Lorenzo Merlo: "Questo intervento non ha un’intenzione positivistica..."

Lorenzo Merlo

Iniziazione

Questo intervento non ha un’intenzione positivistica. Non aspira a divulgare, dimostrare, convincere, promuovere.

Vorrebbe solo lasciare ad ognuno lo spazio utile affinché qualcuno degli spunti potenziali qui raccolti, possa dimostrarsi fertile per il terreno di altre biografie.

Ognuno avrà forse modo di applicare alla propria indagine le osservazioni e la prospettiva qui considerata.

Queste, scaturiscono da un aspetto della ricerca in corso che non ha cessato di sussistere indipendentemente dall’ambito culturale che stavo considerando intellettualmente o fisicamente. Così, psicologia, culture, filosofie, esoterismo, spiritualismo, psicomotricità, poesia, didattica, guerre, ideologie, medicina, scienza, alchimia, comunicazione, apprendimento, corpo, sentimento, esigenze, ratione, religione, tecnicismo, grandi numeri, costituivano per me soprattutto espressioni umane prima che ambiti, prima che verità. In quanto tali, erano di pari valore e ne ricercavo via via la matrice comune, le loro ragioni d’essere, il loro significato strumentale e mediatico, magico, simbolico, strumentale. La loro comune identità, cioè il loro sentimento d’origine. La loro Storia.

Tuttavia, non c’è intenzione di dare valore all’autoreferenzialità della Storia stessa, anzi, è proprio emancipandosi da quell’autoreferenzialità che possiamo accedere a dimensioni creative altrimenti castrate. É emancipandosene che possiamo riconoscere gli ambiti e i limiti entro cui le verità possono sussistere. Non riconoscendo l’ambito, l’esigenza, il sentimento si corre il rischio di eleggerle ad assolute, con tanto di accettazione della lotta per la loro difesa o affermazione. Non è così che ci si comporta in difesa del dogma?

A parte queste poche battute, propongo il presente intervento senza alcuna ulteriore introduzione ad esso.

Questa scelta ha il doppio intento di prediligere una comunicazione circolare, di provocare in ogni interessato le sue personali considerazioni, nonché di cogliere incongruenze e sinapsi efficaci. La provocazione di reazioni personali, all’apparenza pleonastica, è invece affermata per sottolineare quanto la comunicazione abbia bisogno del nostro ascolto, del nostro sentimento libero, affinché esso possa riconoscere - più opportunamente di quanto non sia concesso alla ratione - l’opportuno e il vero tra le righe delle parole, dei concetti, dei modi e dei comportamenti. É con processi di questo tipo che possiamo integrare nella nostra biografia elementi e prospettive alle quali ancora non avevamo avuto opportunità di porre attenzione. É in questo modo che riconosciamo l’utile rametto per integrare il nostro sapere, così come sceglie il castoro per la sua opera. Diversamente si tratta di informazione, un piano di realtà che più facilmente lascia spazio ad uno scambio conflittuale.

Le note che seguono non hanno dunque alcun intento proselitico.

La prospettiva qui considerata è scaturita dall’interesse di trovare risposte alle domande sul perché della nostra condizione, sulle modalità per il cambio di paradigma e sull’ipotesi dell’essere del sovrumano. Ricerca sostanzialmente dedicata alla verifica di una possibile universalità. Il percorso ha accreditato l’ipotesi la prospettiva che ogni nostro elaborato ha la sua esigenza storica, cioè il suo sentimento come pusher. 

La volta che La storia e' l'unica verita'? restiamo chiusi nell’ascensore visitiamo tutte le tasche nella speranza di ritrovare un accendino al quale non avevamo più pensato da tempo.

Un approccio dunque totalmente dedicato alla elezione della Storia. Una Storia che fa la parte dell’ascensore bloccato, generatrice di esigenze.

Forse, proporre queste note può essere interessante e riguardare tutti coloro che hanno riconosciuto che la realtà è maschera. Coloro che sono disponibili a sospettare che tutta la nostra ricerca e convinzione trova la sua esigenza in sinapsi stocastiche, tutte di pari dignità, perciò vere. Storiche.

''La Terra e' sacra...''
Così si legge nelle prime righe de la Carta per il rinascimento della campagna, un interessante articolo di Wendell Berry, Giannozzo Pucci, Vandana Shiva, Maurizio Pallante comparso nello spazio Idem (Italian deep ecology movement) su il cambiamento.it  23 gennaio 2012. Tutto il pezzo è una bellissima celebrazione della Terra. Meglio, è la celebrazione che può essere concepita e vissuta solo da coloro che ne stanno osservando la mortificazione, lo stupro, la violenza, l’ingiuria, l’insulto, la vergogna, la sopraffazione. Un pianto in più maniere che ogni giorno possiamo versare come tributo, fedeltà, amore e convinzione di verità. Ma è questo il punto interessante che offre la Carta. A quale verità ci stiamo riferendo? A quale verità stiamo affidando la nostra identità, concezione e realtà? Chiamando “sacra” la Terra emettiamo un segno che necessariamente fa riferimento alla cultura umana. Cioè, prima di quella cultura, non v’era sacralità alcuna. Senza quella cultura non v’é sacralità alcuna, gli animali possono confermarcelo (forse). Certamente ce lo conferma la fisica quantistica, quella che ha riconosciuto ciò che certa tradizione ha sempre affermato. Cioè, che l’osservatore tende a produrre la realtà osservata. Con una precisazione dissacrante: è sacro tutto ciò che consideriamo nostra estensione.

La considerazione non è frutto del mio sacco (ma non voglio sottrarmi ad eventuali mie responsabilità). É frutto invece della prospettiva dei primitivisti, dei green anarchy e forse di altri movimenti a loro affini. TUTTA la cultura umana, a partire dal linguaggio, è per loro una mediazione che necessariamente implica uno scollamento dalla Natura, dall’uno (minuscolo perché non da intendere in modo sacro). Così, non si tratta più di difendere la campagna ma di fare presente che l’agricoltura è la prima forma organizzata di perdizione dell’uomo dalla sua condizione originaria. Non solo, l’ultima, cronologicamente, è l’arte. E nonostante quest’ultima sia un’espressione umana che praticamente tutte le società - modulandone il motivo - hanno celebrato senza riserva.

I primitivisti hanno osservato che solo le piccole società di meno di 100 persone, di raccoglitori- cacciatori, possono avere e mantenere un legame con la natura. (Resta da chiedere ai primitivisti se con le consapevolezze acquisite dagli uomini sussiste la possibilità di recuperare, con soddisfazione, le origini.) 

Aggregazioni più ampie tendono a provocare esigenze che producono cultura, cioè mediazione, distanza, separazione. Il sacro ufficializzato, cioè non quello vissuto come un noi stessi esteso, è perciò solo espressione culturale, quindi solo dimostrazione di estraneità alla natura, quindi di valore alcuno.

Se la prospettiva della loro radicale critica alla società non interessa ai tanti che condividono che le condizioni da loro elette siano irrecuperabili, potrebbe però interessare ai pochi che comunque si pongono dannanti domande. 

Due sono quelle qui utili.
1. La storia è il palmares di un ininterrotto campionato tra esigenze diverse? In caso positivo, non possiamo che rispettarla. In caso negativo non possiamo che offenderla.
2. La critica alla civiltà dei primitivisti è particolarmente interessante quando - nel suo insieme - ci fa notare un aspetto che forse non è stato ancora adeguatamente trattato. Quello dei grandi numeri. 

Ogni considerazione critica, come per esempio l’articolo sopra citato dedicato alla celebrazione della campagna, segnala preoccupazioni e cerca consensi affinché il cambio di rotta o di paradigma possa godere di una spinta a favore in più.

Tentativo mirabile, ma che forse non è il prioritario. La priorità dovrebbe essere data all’osservazione delle dinamiche che i grandi numeri creano rispetto a quelle ammissibili nei piccoli. Una priorità giustificata dal fatto che un cambio di rotta concepito senza tener conto delle dinamiche molteplici tipiche dei grandi numeri, corre il rischio di inadeguatezza, tipico di tutte le iniziative statiche, bidimensionali.

Nei grandi numeri, è possibile non avere frange di sabotatori? É possibile un equilibrio univoco?
É possibile l’onestà definitivamente affermata?
É possibile il consenso assoluto?
É possibile governare con amore?
É possibile un regno condiviso da tutti?
Forse basta un’incertezza negativa per una sola di queste domande per passare alla seconda fase, a sua volta sintetizzata in una domanda: come affermare la nostra verità?
Dovremo ricorrere alla forza?
Adotteremo la sopraffazione?
Anche i grandi numeri possono comportarsi come i piccoli?
Le dinamiche implicate nel grande numero non sono verità?
Porgeremo l’altra guancia lasciando che la Terra sia ulteriormente divorata?
Potremo fare a meno delle lobby di potere?
Se anche per la seconda fase ci venisse qualche incertezza, significa che siamo disponibili alla terza: come raggiungere il nuovo paradigma senza far ricorso agli strumenti del vecchio?

Se la risposta sta nella rivoluzione personale che ognuno di noi può compiere, da una parte affermiamo l’unica cosa capace di insinuarsi nello spazio apertoci dalla teoria, dall’altra - e questo è il punto - togliamo sacralità alla Terra e la diamo alla Storia.

Proprio come si era incominciato, con un’ultima domanda. Avremo tutti contemporaneamente bisogno della stessa rivoluzione personale o anche solo tempi diversi saranno sufficienti per dimostrare che quel tollerante sentimento d’amore era soltanto un prodotto della storia e nulla aveva a che fare con l’eterno Sacro?

Grazie per l’ascolto.

Lorenzo Merlo

Intervento per l'Incontro Collettivo Ecologista - Vignola, 22 e 23 giugno 2013


Libreria
Qualche spunto per cogliere prospettive oltre alla nostra, con l’indicazione di non accreditare troppo l’autoreferenzialità.
• John Zerzan - Primitivo attuale - Nuovi Equilibri, Viterbo 2004
• John Zerzan - Pensare primitivo - Bepress, Lecce 2010
• Gregory Bateson - Dove gli angeli esitano - Adelphi, Milano 1989
• Gregory Bateson - Verso un’ecologia della mente - Adelphi, Milano 1977
• Max Stirner - L’unico e la sua proprietà - Vulcano, Treviolo (Bg) 1977
• Heinz von Förster - Sistemi che osservano - Astrolabio-Ubaldini, Roma 1987
• Heinz von Förster - La verità è l’invenzione di un bugiardo - Meltemi, Roma 2001
• Paul Feyerabend - Addio alla Ragione - Armando, Roma 1990
• Jiddu Krishnamurti - Libertà dal conosciuto - Astrolabio-Ubaldini, Roma 1973
• Enrico Manicardi - Liberi dalla civiltà - Mimesis, Milano 2010
• Marshall McLuhan - Gli strumenti del comunicare - Il Saggiatore, Milano 1964
• Titus Burckhardt - Alchimia - Arché, Milano 1979
• Walt Whitman - Foglie d’erba - Einaudi, Torino 1973

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