll.) – Yalde, Zaragoza 2000.
*Karlheinz Deschener, H. Herrmann – El Anticatecismo – Yalde,
Zaragoza 2000.
*Karlheinz Deschener, A. Sanjuán (a cura di) – En qué creo yo – Yalde,
Zaragoza 1992.
*Karlheinz Deschener – Historia criminal del cristianismo (20 voll.) -
Martínez Roca, Barcelona 1998.
*Karlheinz Deschener – Storia criminale del Cristianesimo (10 voll.)
- Il Viandante, Milano 2000.
*Martin Lutero – Le 95 tesi – Edizioni studio tesi, Pordenone 1994.
*David Donnini – Cristo: una vicenda storica da riscoprire – erre
emme, Roma 1994.
*Edmund Wilson – Los rollos del Mar Muerto – Fondo de Cultura Economica, México 1995.
*A. Soggin – I manoscritti del Mar Morto – Newton Compton, 1987.
*R. Taradel, B. Raggi – La segregazione amichevole: la ‘Civiltà Cattolica e la questione ebraica 1850/1945 – Editori Riuniti, Roma 2000.
*Ernesto Rossi – Il Sillabo e dopo – Kaos, Milano 2000.
*Ernesto Rossi – Il manganello e l’aspersorio – Kaos, Milano 2000.
*Mario Guarino – Beato impostore, cronistoria di Padre Pio – Kaos,
Milano 1999.
*Marco Aurelio Rivelli – L’Arcivescovo del genocidio: Monsignor
Stepinac, il Vaticano e la dittatura ustascia in Croazia, 1941/1945 – Kaos, Milano 1999.
*Mario Guarino – I mercanti del Vaticano. Affari e scandali: l’industria
delle anime, Kaos, Milano 1999.
* I Millenari – Via col vento in Vaticano – Kaos, Milano 1999.
*Discepoli di verità – Bugie di sangue in Vaticano – Kaos, Milano 1999.
*Discepoli di verità – All’ombra del Papa infermo – Kaos, Milano 2001.
*Juan G. Atienza – Los pecados de la Iglesia – Martínez Roca, Barcelona
2000.
*Juan G. Atienza – Los santos paganos (dioses ayer, santos hoy) – Robin Book, Barcelona 1993.
*John Cornwell – El Papa de Hitler – Planeta, Barcelona 2000.
*David A. Yallop – En nombre de Dios – Planeta, Barcelona 1984.
*Lavinia Byrne – Mujeres en el altar – Ediciones B, Barcelona 2000.
*Paolo Flores D’Arcais – El desafío oscurantista – Anagrama,
Barcelona 1994.
*Ramos Perera – Las creencias de los españoles: La tierra de María
Santísima
- Mondadori, Madrid 1990.
*Giordano Bruno Guerri – Gli italiani sotto la Chiesa – Mondadori,
Milano 1992.
*Mark Aarons, John Loftus – Ratlines – Newton Compton, Roma 1993.
*Kenneth L. Woodward – La fabricación de los Santos – Ediciones B,
Barcelona
1999.
*Juan Eslava Galán – El fraude de la Sábana santa y las reliquias de
Cristo – Planeta, Barcelona 1997.
*M. Baigent, R. Leigh, H. Lincoln – El enigma sagrado – Martínez Roca,
Barcelona 1985.
*Gabriel Carrión López – El lado oscuro de María: el gran fraude de las
apariciones marianas – Aguaclara, Alicante 1992.
*Giovanni Maria Pace – La via dei demoni – Sperling & Kupfer, Milano
2000.
*Jean Vernette – L’ateismo – Xenia, Milano 2000.
*Giordano Berti – Gli eretici – Xenia, Milano 1997.
*Pierino Marazzani – La Chiesa che offende – erre emme, Roma 1993.
*Academia de las Ciencias sociales de la URSS – El ateismo cientifico -
Jucar, Madrid 1983.
*Mijaíl Bakunin – Dios y el estado – El viejo topo, Barcelona 1997.
*Piergiorgio Odifreddi – Il Vangelo secondo la Scienza – Einaudi, Torino
1997.
*Enrico Nassi – La sindrome rossa: Pio XII e il comunismo – Giunti,
Firenze
1999.
*Bertrand Russel – Perché non sono cristiano – Longanesi, Milano 1972.
*Delio Cantimori – Eretici italiani del Cinquecento – Sansoni,
Firenze 1967.
*AA.VV. – MicroMega: Il dogma e la speranza, nº 5 – Ed. L’Espresso, Roma
1998.
*AA.VV. – MicroMega: Almanacco di filosofia, nº 2 – Ed. L’Espresso, Roma
2000.
*AA.VV. – MicroMega: La sinistra in discussione, nº 3 – Ed.
L’Espresso, Roma
2000.
*AA.VV. – MicroMega: Laico è bello, nº 4 – Ed. L’Espresso, Roma 2000.
*AA.VV. – MicroMega: Memoria e favole, nº 5 – Ed. L’Espresso, Roma 2000.
*Henry Ch. Lea – Storia dell’Inquisizione: origine ed organizzazione –
Feltrinelli,Bocca, Milano 1974.
*Nicolau Eimeric, Francisco Peña – El Manual de los inquisidores -
Muchnik,
Barcelona 1983.
*A. S. Turberville – L’Inquisizione spagnola – Feltrinelli, Milano 1965.
*Jean Guiraud – L’Inquisizione medioevale – Corbaccio, Milano 1933.
*George Deromieu – L’Inquisition – P.U.F., Paris 1946.
*Juan Blasquez Miguel – La Inquisition – Penthalon, Madrid 1988.
*Franco Cardini – L’Inquisizione – Giunti, Firenze 1999.
*William J. Callahan – Iglesia, poder y sociedad en España, 1750/1874 -
Nerea, Madrid 1989.
*AA.VV. – Laicité, un idéal à réinventer – Le Monde de l’éducation nº
270,
Paris maggio 1999.
*F. De Orbaneja – Lo que oculta la Iglesia – Brand, Madrid 2001.
* L. Varcl – El Cristianismo y sus origenes – E. Cartago, Mexico 1982.
*M. Korth – Il giovane Capo – Il Viandante, Milano 2001.
———-
(http://www.fisicamente.net/
***********
Con Dio e con il Führer. La politica dei papi durante il nazionalsocialismo, Pironti (1997)
Il gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa, Massari (1998)
La croce della Chiesa. Storia del sesso nel cristianesimo, Massari (2000)
La Chiesa che mente. I retroscena storici delle falsificazioni ecclesiastiche, Massari (2001)
Anticatechismo. Duecento ragioni contro le Chiese e a favore del mondo, Massari (2002)
Opus diaboli, LiberLibri (2003)
Storia criminale del Cristianesimo, Vol. 1: L’età arcaica (2000)
Storia criminale del Cristianesimo, Vol. 2: Il tardo antico (2001)
Storia criminale del Cristianesimo, Vol. 3: La Chiesa antica (2002)
Storia criminale del Cristianesimo, Vol. 4: L’alto Medioevo (2003)
Storia criminale del Cristianesimo, Vol. 5: IX e X secolo (2004)
Storia criminale del Cristianesimo, Vol. 6: XI e XII secolo (2005)
Storia criminale del Cristianesimo, Vol. 7: XIII e XIV secolo (2006)
Storia criminale del Cristianesimo, Vol. 8: XV e XVI secolo (2007)
(L’opera, pubblicata dalle Edizioni Ariele, è in dieci volumi. Gli ultimi due sono in corso di stampa)
Sopra di noi… niente. Per un cielo senza dèi e un mondo senza preti, Ariele (2008)
La politica dei Papi nel XX secolo, Tomo I: Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Ariele (2009)
***********
* nota biografica su Karlheinz Deschner: http://en.wikipedia.org/wiki/
* il suo website: http://www.deschner.info/
* recensione del I vol. della Storia criminale del cristianesimo: http://www.uaar.it/uaar/ateo/
* recensione de La croce della Chiesa. Storia del sesso nel cristianesimo: http://www.uaar.it/ateismo/
* recensione de Il gallo cantò ancora. Storia critica della Chiesa: http://www.uaar.it/ateismo/
* estratti dalla Storia criminale del cristianesimo: http://www.fisicamente.net/
(Inviato da Joe Fallisi)
Risultato della ricerca:
Storie edificanti di Giorgio Vitali: “Vita ed opere di Giambattista Bugatti, carnefice papalino…”
Dal libro VITE DI SANTI E DI BEATI, scritte da Gesuina Diotallevi, edizioni: Il Buonsamaritano, stampato in Loreto, estraiamo questa volta: MASTRO TITTA, boia romano.
Il carnefice Giambattista Bugatti (da non confondere col grande costruttore di automobili) scrisse le proprie “Annotazioni” dal 1796 al 1840, corredandole con un saggio storico sulla Ghigliottina, essendo stato, questo “esecutore di Giustizia” il primo ad utilizzare in Roma questo sbrigativo metodo per togliere tante persone dai dolori e dalle sofferenze della vita.
Il Bugatti, in realtà, operò fino al 1864, perché, forte di natura ed in perfetta salute (evidentemente l’arte del carnefice è utile per preservare la floridezza e la possanza, gioendosi l’operatore di Giustizia nel vedere trapassare a “miglior vita” altri suoi simili).
Carnefice modello, ed artista veramente degno del teatro nel quale era chiamato ad agire, e del suo impresario, lo Stato ed il Governo Pontificio, Giambattista Bugatti, vulgo Mastro Titta, sostenne la sua parte per sessantotto anni, ed in ogni genere di supplizio: mazzola, squarto, forca, ghigliottina, mostrò sempre eguale abilità. (Chissà che gioia avrebbe provato in era attuale, a dirigere gli aerei senza pilota a bombardare le popolazioni di Palestina, Afghanistan, Iraq!!!) E quale differenza coi carnefici romani del tempo precedente! In confronto col nostro Mastro Titta, lo stesso Maitre Roch, gran carnefice di Francia e di Navarra diventa un pigmeo.
Nella sua carriera di circa 45 anni, (1834-1879) Maitre Roch ha giustiziato 68 condannati ed assistito, come aiuto, ad 80 esecuzioni. Invece, e dicono che i romani non hanno voglia di lavorare, il Bugatti ha eseguito da se solo la bellezza di 514 “giustizie”. E di queste “giustizie” Mastro Titta tiene, come un autentico uomo di legge, esatta scrittura. Infatti, anche per riflettere sul coraggio dimostrato dal Nostro, valga la seguente annotazione: il 22 marzo 1822, Egli scrive: “Francesco, quondam Nicola Ferri, fucilato alla Bocca della Verità, e la sua testa portata a Collepiccolo, distante 46 miglia da Roma”.
La colpa di questo condannato era, semplicemente, di aderenza ai malviventi e di complicità nei loro ricatti. Per un delitto consimile si trovano, dal 26 ottobre 1824 al 18 aprile 1825, quattordici impiccati in diversi luoghi del circondario di Roma. (Chissà cosa ne penserebbero, qualora leggessero queste note, i deputati e senatori attuali dell’UDC e consimili?….).
Ma per concludere rapidamente questo delizioso elenco, ci limitiamo a pubblicare solo i nomi dei suppliziati per la causa della Libertà, considerando però che spesso Mastro Titta attribuisce a reato comune quello che invece è reato ideale. Quindi l’elenco che andiamo a scrivere rappresenta solo una parte dei suppliziati per ragioni ideali.
Gregorio Silvestri, impiccato a Piazza del Popolo il 18 gennaio 1800; Ottavio Cappello, impiccato a Ponte il 29 gennaio 1800; Leonida Montanari ed Angelo Targhini, massoni, decapitati a Piazza del Popolo il 23 novembre 1825 ( è rimasta una lapide nel luogo dell’esecuzione, ricordiamo anche l’ottimo film di Magni, morto di recente); Giuseppe Balzani, della Mendola, decapitato in Via dei Cerchi, il 18 maggio 1833.
Altra importante notizia: l’avvento dei francesi di Napoleone e la nascita della Repubblica Romana comportò anche l’introduzione della ghigliottina, che facilitò di molto il lavoro del nostro. (Oddio… c’era pur sempre da sollevare il corpo del decollato, e sporcarsi del sangue copioso che dal collo si espandeva verso il basso…) Grazie a queste facilitazioni, dal 28 febbraio 1810 al 28 dicembre 1813 tagliò la bellezza di 56, dicesi 56, teste. Ma, tornato il Papa-Re, si tornò alla forca, che fu ritta per l’ultima volta il 13 maggio 1829 in Ravenna per Luigi Zanoli, Angiolo Ortolani, Gaetano Rambelli e Gaetano Montanari, rei dell’attentato contro il celebre Cardinale Rivarola. Ma non è tutto. Grazie al ritorno del Papa-Re ( e probabilmente…santo…) si ritornò anche alla mazzolatura ed allo squarto. L’ultimo mazzolato e squartato fu Giovacchino De Simoni, straziato in Collevecchio (Rieti) il 27 maggio 1816, per uxoricidio. mentre l’ultimo mazzolato semplice, cioè senza squarto, fu tale Giuseppe Franconi, giustiziato in Piazza del Popolo il 23 gennaio 1826, per omicidio e ladroneggio nei confronti di un prelato.
Altri esecutati per ragioni politiche sono: Romolo Salvadori, per aver fatto fucilare dai garibaldini in tempo di Repubblica l’arciprete di Giulianello, in Anagni, che faceva lo spionaggio. Seguono: Giovanni Pettinelli,il 27 settembre 1851, per “omicidi per spirito di parte”, Gustavo Rambelli, Gustavo Marioni, Ignazio Mancini tre giovani ex finanzieri pontifici, ( 24 gennaio 1854) per omicidi di frati e preti nel 1849 (frati e preti che praticavano il contrabbando), Antonio De Felici (11 luglio 1855), per attentato al card. Antonelli, sante Costantini ( 22 luglio 1854 ) per complicità nell’assassinio di Pellegrino Rossi; Giovanni di Giuseppe (29 ottobre 1855) per avere ucciso un ispettore di polizia, Giacomo Mercatelli (9 gennaio 1856), per aver ucciso il custode delle carceri di Termini, Domenico Capolei (2 maggio 1857) per aver ucciso il governatore di Marino, Cesare Locatelli (21 settembre 1861) reo di omicidio con animo di parte.
I più noti Monti Giuseppe e Tognetti Gaetano, ghigliottinati per ragioni politiche, furono uccisi come monito contro coloro che pretendevano invadere lo Stato Pontificio. L’esecuzione fu eseguita dal successore di Mastro Titta, Vincenzo Balducci, il 24 novembre 1868 in Roma. Similmente occorre ricordare che il rogo di Giordano Bruno quel fatidico 17 febbraio 1600 fu “anticipato” per fare dispetto al Re di Francia.
Conclusione: sono in molti a criticare quel 20 settembre 1870 che consegnò l’Italia intera ai Savoia. Una dinastia di poca qualità di talché “l’erede” ha trovato finalmente la sua giusta collocazione come ballerino. Ma almeno, con la breccia di Porta Pia è finito questo strazio!
Georgius Graccus Vitalicus (al secolo Giorgio Vitali)
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.