“La Roma che ricordo ….." - Memorie di una città e di un momento particolare della mia vita
Siccome son nato e vissuto a Roma ma a sbalzelloni, restando e partendo in diversi momenti della vita, le mie memorie non hanno una vera continuità, posso quindi raccontare solo delle “sensazioni vissute”.
Una di queste ha a che vedere con il mio primo approccio con la spiritualità, avvenuto in forme tempestose (essendo rimasto da poco orfano e rinchiuso in un collegio per mancanza di accoglienza in altre situazioni familiari), sicuramente quell’esperienza, cogente ed importante, fu necessaria per il mio successivo sviluppo. Durante quel periodo, eravamo nella metà degli anni ‘50 del secolo scorso, appresi come fosse necessaria l’autonomia di pensiero e l’ecologia, due aspetti che in seguito contribuirono fortemente alla mia formazione in una spiritualità laica e di una ecologia profonda: materia e spirito sono la stessa cosa!
Ma ritorno ora alla esperienza di quegli anni trascorsi in cui incontrai don Bosco e la scuola Salesiana.
Ho un debito di riconoscenza verso San Giovanni Bosco e la sua opera di assistenza ai giovani. Io fui un suo beneficiato, allorché morì mia madre Giustina -nel 1954- e non riuscivo più ad adeguarmi a una scuola normale (malgrado fossi considerato intelligente e preparato dai miei maestri). Qualcosa in me si era bloccato, ricordo all’esame di quinta elementare feci una totale scena muta, conoscevo tutte le risposte alle domande che mi venivano poste dagli esaminatori ma non profferii parola, solo sguardi luccicanti e silenzio. Così da buon orfano disadattato fui mandato al collegio del Sacro Cuore di Roma, come interno. Vivevo cioè in una comunità chiusa al mondo ma in un’atmosfera che ricordava la famiglia. Ricordo il mio insegnante, un vecchio laico che risiedeva monasticamente nel collegio, un uomo di grande saggezza, egli mi insegnò a strizzare bene il tubetto del dentifricio ed anche ad aprirlo per prelevarvi l’ultima pasta attaccata.
Nel collegio godevo del poco, ad esempio della merenda pomeridiana, una semplice ciriola di pane senza companatico, mentre pattinavo nel cortile imparando a muovermi velocemente in mezzo agli altri.
Ed è lì che appresi alcuni “trucchi” della religione (da me poi ripresi nelle cerimonie laiche dei vari equinozi e solstizi in cui uso ancora il sistema dei pensierini offerti al fuoco). Allora accadeva con la ricorrenza della festa della Madonna dell'8 dicembre e compivamo un rito particolare “dei messaggi della Santa Madre”, ovvero pescavamo ognuno a turno dentro una grande cesta un rotolino di carta, ogni rotolino conteneva un messaggio personale, che pareva sempre azzeccato, il rotolino una volta letto veniva poi gettato in un focheraccio acceso nel cortile.
Un’altra volta appresi il valore della pazienza durante i canti solenni di una messa speciale. Un ragazzino della mia classe -evidentemente anche lui con problemi psicologici- (si puliva il naso sulle maniche della giacca ed era sempre impiastricciato di mocciolo) stava proprio al mio fianco, forse lo rimproverai di qualcosa e ricordo che lui prese a picchiarmi con furia, mi dava pugni e calci, evidentemente era disperato… dentro di me sentii che non era giusto reagire e continuai a cantare per tutto il tempo assieme al coro, senza provare cattivi pensieri ma concentrandomi sul canto. L’aver superato la rabbia momentanea ed il senso di rivalsa mi riempì di gioia, mi sembrava un dono del Cielo.
Per sviluppare la modestia e l’accettazione prendevo sempre ad esempio le prove dolorose di Don Bosco, alle prese con l’indifferenza della società, mi piaceva moltissimo leggere le storie su Domenico Savio, l’allievo spirituale del santo, mi identificavo con lui. In quegli anni iniziai a scoprire che la mia esistenza aveva un senso solo se la rivolgevo verso la verità, la giustizia e l’amore.
Tra l’altro nel tempo appresi come fosse facile anche studiare o compiere il proprio dovere se lo si considerava un’offerta a Dio. Feci del mio meglio e divenni l’alunno più meritevole della mia classe, il primo in profitto, condotta e religione. A quel tempo avrei potuto anche decidere di farmi prete ma evidentemente quella non era la mia strada. Non sono però irriconoscente verso i santi cristiani, malgrado abbia abbandonato ogni credo religioso, continuo a provare solidarietà e rispetto verso Don Bosco. Egli è il mio primo maestro e padre spirituale.
Paolo D’Arpini
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Commento ricevuto
Caro Paolo, questa storia di Don Bosco ancora non la conoscevo, non me ne avevi ancora parlato.
Visto con gli occhi di un adulto il tuo percorso di vita è stato sicuramente uno dei più duri che si possa augurare ad un bambino, ma visto dagli occhi dello stesso bambino, lasciando da parte il dolore della perdita affettiva dei genitori (che non è poco), la cosa sembra essere da te descritta come un naturale passaggio verso una vita di sani principi.
Non so se ricordi cosa ti ho detto qualche temp fa, ma secondo me i bambini sono molto più forti degli adulti. Affrontano le situazioni dolorose con una visione diversa. Cosa che ai grandi spesso risulta difficile. I bambini, ma come del resto tutti i cuccioli del mondo animale, hanno una forza interiore, un attaccamento alla vita e quindi uno spirito di sopravvivenza enorme. Cosa che a volte sfugge a noi grandi ed umani, che magari ci deprimiamo e ci lasciamo andare anche solo al minimo disagio.
La storia che hai raccontato mi fa solo capire che ti voglio ancora più bene, ma questa è di nuovo una conseguenza della nostra mente malata di adulti umani. Ci fa penare chi soffre, ci fanno tenerezza i cuccioli abbandonati, ma quello che veramente pensano questi bambini, questi cuccioli abbandonati, orfani, rinchiusi in collegi, quanti di noi veramente riescono a capirli ed aiutarli?
Se Don Bosco è stata la persona che ha aiutato a far crescere Paolo, non posso che ringraziarlo anch’io dedicandogli una preghiera.
Cristina De Simone
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