Riannodare i fili che tengono uniti gli esseri viventi...
Il Libro degli Insegnamenti di Lao-tzu – Recensione
“Gli aforismi che seguono sono tratti da “Il libro degli insegnamenti di Lao Tzu”, un testo purtroppo non più ristampato e, secondo me, fondamentale al pari di “L’arte della guerra di Shun-tzu”, scritto da Thomas Cleary. Leggendoli sono certo che scatteranno nella vostra mente un sacco di associazioni.” (Nando Mascioli)
Lao-tzu disse:
Esistono tre tipi di morte innaturale. Se bevi e mangi smodatamente e tratti il corpo distrattamente e grossolanamente,allora la malattia ti ucciderà.
Se sei smisuratamente avido e ambizioso, allora sarai ucciso dalle preoccupazioni.
Se permetti che piccoli gruppi vìolino i diritti delle masse e che il debole sia oppresso dal forte, allora ti uccideranno le armi.
Lao-tzu disse:
Quando le leggi sono intricate e le punizioni severe, allora il popolo diventa infido. Quando chi sta in alto ha molti interessi,chi sta in basso assume molte pose.
Quando si cerca molto, si ottiene poco. Quando le proibizioni sono molte, si combina poco.
Lasciare che gli interessi producano altri interessi, e poi utilizzare gli interessi per fermare gli interessi, è come brandire il fuoco cercando di non bruciare niente.
Lasciare che la conoscenza produca problemi, e poi usare la conoscenza per risolverli, è come agitare l’acqua sperando di chiarificarla.
Lao-tzu disse:
Quando un paese combatte ripetute guerre e ottiene ripetute vittorie, perirà. Quando combatte ripetute guerre, il popolo si logora: quando ottiene ripetute vittorie, i capi diventano arroganti. Se capi arroganti utilizzano popoli logorati,quali paesi non periranno ?
Quando i capi, si fanno gaudenti, e quando diventano gaudenti, dilapidano ricchezze.
Quando il popolo si stanca si riempie di risentimento,e quando è pieno di risentimento smarrisce il proprio equilibrio. Quando governanti e governati raggiungono simili estremi la distruzione è inevitabile.
Pertanto, la Via della Natura richiede di ritirarsi quando si è svolto il proprio compito con successo.
Post scriptum – “…Leggendoli mi è capitato di provare uno stato che amo definire “di grazia” che credo corrisponda a quella dimensione di consapevolezza: quello stato in cui accedi momentaneamente oltre il velo della realtà terricola percependo la dimensione cosmologica…”
La morte è la fine o l'inizio? Un dialogo tratto da “Io sono Quello” di Nisargadatta Maharaj
Risposta: Il tuo corpo è figlio del tempo, non tu. Tempo e spazio sono nella mente non ti legano.
I: Ma viene il giorno che lo spettacolo è finito. L’uomo e l’universo devono finire.
R: Come il dormiente cade nell’oblio e si desta ad un nuovo mattino, o morendo si affaccia ad una nuova vita, così i mondi della paura e del desiderio si addensano e si dissolvono. Ma il testimone universale, il Sommo Sé, non dorme e non muore. Il grande cuore batte in eterno, e ad ogni battito emerge un nuovo mondo.
I: Non vi va nemmeno di vivere allora?
R: Vivere, morire: parole vuote! quando mi vedi vivo sono morto. Quando mi pensi morto sono vivo. Bella confusione.
I: Quando un uomo muore cosa accade esattamente?
R: Niente. Qualcosa diventa niente. Niente era, niente resta.
I: Spesso si muore volentieri.
R: Solo quando l’alternativa è peggiore della morte. Ma questa disponibilità a morire promana da una fonte sane: La volontà di vivere che è più profonda della vita stessa. Essere vivi non è la condizione ultima; c’è qualche cosa al di là, molto più esaltante, che non è né l’essere né il non essere. È uno stato di pura consapevolezza, oltre i confini dello spazio e del tempo. Quando cessi di credere di essere il tuo corpo-mente, la morte perde la sua terribilità, diventa parte della vita.
La gente teme di morire perché non sa cos’è la morte. Il sapiente è già morto, e ha visto che non c’era d’avere paura. Non appena conosci il tuo essere non temi più. La morte da libertà e potere. Per essere nel mondo devi morire al mondo. Allora l’universo è tuo, diventa il tuo corpo, un espressione ed uno strumento.
I: Cosa muore alla morte?
R: L’idea “io sono il corpo”. Il testimone non muore.
I: Ma per l’uomo comune la morte fa differenza.
R: Ciò che egli pensava di essere prima della morte, continua dopo. La sua autoimmagine sopravvive.
I: Invecchiamo. La vecchiaia non è piacevole: acciacchi, dolori, debolezza, e la fine che si approssima. Come si sente un saggio da vecchio?
R: Più invecchia più crescono in lui la felicità e la pace. Dopo tutto sta tornando a casa, come un viaggiatore che, prossimo all’arrivo raccoglie il bagaglio. Lascia il treno senza rimpianto.
I: Non avete paura di morire?
R: Ti racconterò come è morto il mio maestro. Dopo avere annunciato che la sua fine era prossima, smise di mangiare senza modificare il ritmo della vita quotidiana. All’undicesimo giorno, nell’ora della preghiera – stava cantando e batteva vigorosamente le mani – all’improvviso morì -tra un battere e un levare – come una candela subito spenta. Non temo la morte perché non ho paura della vita. Vivo una vita felice e morirò una morte bella. È una disgrazia nascere, non lo è morire! Tutto dipende da come guardi.
I: Supponiamo che vi giunga la notizia che sono morto. Come reagireste?
R: Sarei molto felice che sei tornato a casa. Davvero contento dal saperti fuori da questo assurdo.
I: Si ha molta paura della morte.
R: Il realizzato non teme nulla. Ma ha compassione dell’uomo che teme. Nascere, vivere e morire, è in fin dei conti naturale. Ma avere paura, no. È giusto dare attenzione all’evento.
I: Immaginate di essere ammalato: febbre alta, dolori, tremiti. Il medico vi dice che il vostro stato è serio e che vi restano pochi giorni di vita. Quale sarebbe la vostra prima reazione?
R: Nessuna. Come il bastoncino di incenso si consuma, così il corpo muore. Davvero è una cosa di pochissima importanza. Quello che conta è che non sono il corpo ne la mente. Io sono.
I: I vostri famigliari sarebbero disperati. Che cosa direste loro?
R: Ciò che si dice in questi casi: non temete, la vita continua, Dio avrà cura di voi, saremo presto di nuovo insieme; e cose del genere. Per mè tutta la faccenda, con lo scompiglio che comporta, è priva di senso, perché non sono l’entità che si immagina viva o morta. Non sono nato e non morirò. Non ho niente da ricordare o da dimenticare.
I: Cosa ne pensate delle preghiere per i defunti?
R: Prega sempre per loro. Lo gradiscono tanto. Ne sono lusingati. Il realizzato non ha bisogno delle tue preghiere. Egli è la risposta alle tue preghiere.
I: La mia domanda all’inizio riguardava lo stato dell’uomo dopo la morte. Quando il corpo è dissolto che ne è della coscienza? I sensi restano o cessano? E se cessano cosa resta della coscienza.
R: I sensi non sono che dei modi di percezione, grossolani e sottili. Alla morte i primi scompaiono e ne emergono altri più sottili. Dopo la morte la coscienza si assottiglia e si raffina. La gamma delle percezioni indotte dai sensi svanisce insieme ad essi.
In certi casi la morte è la cura migliore. Una vita può essere peggiore della morte, che solo di rado è un’esperienza spiacevole, nonostante le apparenze. Quindi abbi pena del vivo mai del morto.
I: Quando il vostro corpo morirà, resterete?
R: Nulla muore. Si immagina che il corpo esista in realtà non è.
I: E la morte libera?
R: Chi si crede nato teme molto la morte. Per chi si conosce è un lieto evento.
…Per me la morte non è una calamità, così come la nascita di un bambino non è una gioia. Il bambino va verso i guai, il morto ne è fuori. L’attaccamento alla vita è attaccamento al dolore. Amiamo ciò che ci fa soffrire. Tale è la nostra natura. Per me la morte sarà un momento di giubilo, non di paura. Piangevo quando nacqui, e morirò ridendo. Dunque non hai paura della morte!
I: Non della morte ma di morire. Immagino che sia una esperienza dolorosa e brutta.
R: Che ne sai? Potrebbe anche essere bella e piacevole. Quando sai che la morte tocca al corpo e non a tè, ti limiti ad osservare come esso ti cada di dosso via via, come un abito smesso.
I: So molto bene che la mia paura della morte è legata ad una inquietudine estranea alla conoscenza.
R: Gli uomini muoiono di momento in momento, la paura e gli spasimi della morte incombono sul mondo come una spessa nuvola. Niente di strano che anche tu abbia paura. Ma quando sai che solo il corpo muore e non la continuità della memoria in cui è riflesso l”Io sono” la paura svanisce.
Fisica e sofismi matematici...
“Tiziano Terzani: la forza della verità” – Recensione
Da dove sorgono i pensieri che passano nella nostra mente? E il senso d’identità?
La nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargadatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto. In questo perenne rimescolamento energetico, noi siamo come navigatori senza meta, o guerrieri – se preferite – liberi di affrontare il contingente senza paure. “Se temi la sofferenza – diceva un samurai – come fai a combattere?”
Dal tutto il tutto si dipana dinanzi ai nostri occhi.
Nella storia dello zodiaco cinese si racconta che dodici animali si presentano al Buddha morente ed ognuno ottenne di incarnare le caratteristiche psichiche che contraddistinguono i tre aspetti di anno, mese e ora, in base alle propensioni naturali di ogni essere vivente. Essi sono maschili e femminili e manifestano le loro caratteristiche tramite le 5 fasi di mutazione fondamentali: Terra (devozione), Metallo (giustizia), Acqua (saggezza), Legno (etica), Fuoco (costumi).
Il funzionamento è più o meno quello del caleidoscopio. Alcuni elementi colorati e tre specchietti interni. Girando il tubo si ottengono diverse composizioni. Malgrado l’esiguità delle componenti i risultati possono essere infiniti. Questo stesso concetto (traslato ai 5 elementi ed ai tre aspetti psichici incarnati) mostra la variegazione di tonalità di colore e movimento attraverso la quale la coscienza individuale si manifesta (la forma ed il nome). La coscienza di sé, che noi chiamiamo persona, è un coordinatore interno, adattato all’individuazione, il quale si appropria delle funzioni messe in atto.
Lo chiamiamo: io. Questo ‘soggetto’ (o assuntore interno) è l’apparenza identificativa individuale nella quale solitamente ci riconosciamo. Propriamente parlando questo “io” è esso stesso la “conseguenza” delle energie messe in moto dai vari elementi e dai tre archetipi incarnati, quindi è inerte (come un programma), ed è un oggetto nella coscienza.
I tre archetipi psico-emozionali, inscindibili nel loro miscuglio, rappresentano:
Il senso dell’io, ego = anno di nascita;
L’intelletto o intuizione = ora di nascita;
La memoria o esperienza = mese di nascita
Ognuno di noi manifesta una forma esemplare a tre facce (designanti le nostre caratteristiche). Le tendenze innate che si riflettono nello specchio, perennemente cangianti, sono le correnti in cui l’io si muove.
Se vogliamo osservare una cosa piccola bisogna ingrandirla attraverso il microscopio, ma se vogliamo ampliare il campo di azione dobbiamo distaccarci il più possibile dalle cose attorno a noi, in modo da percepire il senso d’insieme. Questa corsa in tondo verso l’auto-conoscenza è un vagare trasognato, un’attenzione senza risposta, solitudine e silenzio, osservazione e contemplazione, fluire limpido nei mutamenti, sorridere nel rincorrere il vuoto.
Ed ora una storiella:
“Alcuni suoi seguaci domandarono al bandito Che:”Anche per i ladri esiste una strada (Tao)?” – “Eh, certo che sì.. – rispose Che- Santità è intuire dove giace un tesoro nascosto, Eroismo è entrare per primo nella casa, Giustizia è uscirne per ultimo, Saggezza è distinguere il colpo che si può tentare, Umanità significa essere equanimi nel dividere il bottino. Al mondo non è mai esistito un gran ladro che non abbia manifestato queste qualità”. (Chuang Tze)
Attraverso le capacità riflettenti dell’organo interno (antakharana) siamo in grado di manifestare energie psicofisiche in rispondenza a quelle percepite fuori di noi. Questa rispondenza è automatica ed inevitabile, è una legge naturale. Pensare di sfuggirne il corso è assurdo come pensare di cambiare il film mentre la pellicola viene proiettata. Ma l’atteggiamento interno è importante! Infatti l’accettazione del proprio destino scioglie l ‘attaccamento all’utile ed all’inutile che ci spinge nel ciclo delle rinascite.
“Semplici attori, finché separati, poi, superata la dualità, non ha più nessuna importanza… Il fiore non ha più nome né forma è solo un fiore unico ed irripetibile nel giardino della Coscienza”.
Paolo D’Arpini
L'amore tra un dio e una dea...
Quando fate l’amore, dovete ricordare tre cose.
Una è: prima di fare l’amore, meditate. Non fate mai l’amore senza meditare, altrimenti l’amore rimarrà sessuale. Prima di incontrarvi dovete alzare il livello di coscienza, perché così l’incontro avverrà su un piano più alto. Per almeno quaranta minuti sedetevi a guardare il muro, con una luce molto fioca che dia un senso di mistero.
Setede in silenzio e non muovete il corpo, rimanete come statue.
Dopo, quando farete l’amore, il corpo si muoverà, quindi prima dategli un estremo di immobilità, in modo che prenda lo slancio per poi muoversi profondamente. Poi l’impulso diventerà così vibrante che tutto il corpo, ogni fibra, sarà pronta a entrare in movimento. Solo così è possibile l’orgasmo tantrico.
Potete mettere della musica, della musica classica andrà bene, qualcosa che dia un ritmo molto sottile al corpo.
Rendete il respiro il più lento possibile, perché quando dopo farete l’amore il respiro diventerà profondo e veloce. Quindi continuate a rallentarlo, ma senza sforzo, altrimenti non rallenterà. Semplicemente suggeritegli di rallentare.
Meditate insieme e quando vi sentirete entrambi meditativi, sarà il momento di amare. Non ci sarà tensione e l’energia fluirà. Se non vi sentite meditativi, non fate l’amore. Quando non siete meditativi, dimenticatevi completamente dell’amore.
Le persone fanno esattamente l’opposto. Molto spesso le coppie litigano prima di fare l’amore. Si arrabbiano, si tormentano a vicenda, creando ogni sorta di conflitto, e poi fanno l’amore. Cadono molto in basso a livello di coscienza, quindi ovviamente l’amore non sarà molto soddisfacente. Sarà frustrante e pieno di tensione.
La seconda cosa è: quando fate l’amore, prima di iniziare, venerate il partner e lasciate che il partner veneri voi. Quindi, dopo la meditazione, la venerazione. Mettetevi uno di fronte all’altra completamente nudi e veneratevi a vicenda, perché il Tantra non può essere tra un uomo e una donna. Può accadere solo tra un dio e una dea. È solo un gesto, ma è molto significativo. L’atteggiamento nel suo complesso deve diventare sublime in modo che voi scompariate. Inchinatevi, ornate il luogo di ghirlande di fiori. L’uomo si trasforma in Shiva e la donna in Shakti. A quel punto la vostra umanità è irrilevante, la forma è irrilevante, il nome è irrilevante: siete solo pura energia. La venerazione mette a fuoco quell’energia. E non fingete. La venerazione deve essere autentica. Non può essere solo un rituale, altrimenti vi sfuggirà. Il Tantra non è un rituale. C’è molto del rituale in esso, ma non è un rituale.
Potete ripetere il rituale meccanicamente, inchinandovi ai piedi dell’altro e toccarli, ma non vi servirà. Lasciate che sia un gesto profondamente significativo. Guardatevi davvero. Lei non è più tua moglie, non è più la tua ragazza, non è più una donna, non è più un corpo, ma una configurazione di energia. Lascia che prima diventi divina, poi fai l’amore con lei. Allora l’amore cambierà la sua qualità, diventerà divino. In questo consiste l’intera metodologia del Tantra.
Poi, la terza cosa: fate l’amore. Ma fate sì che il vostro fare l’amore sia più un accadere che un fare. L’espressione “fare l’amore” è brutta. Come si può fare l’amore? Non è qualcosa che si fa, non è un’azione. È uno stato. Puoi esserci dentro, ma non puoi crearlo. Puoi entrarci, ma non puoi farlo. Puoi amare, ma non puoi manipolarlo.
La mente occidentale cerca di manipolare tutto.
Se la mente occidentale un giorno dovesse trovare dio, persino lui sarebbe nei guai. Lo sfrutterebbe in un modo o nell’altro, lo manipolerebbe. Lo userebbero per qualche scopo, qualche scopo utilitaristico. Persino l’amore è diventato una specie di fare.
No.
Quando fate l’amore…
Osho
Tratto da: Beloved of My Heart
Nascita dello stato di Israele - Ashkenaziti, sionisti e gli ebrei originari...

Il regno di Cazaria.
È una dottrina nazionalista che non è nata dall’ebraismo, ma dal nazionalismo europeo del XIX secolo. Il fondatore del sionismo politico, Herzl, non si richiamava alla religione: “Io non obbedisco a un impulso religioso”. (Fonte: Theodor Herzl, Diaries, Londra, Gollancz, 1958 – “Sono un agnostico” (p. 54).)
(Fonte: Theodor Herzl, L’État Juif, p. 45)
(http://www.rondavid.net/Media-Watch.htm)
Articoli collegati:
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http://www.circolovegetarianocalcata.it/2016/01/28/ebraicita-perduta-sheol-olocausto-e-campo-psichico/
La “preghiera” come forma di riconnessione interiore...
“Soltanto chi pone la mente intera come offerta nel fuoco splendente che è il Sé può essere considerato come colui che compie davvero l’Agnihotra, mentre tutti gli altri ne portano solo il nome.” (Sadacara 12)
Ogni qualvolta si sente il bisogno di riconnettersi interiormente, sia che noi siamo credenti o meno, si ricorre al dialogo interno. Questo dialogo è stato anche definito “preghiera”. Ovviamente non è la preghiera che solitamente viene rivolta al dio od ai santi per chiedere la loro intercessione e per ottenere favori o vantaggi materiali, quella non è preghiera ma commercio religioso.
La vera preghiera è il porsi gentilmente ed amorevolmente verso se stessi, per riconoscere la propria idealità. In molte altre occasioni questo gesto d’amore verso il Sé assume la forma del digiuno, del silenzio o della meditazione La preghiera è stata utilizzata anche come strumento nonviolento contro la guerra, come pure il digiuno, che è un gesto personale, intimo ma aperto, di dialogo con il mondo, di considerazione empatica verso l’altro.
Ed in verità la nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargadatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati. Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto.
In fondo anche la chiesa si sta interrogando su un nuovo modo di esprimere la preghiera. In molti cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura moderna pone all’avvertita esigenza di di raccoglimento. L’interesse che forme di meditazione connesse a talune religioni orientali e ai loro peculiari modi di preghiera in questi anni hanno suscitato anche tra i cristiani è un segno non piccolo di tale bisogno di un profondo contatto col divino che è all’interno.
Uno dei fautori più importanti della preghiera silenziosa, Teresa d’Avila, affermò: “La preghiera mentale [oración mental] non è altro che una condivisione intima tra amici; significa dedicare frequentemente del tempo ad essere soli con colui del quale sappiamo che ci ama.” Poiché l’enfasi è sull’amore piuttosto che sul pensiero.
L’esigenza di cambiare il modo di approccio religioso, eliminando dal contesto dottrinale quegli insegnamenti utilitaristici che contraddistinguono le religioni monoteiste di origine giudaica, è stata ben evidenziata in una storiella che Osho amava raccontare: “Un prete svolgeva la sua opera apostolica in uno sperduto villaggio nella foresta amazzonica. La missione si presentava bene, prima aveva preso in cura i malati, poi era passato agli anziani e poveri infine aveva costruito una chiesa con un oratorio per poter insegnare la religione e la preghiera ai bambini. Un giorno stava spiegando la bibbia e raccontava la storia dell’uomo, del peccato originale, della faticosa via verso il bene e di come il compassionevole Gesù fosse venuto in terra per redimere i peccatori che si erano pentiti ed affidati a lui. Dopo aver così istruito i bambini, per vedere se avessero capito bene il concetto della religione cristiana, chiese ad alta voce alla classe: “Ecco dopo aver ascoltato quel che ho detto chi sa dirmi in sintesi qual è il messaggio della religione?”. Subito un ragazzino sveglio si alzò e disse: “Io l’ho capito, il messaggio è che bisogna peccare”. “Come sarebbe a dire – interloquì il prete – se ho parlato male del peccato dall’inizio alla fine?”. “Tu hai detto che l’uomo è un peccatore, ma egli deve necessariamente peccare per poi potersi pentire e prendere rifugio in Gesù che lo salva… Senza peccato quindi non c’è redenzione”.
Il senso della preghiera buddista è ben diverso. In questo caso è un mezzo di pulizia interiore che avviene attraverso la concentrazione e la ripetizione di una frase, solitamente impartita dal maestro. Molto significativa in questo senso è la storia del monaco Cudapanthaka che, essendo di intelligenza limitata, non riusciva a tenere a mente gli insegnamenti, malgrado la sua buona volontà Il Buddha, essendo venuto a sapere ciò andò da Cudapanthaka e gli disse: “Ti istruirò io stesso…”. Il Buddha non si preoccupò di dare a lui i concetti, ma semplicemente gli chiese di pulire il Vihara, dicendogli: Cudapanthaka spazza il terreno. Mentre lo fai, recita: “Io spazzo via le impurità”. Ora, occorre rammentare che è inutile spazzare la polvere dal suolo del Vihara, che è un tempio nella foresta, dal momento che è costruito proprio nella foresta! Non è che al tempo del Buddha un Vihara avesse pavimenti di cemento, così da poter esser ripulito, esso era sporco! Quindi sostanzialmente il Buddha gli chiese di spazzare via lo sporco da un’estremità all’altra del Vihara. E così Cudapanthaka fece. Egli spazzò via la sporcizia avanti e indietro. Egli spazzò tutto il giorno, dicendo: “Io spazzo via lei mpurità… io la spazzo via”. E questa fu la preghiera che gli consentì di centrarsi nel Sé.
Ma non tutti gli insegnamenti buddisti sono specificatamente diretti alla realizzazione. Nel buddismo tibetano, che ha un’origine animista e sciamanica, permane la preghiera come modo di ingraziarsi la divinità. Magari si comincia a pregare per l’ottenimento di poteri e di vantaggi poi pian piano la grande concentrazione porta alla cancellazione dell’io “questuante”. Molto propizia è considerata la devozione nei confronti di Tara, che significa Liberatrice, Salvatrice. Tara fu il primo essere che ottenne l’illuminazione in forma femminile. E’ un principio illuminato e, anche se mancano le realizzazioni per poterla vedere, essa è presente ovunque. Perciò non si deve pensare che Tara sia solo un simbolo dipinto sulle tanghe od una divinità che vive in una Terra Pura. Essa rappresenta il potenziale pienamente realizzato della nostra mente. Pregare Tara e meditare su di lei procura grandi vantaggi, anche materiali.
C’è poi una forma di preghiera “itinerante” che pur essendo stata accettata dal cristianesimo ha le sue origine addirittura nel paleolitico. Si tratta del cammino di Santiago di Compostela. Il percorso più frequentato è sicuramente il Camino Frances che dall’abbazia di Roncesvalles giunge a Santiago passando per le province della Navarra, Rioja, Castilla e Galicia. In realtà Roncesvalles è di difficile accesso diretto, specialmente per chi proviene da paesi stranieri, e quindi si preferisce iniziare da St.Jean Pied de Port, ai piedi del versante francese dei Pirenei. Comunque il percorso St. Jean / Roncesvalles è molto bello e si prova la soddisfazione del completo attraversamento dei Pirenei attraverso un valico ricco di memorie storiche e letterarie.
Il camminare pregando ha molte origini e modi. Non va infatti dimenticata la filocalia dei monaci erranti di tradizione cristiana ortodossa. La Filocalia è una delle più ammirate e feconde testimonianze a stampa della pietà cristiana ortodossa. All’assidua lettura di essa da parte dei fedeli si fa continuamente riferimento nei celebri Racconti di un pellegrino russo.
Non mancano le preghiere new age, che un po’ si rifanno alla tradizione pagana, o addirittura alla presenza di esseri superiori provenienti da altri mondi. Persino nella bibbia, opera fantastica per eccellenza, abbondano le menzioni ad angeli e demoni ed esseri fantastici che vanno ingraziati con offerte e preghiere. Secondo la nuova spiritualità della natura invece si prega la Madre Terra, che è considerata un essere vivente dotato di coscienza, ora allo stremo in seguito alle offese causate da inquinamento e bombe atomiche, etc. A lei va una preghiera conosciuta come La Grande Invocazione della fratellanza bianca, che dicono essere molto potente.
Anche nella spiritualità laica esistono forme di preghiera, tese però al superamento del dualismo. Come affermava il poeta sincretico Sant Kabir: “Stretto è il sentiero dell’amore: in due non ci stanno!” Ed è vero…! Il dualismo e il senso di separazione sono la causa di tutti i mali. Se non è un egoismo personale, il nostro, magari è un egoismo di casta, di religione, di razza, di cultura, di ideologia. La preghiera laica è quindi protesa verso l’uscita di questa gabbia ideologica. Come Uscirne fuori? Beh, dobbiamo brancolare nel buio della sperimentazione, dobbiamo capire noi stessi da noi stessi. In questo momento la crescita ed il cambiamento non possono più essere una ricetta che ci viene fornita da un saggio, da un maestro, da un duce, da un potente della terra. Diceva Osho: “Non dipendere dalla luce di un altro. È persino meglio che tu brancoli nel buio, ma che almeno sia il tuo buio!”. Insomma dobbiamo pregare noi stessi.
La specie umana è in continua evoluzione e così dovremmo poter prendere coscienza che il nostro vivere si svolge in un contesto inscindibile. Di fatto è così solo che dobbiamo capirlo e viverlo consapevolmente, prima a livello personale e poi a livello di comunità. Siamo in un viaggio e, affiancati da altri compagni a noi affini, andiamo avanti sentendoci uniti nel pensiero e nell’azione evolutiva che richiede una maturazione individuale ed un riavvicinamento alla propria natura originale che non può essere il risultato di una “scelta” o di un “credo”…
In definitiva in qualsiasi modo si preghi quel che conta è la sincerità ed onestà del nostro approccio.
Paolo D’Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica
Contrappasso. La legge del karma...
Per le religioni monolatriche è arrivato il momento di pagare il conto...

Commento/integrazione di Vincenzo Brandi:
"Naturalmente sono d'accordo con Paolo D'Arpini. I Palestinesi sono etnicamente i discendenti degli antichi Ebrei con qualche apporto greco-romano o arabo. Il fatto che l'intera popolazione ebrea della Palestina antica sia stata deportata e dispersa dai Romani non ha nessun serio fondamento storico, anche se vi fu una massiccia emigrazione soprattutto verso Alessandria d'Egitto, Creta, Roma, e altre zone dell'Impero Romano. L'emerito professore israeliano di storia dell'Università di Tel Aviv, Shlomo Sand, nel suo documentatissimo libro "L'invenzione del popolo ebraico", ci ricorda che gli Ebrei moderni derivano in gran parte da popolazioni nord-caucasiche turco-slave, gli Askenaziti, da popolazioni berbere convertite (i Sefarditi), da Arabi di fede ebraica (i Miznahi), da Etiopi di fede ebraica (i Falasha), ecc., tutte popolazioni di rispettabilissime tradizioni storico-culturali (basti pensare all'enorme numero di scienziati e capi rivoluzionari di origine askenazita), ma comunque scarsamente coincidenti con gli Ebrei di prima della cosiddetta Diaspora. La posizione sionista di "ritorno alla Terra Promessa" è pura ideologia, che purtroppo ha causato molti danni. Speriamo si possa creare uno stato democratico unico per Ebrei e Palestinesi non-Ebrei nel territorio della Palestina storica; altrimenti questo strazio continuerà, ciao a tutti.." (Vincenzo Brandi)