Il discorso sull’intelligenza artificiale è avviato, è
presente nelle trame dialettiche quotidiane, si studia, ne si
constatano le forme in cui appare al pubblico, se ne sfruttano i
servigi, fa innamorare. In pochi temono l’osmosi. In pochi vedono
il patrimonio umano andare a perire e poi essere dimenticato, ormai
troppo tardi per pentirsene quando saremo noi a essere funzionali al
virtuale, quando non potremo farne a meno, quando tutto ciò che
faremo sarà fatto per mantenere l’assuefazione. Quando cioè verrà
il tempo del rimpianto analogico.
Considerazioni sull’intelligenza artificiale sfruttando Maniac
di Benjamìn Labatut (1), in cui la
mossa 37, operata dal programma AlphaGo, mai presa in considerazione
dalla tradizione millenaria del Go, con sorpresa dei più forti
giocatori, lo ha portato al successo; e in cui la 78, messa in atto
da Lee Sedol, in un’altra partita sempre contro Alpha Go, gli aveva
invece permesso di superare il potere di calcolo della macchina,
dandogli la vittoria.
Il Go è un gioco orientale, molto diffuso
in Cina, dove ebbe origine oltre 3000 anni addietro, in Corea del
Sud, in Vietnam e in Giappone. È considerato assai più articolato
degli Scacchi, in quanto richiederebbe una prospettiva strategica
nettamente superiore.
“Alcune mosse che noi umani avremmo considerato creative siano in
realtà convenzionali”. Maniac, p. 347
Sono le parole del campione di Go, Lee Sedol, dopo aver perso la
partita contro AlphaGo, un modello di intelligenza artificiale.
Nell’affermazione di Lee non c’è soltanto il riconoscimento di
un potere di calcolo e previsione superiore a quello umano. Magari la
questione fosse limitata a questa ovvietà. In essa vi è scritto,
come inciso su una pietra, un nuovo santo Graal, che prima eravamo i
soli a muoverci entro la corte di quel potere e potevamo, per mezzo
suo, raggiungere la conoscenza, e che ora siamo in compagnia, anzi,
sotto il dominio di un nuovo re, che non avrà incertezze quando gli
servirà eliminarci.
Nella cultura della vulgata non sarà mai presente in forma
sostanziale – superficialmente e come luogo comune, certamente sì
– la precipua differenza tra l’umano e la macchina, ovvero la
coscienza serendipica o quantica di sé e la relativa creatività, a
fronte di una coscienza di sé e creatività di natura computata.
“«Credo ci sia ancora qualcosa che gli esseri umani possono fare
contro l’intelligenza artificiale [...]»”. Maniac, p. 348
Quel “credo” è la legittima speranza di non venire sopraffatti,
è la sola arma per resistere all’annientamento dell’umano. Ma, e
questo è il tragico, v’è in quella piccola parola l’ammissione
occulta di un’imminente abdicazione, di una resa delle armi, di una
sottomissione definitiva e assoluta. I buoi sono usciti, chiudere la
stalla ora è il ridicolo che ogni uomo di corte vedute è destinato
a realizzare.
“«[...]. La mia sconfitta [è Lee che parla, nda] non è la
sconfitta del genere umano. Credo che queste partite abbiano
dimostrato la mia debolezza, non la debolezza dell’umanità»”. Maniac, p. 348
Mi viene in mente Kosovo Polje, la piana dove, nel 1389, gli islamici
sconfissero i cristiani serbi e questi, che sentirono e sapevano di
aver difeso, ultimo baluardo, la cristianità, perciò l’Europa
tutta dall’Islam, la considerano ancora oggi
alla stregua di una vittoria spirituale, che la cristianità non gli
ha riconosciuto.
Il significato è duplice. Uno, che c’è chi confida nell’umanità
nonostante la superiorità del nemico, l’altro, che anche le
allerte e le battaglie di qualcuno contro lo spadroneggiamento della
cultura che celebra l’intelligenza artificiale come un salto avanti
del progresso non verranno riconosciute nel loro valore. Inoltre, chi
le sta conducendo si sente, alla stregua dei serbi, l’ultimo
baluardo tragicamente insufficiente in difesa dell’umanità.
Il discorso sull’intelligenza artificiale è avviato da tempo e la
verità che in esso risiede è ormai affermata. Ciò a cui assistiamo
ne è l’ultima espressione, quella concreta.
“In riconoscimento degli autentici sforzi di AlphaGo per
padroneggiare i fondamenti taoisti del go e raggiungere un livello
prossimo al territorio della divinità”. Maniac, pp. 348-9
Sono le parole che hanno accompagnato l’attestato assegnato ad
AlphaGo e ai suoi creatori. Il primo di una prevedibile lunga serie,
normalmente destinato ai maestri che hanno raggiunto il 9° dan,
quello che “rasenta il soprannaturale”.
Un attestato che, in termini positivi, premia un grande lavoro, ma
che in quelli umanistici spinge giù, sotto la superficie dell’acqua,
la testa dell’intelligenza analogica, cioè quella che risente di
emozioni e sentimenti, quella che crea la realtà, come Dio, che non
la induce da un calcolo, come una macchina. Un’intelligenza senza
più potere né dignità, buttata a mare come accadde con le streghe.
L’encomio ad AlphaGo ne pare un esempio, in quanto la compressione
del taoismo entro un calcolo lo riduce a mera pratica positiva, ne
uccide il padre spirituale e, come si può evincere, lo fa senza
vergogna né timore. È l’abdicazione dell’umano. È la vittoria
dello scientismo.
Il noto motto di Lao Tsu, quando
lo stolto sente parlare per la prima volta del Tao scoppia a ridere,
deve purtroppo essere modificato:
quando lo stolto sente parlare per la
prima volta del Tao lo scambia per la scienza.
“«[...] ma quella che ho imparato io [dice Lee, nda] era un’arte.
Il go è un’opera d’arte realizzata da due persone. Adesso è
tutto diverso. Dopo l’avvento dell’IA, il concetto stesso di go è
cambiato. È una forza devastante. [...]. Anche se diventassi il
giocatore migliore che il mondo abbia mai conosciuto, c’è
un’entità che non può essere sconfitta»”. Maniac, pp. 352-53
Se la verità è l’espressione dell’accredito che diamo a
un’idea, a un pensiero, e la forza corrisponde alla fede nei
confronti di quell’idea e di quel pensiero, incluso quello su noi
stessi, nelle parole di Lee assistiamo all’abiura di un mondo, di
una cosmogonia dal carattere umano-analogico-magico. Se, prima,
l’assolutismo della computazione nella determinazione del vero
aveva la sua ragione d’essere, e faceva il suo ottimo servizio, in
contesti amministrativi, chiusi, ovvero quelli la cui natura è ben
rappresentata dal Gioco, con le sue regole condivise e linguaggio
univoco, ora, una volta di più rispetto a quanto abbia tentato di
imporre il pensiero razionalista, la glorificazione dell’intelligenza
artificiale comporta, ha già comportato, la sua invasione in tutti i
campi aperti in cui l’uomo si muove secondo necessità creative,
incomprimibili in protocolli amministrativi.
Alla nostra generazione tocca la sorte di assistere al compimento del
cambio di paradigma scientista, e di essere la sola a poterne fare la
cronaca. A breve, se non già in atto, alla nostra discendenza non
toccherà più neppure l’onere di vedersi obbligati a gettare la
spugna umanistica. Nascerà in un’ambiente estraneo da cartacce,
disordine e complessità. Un contesto in cui farsi guidare
dall’intelligenza superiore sembrerà una vittoria senza pari. E
proprio in quel momento una pace fondata sulla sorveglianza e
sull’ubbidienza sarà propagandata come conquista, sfruttata per
mantenere il controllo e ridurre la popolazione con il consenso
generale. Sarà l’ultimazione del disegno iniziato con uno schizzo
che passerà alla storia come Covid19.
La sconfitta è triplice. Una risiede nella fede nella superiorità
della macchina e, quindi, come detto, nell’autogarrotazione
dell’intera natura umana, l’altra nell’esaurire l’umanità
nella competizione con la macchina stessa, l’ultima
nell’assuefazione e nella dipendenza da un’amante senza cuore
(2).
Quindi sconsolatamente se il potere calcolatorio umano viene
soverchiato da quello della macchina, e se entro quest’ultimo
crediamo di poter comprimere l’essenza dell’uomo, allora sì che
l’umanità ha perso. E così sta andando. la destinazione è
lapalissiana. L’idolatria all’altare dell’intelligenza
artificiale non risparmierà nulla e avrà occasioni crescenti per
mandare in delirio più di quanto abbiano potuto i Beatles, molto di
più.
Eppure, basterebbe avere consapevolezza che l’esperienza non è
trasmissibile, che il potere creativo disponibile agli umani ha il
carattere dell’infinito, non del finito entro cui le macchine sono
costrette. Del resto, come si è arrivati a creare l’intelligenza
artificiale se non per la natura creatrice degli uomini?
Non si deve lasciar perdere l’ispirazione, è grazie a questa che
da noi fuoriesce l’infinito delle creazioni, non si può lasciar
cadere il più potente momento umano, non lo si può sostituire con
il calcolo e lo studio. Esso ha il carattere della cruna dell’ago,
verso la quale convergono tutte le energie, che la attraversano
generando un orgasmo in cui, come in quello sessuale, chi lo vive non
può dire io, ma può solo esserlo.
“[...] il giovane pianse, togliendosi gli occhiali dalla montatura
spessa e asciugandosi le lacrime mentre cercava di descrivere la
sensazione di impotenza che lo aveva sopraffatto durante le partite,
appena aveva cominciato a giocare contro Master, aveva percepito
qualcosa di nuovo, e di profondamente destabilizzante. Quando gli
chiesero di spiegare in cosa Master si distinguesse da AlphaGo, Ke
Jie non poté fare a meno di ricadere nel tipo di linguaggio che si
utilizza di solito per gli esseri dotati di coscienza: «Per me è un
dio del go. Un dio in grado di annientare chiunque lo sfidi. Io non
ho mai dubitato di me stesso. Ho sempre sentito di avere tutto sotto
controllo. Pensavo di avere una grande consapevolezza della
composizione, una conoscenza intima della tavola. Ma Master guarda
tutto questo ed è come se dicesse: ‘Scemenze!’. Lui riesce a
vedere l’intero universo del go [campo chiuso, nda], io vedo solo
la minuscola area intorno a me. Quindi, vi prego, lasciategli pure
esplorare l’universo, e lasciate che io giochi in pace nel mio
cortile. Pescherò nel mio piccolo stagno. Quanto ancora potrà
migliorare attraverso l’autoapprendimento? I suoi limiti sono
difficili da immaginare. Credo che il futuro appartenga all’IA»“. Maniac, p. 355
La destabilizzazione del colpo di mano dell’intelligenza
artificiale nei confronti della tradizione di pensiero non è presa
in considerazione dalla politica, e forse neppure dalla massa acefala
della maggioranza degli intellettuali. Dovrebbe essere al centro di
un dibattito e di un contrasto che, invece, sono attualmente
pressoché inesistenti, a dimostrazione dell’inconsapevolezza di
ciò che siamo, dell’abdicazione di noi stessi, della sublimazione
della macchina eletta ad algoritmico dio. Le faccende umane gestite
dagli uomini saranno quindi “scemenze”, lo possiamo dare per
garantito, non secondo il giudizio dell’intelligenza artificiale ma
secondo quello degli uomini stessi, suoi devoti. Cioè da
progressisti, divanisti o sublimi scientisti, contenti che, come
diceva quel tale economista di un certo lignaggio
cultural-progressista, “la storia vada avanti”, come se al
suo interno le scelte degli uomini non esistessero.
Il cavallo di Troia dell’intelligenza artificiale è annidato in
noi che crediamo sia un regalo della provvidenza. Da esso sono usciti
e seguiteranno a uscire piccoli microbi, che infetteranno il nostro
status, fino modificarci. Nella destabilizzazione, come dice Jie, i
dottori ci prescriveranno le sostanze utili a cancellare il passato
analogico per farci apprezzare il presente, per indurci a lavorare
secondo il nuovo paradigma sociale fondato su algoritmi che nel tempo
saranno autopoietici, sempre con il nord orientato verso la miglior
efficienza. Pastiglie necessarie a farci accomodare in ergonomici
spazi abitativi-lavorativi da loro predisposti, affinché non usiamo
neppure una goccia di tutto il potenziale che abbiamo di ribellarci
(3).
Se l’uomo, invece di credersi un’entità autonoma con diritto
d’orgoglio, avesse consapevolezza d’essere espressione della
natura, l’intelligenza artificiale “diventata l’entità più
forte che il mondo abbia mai conosciuto a go, scacchi e shōgi”
(Maniac, p. 357) sarebbe una fortuna.
Perché una fortuna? Perché non utilizzerebbe tout court il potere
calcolatorio dell’intelligenza artificiale, come invece sta
avvenendo e, come è elementare prevedere, si attesterà quale
miglior scelta per il progresso. Lo limiterebbe al contesto
amministrativo o dei campi chiusi, quelli governati da regole
condivise e da un linguaggio univoco, consapevole che fuori da quel
recinto c’è l’infinito, vera residenza dell’umanità, un
oceano dove essa può navigare, nuotare e pescare.
Ma temo che ciò resti una consapevolezza esoterica. Se il Grande
fratello ha fatto milioni di attenzioni, cosa farà
l’intelligenza artificiale?
Resta un ulteriore interrogativo vestito da timore, vissuto con
terrore. Prima di pensare e fare, faremo un click per chiedere cosa
pensare e cosa fare?
“«Lo sai chi sono?». «Sì!» risposi. «Da tempo sei causa per
me di dolore e afflizione. Sei la facoltà razionale della mia
anima»”. Hadewijch di Brabante, mistica e poetessa del XIII secolo. Maniac, esergo
Lorenzo Merlo
Note
1 Benjamìn Labatut, Maniac, Milano, Adelphi, 2023.
2 https://www.youtube.com/watch?v=owtTuSWK4dg
3 Assessment (La valutazione), un film del 2024, di
Fleur Fortuné. Qui, l’ultima goccia di umanità è stata
utilizzata.